INTRODUZIONE
La cardiomiopatia ipertrofica (CMI) è la più frequente patologia cardiovascolare su base ereditaria. La stratificazione del rischio di morte improvvisa rappresenta un passaggio cruciale e im- portante per identificare correttamente i pazienti con CMI.
Le nuove linee guida europee sulla CMI1 pongono l’accen- to sulla necessità per il paziente di una “cura individualizzata nell’arco della vita” e sottolineano come un’attenta valutazio- ne del paziente sia utile al fine di poter formulare una corretta diagnosi e identificare i familiari a rischio. L’attenta analisi del- la famiglia, con una raccolta delle informazioni riguardanti i fa- miliari, è fondamentale per disegnare un accurato albero ge- nealogico, poter fornire una consulenza genetica e guidare i test genetici e molecolari.
Le tecnologie di ultima generazione, come il high-throu- ghput next generation sequencing (NGS), sono in grado di ana- lizzare l’intero esoma o genoma, con costi e precisione sostan- zialmente simili ai metodi di sequenziamento tradizionale, ren- dendo l’analisi genetica possibile nella pratica clinica. Indipen- dentemente dalla metodologia di sequenziamento impiegata, la ricerca di mutazioni nella CMI dovrebbe includere i geni del- le proteine sarcomeriche più comunemente implicati. Inoltre, nei pazienti con caratteristiche fenotipiche suggestive di speci- fiche malattie genetiche, dovrebbe essere avviata una ricerca razionale per mutazioni patogene in altri geni.
Il documento della Società Europea di Cardiologia (ESC) ha adottato il sistema di classificazione delle cardiomiopatie pro- posto nel documento di consenso ESC del 20132. Nello state- ment le cardiomiopatie sono definite da specifici criteri morfo- logici e funzionali e vengono suddivise in genetiche/familiari e non genetiche/non familiari, indipendentemente dalla presen- za di malattia extracardiaca3. Si stima che la prevalenza sia tra lo 0.2% e lo 0.23%4.
EZIOLOGIA DELLA CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Questa patologia è causata da mutazione dei geni che codifica- no per proteine del sarcomero in circa il 60% dei casi ed è tra- smessa in modo autosomico dominante. Nel 5–10% dei casi l’ipertrofia ventricolare sinistra trova origine in una serie di altre patologie infiltrative (es. amiloidosi), metaboliche (es. malattia di Fabry) o sindromi (es. sindrome di Noonan), che si presentano con un quadro spesso sovrapponibile alla CMI. Nel documento appe- na presentato, si sottolinea come una valutazione multidiscipli- nare e l’identificazione di “red flags” (“segnali di allarme” o ele- menti clinici suggestivi per la diagnosi) siano step indispensabili per la diagnosi differenziale e quindi per la gestione terapeutica2.
MUTAZIONI A CARICO DEI GENI CHE CODIFICANO PER LE PROTEINE SARCOMERICHE
Le mutazioni a carico dei geni che codificano per la catena pe- sante della beta-miosina (MYH7) e per la proteina C che lega la miosina (MYBPC3) costituiscono le varianti più frequenti (circa il 70%). Meno comuni sono le mutazioni a carico dei geni che co- dificano per la troponina cardiaca I e T (TNNI3, TNNT2), la catena alfa-tropomiosina (TPM1) e la catena leggera 3 della miosina (MYL3). Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti con muta- zioni a carico delle proteine sarcomeriche manifestano la malat- tia in età più precoce e hanno una più alta incidenza di storia fa- miliare di CMI e morte improvvisa cardiaca, rispetto a quelli sen- za una mutazione identificata5,6. Inoltre tendono a manifestare un’ipertrofia più severa, disfunzione microvascolare e fibrosi mio- cardica7. I dati pubblicati sul valore prognostico delle mutazioni re- lative ad alcune proteine sarcomeriche non sono conclusivi: si trat- ta di studi osservazionali basati su piccoli gruppi di pazienti e spes- so con risultati non riproducibili, risentendo della rarità delle mu- tazioni8–10. I dati che sono emersi recentemente suggeriscono che multiple mutazioni a carico dei geni sarcomerici sono presenti in circa il 5% degli individui, che tendono a manifestare la malattia in età più precoce e con un fenotipo più severo10,11.
La diagnosi differenziale è utile per distinguere la CMI da al- tre forme di ipertrofia cardiaca e guidare la ricerca genetica. Di- sordini metabolici (malattia di Anderson-Fabry, sindrome PRKAG2), mitocondriopatie, malattie neuromuscolari (atassia di Friedreich), sindromi malformative (sindrome LEOPARD, Co- stello) e malattie infiltrative (amiloidosi) sono tutte causa di iper- trofia ventricolare sinistra e vanno considerate in presenza di fenotipi suggestivi.
SCREENING FAMILIARE
La maggior parte dei casi di CMI è trasmessa in modo autoso- mico dominante, con un rischio di trasmissione ai figli del 50%12. Alcuni casi sono spiegati da mutazioni de novo, ma ap- parentemente casi sporadici possono essere presenti per la pe- netranza incompleta. I disordini metabolici hanno frequente- mente una trasmissione autosomica recessiva o legata al cro- mosoma X. Una mutazione patogena viene identificata in cir- ca il 60% dei casi12,13. La probabilità di trovare una mutazione causale è più alta nei pazienti con malattia familiare e più bas- sa nei pazienti più anziani e negli individui con caratteristiche non classiche.
LA CONSULENZA GENETICA NEI PROBANDI
La consulenza genetica “clinica” nei pazienti con CMI è racco- mandata in tutti i pazienti in cui l’ipertrofia non sia spiegata da sole cause non genetiche. Deve essere fatta da professionisti che lavorano in team multidisciplinari in grado di supportare i pazienti nella comprensione della malattia e nella gestione del- le implicazioni psicosociali, professionali, etiche e legali della malattia14–16. La consulenza genetica facilita anche la raccolta di informazioni provenienti da altri membri della famiglia, com- presi i sintomi, gli eventuali dati autoptici al fine di costruire gli alberi familiari. L’analisi dei pedigree aiuta a determinare la pro- babilità di malattia familiare e la verosimile modalità di eredi- tarietà, fornendo indizi per l’eziologia sottostante2.
Le conseguenze di un eventuale test positivo per il pazien- te e i suoi familiari devono essere spiegate. Per questo motivo, i test genetici sono raccomandati nei pazienti che soddisfano i criteri diagnostici per CMI17, per consentire lo screening gene- tico a cascata nei loro familiari. Il test genetico può essere di valore clinico limitato, quando parenti di primo grado non so- no disponibili o non sono disposti a prendere in considerazio- ne lo screening per la malattia (Tabella 1).
Tabella 1.
Quando eseguire il test genetico sui probandi.
| Raccomandazioni | Classea | Livellob |
|---|---|---|
| Il test genetico è raccomandato nei pazienti che soddisfano i criteri diagnostici per CMI quando permette uno screening genetico “a cascata” dei loro familiari. | I | B |
| È raccomandato che il test genetico sia eseguito in laboratori diagnostici certificati da esperti nell’interpretazione delle mutazioni associate alle cardiomiopatie. | I | C |
| In presenza di segni e sintomi suggestivi per CMI quale specifica causa di malattia, il test genetico è raccomandato per confermare la diagnosi. | I | B |
| Il test genetico in pazienti con diagnosi borderlinec di CMI deve essere eseguito solo dopo accurata valutazione da parte di un team di esperti. | IIa | C |
| L’analisi genetica post-mortem di tessuto o DNA deve essere presa in considerazione nei pazienti deceduti con riscontro anaomo-patologico di CMI per consentire uno screening “a cascata” dei loro familiari. | IIa | C |
CMI, cardiomiopatia ipertrofica.
classe di raccomandazione
livello di evidenza
borderline: spesso- re parietale del ventricolo sinistro 12–13 mm negli adulti; ipertrofia ven- tricolare sinistra in soggetti ipertesi, allenati, o affetti da patologia val- volare.
Adattata da Elliott et al.1.
Il test genetico può contribuire ad individuare soggetti con diagnosi clinica incerta (es. atleti e ipertesi) e deve essere ese- guito solo dopo valutazione clinico-anamnestica dettagliata e fatta da team esperto nella diagnosi e nel trattamento delle cardiomiopatie. L’assenza di una mutazione sarcomerica non esclude una CMI familiare e inoltre la presenza di varianti ge- netiche di significato incerto sono difficili da interpretare18.
L’analisi genetica di campioni di tessuto o di DNA post-mor- tem può essere utile nella valutazione delle famiglie, ma deve essere attentamente interpretata alla luce di un’accurata ispe- zione autoptica del cuore ed in conformità con le regole con- venzionali per l’assegnazione di patogenicità alle varianti ge- netiche19. In tutto il mondo è in genere il probando (la prima persona nella famiglia con la diagnosi di malattia), e non il me- dico, a dover informare i familiari sulla possibilità e utilità dello screening clinico20.
Famiglie con mutazione genetica identificata
Modelli decisionali economici hanno dimostrato che la combi- nazione di test genetici e lo screening clinico identificano più in- dividui a rischio di sviluppare la malattia e permettono di inter- rompere il follow-up in un numero maggiore di individui, risul- tando costo-efficace21.
Per questo motivo, il test genetico a cascata dovrebbe esse- re offerto a tutti i parenti, in particolare ai consanguinei di fami- liari affetti, quando una mutazione definitiva è identificata nel probando. Qualora non sia identificata alcuna mutazione nei pa- renti e il fenotipo sia del tutto negativo, il follow-up non è ge- neralmente indicato; comunque si raccomanda la rivalutazione in caso di comparsa di sintomi o qualora nuovi dati clinicamen- te rilevanti emergessero nella famiglia (Tabella 2, Figura 1).
Tabella 2.
Raccomandazioni sui test clinici e genetici da eseguire nei fa- miliari adulti del probando.
| Raccomandazioni | Classea | Livellob |
|---|---|---|
| Lo screening genetico “a cascata”, previa consulenza pre-test, è raccomandato nei familiari adulti di primo grado dei pazienti con una definita mutazione responsabile della malattia. | I | B |
| Una valutazione clinica mediante ECG, ecocardiografia e follow-up a lungo termine è raccomandata nei familiari di primo grado che presentano la stessa mutazione definita responsabile della malattia del probandoc. | I | C |
| I familiari di primo grado che non presentano la stessa mutazione definita responsabile della malattia del probandoc devono essere dispensati da ulteriori follow-up ma devono essere invitati ad effettuare una rivalutazione qualora sviluppino nuovi sintomi o emergano nuovi dati clinicamente rilevanti nella famiglia. | IIa | B |
| Quando nessuna mutazione genetica è stata identificata o non è stato eseguito il test genetico, una valutazione clinica mediante ECG ed ecocardiografia deve essere presa in considerazione nei familiari adulti di primo grado, da ripetersi ogni 2–5 anni (o ogni 6–12 mesi se sono presenti anomalie non diagnostiche). | IIa | C |
classe di raccomandazione
livello di evidenza
probando: general- mente il primo membro della famiglia nel quale sia stata diagnosticata la malattia.
Adattata da Elliott et al.1.
Figura 1.
Flow-chart per lo screening clinico e genetico nei probandi e loro familiari.
Riprodotta da Elliott et al.1.
Famiglie senza mutazione genetica identificata
Ai parenti adulti di primo grado dovrebbe essere offerto lo screening clinico con ECG ed ecocardiografia quando i test ge- netici non vengono eseguiti nei probandi, o quando l’analisi genetica non riesce a individuare una mutazione definita o quando rivela una o più varianti genetiche di significato sco- nosciuto22,23 (Tabella 3). È importante ricordare il fenomeno del- la penetranza età-correlata: ciò significa che un normale esame clinico-strumentale non esclude la possibilità di sviluppo della malattia nel futuro; pertanto i parenti di primo grado dovreb- bero ripetere la valutazione nel tempo.
Tabella 3.
Raccomandazioni sull’esecuzione del test genetico nei bambini.
| Raccomandazioni | Classea | Livellob |
|---|---|---|
| I figli dei pazienti con mutazione genetica definita responsabile della malattia devono essere valutati per test genetici predittivi – previa consulenza familiare pre-test – quando hanno più di 10 anni di età e questi devono essere eseguiti in accordo con le linee guida internazionali per i test genetici nei bambini. | IIa | C |
| Nei bambini di età ≥10 anni che sono parenti di primo grado e nei quali l’assetto genetico non è noto, una valutazione mediante ECG ed ecocardiografia deve essere presa in considerazione ogni 1–2 anni tra i 10 ed i 20 anni di età, e ogni 2–5 anni successivamente. | IIa | C |
| Se richiesto dai genitori o dal legale rappresentante, la valutazione clinica mediante ECG ed ecocardiografia può precedere o sostituire la valutazione genetica dopo consulenza di medici esperti e quando è in accordo con l’interesse superiore del minore. | IIb | C |
| In presenza di storia familiare positiva per un esordio precoce della malattia o se i figli hanno sintomi cardiaci o sono coinvolti in attività fisiche particolarmente impegnative, un test clinico o genetico può essere preso in considerazione nei bambini che sono parenti di primo grado prima dei 10 anni di età. | IIb | C |
La frequenza dello screening clinico in assenza di una dia- gnosi genetica deve essere guidata dall’età di insorgenza e dal- la gravità della cardiomiopatia all’interno della famiglia (es. pre- senza di morti improvvise) e dalla partecipazione ad attività sportive e competitive. Persone che hanno caratteristiche clini- co-strumentali non ancora sufficienti per la diagnosi di malat- tia dovrebbero essere valutate inizialmente a intervalli di 6–12 mesi e poi meno frequentemente, se non vi è progressione del quadro22.
Lo screening clinico e genetico nei bambini
Un approccio diverso può essere considerato in età pediatrica; infatti in questo caso è necessario tener conto delle implica- zioni a lungo termine di un test genetico positivo. Su richiesta dei genitori o del tutore legale, la valutazione clinica può pre- cedere o essere sostituita alla valutazione genetica, quando questa è ritenuta essere la scelta migliore nell’interesse del mi- nore. Vi sono potenziali benefici dello screening in età evoluti- va; questi includono la riduzione di incertezza e di ansia, la pos- sibilità di fare progetti di vita realistici e la sorveglianza clinica mirata24. Dall’altro lato esiste un potenziale danno che include l’aumento dell’ansia, l’alterazione dell’immagine di sé, la di-storsione della percezione del bambino da parte dei genitori e di altri adulti responsabili (come gli insegnanti), l’assenza di pro- gettualità futura. Pochi sono i dati in letteratura circa l’outco- me nei bambini con mutazione genetica, senza fenotipo.
Il punto di vista espresso in queste linee guida è che lo screening clinico e genetico dovrebbe essere preso in conside- razione a partire dall’età di 10 anni. I controlli clinici o la ricer- ca genetica in giovane età possono essere opportuni in famiglie con disturbi ad esordio precoce (es. disturbi delle proteinchi- nasi della famiglia MAPK [mitogen-activated protein-kinase], con conseguente difetto di fosforilazione di alcune proteine che si legano al DNA, errori del metabolismo o mutazioni multiple del sarcomero), quando vi è una storia familiare maligna nel- l’età infantile, quando si manifestano sintomi cardiaci o quan- do i bambini praticano un’attività sportiva agonistica.
Follow-up dei portatori della mutazione senza fenotipo
In questo gruppo rientrano individui con genotipo positivo e fenotipo negativo. Ci sono pochi dati sulla storia naturale di in- dividui che sono portatori di una mutazione genetica e che non hanno il fenotipo, recenti studi suggeriscono un decorso clini- co benigno per la maggior parte dei portatori di mutazione che non hanno la malattia25. La morte cardiaca improvvisa è rara in assenza di ipertrofia cardiaca ed è isolata principalmente in re- port di pazienti con mutazioni della troponina T26.
Test prenatale
La diagnosi genetica prenatale può essere eseguita all’inizio del- la gravidanza con un prelievo dei villi coriali o l’amniocentesi, ma la procedura non è legalmente riconosciuta in alcuni paesi europei ed è limitata a malattie gravi e incurabili in altri. Data la considerevole variabilità nell’espressione fenotipica della CMI e della storia naturale, spesso benigna, la diagnosi genetica pre- natale di CMI sarà raramente appropriata. L’utilizzo dell’eco-cardiografia fetale per individuare la malattia precoce non è raccomandato, perché la probabilità di espressione cardiaca nel feto è estremamente bassa, con l’eccezione di alcuni disturbi sindromici e metabolici.
CONCLUSIONI
Le nuove linee guida ESC sulla CMI appaiono pratiche, inno- vative e, per le attuali conoscenze, sufficientemente basate sul- l’evidenza. Il ruolo del test genetico nelle forme familiari a fini di screening è di particolare utilità nei soggetti che non pre- sentino il fenotipo e che, grazie a questa informazione, po- tranno essere seguiti con follow-up appropriato o, in caso di negatività, rassicurati. L’utilità è provata anche nei quadri sin- dromici o dubbi. Persiste qualche elemento di contraddittorie- tà fra i limiti noti delle metodiche di caratterizzazione genetica, la bioinformatività strettamente correlata all’informatività del- le famiglie e la raccomandazione di caratterizzare genetica- mente sempre anche i casi sporadici lasciando ad uno step suc- cessivo la valutazione clinica e strumentale.
Il documento sottolinea come nella gestione di questa pa- tologia sia fondamentale l’accuratezza della diagnosi clinica, senza la quale le informazioni delle indagini sarebbero fuor- vianti nel guidare i test genetici. Spetta al clinico riconoscere eventuali “red flags” e fenotipi peculiari per guidare l’analisi genetica. Lo screening genetico ha delle ricadute importanti sui familiari e sui minori, pertanto la gestione dei test genetici de- ve essere eseguita in laboratori certificati e i risultati comunica- ti da team esperti.
Footnotes
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono necessariamente quelle dell’Editor del Giornale Italiano di Cardiologia.
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