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. Author manuscript; available in PMC: 2014 Apr 22.
Published in final edited form as: Psicol Soc (Bologna). 2012;2012(1):7–30. [Article in Italian] doi: 10.1482/36754

Fattori psicosociali e comportamenti dei fumatori adolescenti e adulti Risultati e conclusioni da uno studio longitudinale durato trent’anni

Steven J Sherman 1, Laurie Chassin 2, Jeffrey W Sherman 3, Clark C Presson 4, Jonathan T Macy 5
PMCID: PMC3995415  NIHMSID: NIHMS472599  PMID: 24765213

Il fumo di sigaretta rappresenta la prima causa di morte potenzialmente evitabile e di morbilità sia negli Stati Uniti (US Department of Health and Human Services, 1994) che nel resto del mondo, e per questo motivo è al centro sia degli interessi di ricerca che delle campagne per la salute pubblica. Negli Stati Uniti, la tematica del fumo di sigaretta ha attratto in misura massiccia l’attenzione nazionale, coinvolgendo cause legali, azioni di tassazione e di regolamentazione del fumo nei luoghi pubblici, nonché forti richieste di interventi di prevenzione del fumo tra i minori. Le proposte di un inasprimento delle leggi relative al possibile accesso al fumo da parte dei giovani, di politiche per liberare le scuole dal fumo e di campagne attraverso i media, rappresentano alcuni dei modi per scoraggiare il fumo tra gli adolescenti (Lynch e Bonnie, 1994; US Department of Health and Human Services, 2000).

Nonostante questi sforzi, gli studi epidemiologici circa l’incidenza di fumatori tra gli adolescenti mostrano un quadro contrastante. Giovino (1999) ha analizzato i dati relativi alla realtà statunitense concludendo che la percentuale di adolescenti fumatori è diminuita tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, si è assestata verso la metà degli anni ’80 per poi iniziare nuovamente a crescere negli anni ’90.

Avendo ben presente l’importanza delle tematiche relative al fumo, soprattutto quando coinvolgono gli adolescenti, il nostro gruppo di ricerca nel 1979 ha iniziato un ampio studio longitudinale su questo fenomeno. Lo studio continua tuttora con i primi partecipanti originari che sono ormai ben oltre i quarant’anni. L’obiettivo del presente articolo è quello di presentare una panoramica del programma di ricerca, tra cui la sua metodologia, gli obiettivi, alcuni dei risultati passati e di quelli più recenti, e le indicazioni rispetto ai più probabili sviluppi futuri. Ovviamente, la quantità di lavori pubblicati basati su questo progetto è decisamente troppo elevata perché essi possano essere qui descritti in maniera esaustiva. Vi sono oltre 60 articoli e capitoli pubblicati, così come un intero libro dedicato agli aspetti metodologici e di analisi statistica che sono scaturiti da un progetto longitudinale così complesso (Rose, Chassin, Presson e Sherman, 2000). Quindi, dopo aver discusso gli obiettivi generali del progetto, la metodologia e le misure del corpus principale dello studio longitudinale, presenteremo un breve riassunto dei principali risultati emersi dalle fasi iniziali e centrali del progetto. In seguito, proporremo una presentazione più dettagliata degli aspetti di ricerca che sono emersi come più rilevanti in anni recenti, quegli aspetti che sono attualmente al centro dell’attenzione del progetto e che, con ogni probabilità, continueranno ad attrarre i nostri sforzi di ricerca anche negli anni a venire. Questi includono l’identificazione di molteplici traiettorie di sviluppo dei comportamenti associati al fumo, il ruolo degli atteggiamenti impliciti nelle decisioni e comportamenti relativi al fumo, così come la trasmissione da una generazione all’altra, dai genitori ai figli, degli atteggiamenti e comportamenti che coinvolgono il fumo.

1. Gli obiettivi

L’obiettivo più generale del progetto è stato quello di identificare i fattori di tipo socio-cognitivo che sono coinvolti in atteggiamenti, credenze, giudizi e comportamenti collegati al fumo. In altre parole, sono state applicate varie teorie proprie della psicologia sociale, soprattutto quelle che riguardano la percezione, la rappresentazione e la cognizione sociale, per poter dar risposta ad alcune importanti domande relative al fumo. Perché gli adolescenti iniziano a fumare nonostante la consapevolezza diffusa circa i seri rischi per la salute associati al fumo e alla luce del fatto che le prime esperienze degli adolescenti con il fumo sono tipicamente spiacevoli per loro? Quali fattori potrebbero ridurre la probabilità che un giovane che non fuma inizi a farlo in futuro? In che modo i cambiamenti nei propri ruoli sociali nel corso della vita influenzano la probabilità di fumare e il numero di sigarette fumate? Ci sono differenti tipi di comportamenti presenti o passati relativi al fumo che sono associati a differenti atteggiamenti e credenze? Può una comprensione di questi differenti pattern permettere una più efficace implementazione di interventi ad hoc che possano aiutare a prevenire, ridurre o eliminare il fumo di sigaretta? Che ruolo hanno i genitori e i coetanei nell’influenzare le decisioni dei potenziali giovani fumatori? Perché è così difficile per i fumatori smettere? In che modo una migliore comprensione dei fattori psicosociali coinvolti può aiutare a sviluppare programmi per smettere di fumare che abbiano la massima probabilità di successo, riducendo il rischio di ricadute?

Queste sono alcune tra le domande che abbiamo affrontato nel corso degli oltre 30 anni di durata del progetto di ricerca. Come menzionato in precedenza, non sarà possibile discutere tutti gli aspetti rilevanti in un unico articolo. In ogni caso, proveremo a fornire un quadro d’insieme che renda chiaro il valore di adottare un approccio socio-cognitivo e di ricorrere a progetti longitudinali per studiare e cercare di dar risposta a questa serie di importanti domande.

1.1. Metodologia e partecipanti

Il nostro approccio può essere essenzialmente descritto come uno studio longitudinale con un disegno a coorti sequenziali, a cui si affiancano studi più specifici, soprattutto di laboratorio (anche se alcuni degli studi più recenti sono stati realizzati via Internet). La raccolta dei dati per lo studio longitudinale è iniziata nel 1980. Tra il 1980 e il 1983, tutti gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori di una contea del Midwest che avevano acconsentito a partecipare, compilavano ogni anno un questionario. Il campione totale di coloro che hanno risposto in almeno un’occasione durante quei 4 anni è stato di 8487 partecipanti. Delle indagini di follow-up sono poi state condotte nel 1987, 1993, 1999, e nel 2005. Inoltre, una nuova fase di raccolta dati è attualmente in corso. In ciascun caso, si è riusciti a ricontattare almeno il 70% del campione iniziale. Il campione risulta essere rappresentativo della popolazione della comunità da cui è stato estratto, formata prevalentemente da persone bianche e con un buon livello di scolarità. Dalla più recente rilevazione, condotta nel 2005, è emerso che la percentuale di fumatori era del 23%.

Le misure utilizzate nell’indagine su larga scala (e buona parte delle misure sono rimaste le stesse nel corso delle varie tornate di raccolta dei dati, con alcune importanti aggiunte man mano che i partecipanti crescevano) includono: a) item tratti dalla Teoria dei Comportamenti Problematici (Problem Behavior Theory) di Jessor e Jessor. Queste variabili rimandano a differenti processi ed includono misure relative a fattori collegati all’ambiente sociale (per es., il supporto e la severità di genitori e coetanei), agli atteggiamenti e alle credenze (per es., i valori e le aspettative associati al successo scolastico), e ai fattori di personalità (tolleranza nei confronti della devianza, locus of control); b) il comportamento del rispondente in relazione al fumo di sigaretta così come quello dei suoi genitori e coetanei; c) gli atteggiamenti e le credenze normative nell’ambito specifico del fumo di sigaretta (adottando un approccio in linea con Ajzen e Fishbein, 1970); d) una stima della diffusione del fumo di sigaretta tra la popolazione; e) le credenze circa le conseguenze sociali e sulla salute del fumare.

1.2. La ricerca nei primi anni

Durante i primi 4 anni del progetto (1980–1983), poiché i partecipanti si collocavano nella fascia d’età tra i 12 e i 18 anni (il periodo in cui è più probabile iniziare a fumare) risultava massimamente importante focalizzarsi sui fattori psicologici e sociali in grado di permettere di prevedere l’iniziazione al fumo nel caso di adolescenti che non avevano mai fumato e che si trovavano ora a diventar fumatori. Abbiamo analizzato differenti tipi di predittori. In primo luogo, abbiamo esaminato il ruolo dei fattori ricavati dal lavoro di Jessor e Jessor (1977). In particolare, ci siano focalizzati su tre tipologie di variabili: l’atteggiamento dei partecipanti verso il fumo; i punteggi dei partecipanti relativi a fattori di personalità riconducibili alla tolleranza nei confronti di comportamenti devianti e alla probabilità di messa in atto degli stessi; fattori propri dell’ambiente sociale dei partecipanti, inclusi gli atteggiamenti e le credenze, sia in generale che specifici verso il fumo, dei genitori e della cerchia di amici. In maniera interessante, abbiamo riscontrato che tutti questi tre fattori erano in grado di prevedere il fatto di diventare fumatori. La forza dei differenti fattori cambiava però in funzione dell’età dei partecipanti. Infatti, per i più giovani che non avevano mai avuto esperienze i maggiori predittori risultavano essere i fattori di personalità e quelli legati all’ambiente sociale. Per gli adolescenti più grandi che avevano già avuto sporadiche esperienze con le sigarette erano invece i loro atteggiamenti e le intenzioni comportamentali i migliori predittori della probabilità di diventare fumatori (Chassin, Presson, Sherman, Corty e Olshavsky, 1984).

In un altro studio, abbiamo esplorato il ruolo dell’immagine di sé dei partecipanti e dell’immagine socialmente condivisa del tipico adolescente che fuma nel prevedere le intenzioni comportamentali legate al fumare. Si è riscontrato che l’immagine sociale dell’adolescente fumatore, così come percepito dagli adolescenti, include molteplici caratteristiche negative (per es., poco intelligente, aggressivo), ma anche numerose importanti caratteristiche positive (per es., maturo, socievole). Il dato interessante è che tanto più l’immagine di sé di un adolescente non fumatore si avvicina all’immagine predominante del tipico adolescente fumatore, tanto più è probabile che tale adolescente manifesti una intenzione di iniziare a fumare (Chassin, Presson, Sherman, Corty e Olshavsky, 1981).

Infine, abbiamo studiato il ruolo di un fattore di percezione sociale nella previsione dell’iniziazione al fumo tra adolescenti. Una delle nostre misure chiedeva ai partecipanti di stimare la diffusione del fumo di sigaretta tra gli uomini e le donne, così come tra i propri coetanei maschi e femmine. In generale, i nostri partecipanti sovrastimavano la percentuale dei fumatori, forse perché si tratta di un comportamento saliente che si nota con facilità. In ogni caso, gli adolescenti fumatori producevano stime significativamente più elevate rispetto agli adolescenti che invece non fumavano (Sherman, Presson, Chassin, Corty e Olshavsky, 1983).

1.3. La ricerca negli anni centrali del progetto

Una volta che i nostri partecipanti avevano raggiunto un’età tra i 20 e poco più di 30 anni, essi avevano chiaramente terminato le scuole superiori e assunto nuovi ruoli. Questi ruoli includono quello dello studente universitario, del lavoratore con un reddito, del marito o moglie, e del genitore. La probabilità di iniziare a fumare è decisamente inferiore una volta superati i 25 anni. Quindi, risultava opportuno spostare l’attenzione dai fattori legati al fatto di iniziare o meno a fumare verso altri elementi più rilevanti in relazione a tale fascia d’età. Molteplici sono stati i fattori su cui ci siamo concentrati in questa fase del progetto. Innanzitutto, abbiamo analizzato l’importanza dell’assunzione di nuovi ruoli, così come il possibile conflitto tra ruoli ed il relativo stress, nell’influenzare i comportamenti associati al fumo. Si è riscontrato che coloro che durante l’adolescenza fumavano avevano minori probabilità di continuare gli studi e di ottenere quindi un titolo universitario, ed avevano al contrario maggiori probabilità di sposarsi ma anche di divorziare. Coloro invece che avevano iniziato a fumare nella prima età adulta avevano meno probabilità di ottenere un titolo a livello universitario e di sposarsi, mentre nel loro caso aumentava la probabilità di un fallimento matrimoniale (Chassin, Presson, Sherman e Edwards, 1992). In relazione al ruolo dello stress, i nostri dati indicano la presenza di una relazione positiva e significativa tra lo stress associato al ruolo professionale, coniugale e parentale (così come al conflitto tra essi) e la quantità di sigarette fumate (Todd, Chassin, Presson e Sherman, 1996).

In secondo luogo, abbiamo posto maggiore attenzione al fatto di smettere piuttosto che di iniziare a fumare. Grazie a numerosi studi, abbiamo cercato di mettere in luce i fattori psicosociali che meglio permettevano di prevedere il fatto di ridurre o smettere di fumare, e la probabilità di ricadute. Ad esempio, due studi prendevano direttamente in esame la scelta di smettere di fumare. In uno di essi, venivano analizzati i predittori sia dei tentativi di smettere di fumare che della loro probabilità di successo. I tentativi di smettere erano con maggiore frequenza portati avanti dalla componente femminile del campione, da coloro che studiavano al college, che percepivano il fumo come pericoloso per la salute, che davano elevato valore alla salute, che fumavano per regolare il proprio umore e per ragioni di tipo sensomotorio, che erano sposati e che occupavano un numero maggiore di ruoli sociali. L’effettivo successo di tali tentativi di smettere di fumare era associato al fatto di studiare al college, di fumare meno di un pacchetto al giorno, al fatto di riuscire ad immaginarsi come un non fumatore in un futuro non lontano, di avere pochi amici fumatori, di dare valore alla salute, di non voler smettere per pressioni di tipo sociale, di avere una occupazione e di non vivere con dei bambini (Rose, Chassin, Presson e Sherman, 1996). Il secondo studio ha identificato i predittori dell’astinenza prolungata dal fumo, piuttosto che un ritorno ai comportamenti precedenti, in giovani adulti che erano riusciti a smettere. Complessivamente, due terzi dei partecipanti riuscirono con successo a non riavvicinarsi al fumo. Il migliore predittore del fatto di non andare incontro a ricadute era lo sposarsi con un non fumatore. Altri predittori includevano il non aver in passato già tentato inutilmente di smettere, l’avere solo un genitore fumatore, e il lavorare in un ambiente in cui il fumo fosse vietato. In questo studio, quindi, erano i fattori legati all’ambiente sociale a svolgere un ruolo predominante nel permettere di prevedere il successo o meno dei tentativi di smettere di fumare (Macy, Seo, Chassin, Presson e Sherman, 2007).

In terzo luogo, molti dei nostri partecipanti avevano ormai figli che richiedevano cure, tempo, attenzione e risorse. Alcuni di questi stessi partecipanti avevano inoltre genitori anziani che richiedevano anch’essi cure ed attenzione. Persone che hanno contemporaneamente responsabilità nei confronti sia dei propri figli che dei propri genitori vengono etichettati come appartenenti alla generazione «sandwich» (Hamill e Goldberg, 1997; Hunter, Sundel e Sundel, 2002). Abbiamo studiato come l’appartenenza a questa generazione «sandwich» sia associata a possibili problemi di salute (Chassin, Macy, Seo, Presson e Sherman, 2010). Coloro che debbono farsi carico di familiari di differenti generazioni hanno maggiore probabilità di intraprendere comportamenti chiaramente dannosi e che possono mettere a rischio la salute. Oltre al fatto di fumare un maggior numero di sigarette, questi comportamenti includono una minore propensione a controllare le etichette dei cibi e di scegliere i cibi sulla base del loro impatto sulla salute, così come una minore probabilità di usare le cinture di sicurezza e di praticare regolarmente esercizio fisico. È plausibile che i meccanismi sottostanti a questi effetti coinvolgano una combinazione di minor tempo a disposizione, un tono d’umore maggiormente depresso, una ridotta salienza di obiettivi di mantenimento di una buona salute personale, e accresciuti livelli di stress.

1.4. Gli attuali interessi di ricerca

1. Le molteplici traiettorie nei comportamenti dei fumatori

Un recente importante obiettivo all’interno del nostro progetto longitudinale è stato quello di descrivere le linee di sviluppo seguite dai fumatori dall’adolescenza all’età matura per poter comprendere sia i predittori che gli esiti di queste traiettorie. Un assunto fondamentale di questa ricerca è che sia gli interventi per prevenire che un individuo inizi a fumare sia quelli per indurre i fumatori a smettere, siano massimamente efficaci se vanno ad interessare quei fattori che determinano le traiettorie di sviluppo.

L’adolescenza è l’età in cui tipicamente la maggior parte delle persone inizia a fumare o a far uso di altre sostanze (USDHHS, 1994). Sebbene molte forme di abuso di sostanze risentano di un effetto di «maturazione» e quindi diminuiscano quando la persona arriva intorno ai 25 anni di età (Chen e Kandel, 1995), il fumo di sigarette è invece più persistente. Ad esempio, un’analisi a livello aggregato sui dati del nostro campione mostra che sebbene vi fosse un aumento significativo nella propensione a fumare nel passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta, non vi era poi alcuna significativa tendenza alla diminuzione (Chassin et al., 1996). La maggiore persistenza dei comportamenti legati al fumo rispetto a quelli collegati ad altre sostanze può essere dovuta al potere del fumo di creare dipendenza ed anche al fatto che il fumo è legale e non conduce a fenomeni di intossicazione. Perciò il fumo di sigaretta produce minori conflitti con le proprie responsabilità di persona adulta rispetto all’uso di altre sostanze. Nei nostri dati, nonostante quando esaminavamo l’intero campione non vi fosse una significativa diminuzione all’avvicinarsi dei trent’anni, quelle specifiche persone che in tale fase della vita andavano assumendo nuovi ruoli tipici dell’adulto (per es., marito o moglie, genitore, lavoratore) era più probabile che smettessero di fumare (Chassin et al., 1996).

Sebbene si inizi tipicamente a fumare durante l’adolescenza e vi sia una certa continuità (con una minima diminuzione) nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, vi è anche una rilevante variabilità nelle traiettorie che contraddistinguono i comportamenti dei fumatori. Infatti, vi sono sottogruppi di individui che non seguono lo schema generale appena descritto. Un importante obiettivo all’interno del nostro progetto di ricerca è stato quello di descrivere queste differenti traiettorie, e di identificare sia i fattori antecedenti che le conseguenze. Da un punto di vista teorico, il fatto che vi sia una certa variabilità nelle traiettorie di sviluppo ha potenzialmente importanti conseguenze per la comprensione delle cause sottostanti al fatto di fumare o meno. Ad esempio, nonostante il più delle volte si inizi a fumare in adolescenza, seguendo il nostro campione di adolescenti durante la loro prima età adulta si è riscontrato che un terzo di coloro che a quel punto fumavano si caratterizzava per un «esordio tardivo» (Chassin et al., 1991). In altre parole, erano giovani adulti fumatori che non avevano mai fumato durante l’adolescenza (Chassin et al., 1991). Inoltre, questi fumatori che iniziavano più tardi a fumare mostravano maggiore convenzionalità psicosociale (per es., minore devianza) nei termini di Jessor e Jessor (1977) se confrontati con coloro che iniziavano in maniera precoce a fumare. Inoltre, non tutti coloro che iniziano a fumare lo fanno in maniera persistente. Tra coloro che fumavano durante l’adolescenza, circa un terzo risultava aver smesso quando ricontattati una volta diventati dei giovani adulti. Chi invece continuava a fumare (in confronto a coloro che smettevano) aveva più probabilmente dei genitori fumatori, essendo esposti a una possibile predisposizione genetica a sviluppare dipendenza da nicotina e ad ambienti familiari che incoraggiano il fumare sigarette (Chassin et al., 1991). Quindi, i nostri dati di tipo longitudinale mostrano dei rilevanti cambiamenti nei comportamenti legati al fumo col passaggio a fasi successive della vita, ma anche significative deviazioni dal tipico pattern di un inizio in adolescenza di comportamenti che persistono poi anche in età adulta.

Una volta che i nostri partecipanti hanno raggiunto l’età adulta, è diventato più agevole studiare le traiettorie di comportamento legate al fumo usando l’analisi delle classi latenti per identificare in maniera empirica differenti tipologie di sviluppo dagli 11 ai 31 anni (Chassin et al., 2000). Inoltre, abbiamo considerato due gruppi a priori, gli astinenti totali (quelli che in nessuna fase del progetto riportano di fumare) e un piccolo gruppo di fumatori «erratici» che mostrano molteplici fluttuazioni nel corso degli anni tra periodi in cui fumano ed altri in cui non lo fanno, in un’alternanza difficile da modellare da un punto di vista statistico. I risultati delle nostre analisi hanno identificato 4 gruppi che si differenziano per le loro traiettorie in relazione al fumo. I fumatori precoci e stabili che iniziano a fumare attorno ai 12–13 anni ed arrivano a fumare tra 1 e 10 sigarette al giorno intorno ai 15 anni. Una volta raggiunti i 18–19 anni, fumano in misura maggiore (più di 10 sigarette al giorno) e rimangono in seguito costanti su questi livelli. Il gruppo dei fumatori stabili contraddistinti da un inizio più tardivo fuma con minore frequenza durante gli anni della scuola superiore, ma arrivano a fumare con frequenza almeno settimanale intorno ai 18 anni. Confrontati con il gruppo che inizia più precocemente a fumare, essi raggiungono il numero massimo di sigarette fumate ad un’età più tarda (24 anni) e si stabilizzano poi su livelli più bassi di sigarette fumate (poco più di 10 al giorno). Vi era inoltre un gruppo di individui mossi dal desiderio di sperimentare che iniziano a fumare molto giovani ma che non diventano mai forti fumatori (non superano una sigaretta alla settimana), raggiungono i loro livelli massimi intorno ai 16–17 anni e poi dopo i 20 anni riportano di non fumare più. Infine, vi era un gruppo di effettivi «ex fumatori» che si caratterizzava per elevati livelli tra i 20 e i 21 anni, ma che in seguito, dopo i 25 anni, riportava di non fumare più. Quindi, abbiamo identificato una elevata variabilità nelle traiettorie dei comportamenti collegati al fumo nei termini dell’età di esordio, di rapidità del passaggio dall’iniziazione al fatto di fumare regolarmente, della quantità di sigarette fumate e della persistenza dei comportamenti.

Abbiano inoltre rilevato differenti predittori della collocazione in ciascuno dei vari gruppi (Chassin et al., 2000). Durante l’adolescenza, i fumatori precoci e stabili, così come quelli «erratici», erano quelli meno attenti alle convenzioni sociali. Avevano una elevata tolleranza per la devianza, il locus of control massimamente esterno, e avevano la più bassa probabilità di raggiungere un’istruzione di tipo universitario. Essi avevano anche il numero più elevato di amici e genitori che fumavano così come le credenze più ottimistiche circa gli effetti psicologici e sulla salute del fumo. Essi mostravano perciò molteplici fattori di rischio. Al contrario, il sottogruppo degli «sperimentatori» mostrava forme di ribellione adolescenziale (alta tolleranza per la devianza, amici che fumavano, credenze positive nei confronti del fumo), ma un più forte supporto da parte dei genitori e più elevati livelli di istruzione. È possibile che i loro più solidi legami con le istituzioni convenzionali (scuola e famiglia) li abbiano aiutati a limitare la progressione verso un maggiore consumo. Chi inizia per sperimentare è meno probabile che abbia genitori che fumano e ciò potrebbe indicare che hanno una minore vulnerabilità genetica. Il gruppo dei fumatori contraddistinti da un inizio più tardivo durante l’adolescenza si comportava seguendo in larga misura le convenzioni sociali e aveva un elevato supporto in famiglia che può averli protetti rispetto al fumo. Comunque, essi avevano un livello di istruzione elevato e tipicamente iniziavano a fumare proprio durante gli anni del college. Forse la riduzione nel controllo esercitato dai genitori e il contemporaneo stress legato allo studio può aver prodotto il loro tardo avvicinarsi al fumo. Infine, il gruppo di coloro che hanno smesso di fumare aveva anch’esso un elevato livello di istruzione e mostrava gli atteggiamenti più negativi nei confronti del fumo, la qual cosa potrebbe averli ragionevolmente motivati a smettere.

In uno studio successivo, abbiamo nuovamente esaminato questi modelli ad età più avanzate, monitorando i comportamenti dei nostri partecipanti fin oltre i loro quarant’anni (Chassin et al., 2009). Questi modelli che prendono in considerazione età successive hanno mostrato un numero più ampio di gruppi (6 anziché 4) che si contraddistinguono per le loro traiettorie tipiche, sebbene i pattern siano simili. Le differenze tra i due modelli che emergono dall’analisi delle classi latenti includono una distinzione tra gli «sperimentatori» e i fumatori per breve tempo (con questi ultimi che iniziano ad una età leggermente più avanzata e hanno un consumo più elevato prima di smettere) e tra coloro che iniziano a fumare durante le scuole superiori o in età adulta. In ogni caso, la maggior parte dei partecipanti veniva classificata all’interno dei medesimi gruppi, definiti su base empirica, con l’applicazione di entrambi i modelli. Seguendo i partecipanti una volta superati i 40 anni, i risultati confermano nuovamente che il gruppo dei fumatori precoci e persistenti è costituito dai fumatori più accaniti. Infatti, gli appartenenti a questo gruppo mostrano il tasso maggiore di dipendenza da tabacco così come il livello d’istruzione più basso (Chassin et al., 2009).

Nell’insieme, i risultati di questo studio longitudinale suggeriscono che le molteplici traiettorie nei comportamenti collegati al fumo sono informative per comprendere le cause che spingono a fumare sigarette e quelle che inducono a smettere, e per comprendere come tali comportamenti vengono trasmessi da una generazione all’altra. Sebbene si inizi tipicamente a fumare durante l’adolescenza e si prosegua poi con una certa continuità, vi è anche una sostanziale variabilità nel tempo dei pattern di comportamento. Inoltre, questa variabilità nell’età in cui si inizia, nella rapidità dell’aumento del numero di sigarette fumate, e nella persistenza temporale, è collegata in maniera sistematica a differenti predittori e conseguenze del fumo. Da una prospettiva di tutela della salute pubblica, il gruppo dei fumatori precoci e persistenti può essere particolarmente importante sia a causa della propria dipendenza dal tabacco e dei livelli elevati di consumo, sia perché possono trasmettere fattori di rischio alla generazione successiva. Al contrario, coloro che fumano per brevi periodi (inclusi gli «sperimentatori») possono avere una minore vulnerabilità genetica al fumo e fattori ambientali di tipo protettivo, mentre le credenze negative nei confronti del fumo possono aiutare coloro che smettono a superare le loro abitudini associate al fatto di fumare. Risultati simili relativi all’importanza di tali molteplici traiettorie sono stati riportati in riferimento ai comportamenti antisociali degli adolescenti (Moffitt e Caspi, 2001); il gruppo di coloro che mette in atto comportamenti antisociali in maniera precoce e poi continua a farlo negli anni successivi mostra predittori e conseguenze assai diverse rispetto al gruppo di adolescenti che mette in atto tali comportamenti per un periodo temporalmente più limitato. Da un punto di vista della ricerca, è importante rilevare che la variabilità nell’età di esordio, nella rapidità di aumento e nella persistenza nel tempo, non può essere identificata attraverso i consueti studi cross-sectional (sebbene dati retrospettivi possano sempre essere raccolti). Quindi, la rilevazione dei comportamenti relativi al fumo in uno specifico momento porterebbe alla creazione di un gruppo omogeneo di fumatori, mascherando potenzialmente la presenza di importanti sottogruppi ciascuno dei quali associato a differenti fattori di rischio. Una migliore comprensione dei processi sottostanti può essere raggiunta considerando le traiettorie di sviluppo dei comportamenti relativi al fumo come i «fenotipi» da indagare.

2. La trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti e dei comportamenti relativi al fumo

Il fatto di fumare o meno sigarette mostra una significativa componente genetica, con stime che variano tra il 46% e l’84% (Barta, Patkar, Berrettini, Weinstein e Leone, 2003; Li, 2003). Queste stime della componente ereditaria sono in un certo qual modo inferiori nei campioni di adolescenti, ma comunque rilevanti in assoluto (Hopfer, Crowley e Hewitt, 2003). Questi dati suggeriscono che il fumo di sigaretta è soggetto ad influenze sia di tipo genetico che ambientale.

Alla luce di questi risultati, ci si dovrebbe attendere di osservare una trasmissione intergenerazionale in questo ambito, e una forte influenza dei comportamenti dei genitori sulla probabilità che i figli fumino. Una volta che i partecipanti al nostro primo studio sono arrivati ad avere figli in età da poter iniziare a fumare, è diventato possibile per noi studiare questo aspetto della trasmissione intergenerazionale. Le ricerche precedenti che hanno indagato la relazione tra il fumare o meno sigarette da parte di genitori e figli adolescenti hanno ottenuto risultati discordanti, con alcuni studi (Bricker et al., 2006; Chassin et al., 2005) che mettono in evidenza effetti assai forti ed altri che riscontrano solo effetti deboli (Conrad, Flay e Hill, 1992). Abbiamo il sospetto che la categorizzazione dei genitori sulla base del loro attuale essere fumatori o meno sia una classificazione eccessivamente grezza per poter far luce sull’eziologia e la trasmissione intergenerazionale dei comportamenti associati al fumo. Perciò, come indicato nel paragrafo precedente, abbiamo provato ad identificare delle tipologie più precise ed informative di genitori fumatori. Queste riflettevano le nostre traiettorie di comportamento legato al fumo, prendendo in considerazione l’età di inizio dei comportamenti e la loro evoluzione nel tempo (nei termini di rapidità nell’aumento delle sigarette fumate, picco nel consumo e persistenza nel tempo; Chassin, Presson, Sherman e Pitts, 2000; Chassin, Presson, Sherman, Wirth e Curran, 2009).

Abbiamo riscontrato che queste differenti traiettorie erano portatrici in maniera differente di rischi dal punto di vista della trasmissione intergenerazionale (Chassin et al., 2008). In particolare, il gruppo di adulti fumatori caratterizzato da un inizio precoce, da una rapida escalation e da comportamenti persistenti mostra il livello massimo di trasmissione dei propri comportamenti ai figli adolescenti. Quindi, i fenotipi nello sviluppo dei comportamenti dei genitori in relazione al fumo, ricavati dai nostri dati longitudinali che coprono il periodo dall’adolescenza all’età adulta, permettono di prevedere il fumo tra gli adolescenti nella successiva generazione. In altre parole, la storia passata ha un peso nei termini di fattori di rischio per la trasmissione intergenerazionale dei comportamenti legati al fumo.

Recentemente abbiamo anche esplorato i possibili meccanismi psicologici e sociali che potrebbero giocare un ruolo in questa trasmissione intergenerazionale. Quanto i genitori fumassero in quel dato momento ed il relativo modellamento del comportamento dei figli in tale ambito non riuscivano a spiegare appieno la trasmissione intergenerazionale. Allo stesso modo, il livello di istruzione dei genitori non era in grado di contribuire alla spiegazione. Abbiamo allora indagato se le caratteristiche di personalità degli adolescenti potessero render conto degli effetti delle traiettorie di sviluppo del comportamento proprie dei genitori sulla probabilità di fumare degli adolescenti. Una volta ancora, le caratteristiche del nevroticismo, apertura mentale, amicalità, coscienziosità e resistenza al controllo non riuscivano a spiegare gli effetti di tipo intergenerazionale.

Possiamo ipotizzare allora che un ruolo di mediatori degli effetti delle traiettorie nei comportamenti dei genitori sui comportamenti associati al fumo dei figli sia svolto dagli stili genitoriali, così come dagli atteggiamenti dei genitori e dai loro interventi di socializzazione circa il fumo di sigaretta. In uno studio (Chassin et al., 2005), abbiamo indagato se lo stile parentale e le specifiche pratiche genitoriali relative al fumo permettevano di prevedere il futuro comportamento dei figli adolescenti. In relazione al più generale stile parentale, sono state identificate due importanti dimensioni: l’accettazione da parte dei genitori (accudimento, calore, attaccamento) e il controllo comportamentale (monitoraggio, disciplina). Una combinazione di queste dimensioni produce 4 stili parentali: 1. Autorevole (alti livelli di accettazione e controllo); 2. Autoritario (alti livelli di controllo e bassi livelli di accettazione); 3. Indulgente (alti livelli di accettazione e bassi livelli di controllo); 4. Distaccato o negligente (bassi livelli di accettazione e controllo). In aggiunta a questi stili parentali, abbiamo anche studiato il ruolo delle specifiche pratiche di socializzazione collegate alle tematiche del fumo messe in atto dai genitori. In relazione ad esse, ci siamo focalizzati sulle discussioni tra genitori e figli circa le tematiche del fumo di sigaretta e sul grado in cui i genitori avrebbero punito o meno i figli qualora essi avessero iniziato a fumare.

Abbiamo riscontrato che lo stile genitoriale generale era un forte predittore della probabilità che adolescenti non fumatori iniziassero in seguito a fumare. In linea con la letteratura esistente (Hawkins, Catalano e Miller, 1992; Jackson et al., 1994), gli adolescenti che ricevevano bassa accettazione e basso controllo comportamentale da parte dei genitori (per es., genitori distaccati e negligenti) avevano maggiori probabilità di iniziare a fumare. Questi effetti si manifestavano a prescindere dal fatto che i genitori fossero fumatori, dal livello di istruzione dei genitori o della struttura familiare. Inoltre, le relazioni erano più forti quando si esaminavano le percezioni degli adolescenti circa gli stili genitoriali piuttosto che la percezione dei genitori stessi.

Sebbene gli stili genitoriali generali fossero collegati alle più specifiche pratiche genitoriali in relazione al fumo, questa associazione era relativamente debole, e le specifiche pratiche genitoriali in relazione al fumo erano dei predittori indipendenti dei comportamenti degli adolescenti. Poiché sia uno stile distaccato che comunicazioni e punizioni relative al fumo sono collegate al fatto che i genitori fumino o meno e alla storia dei loro comportamenti passati, sia gli stili parentali in generale che le più specifiche pratiche di socializzazione connesse al fumo sono importanti nella trasmissione intergenerazionale dei comportamenti. Questi risultati hanno implicazioni importanti per gli interventi di prevenzione che coinvolgono la famiglia nel suo complesso. Suggeriremmo di indirizzare gli interventi sia sulle pratiche genitoriali di tipo più generale che su quelle pratiche di socializzazione che riguardano in maniera più specifica il fumo di sigaretta. Sebbene possa essere più semplice focalizzarsi sulle pratiche più specifiche, i nostri risultati indicano che, senza modificare anche le più generali modalità di socializzazione, gli adolescenti che hanno dei genitori distaccati continuano ad essere maggiormente a rischio di iniziare a fumare.

Infine, per quanto riguarda la trasmissione intergenerazionale, abbiamo recentemente esplorato il ruolo della trasmissione degli atteggiamenti impliciti ed espliciti nei confronti del fumo nella previsione dell’esordio dei comportamenti associati al fumo negli adolescenti. Una presentazione più accurata del ruolo degli atteggiamenti impliciti ed espliciti in relazione al fumo verrà proposta in un paragrafo successivo di questo articolo. Poiché gli atteggiamenti espliciti nei confronti di comportamenti che coinvolgono forti norme sociali e aspetti di desiderabilità sociale, come è il caso del fumo di sigaretta, non permettono di prevedere accuratamente tali comportamenti, l’attenzione si è spostata verso misure implicite e meno controllabili degli atteggiamenti. In un recente studio (Sherman, Chassin, Presson, Seo e Macy, 2009), abbiamo indagato il grado in cui sia gli atteggiamenti impliciti che quelli espliciti nei confronti del fumo vengono trasmessi dai genitori ai figli, così come il grado in cui questi atteggiamenti permettono di prevedere il fatto che gli adolescenti inizino o meno a fumare. Nonostante nella trasmissione degli atteggiamenti da una generazione all’altra siano coinvolti meccanismi influenzati sia dall’ambiente sociale che da fattori genetici (O’Bryan, Fishbein e Ritchey, 2004; Olson, Vernon, Harris e Jang, 2001), la ricerca in quest’ambito, salvo rare eccezioni (Sinclair, Dunn e Lowery, 2005), si è limitata alla rilevazione degli atteggiamenti espliciti.

Abbiamo misurato al Tempo 1 i comportamenti dei genitori e dei loro figli adolescenti in relazione al fumo, così come i loro atteggiamenti espliciti (differenziale semantico) ed impliciti (IAT). Gli adolescenti che inizialmente non erano fumatori sono stati riesaminati dopo 18 mesi per verificare se avessero nel frattempo iniziato a fumare. Come negli studi precedenti, la correlazione tra gli atteggiamenti impliciti ed espliciti era piuttosto bassa, collocandosi tra .02 e .13 sia per madri, padri, che per i loro figli. In maniera più importante, nel caso delle madri (ma non dei padri), i loro atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo erano dei predittori significativi degli atteggiamenti impliciti dei loro figli non fumatori, e questi atteggiamenti impliciti dei figli erano a loro volta dei predittori della probabilità che alla successiva rilevazione dopo 18 mesi avessero nel frattempo iniziato a fumare. Questo risultato circa la trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti impliciti costituisce un esempio raro in letteratura. Olson e Fazio (1999) hanno suggerito che una tale trasmissione sia maggiormente riconducibile a comportamenti non verbali anche minimi piuttosto che a messaggi verbali trasmessi in maniera esplicita. Il percorso che conduce dagli atteggiamenti impliciti degli adolescenti alle loro prime esperienze con il fumo è anch’esso molto importante. La ricerca precedente ha dimostrato che gli atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo sono associati alle motivazioni che spingono a fumare, al desiderio impellente di fumare e allo sviluppo di dipendenza (Payne, McClernon e Dobbins, 2007; Waters et al., 2007). Comunque, i nostri risultati sono i primi a mettere in luce la capacità prognostica degli atteggiamenti impliciti in relazione alla probabilità futura di iniziare a fumare.

Il risultato che indica che gli atteggiamenti impliciti verso il fumo della madre, ma non quelli del padre, vengono trasmessi ai figli è in linea con recenti lavori condotti da Castelli e collaboratori circa la trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti razziali di tipo implicito (Castelli, Carraro, Tomelleri e Amari, 2007; Castelli, Zogmaister e Tomelleri, 2009). Questi studi rilevano che il pregiudizio razziale dei bambini in età prescolare è primariamente influenzato dagli atteggiamenti razziali impliciti della madre.

Questi risultati suggeriscono che può essere più fruttuoso concentrasi sulle misure implicite di atteggiamento verso il fumo piuttosto che su quelle esplicite. Per quanto riguarda sia la trasmissione degli atteggiamenti che la previsione degli effettivi comportamenti dei figli in relazione al fumo di sigaretta, sono le misure implicite che dimostrano di essere più efficaci. Perciò potrebbe non essere importante quello che i genitori dicono ai loro figli circa il fumo. Potrebbe addirittura non essere rilevante quello che i genitori fanno, ovvero se fumino o meno. Quello che potrebbe essere massimamente importante sono gli atteggiamenti nei confronti del fumo che i genitori detengono in maniera implicita e forse senza averne alcuna consapevolezza. Questi atteggiamenti potrebbero manifestarsi attraverso comportamenti non verbali anche minimi, che vanno poi ad influenzare sia gli atteggiamenti impliciti che i successivi comportamenti dei loro figli.

3. Il ruolo degli atteggiamenti impliciti nella comparsa e nel cambiamento dei comportamenti collegati al fumo

Buona parte dei passati lavori di ricerca che hanno esplorato il ruolo degli atteggiamenti nella previsione dei comportamenti dei fumatori hanno utilizzato misure esplicite quali, ad esempio, il differenziale semantico o le scale Likert. Come discusso in precedenza, tali misure esplicite, soprattutto nel caso di comportamenti socialmente rilevanti, sono soggette all’influenza delle norme sociali e a preoccupazioni relative alla desiderabilità sociale delle risposte. Il fatto di fumare sigarette è un comportamento collegato a forti norme sociali e preoccupazioni circa la desiderabilità sociale. Perciò, le misure esplicite non sono ottimali quando si tratta di prevedere i comportamenti relativi al fumo di sigaretta.

Più di recente, gli psicologi hanno sviluppato una varietà di misure implicite di atteggiamento. Dato che gli atteggiamenti impliciti operano al di sotto del livello di consapevolezza e poiché sono difficili da controllare, le misure implicite non risentono delle norme sociali e della desiderabilità sociale. Quindi, queste misure risultano ideali per rilevare gli atteggiamenti nei confronti del fumo e per esplorare la relazione tra tali atteggiamenti e i comportamenti dei fumatori e la loro evoluzione.

In uno dei primi studi in cui si è esaminato il ruolo degli atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo di sigaretta, Sherman, Rose, Koch, Presson e Chassin (2003) hanno analizzato gli effetti del contesto e degli stati motivazionali sulle misure implicite d’atteggiamento. Sebbene gli atteggiamenti impliciti venissero originariamente concepiti come estremamente stabili e resistenti al cambiamento, abbiamo rilevato come sia fattori contestuali che motivazionali potessero modificare questi atteggiamenti impliciti. Poiché gli atteggiamenti impliciti sono dei predittori significativi sia del fatto di iniziare che di smettere di fumare, la dimostrazione che questi atteggiamenti possano essere modificati attraverso appropriate tecniche è di grande importanza.

In particolare, in questa ricerca abbiamo dapprima manipolato la salienza di differenti aspetti associati al fumo. In una condizione, abbiamo misurato gli atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo mentre i partecipanti fumatori venivano esposti ad immagini che esaltavano gli aspetti sensoriali associati a fumo (per es., una sigaretta che bruciava all’interno di un posacenere) oppure gli aspetti economici e di salute (per es., una stecca di sigarette in una tabaccheria con ben in vista il messaggio di allerta stampato su di essa). Abbiamo rilevato che gli atteggiamenti impliciti dei fumatori variavano fortemente a seconda degli specifici aspetti che venivano messi in evidenza. I loro atteggiamenti impliciti erano maggiormente positivi nella condizione di attivazione degli aspetti sensoriali rispetto a quando venivano mostrati i pacchetti, segnalando come tali atteggiamenti impliciti fossero ampiamente influenzati dal contesto.

In un secondo studio, abbiamo variato lo stato motivazionale dei fumatori. Un gruppo veniva privato di nicotina per almeno 4 ore. L’altro gruppo veniva invece «saziato» di nicotina subito prima della sessione sperimentale. Inoltre, abbiamo incluso anche un gruppo di confronto formato da non fumatori. Quando i fumatori erano in una situazione di deprivazione, i loro atteggiamenti impliciti verso il fumo erano estremamente positivi. Subito dopo aver fumato ed essere quindi «saziati» di nicotina, gli atteggiamenti impliciti dei fumatori erano piuttosto negativi, addirittura più negativi rispetto agli atteggiamenti impliciti dei non fumatori. Gli atteggiamenti espliciti dei fumatori non erano invece differenti nelle due condizioni (per es., deprivazione vs sazietà). In uno studio più recente (Rydell, Sherman, Boucher e Macy, in press), abbiamo osservato che dopo aver fumato le valutazioni implicite dei fumatori nei confronti delle sigarette diventano più negative soprattutto in seguito alla presentazione di forti messaggi persuasivi volti a far smettere di fumare.

La sensibilità a fattori contestuali e motivazionali degli atteggiamenti impliciti dei fumatori è estremamente importante. Indurre atteggiamenti impliciti negativi nei fumatori significa aumentare, come vedremo, la probabilità di smettere, mentre la creazione di atteggiamenti impliciti negativi nei non fumatori può ridurre la loro probabilità di iniziare a fumare.

In una successiva ricerca, abbiamo indagato questi effetti comportamentali riconducibili a differenti atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo. Nel paragrafo precedente abbiamo presentato lavori recenti (Sherman et al., 2009) che si sono focalizzati sulla trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti impliciti, dimostrando come gli atteggiamenti impliciti della madre siano significativamente trasmessi ai figli non fumatori. Dato importante, questi atteggiamenti impliciti permettevano di prevedere il fatto di iniziare o meno a fumare 18 mesi dopo. Perciò gli atteggiamenti impliciti degli adolescenti non fumatori possono essere utilizzati per prevedere la probabilità di diventare in futuro dei fumatori. Cambiare tali atteggiamenti impliciti può permettere di prevenire che inizino a fumare e inserire gli adolescenti più vulnerabili (per es., coloro con gli atteggiamenti impliciti più positivi) all’interno dei programmi di prevenzione potrebbe essere a sua volta utile per diminuire la probabilità di iniziare in futuro a fumare.

Infine, abbiamo recentemente esplorato il ruolo degli atteggiamenti impliciti ed espliciti nel prevedere il fatto di smettere di fumare (Chassin, Presson, Sherman, Seo e Macy, 2010). I risultati mostrano che gli effetti di questi atteggiamenti variano a seconda della presenza di passate esperienze nel cercare di controllare i propri comportamenti in quanto fumatori e dello sviluppo di specifici piani per smettere. Un importante risultato di questo lavoro ha mostrato che i fumatori con gli atteggiamenti impliciti più negativi erano coloro che con maggiore probabilità 18 mesi dopo avrebbero smesso di fumare. Inoltre, gli atteggiamenti espliciti erano in grado di prevedere il fatto di smettere di fumare nel caso di fumatori che non avevano esperito precedenti fallimenti nei loro tentativi di smettere. Al contrario, gli atteggiamenti impliciti permettevano di prevedere il fatto di riuscire con successo a smettere di fumare nel caso di fumatori con ampie esperienze pregresse di tentativi fallimentari di controllare i loro comportamenti, ma solo se avevano sviluppato specifici piani per smettere. Questi risultati indicano che smettere di fumare coinvolge sia processi controllati (come quelli rilevabili attraverso le misure esplicite) che processi automatici (come quelli rilevabili attraverso le misure implicite). È possibile suggerire che gli interventi progettati per indurre a smettere di fumare dovrebbero concentrarsi sul cambiamento sia degli atteggiamenti espliciti che impliciti. Cambiare gli atteggiamenti impliciti piuttosto che espliciti richiede approcci alquanto differenti (Rydell e McConnell, 2006). Per modificare gli atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo, gli interventi debbono prevedere la creazione di nuove associazioni in memoria, correggere i meccanismi attentivi, e/o sfruttare l’esercizio per trasformare processi controllati in processi automatizzati (Stacy e Wiers, 2006). Al contrario, per cambiare gli atteggiamenti espliciti, i messaggi persuasivi che si incentrano sulle norme sociali, o sulla desiderabilità sociale dell’essere non fumatori, dovrebbero risultare assai utili.

4. I processi sottostanti al cambiamento degli atteggiamenti impliciti verso il fumo e la loro relazione con i comportamenti

L’inclusione di misure implicite si è già rivelata di grande utilità per comprendere gli atteggiamenti nei confronti del fumo ed i relativi comportamenti. Allo stesso tempo, questa ricerca pone una serie di nuove domande circa i processi sottostanti agli atteggiamenti impliciti e a come questi processi influenzino i comportamenti. Gli atteggiamenti impliciti sono tipicamente considerati riflettere la natura delle associazioni valutative relative ad un oggetto d’atteggiamento o il sottoinsieme di associazioni che vengono attivate dall’oggetto stesso. Comunque, altri processi che non hanno nulla a che fare con le sottostanti associazioni valutative possono contribuire a determinare i punteggi ottenuti attraverso misure implicite quale lo IAT. Consideriamo lo Stroop task (Stroop, 1935), che possiede la stessa struttura di base dello IAT, nel quale due risposte appaiate sono tra loro coerenti o incoerenti. Un bambino che conosce i colori ma che non sa ancora leggere eseguirà probabilmente molto bene il compito, commettendo pochi errori. Un adulto che sappia leggere con abilità, potrà raggiungere o meno lo stesso livello di prestazione. Comunque, queste prestazioni sarebbero basate su differenti processi sottostanti. Per esempio, nel caso di un adulto, per eseguire il compito accuratamente bisognerà inibire la tendenza automatica a leggere la parola nelle prove incongruenti (per es., la parola blu scritta in inchiostro rosso). Al contrario, il bambino non avrà alcuna automatica tendenza a leggere da superare. Quindi, la prestazione al compito può riflettere una differenza in relazione a numerosi processi sottostanti.

Lo stesso principio si applica alle misure implicite di atteggiamento, molte delle quali (incluso lo IAT) hanno una struttura simile allo Stroop task con prove compatibili (per es., sigarette/parole negative; cuccioli/parole positive) e prove incompatibili (per es., sigarette/parole positive; cuccioli/parole negative). La prestazione di due persone che sembrano avere atteggiamenti impliciti ugualmente negativi potrebbe però riflettere processi sottostanti assai diversi. Mentre una persona potrebbe possedere associazioni fortemente negative che riesce efficacemente a superare, l’altra persona potrebbe avere associazioni negative più deboli che non sono in alcun modo tenute sotto controllo. Identici punteggi relativi all’atteggiamento personale potrebbero quindi riflettere differenti processi sottostanti.

Un metodo per affrontare questo aspetto consiste nell’applicazione del Quadruple process model (per una rassegna si veda Conrey, Sherman, Gawronski, Hugenberg e Groom, 2005; Sherman et al., 2008; Sherman, Klauer e Allen, 2010). Il modello Quad è un modello multinomiale concepito per differenziare il contributo alla prestazione in misure implicite di quattro processi qualitativamente distinti. I quattro processi sono: l’attivazione automatica di una associazione (Association Activation, AA), l’abilità nell’individuare la risposta corretta (Detection, D, che costituisce un monitoraggio della risposta), il successo nel controllare le associazioni attivate automaticamente (Overcoming Bias, OB), e l’influenza di un generale bias di risposta che può indirizzare le risposte in assenza di altri elementi utili disponibili (Guessing, G).

In una ricerca attualmente in corso stiamo applicando il modello Quad per capire come gli atteggiamenti impliciti nei confronti del fumo possano essere modificati e come gli specifici processi guidino il comportamento. Una applicazione del modello prevede di esaminare le differenze tra gli atteggiamenti impliciti di fumatori, non fumatori ed ex fumatori. I fumatori potrebbero dimostrare atteggiamenti impliciti più positivi rispetto agli altri perché hanno associazioni più positive in relazione al fumo (AC) o perché sono meno abili a tenere sotto controllo tali associazioni positive (OB). Allo stesso modo, i parametri del modello Quad potrebbero essere associati ad una qualche variabilità all’interno di uno stesso gruppo. Ad esempio, importanti differenze tra fumatori in relazione a fattori quali le motivazioni che spingono a fumare, il desiderio impellente di fumare, l’astinenza, il numero di tentativi falliti di smettere di fumare e misure di impulsività, potrebbero essere collegate in maniera differenziale alle stime circa le valutazioni automatiche, il monitoraggio della risposta e l’inibizione della risposta che si ricavano dall’applicazione del modello. Grazie alla comprensione di come questi gruppi differiscano in relazione a questi processi di base, potremo anche capire meglio perché alcune persone iniziano a fumare ed altre no, perché alcune persone riescono a smettere ed altre no, e quali specifici processi sia necessario affrontare all’interno degli interventi finalizzati alla riduzione della diffusione del fumo di sigaretta. In alcuni casi, può essere cruciale modificare le associazioni sottostanti per indurre a smettere di fumare. In altri casi, può risultare più efficace addestrare le persone ad identificare le risposte comportamentali appropriate quando vi sentono la tentazione di fumare o superare l’influenza delle associazioni sottostanti.

L’applicazione del modello Quad può anche aiutare a comprendere e sviluppare teorie rispetto a quando e come gli interventi modificano gli atteggiamenti impliciti e i comportamenti associati al fumo. Le misure degli atteggiamenti impliciti sono predittori delle transizioni nei comportamenti relativi al fumo, ma non dovrebbero essere considerate come dei predittori stabili ed immutabili quanto piuttosto come un qualcosa di dinamico e modificabile attraverso interventi attivi. Come descritto in precedenza, abbiamo mostrato che gli atteggiamenti impliciti cambiano in funzione degli stati di deprivazione (Sherman et al., 2003). L’applicazione del modello Quad può aiutare a comprendere questo e simili fenomeni. Può essere che lo stato di deprivazione alteri la natura delle associazioni valutative automatiche dei fumatori o, in alternativa, indebolisca l’abilità nel regolare le loro reazioni automatiche di fronte alle sigarette, rendendoli quindi più vulnerabili a ricadute.

In un’altra ricerca, stiamo studiando come i messaggi persuasivi modifichino gli atteggiamenti impliciti e le differenti componenti di processo previste dal modello Quad. Identificare i processi sottostanti attraverso i quali i messaggi contro il fumo producono cambiamenti negli atteggiamenti impliciti potrà aiutare a sviluppare messaggi più efficaci. Se possiamo individuare il modo in cui un messaggio risulta efficace, i nuovi messaggi potranno in seguito essere creati in maniera tale da coinvolgere i medesimi processi sottostanti. Addirittura, potrebbe essere possibile sviluppare una teoria generale in grado di legare variazioni sistematiche nei messaggi a specifici effetti su ciascuno dei processi discussi finora. Quindi, si potrebbero sviluppare dei messaggi finalizzati a modificare le associazioni valutative, l’abilità di non lasciarsi influenzare da tali associazioni e l’abilità di individuare appropriate risposte comportamentali.

Potremmo anche esaminare come questi messaggi modificano i parametri del modello Quad in condizioni di deprivazione o «sazietà» (fornendo un quadro di maggiore validità ecologica al modo in cui i messaggi influenzano i fumatori durante i periodi in cui si astengono dal fumare rispetto a quando stanno solo pianificando un tentativo di smettere). Questi dati ci aiuteranno a capire quando e per chi differenti processi sono massimamente importanti nell’influenzare i comportamenti associati al fumo. Ci aiuteranno anche a identificare interventi mirati su specifici processi in grado di affrontare gli aspetti più problematici (associazioni automatiche eccessivamente positive, scarsa capacità nell’isolare appropriate risposte comportamentali o nel controllare gli effetti delle valutazioni automatiche).

2. Conclusione: uno sguardo ai vantaggi di un ampio progetto longitudinale

Il nostro gruppo di ricerca ha avuto la fortuna di riuscire a condurre un simile studio longitudinale su un comportamento così importante per la salute come il fumo di sigaretta. Il nostro è, infatti, lo studio più lungo che sia mai stato condotto su questo argomento. Un tale studio è estremamente difficile e impegnativo. Riuscire a seguire le tracce dei nostri partecipanti, che oggi vivono dappertutto nel mondo, è un compito difficile già di per sé. Ovviamente, anche quando i partecipanti vengono rintracciati, si devono poi convincere a rispondere a lunghi questionari e, possibilmente, a rimanere disponibili per altri studi che coinvolgono altri membri della famiglia. Questo non è facile anche tenendo in considerazione il fatto che i nostri partecipanti lavorano, hanno obblighi familiari, e il loro stipendio è sufficientemente buono da far sembrare i nostri incentivi assai poco significativi. Nonostante questo, siamo stati in grado di reclutare più del 70% del campione iniziale ad ogni tornata di raccolta dei dati, principalmente convincendoli riguardo all’unicità e importanza della nostra ricerca. Un’altra sfida importante ha riguardato l’utilizzo di innovative e complesse tecniche di analisi dei dati. Alla luce della complessità del disegno, i dati incompleti e persi, il fatto che alcuni partecipanti potevano scomparire durante una tornata di rilevazione e ricomparire poi alla successiva, le potenziali distorsioni associate alla perdita di partecipanti, e la necessità di analizzare le serie temporali, hanno reso impegnativo mantenersi aggiornati circa le più avanzate tecniche di analisi. Per poter essere d’aiuto ad altri ricercatori impegnati in progetti simili, abbiamo curato un libro in cui vengono discusse le tecniche di analisi più appropriate per trattare tipologie di dati come i nostri (Rose, Chassin, Presson e Sherman, 2000).

Non saremmo mai riusciti a portare avanti con successo il progetto per tutti questi anni senza il continuo e generoso supporto, dal 1979 ad oggi, del National Institutes of Health. Ma crediamo ne sia valsa la pena. Difficilmente si può esagerare quando si sottolinea l’importanza di studi longitudinali ad ampio respiro per studiare le cause e le conseguenze di comportamenti rilevanti per la salute come il fumo di sigaretta. In primo luogo, gli studi cross-sectional o quelli longitudinali che coprono brevi periodi non permettono ai ricercatori di indagare le relazioni causali in maniera chiara e di esaminare ipotesi circa i meccanismi psicosociali sottostanti. Il fatto di avere un elevato numero di partecipanti e molteplici rilevazioni ci ha permesso di mettere a fuoco le relazioni causali, esplorando i processi psicologici coinvolti. Ad esempio, come discusso in precedenza, la rilevazione dei comportamenti legati al fumo in un unico specifico momento avrebbe probabilmente oscurato la presenza di sottogruppi di fumatori ciascuno dei quali mostra differenti fattori di rischio. Il nostro studio longitudinale ha permesso di identificare differenti traiettorie nei comportamenti dei fumatori che risultano estremamente importanti per scoprire le varie cause e conseguenze del fumo.

In aggiunta ad una più chiara individuazione dei nessi causali, il nostro studio longitudinale ci permette di esaminare se un qualunque effetto, cambiamenti comportamentali o conseguenze per la salute, risulta stabile nel tempo oppure è solo di breve durata. In buona parte delle ricerche gli effetti vengono esplorati solo per brevi periodi dopo una qualche manipolazione o evento. Siamo stati in grado di osservare se i cambiamenti in relazione al fatto di fumare o meno, incluso il fatto di smettere di fumare, siano permanenti o solo temporanei. Inoltre, attraverso una migliore comprensione dell’evoluzione dei comportamenti associati al fumo e all’identificazione delle differenti possibili traiettorie, è stato possibile suggerire come gli interventi possano essere costruiti su misura per ciascuna tipologia di fumatori. L’ampia durata del progetto ha anche permesso di raccogliere dati preziosi relativi ai figli dei nostri partecipanti originari. Quindi, come abbiamo visto, si è riusciti ad esaminare la trasmissione intergenerazionale di atteggiamenti e comportamenti. Ovviamente, una comprensione dei processi coinvolti nella trasmissione da una generazione all’altra di atteggiamenti e comportamenti rilevanti per la salute è estremamente importante per lo sviluppo di programmi d’intervento che si rivelino efficaci per prevenire che gli adolescenti inizino a fumare. Sebbene non siamo mai stati direttamente coinvolti nello sviluppo di programmi di prevenzione o riduzione del fumo, i nostri risultati sono stati resi disponibili a coloro che lavorano sviluppando simili programmi ed i risultati possono essere utili sia nella fase di sviluppo che di verifica dell’efficacia degli interventi.

Una ragione importante per cui questo particolare progetto ha avuto successo è legata alla composizione del gruppo di ricerca. Jim Sherman ha avuto una formazione come psicologo sociale interessato alla ricerca sperimentale. Laurie Chassin ha avuto una formazione in psicologia clinica con un’attenzione particolare sui problemi comportamentali in adolescenza. Clark Presson ha una laurea in psicologia dello sviluppo. Questi tre ricercatori hanno collaborato al progetto sin dal suo inizio. La continuità è molto importante.

Inoltre, il fatto che siano rappresentate tre differenti discipline ha permesso di affrontare domande, sviluppare metodologie, utilizzare tecniche di analisi, e mettere a punto teorie che si basano sulla psicologia sociale, clinica e dello sviluppo. Senza dubbio tutte queste tre aree della psicologia sono estremamente importanti nello studio dei complessi comportamenti rilevanti ai fini della salute come il fumo di sigarette. Il fatto che i ricercatori coinvolti rappresentino una varietà di discipline ha anche consentito di pubblicare i lavori su differenti tipologie di riviste, raggiungendo differenti tipologie di lettori. Quindi, il nostro lavoro ha la possibilità di avere una diffusione superiore a quella di buona parte delle ricerche. Abbiamo pubblicato i nostri risultati e teorie in riviste di psicologia sociale sperimentale, di psicologia sociale applicata, di psicologia clinica, di psicologia dello sviluppo, così come in riviste di psicologia della salute e riviste specializzate rispetto ai comportamenti di dipendenza e alla salute pubblica. Abbiamo pubblicato capitoli teorici, monografie e un libro in grado di rivolgersi a differenti tipi di audience. Un fattore chiave per il successo di un progetto come questo è proprio il poter raggiungere una vasta audience. Questo è particolarmente vero quando gli obiettivi del progetto sono sia di natura teorica che applicata. Abbiamo tentato di sviluppare e sottoporre a verifica teorie circa l’iniziazione al fumo, la diffusione, lo sviluppo e l’interruzione. Nel corso del progetto sono stati condotti sia studi di laboratorio che indagini attraverso questionari. Non abbiamo comunque mai perso di vista gli obiettivi pratici e di natura applicativa. Il nostro lavoro ha sempre tentato di dar risposta a domande su come prevenire il fumo tra gli adolescenti, permettere ai fumatori di smettere o ridurre il numero di sigarette fumate, e su come migliorare più in generale lo stato di salute della popolazione. Speriamo di essere riusciti con successo a raggiungere questi obiettivi.

Acknowledgments

La realizzazione di questo lavoro è stata resa possibile grazie ad un finanziamento del National Institute on Drug Abuse (Grant DA013555) a Steven J. Sherman, Laurie Chassin, e Clark C. Presson. Traduzione dall’inglese di Luigi Castelli.

Contributor Information

Steven J. Sherman, Email: sherman@indiana.edu, Indiana University, Bloomington, USA

Laurie Chassin, Email: laurie.chassin@asu.edu, Arizona State University, Tempe, USA.

Jeffrey W. Sherman, Email: isherman@ucdavis.edu, University of California, Davis, USA

Clark C. Presson, Arizona State University, Tempe, USA

Jonathan T. Macy, Indiana University, Bloomington, USA

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