Abstract
Nel promuovere e gestire i cambiamenti necessari per coniugare pratiche sicure ed efficaci con l’efficienza, l’equità e la sostenibilità dei servizi sanitari, essenziale è la conoscenza, la diffusione e l’adesione alle raccomandazioni per la pratica professionale derivanti da linee guida (LG). In Italia la Legge 24/2017 (“Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”), stabilendo che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco”, ha rinnovato l’impulso legislativo, culturale, professionale e scientifico alla diffusione delle LG nel Servizio Sanitario Nazionale. L’attuale quadro regolamentare italiano prevede che la loro produzione venga garantita sulla base degli standard di predisposizione e valutazione della qualità metodologica definiti dal Centro Nazionale per l’Eccellenza Clinica (CNEC) dell’Istituto Superiore di Sanità, punto di riferimento per l’attuazione del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida (istituito con il DM 27 febbraio 2018) (https://snlg.iss.it).
Secondo la vigente definizione adottata dal CNEC, le LG sono uno “strumento di supporto decisionale finalizzato a consentire che, fra opzioni alternative, sia adottata quella che offre un migliore bilancio fra benefici ed effetti indesiderati, tenendo conto della esplicita e sistematica valutazione delle prove disponibili, commisurandola alle circostanze peculiari del caso concreto e condividendola-laddove possibile-con il paziente o i caregiver”. Le linee guida servono dunque a supportare i processi decisionali che connotano la pratica professionale preventiva, diagnostica, terapeutica e assistenziale, ma anche le scelte manageriali e le politiche sanitarie. Ai diversi livelli del sistema sanitario, infatti, la disponibilità di LG è fondamentale per contrastare alcune delle criticità sistemiche della sanità connesse, tra l’altro, all’erogazione di cure di qualità sub-ottimale, alla variazione ingiustificata di pratiche ed esiti e alle diseguaglianze, in un quadro di risorse limitate.
Se dunque oggi il valore delle linee guida per la pratica clinica è indiscutibile in tutti gli ambiti disciplinari della medicina, peculiare è il significato, professionale e organizzativo, che le stesse possono assumere nello sviluppo e nella specifica applicazione alla sanità pubblica. In particolare, la sanità pubblica si caratterizza per: la forte eterogeneità nelle evidenze scientifiche disponibili (non di rado costituite solamente da studi osservazionali), l’adozione di un approccio di population health e la frequente individuazione di target costituiti da persone sane, la molteplicità (anche in relazione all’importanza attribuita dagli stakeholder coinvolti) degli ambiti di produzione di linee guida (www.who.int/publications/guidelines), degli interventi sanitari e degli outcome individuati nei contesti reali (e non di ricerca), condizionati da una molteplicità di variabili culturali, organizzative, socio-economiche e ambientali.
Spesso le raccomandazioni prodotte in sanità pubblica sono destinate ad avere un impatto quali-quantitativamente molto rilevante sul sistema sanitario e necessitano di modelli in grado di prevederne l’implementazione, non sempre agevolmente correlabili alle evidenze scientifiche disponibili a priori. Altresì, il percorso di costruzione del consenso e implementazione degli interventi è articolato e complesso. In misura maggiore rispetto ad altre discipline mediche, i comportamenti degli operatori non si basano solo sulle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili (talora limitate e non sempre esplicitamente generalizzabili), ma risentono e sono condizionati da dettati normativi, meccanismi di consenso locale, eterogeneità di strutture erogatrici e risorse (professionali, organizzative e tecnologiche), nonché da relazioni con una molteplicità di portatori di interesse dentro e fuori il sistema sanitario (che a loro volta esprimono valori e preferenze anche contrastanti).
Il metodo scelto dal CNEC (e adottato anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco per le valutazioni di propria competenza) per la produzione di linee guida è il metodo GRADE – Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation – che costituisce oggi la principale cornice riferimento per la valutazione di affidabilità delle prove scientifiche e per la formulazione di raccomandazioni cliniche basate sulle evidenze in sanità: viene utilizzato da più di 100 organizzazioni in tutto il mondo comprendenti anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il National Institute for Health and Care Excellence (www.gradeworkinggroup.org). Il GRADE assicura standardizzazione e trasparenza della procedura con cui viene valutata la qualità delle prove disponibili e la forza delle raccomandazioni per la produzione di linee guida, favorendo una valutazione integrata della qualità metodologica delle prove disponibili con altri aspetti che devono essere considerati per sviluppare e stabilire la forza di una raccomandazione, mediante i cosiddetti Evidence to Decision Framework, quali: priorità della problematica trattata (es. impatto sanitario, variabilità, costi), benefici e rischi attesi, valori e preferenze dei pazienti, costo-efficacia, accettabilità, fattibilità ed equità. Il GRADE offre un approccio flessibile e pragmatico che può essere applicato sia alla produzione di una linea guida ex novo che all’adattamento di linee guida già esistenti, per le quali si applicano gli schemi di GRADE-ADOLOPMENT, calibrati su un determinato contesto culturale e organizzativo. Il panel di esperti (gruppi di lavoro multidisciplinari e multistakeholder che sistematicamente devono coinvolgere anche utenti/cittadini) definisce chiaramente la domanda di ricerca, il protocollo condiviso secondo l’acronimo PICO (Patient-Intervention-Comparator-Outcome) per l’analisi della qualità delle prove di evidenza ed esprimere giudizi sui diversi criteri di valutazione necessari alla formulazione e valutazione della forza delle raccomandazioni. Mediante una gestione trasparente (e una particolare attenzione alla disclosure e alla gestione dei conflitti di interesse dei membri dei panel), fortemente ancorata al mondo reale, con il processo di “evidence to decision” il GRADE si pone l’obiettivo di ordinare per gradi la forza delle raccomandazioni espresse dai panel di esperti in modo da offrire strumenti interpretativi e decisionali per pazienti/utenti, clinici e decisori sanitari. La rappresentatività e il coinvolgimento con modalità strutturate di tutte le figure competenti e rilevanti per i quesiti e sulle raccomandazioni in oggetto costituisce un aspetto fondamentale di qualità e credibilità della linea guida.
Accanto alla chiara affinità tra metodo GRADE e logiche epidemiologiche e di centralità di un approccio multidimensionale, multidisciplinare e inter-professionale che caratterizza il processo decisionale in sanità pubblica, è interessante evidenziare l’opportunità della promozione dell’applicazione del GRADE per gli igienisti sia nella veste di proponenti, esperti per gli ambiti tecnico-scientifici di propria competenza e destinatari “professionali” delle raccomandazioni, che in qualità di manager e decisori che possono essere coinvolti nei panel (anche su pratiche di non esclusiva pertinenza della sanità pubblica), nonché, naturalmente di metodologi, parte dei team di revisione della letteratura e a supporto dell’utilizzo del metodo stesso che richiede una specifica formazione e competenza.
Gli indirizzi sulle LG comprendono anche la fase di implementazione attinente come a partire dalle raccomandazioni prodotte e diffuse si riesce ad incidere sui comportamenti professionali, ovvero colmare il gap tra ricerca e pratica professionale. Questo richiede leadership e facilitazione del giusto mix di interventi (preferibilmente multifattoriali) di supporto al cambiamento (audit & feedback, interventi formativi mirati, processi di consenso locali, uso di strumenti di comunicazione, ecc), calibrati su ostacoli e fattori favorenti l’adozione delle linee guida. L’implementazione di LG promuove la gestione e la condivisione di informazioni, conoscenze e pratiche che favoriscono un approccio trasversale rispetto alle funzioni e ai team di lavoro che promuove l’integrazione (sia all’interno che con l’esterno delle organizzazioni sanitarie) e può assicurare processi decisionali più affidabili ed efficienti.
La coerenza tra raccomandazioni per l’ottimizzazione dell’efficacia e altre dimensioni della qualità dell’intervento sanitario (quali sicurezza, accessibilità ed equità) con le esigenze di efficienza e razionalità organizzativa dei servizi configura un importante ancoraggio delle LG al paradigma emergente del valore in sanità. Costruire una sanità basata sul valore implica una chiara analisi del profilo di efficacia degli interventi sanitari e la disponibilità di robusti strumenti valutativi e infrastrutture digitali di supporto alla misurazione accurata e tempestiva dei dati epidemiologici della popolazione, da trasformare in informazioni cliniche rilevanti per integrare e analizzare tutti i passaggi (e i risultati ottenuti) del ciclo di assistenza in oggetto e da correlare costantemente con i costi sostenuti dal sistema sanitario. Massimizzare il valore, ovvero gli esiti prodotti in relazione alle risorse a disposizione, per gli individui e le popolazioni presuppone l’adozione di criteri di finanziamento e di gestione delle risorse (umane e organizzative) e soluzioni tecnologiche che facilitino la costruzione di reti e percorsi, da coniugare con la capacità di tradurre i risultati della ricerca sanitaria e le best practice in raccomandazioni. D’altro canto, la diffusione di pratiche sicure, efficaci e appropriate consente di concorrere in maniera determinante all’uniformità di tassonomia, modelli e comportamenti professionali in contesti decisionali affini, ovvero di contribuire a standardizzare l’operatività dei servizi, aspetto quest’ultimo rilevante nel contesto della sanità pubblica italiana e delle sue articolazioni operative territoriali.
L’adozione di linee guida ovviamente presenta anche aspetti di criticità, legati all’effettiva traduzione dei risultati della ricerca e dell’innovazione in comportamenti professionali diffusi e virtuosi; ma anche all’adeguatezza delle LG e dei correlati processi decisionali di fronte a quesiti o target di popolazione per loro natura complessi, come quelli che si incontrano per esempio nel produrre indirizzi che siano effettivamente rispondenti alle esigenze di prevenzione e personalizzazione dell’assistenza del “paziente complesso”. A ciò vanno aggiunte alcune difficoltà organizzative e professionali che connotano l’odierna fase di avvio della concreta applicazione del metodo GRADE allo sviluppo delle raccomandazioni per la pratica clinica proposto nel “nuovo Sistema Nazionale Linee Guida”. Per esempio, rispetto alla sanità pubblica, pur esistendo oggi molte LG autorevoli e di diffusa applicazione, queste spesso risultano essere datate e realizzate con meccanismi di consenso e formulazione delle raccomandazioni di tipo tradizionale, rendendo dunque necessari aggiornamenti e adattamenti secondo le menzionate modalità di lavoro proposte a livello nazionale e internazionale per produrre linee guida di alta qualità.
Per operare nel quadro della nuova cornice metodologica sulle LG, ai medici e agli altri professionisti sanitari, ai manager e ai policy maker della sanità, al mondo accademico e alle società scientifiche è richiesto un investimento prioritario nella gestione di conoscenze fondate su un approccio scientifico, strutturato e trasparente alla definizione dell’efficacia e dell’appropriatezza degli interventi medici. In questo contesto nazionale, per gli igienisti in collaborazione con tutti gli attori della Sanità Pubblica, è strategico un impegno permanente sulla tematica delle linee guida, da sostenere anche mediante azioni di formazione, condivisione di conoscenza e di comunicazione. Valorizzare l’applicazione critica di strumenti per governare i processi decisionali secondo logiche di partecipazione e fiducia reciproca tra gli stakeholder è fondamentale per il perseguimento degli obiettivi di ottimizzazione della qualità e della sostenibilità nel Servizio Sanitario Nazionale, a beneficio dei cittadini-pazienti e della società nella sua globalità.
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Abstract
L’obiettivo principale del nostro sistema sanitario nazionale è quello di promuovere la salute di tutti gli individui presenti sul territorio, come chiaramente stabilito per legge. Questo, di fatto, richiede al mondo della ricerca l’individuazione dei fattori che determinano la salute di una popolazione ed agli operatori di lavorare per modificarne (incrementare o diminuire) gli effetti. In gran parte, seguendo il modello “patogenetico”, l’attenzione è stata, sempre o quasi sempre, rivolta agli aspetti negativi.
Con la Carta di Ottawa il riferimento di fondo si è allargato verso un approccio salutogenico, secondo la proposta da Antonovsky (1923-1994) che riporta al centro del sistema la persona. Un modello dove la salute è come un continuum tra salute e malattia – equilibrio già richiamato A. Seppilli – all’interno del quale ogni individuo si può collocare responsabilmente attivando risorse ed opportunità per favorire lo spostamento verso il polo salute. In questo modello il SSN e l’intero governo della cosa pubblica sono chiamati a un lavoro di supporto ai singoli componenti della comunità. Stimolandoli ad un ruolo attivo e mettendo a loro disposizione risorse alle quali attingere nel momento del bisogno, per poi riprendere il proprio percorso di vita.
Le azioni restano quelle della Carta di Ottawa: politiche di salute, ambienti favorevoli, partecipazione attiva delle comunità e dei singoli, ri-orientamento dei servizi sanitari. Questo modello richiede iniziative organiche, coerenti e sinergiche ed una presa di posizione da parte dei singoli, pro attiva “cosciente”. Questo stato è determinato, ancora da Antonovsky, dal senso di coerenza, orientamento generale verso il mondo e verso il futuro basato su tre dimensioni: cognitiva (comprensione della realtà circostante), motivazionale (elaborazione del proprio orizzonte di vita) e comportamentale (capacità di plasmare le difficoltà). I singoli devono essere “educati” a questo ruolo, possibile solo se questo processo inizia già nei primi anni di vita, in famiglia e nelle strutture formative. La scuola come micro cosmo dove sperimentare, in un luogo protetto, esperienza di partecipazione e condivisione, anche nella creazione del proprio ambiente di apprendimento; da replicare poi nella comunità e sul luogo di lavoro.
Tutto ciò funziona solo ricollocando al centro dell’intero sistema Paese la persona nella sua interezza, membro di una collettività di individui responsabili, innescando un processo virtuoso in cui sia possibile rinforzare le “risorse generali di resistenza” e dare un “senso” alle nostre esperienze di vita, dovunque esercitate.
Abstract
La promozione della salute si è sviluppata come movimento scientifico, professionale, culturale, sociale e politico a partire dalla Carta di Ottawa redatta nel 1986 in risposta alle aspettative per un nuovo movimento di sanità pubblica di stimolo all’azione a favore della Salute per Tutti.
La Carta di Ottawa guarda alla salute in una visione di globalità della persona e dell’ambiente, in cui convive una pluralità di interessi e obiettivi individuali e sociali. La Carta afferma la necessità di andare oltre la promozione di stili di vita sani verso un’idea globale di benessere, favorendo condizioni di vita e di lavoro sicure, stimolanti, soddisfacenti e gradevoli. Per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, l’individuo e la comunità devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di adattarvisi.
La salute non è importante tanto in se stessa, ma perché, e se, contribuisce a promuovere una vita piena e soddisfacente in armonia coi propri valori e interessi, quella “vita buona” che Aristotele definisce “eudaimonia” ponendola come fine ultimo dell’esistenza.
In questa sede si propone una lettura della Carta di Ottawa basata sulle tre strategie fondamentali (nel testo originale enabling, mediating, advocating), da applicare alle cinque aree d’azione chiave.
La strategia “enabling” può essere definita dal termine empowerment un processo sociale, culturale, psicologico e politico con cui individui e gruppi sociali acquisiscono la capacità di esprimere i propri bisogni, progettare strategie per partecipare ai processi decisionali e sviluppare azioni politiche, sociali e culturali per rispondere ai bisogni individuati. Nel suo significato più ampio e radicale riguarda la lotta all’oppressione e all’ingiustizia, mediante la redistribuzione del potere disuguale. Questa strategia si esplica soprattutto nell’azione “Sviluppare le capacità personali” che oggi può essere meglio definita come “Sviluppare Literacy e life skills (assets)”.
La strategia di “advocacy” è in stretta relazione con l’azione politica e si esplica soprattutto nelle azioni “Creare ambienti favorevoli”, “Costruire Politiche di Salute”, “Riorientare i Servizi Sanitari” che può essere sintetizzata come “Costruire politiche e ambienti salutogeni”.
La strategia “mediating” può essere definita come partnership e si esplica soprattutto nell’azione “Rafforzare l’azione comunitaria” o più semplicemente “Azione comunitaria” in stretta connessione col concetto di coesione sociale.
Le tre strategie possono essere illustrate utilizzando un racconto inviato da Gramsci al figlio.
Un bambino dorme. C’è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo il latte, strilla e la mamma strilla.
Il topo corre dalla capra per avere del latte.
La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole acqua.
Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde: vuole il mastro muratore che la riatti.
Il topo va dal mastro muratore: vuole le pietre.
Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra.
Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà pini, querce, castagni…
Così la montagna dà le pietre e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte.
Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura.
L’azione di promozione della salute condotta del topo concretizza le tre strategie sopra delineate.
Il topo costruisce, attraverso “un sublime dialogo” di advocacy, politiche e ambienti salutogeni, affrontando i bisogni attraverso un piano globale che sviluppa le risorse (asset) esistenti. Se la montagna darà le pietre, il bambino pianterà alberi, spariranno le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventerà regolare perché gli alberi tratterranno i vapori e impediranno ai torrenti di devastare la pianura.
La strategia implica empowerment per tutti gli stakeholder. La fontana è ricostruita dal mastro muratore utilizzando le pietre e il campo riceve l’acqua con cui può produrre l’erba che consentirà alla capra di fornire latte al bambino che potrà vivere, diventare adulto e piantare alberi. Ognuno diventa più forte di prima, libero e capace di utilizzare i propri asset.
È una strategia di azione comunitaria e coesione sociale con un’azione di mediazione in cui ogni stakeholder riconosce il vantaggio di mettere in comune i propri asset.
Cosa significa applicare queste strategie al contesto reale?
Come nel testo di Gramsci l’azione di advocacy per la costruzione di politiche e ambienti salutogeni è centrale.
In una logica di promozione della salute l’obbligo fondamentale della società è trasformare il contesto fisico e sociale in modo espandere il potere e le libertà dei cittadini (rendendoli capaci di acquisire ciò che desiderano (salute, autonomia, qualità di vita, lavoro, istruzione, appartenenza alla comunità, rispetto…) in armonia con le proprie idee e i propri valori.
Salute e benessere dovrebbero pertanto essere promossi in una logica di capability con la focalizzazione su quanto le persone sono effettivamente capaci (libere) di fare e di essere, cioè sulle capability (libertà, potere), in contrasto con approcci orientati a convincere o costringere le persone ad adottare stili di vita sani definiti da esperti con un approccio top-down. Cittadini maturi e competenti hanno il diritto di comportarsi come desiderano finché il loro comportamento non danneggi altri o l’ambiente.
Consideriamo a titolo di esempio il movimento e l’attività fisica, come promossi dalla Carta di Toronto, una chiamata all’azione ed uno strumento di advocacy per offrire a tutti opportunità sostenibili di adottare uno stile di vita attivo attraverso la costruzione di politiche e ambienti salutogeni. Riaffermato sulla base di solide evidenze che l’attività fisica promuove il benessere, la salute fisica e quella mentale, previene le malattie, migliora le relazioni sociali e la qualità della vita, dà benefici economici e contribuisce alla sostenibilità ambientale, la priorità è data ad azioni che creino opportunità nei diversi ambiti della vita quotidiana:
progetti urbanistici basati sulle evidenze che sostengono gli spostamenti a piedi, l’uso della bicicletta e l’attività fisica nel tempo libero;
progetti urbanistici che forniscono opportunità per fare sport, per trascorrere il tempo libero e per fare attività fisica, aumentando l’accesso agli spazi pubblici dove le persone di tutte l’età e con qualsiasi abilità possono mantenersi fisicamente attive in contesti sia urbani che extra urbani;
politiche e servizi di trasporto che diano priorità e incentivi per muoversi a piedi, andare in bicicletta o usare il sistema di trasporto pubblico;
incentivi per modalità attive di spostamento da e per il posto di lavoro, per l’uso dei mezzi pubblici piuttosto dell’auto privata;
infrastrutture per attività ricreative adatte a tutte le età;
opportunità per i soggetti con disabilità di essere fisicamente attivi.
Per esemplificare si può affermare che una società che ritiene che MUOVERSI IN BICICLETTA FAVORISCA SALUTE E AMBIENTE e che pertanto PIÙ PERSONE DOVREBBERO MUOVERSI IN BICICLETTA deve innanzitutto promuovere le LIBERTÀ/ CAPABILITY che consentono a ciascun cittadino, se lo desidera, di MUOVERSI IN BICICLETTA cioè:
disporre della bicicletta (proprietà, noleggio, bike sharing…);
essere capace di guidare la bicicletta (abilità fisica, abilità tecnica);
disporre di percorsi sicuri (pianificazione urbana);
disporre di tempo (possibilità di spostarsi nella vita quotidiana, tempo libero).
Una convinta, coerente e persistente azione politica può produrre cambiamenti importanti.
Secondo il Rapporto Euromobility 2018, Cagliari, che nel 2011 era al 38° posto tra le 50 principali città italiane (tutti i capoluoghi di Regione più i capoluoghi di Provincia con oltre 100.000 abitanti) per mobilità sostenibile, è passata al 7° posto. Tra gli indicatori il tasso di incidenti al di sotto della media nazionale, la buona qualità dell’aria, l’aumento dei passeggeri sui bus, la quarta posizione per offerta di trasporto pubblico locale, la prima per il car sharing convenzionale nel rapporto tra abitanti e numero di auto in condivisione a disposizione, la crescita dei chilometri di piste ciclabili e del servizio di bike sharing, l’avvio della redazione del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS). Non è stato considerato nel rapporto l’indicatore delle aree pedonali, che nell’edizione del 2017 vedeva Cagliari seconda dopo Venezia; aree pedonali ulteriormente aumentate nel corso dell’ultimo anno.
È evidente come queste politiche non possano essere circoscritte all’ambito sanitario, ma siano il risultato di un cambiamento complessivo del modello sociale, che ha conseguenze sul sistema economico e sulle relazioni di potere e non può quindi essere politicamente neutro, implicando un dialogo o uno scontro tra diverse visioni sulle priorità della società.
La Costruzione di politiche e ambienti salutogeni è un percorso che mira a rendere facile e naturale la scelta salutogena promuovendo in una logica di equità per ognuno una vita piena e soddisfacente in armonia coi propri valori e interessi.
È necessario un percorso decisionale partecipativo che inglobi valori e prospettive alternative e riconosca l’esistenza di obiettivi diversa a volte in competizione tra loro che devono essere conciliati.
Le proteste dei “gilet gialli” francesi contro l’aumento dei prezzi dei carburanti sono un esempio di come politiche motivate da obiettivi di salute possano, se imposte dall’alto senza una valutazione sull’impatto globale sul benessere, anche percepito, di comunità e singoli possano generare tensioni sociali fino al loro fallimento.
Bibliografia di riferimento
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Abstract
INTRODUZIONE
Fino a pochi decenni fa il concetto di salute era considerato come assenza di malattia e la risposta sanitaria organizzata consisteva esclusivamente nel garantire cure ospedaliere. La salute oggi va colta in tutta la sua complessità, un valore universale fondamentale (WHO 1948), una risorsa per la vita quotidiana 1 di cui prendersi cura dall’inizio fino al suo termine, con un impegno a mantenerla e a promuoverla dell’intera società e non solo dell’ambito sanitario. È noto infatti che dalla sanità dipende solo il 15-20% della salute di una comunità, dai fattori socio-economici e dagli stili di vita il 40-50%, dalle condizioni dell’ambiente il 20-30% e dall’eredità genetica il 20-30%. La sanità ospedalocentrica è sempre più incapace di sostenere il peso delle malattie cronico-degenerative, oggi prevalenti ed in crescita, che trovano risposta sanitaria appropriata nello sviluppo delle cure primarie territoriali e nella prevenzione, garantendo continuità di cura e personalizzazione dell’assistenza. Il Servizio Sanitario Nazionale, nato 40 anni fa, aveva già incluso nei propri principi e obiettivi tali concetti ma la traduzione pratica nel sistema risulta ancora incompleta mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza.
Secondo i dati dell’OMS, l’86% dei decessi, il 77% della perdita di anni di vita in buona salute e il 75% delle spese sanitarie in Europa sono causati da alcune patologie (malattie cardiovascolari, tumori, diabete mellito, malattie respiratorie croniche, problemi di salute mentale e disturbi muscoloscheletrici) che hanno in comune fattori di rischio modificabili, quali il fumo di tabacco, l’obesità e sovrappeso, l’abuso di alcol, lo scarso consumo di frutta e verdura, la sedentarietà, l’eccesso di grassi nel sangue e l’ipertensione arteriosa. Gli ultimi dati nazionali del Sistema di Sorveglianza PASSI (2015-2018) riportano che la maggior parte degli italiani (35%) è sedentaria, il 34% è parzialmente attivo, mentre solo il 31% risultano essere quelli che effettuano una adeguata attività motoria. Inoltre quattro adulti su dieci risultano in eccesso ponderale: 3 in sovrappeso (BMI fra 25 e 29,9) e 1 obeso (BMI ≥ 30), e solo un italiano su 10 consuma le cinque porzioni di frutta e verdura al giorno raccomandate. Un italiano su quattro è fumatore, mentre il 17% degli italiani dichiara di aver smesso di fumare da più di sei mesi. Per quanto riguarda l’alcol, il 55% degli italiani consuma bevande alcoliche, e il 3% riferisce un consumo abituale elevato.
Poiché dunque la maggior parte delle patologie presenti oggi nella nostra società dipende prevalentemente da fattori di rischio modificabili, vanno dati ai cittadini gli strumenti per controllare il proprio stato di salute in un contesto che favorisca le scelte sane. Efficientismo, lotta a sprechi e corruzione non sono sufficienti a fronteggiare l’aumento delle patologie croniche ed il costo della innovazione farmacologica e tecnica in un contesto di consumismo sanitario, che invece necessitano di un cambiamento di paradigma culturale e organizzativo.
La promozione della salute può costituire la cornice teorica e pratica efficace per tale cambiamento. Infatti, secondo l’Health Education Glossary (WHO 1998), la promozione della salute è un “processo sociale e politico diretto non solo a rafforzare le abilità e le capacità degli individui, ma anche una azione comunitaria e culturale per il cambiamento sociale, ambientale ed economico per il miglioramento delle condizioni di salute del singolo e della collettività”.
RUOLO DEL SSN
Il SSN (Legge 833/78), con l’Art. 1. (I principi), è definito come “il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio”. L’Art. 2. (Gli obiettivi) indica che il “conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo è assicurato mediante la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità”. E più oltre (Art. 14) “il servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze persegue la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati”.
Già ai suoi albori, dunque, il SSN individuava la rilevanza del ruolo della prevenzione e della responsabilizzazione del cittadino nel diventare protagonista del proprio stato di salute. In seguito, grazie a documenti programmatici “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari” (2007) e ai Piani Nazionali della Prevenzione (dal 2005), negli ultimi anni sono state rafforzate nel nostro Paese le azioni tese alla promozione della salute.
Il programma “Guadagnare salute” nasce dall’esigenza di rendere più facili le scelte salutari e di promuovere campagne informative che mirino a modificare comportamenti inadeguati che favoriscono l’insorgere di malattie degenerative di grande rilevanza epidemiologica. I fattori di rischio sono prevedibili ed esistono politiche ed interventi efficaci che possono agire globalmente su di essi e sulle condizioni socio-ambientali. Queste politiche, per essere attuate, richiedono l’intervento di diversi Ministeri, del SSN, nonché accordi con produttori e distributori ed altri soggetti coinvolti, agenzie educative e Enti pubblici. Il SSN da solo può favorire la diagnosi precoce, il trattamento dell’ipertensione arteriosa e dell’ipercolesterolemia, aiutare i fumatori a smettere, trattare gli obesi, promuovere l’attività motoria e l’alimentazione sana, combattere le dipendenze. I Servizi vanno riorganizzati rafforzando le strutture più vicine all’utenza, quali i consultori, i distretti socio-sanitari e i medici di famiglia e gli infermieri di comunità. Inoltre il SSN può favorire la costruzione di ambienti di vita e di lavoro che promuovono la salute, garantire la sicurezza alimentare, effettuare la sorveglianza epidemiologia dello stato di salute della comunità e valutare l’efficacia delle azioni intraprese. Infine, Ministero della Salute e SSN possono svolgere il ruolo di “avvocati della salute dei cittadini”, mettendo in evidenza le ricadute delle politiche dei governi sulla stessa.
I Piani Nazionali della Prevenzione dal 2005 affrontano in modo coordinato le tematiche di promozione della salute e di prevenzione delle malattie. Il PNP demanda alle singole Regioni il compito di predisporre un piano specifico per la realizzazione degli obiettivi stabiliti. Il primo di questi prevede di ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità delle malattie non trasmissibili.
L’attuazione dei nuovi LEA (DPCM 12 gennaio 2017) declina le azioni necessarie e obbligatorie da rendere ai cittadini in tutto il territorio nazionale, garantendo i principi di universalità, uguaglianza ed equità del SSN. Il livello della “Prevenzione collettiva e sanità pubblica” vede proprio nel Dipartimento di Prevenzione (DP) la struttura di riferimento del Servizio Sanitario Nazionale che ne garantisce l’attuazione che include le attività e le prestazioni volte a tutelare la salute e la sicurezza della comunità da rischi infettivi, ambientali, legati alle condizioni di lavoro, correlati agli stili di vita. I Servizi afferenti al DP dal 1992 lavorano per la promozione della salute in sinergia con le altre articolazioni del SSN (Distretti Socio-Sanitari, Ospedale, altri Dipartimenti aziendali), Comuni e scuole.
DIFFUSIONE BUONE PRATICHE E VERIFICA DI EFFICACIA
Documenti internazionali e governativi avvalorati da una letteratura sempre più ricca di evidenze è disponibile sul tema della promozione della salute. Secondo il report OMS “Saving lives, spending less: a strategic response to noncommunicable diseases” 2 7 azioni “best buys” permettono di guadagnare 7 euro a fronte dell’investimento di un solo euro: 4 di queste azioni (controllo di alcol, tabacco, errata nutrizione e sedentarietà) sono perseguibili con azioni e tecniche di promozione della salute.
La promozione della salute e dell’equità nella salute ha maggiore efficacia quando gli interventi si affiancano lungo tutto il corso della vita, secondo un approccio “life course”: interventi di prevenzione già prima della gravidanza, sistemi di protezione della maternità e delle nuove famiglie, promozione dell’allattamento al seno, prevenzione di comportamenti non salutari già durante l’infanzia e l’adolescenza permettono di ridurre il rischio di insorgenza di malattie croniche nell’adulto favorendo un invecchiamento sano e attivo.
La Scuola rappresenta il setting privilegiato per l’educazione alla salute 3. La promozione della salute nel contesto scolastico ha una valenza più ampia di quella sottesa all’educazione alla salute attraverso interventi realizzati nelle classi, comprendendo anche le politiche per una scuola sana in relazione all’ambiente fisico e sociale degli istituti scolastici ed ai legami con i partner (Comuni, associazioni, Servizi Sanitari…), per migliorare e/o proteggere la salute e il benessere di tutta la comunità scolastica. La Scuola consente, inoltre, lo sviluppo dell’autonomia e dei processi di empowerment ed engagement, promuovendo non solo specifiche competenze disciplinari, ma soprattutto conoscenze e abilità che conducano allo sviluppo di competenze personali (life skills), indispensabili per prendere decisioni corrette, comunicare in modo efficace, nonché resistere ad influenze e suggestioni che possano indurre scelte comportamentali non salutari. Diversi studi hanno dimostrato maggior efficacia, per prevenire l’uso di sostanze, di programmi che potenzino le life skills rispetto a quelli che passano solo informazioni (Botvin, 2000, 2007; Faggiano 2008).
Le evidenze disponibili hanno avuto continui rilanci in documenti internazionali di grande impatto: Salute in tutte le politiche 4 ritiene cruciale la sinergia tra istituzioni e stakeholder per promuovere la salute della popolazione generale; Salute 2020 5 si pone come obiettivo la riduzione delle morti premature e l’aumento dell’aspettativa di vita mediante lotta alle disuguaglianze, programmazione per setting e approccio life course; l’Agenda 2030 6 rimarca invece l’insostenibilità ambientale, economica e sociale dello sviluppo attuale e predilige un’unica visione integrata senza distinzioni tra Paesi sviluppati, emergenti ed in via di sviluppo. A tali strategie d’azione si aggiunge la raccomandazione a decisori e operatori perchè aiutino i cittadini a compiere scelte migliori per la salute anche mediante rinforzi positivi rivolti alla parte più impulsiva e viscerale della persona, “nudging” 7.
CONCLUSIONI
Migliorare la salute richiede la modificazione degli stili di vita delle persone, attraverso interventi rivolti non solo al singolo individuo, ma anche al cambiamento di condizioni sociali e degli ambienti dove si vive e si lavora. Pertanto è necessaria un’azione intersettoriale e trasversale, che veda coinvolti i Governi, la scuola, l’industria, le associazioni affinché concorrano per la creazione di un ambiente favorevole per produrre salute. Quest’ultima deve essere vista come una risorsa per vivere appieno la vita quotidiana, piuttosto che obiettivo del vivere fine a se stesso. È necessario che gli interventi di promozione della salute vengano monitorati e il loro impatto sia valutato mediante i sistemi di sorveglianza, e che le best practices vengano diffuse in tutte le decisioni politiche, manageriali e professionali che riguardano la salute delle persone.
Purtroppo l’allocazione delle risorse tende a prediligere gli strumenti di cura piuttosto che quelli di cultura e prevenzione. Questa tendenza si combatte rendendo consapevoli i decisori politici della necessità della promozione della salute in tutte le politiche e del conseguente riorientamento del SSN. Servono politici e professionisti coraggiosi con una visione di lungo respiro. A questo proposito M. Chan, direttore generale dell’OMS afferma: “Gli sforzi per prevenire le malattie croniche vanno contro gli interessi commerciali di potenti operatori economici. Secondo me, questa è la più grande sfida che si trova di fronte la promozione della salute. E non si tratta più solo dell’industria del tabacco (Big Tobacco). La sanità pubblica deve fare i conti con l’industria del cibo (Big Food), delle bevande gassate (Big Soda) e alcoliche (Big Alcohol)…” (Helsinki 2013).
L’attenzione sui determinanti di salute non è sufficiente: va valutata e aggiornata continuamente la conoscenza delle “cause delle cause di una cattiva salute” (rerum cognoscere causas). È necessario un approfondimento continuo sulle cause dei determinanti stessi, ovvero le condizioni che ne favoriscono la diffusione, e indirizzare verso questi azioni efficaci per una società più sana.
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Abstract
Angelillo B e Romano F, in occasione della Giornata di studio promossa dalla SItI su: La formazione universitaria e la Sanità Pubblica, tenutasi a Palermo nel 1990, facendo riferimento alla storia millenaria dell’Università, identificavano nel Novecento il periodo nel quale “… l’università è diventata una istituzione in primo luogo scientifica”, precisando che “… lo è diventata in modo così completo che università e scienza, o professore e scienziato, sono ormai termini pressoché sinonimi in molti paesi, soprattutto in quelli tecnologicamente più progrediti”. Nella stessa occasione sottolineavano che “… sin dai suoi esordi la scienza si è presentata come una sfida all’ortodossia tradizionale. Essenzialmente la scienza nel senso moderno è l’applicazione della ragione umana alla soluzione di problemi, facendo ricorso ad una metodologia di base consistente nella successione dei seguenti momenti: formulazione di un problema, ipotesi di soluzione, controllo e soluzione corredata di dimostrazione…”. Queste considerazioni sulla scienza e sulla ricerca universitaria, pur formulate quasi trenta anni fa, parlano al presente e al futuro della ricerca in Sanità Pubblica individuandone il carattere di continua sfida metodologica e fortemente orientato agli aspetti applicativi per la soluzione dei problemi di salute delle comunità. Tali peculiarità rendono la ricerca in Sanità Pubblica e, in particolare, quella orientata alla definizione delle politiche per la salute, ancor più complessa. Come affermato da Hegger et al., la definizione delle politiche per la salute è un processo complesso e l’uso delle conoscenze scientifiche in questo campo, noto anche come “knowledge utilization”, non è “self-evident” e “la definizione delle politiche sanitarie è il processo di individuazione del problema e di formulazione, implementazione e valutazione dell’insieme delle azioni necessarie per la soluzione del problema”. In questo contesto, l’interazione tra ricercatori, operatori di Sanità Pubblica e decisori politici è cruciale per la realizzazione di efficaci politiche per la tutela e la promozione della salute.
È importante, allora, analizzare quali possano essere le ulteriori sfide scientifiche che la disciplina deve affrontare per lo sviluppo di politiche sanitarie in grado di raggiungere i due principali obiettivi che la Sanità Pubblica si propone: contrastare le patologie e promuovere la salute delle comunità. In tal senso, è possibile individuare alcune macro-direttrici della ricerca applicata alla Sanità Pubblica, quali la realizzazione di un’adeguata governance della produzione delle evidenze, il loro trasferimento ed implementazione alle pratiche di Sanità Pubblica e la valutazione dell’impatto delle politiche sanitarie.
La definizione stessa di Sanità Pubblica, a partire da quella formulata da Winslow nel 1920, ha suscitato acceso dibattito sui precisi confini delle pratiche di sanità pubblica, in relazione sia alla pratica medica che ad altri settori le cui attività incidono sulla salute della popolazione, quali lo sviluppo urbano, l’istruzione, l’industria, i trasporti e l’ambiente, per citarne solo alcuni. Nel tempo, però, i più rilevanti risultati ottenuti grazie agli interventi di Sanità Pubblica, quali la sicurezza degli alimenti, la potabilizzazione dell’acqua destinata al consumo umano o il controllo delle malattie trasmissibili e prevenibili mediante vaccino, non si sono, paradossalmente, accompagnati ad un incremento della percezione del loro valore nella popolazione e nei decisori politici. Questa tendenza ha dato l’avvio ad un inesorabile processo di definanziamento degli interventi di Sanità Pubblica e all’indebolimento delle strutture di governance, sebbene il cambiamento delle dinamiche di mercato e la globalizzazione abbiano aumentato la necessità di risorse da destinare ai servizi di sanità pubblica e ai percorsi per garantire la qualità delle prestazioni sanitarie.
LA PRODUZIONE DELLE EVIDENZE
È noto che gli interventi di Sanità Pubblica sono progettati per migliorare la salute della popolazione e/o di specifici sottogruppi e/o dei singoli e spaziano dalle vaccinazioni per la prevenzione delle comuni malattie infettive ai programmi per prevenire l’obesità tra i bambini in età scolare a campagne dirette alla disassuefazione dal fumo. Gli interventi di Sanità Pubblica devono, tuttavia, essere rigorosamente valutati per garantire che i fondi ad essa assegnati vengano spesi nel modo più efficace possibile e che gli interventi potenzialmente non efficaci o dannosi non vengano invece attuati. L’applicazione dell’approccio “evidence-based”, già ampiamente e con successo adottato nella pratica clinica, presenta alcune difficoltà relativamente alle problematiche preventive e più globalmente agli interventi di Sanità Pubblica.
Appare necessario, innanzitutto, superare antichi e nuovi ostacoli. Per molti interventi preventivi e di Sanità Pubblica sono tutt’oggi utilizzati studi quasi-sperimentali, trasversali o analisi time-series, che non consentono in molti casi di garantire un’adeguata qualità delle evidenze e, soprattutto, la generalizzabilità dei risultati. Nella maggioranza dei casi gli studi non possono dimostrare il rapporto di causalità con assoluta certezza. Le prove di efficacia vengono, spesso, generate nell’ambito di progetti di ricerca che devono “sopravvivere” al sistema di “revisione tra pari” che privilegia la validità interna rispetto a quella esterna. Studi approvati e finanziati, molto spesso, sono condotti in contesti di maggiore disponibilità di risorse e da personale altamente qualificato. Gli interventi che ne derivano, pertanto, possono essere difficili da attuare nel mondo reale. Emerge, pertanto, prepotente la necessità, per informare le pratiche e le politiche di Sanità Pubblica, di condurre la ricerca in condizioni molto simili a quelle reali, in cui diverse popolazioni sono esposte o non esposte a una condizione potenzialmente causale (ad esempio, una nuova politica di educazione alimentare in una scuola, nuove politiche per la disassuefazione dal fumo di tabacco) che ricalchi il disegno di uno studio in cui i partecipanti sono casualmente assegnati ai gruppi. Sebbene gli studi conosciuti come pragmatic trial, siano più soggetti a bias di selezione, questi riflettono in modo più fedele ciò che sta accadendo nel contesto reale rispetto ad uno studio metodologicamente più rigoroso e, nel contempo, offrono la possibilità di dimostrare se un intervento sanitario di documentata efficacy è dotato di effectiveness in una popolazione eterogenea in condizioni reali. Naturalmente questo approccio non è scevro di ostacoli, come evidenziato da Craig et al., che suggeriscono alcune modalità per rafforzare l’inferenza causale.
Emerge, pertanto, la complessità di determinare quando l’evidenza scientifica è sufficiente per prendere decisioni sulle azioni e gli interventi da intraprendere in Sanità Pubblica sebbene, in alcune occasioni, l’attesa delle prove di efficacia comporterebbe non accettabili ritardi nell’applicazione di cruciali interventi di Sanità Pubblica.
IL TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE ALLE PRATICHE
Le conoscenze scientifiche dovrebbero guidare tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche relative alla salute delle comunità. L’inadeguato utilizzo delle evidenze è documentato in sanità per tutti gli stakeholders (pazienti e caregivers, professionisti, managers e policy-makers), sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. Studi condotti in vari contesti dimostrano che evidenze scientifiche di elevata qualità non vengono adeguatamente trasferite nella pratica, determinando sia sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriati, sia sotto-utilizzo di quelli efficaci e appropriati. È, pertanto, essenziale ridurre il divario tra ricerca e pratica. Sebbene siano disponibili numerosi interventi di Sanità Pubblica basati sull’evidenza, può risultare difficile implementarli e sostenerli al di fuori di contesti controllati. Anche la riduzione del divario tra ricerca e pratica rappresenta, quindi, un campo di interesse della ricerca in Sanità Pubblica. In tal senso l’implementation science, che si concentra sulla comprensione dei fattori e delle strategie che influenzano l’adozione degli interventi basati sull’evidenza in contesti reali, può rappresentare uno strumento utile, anche se ancora poco utilizzato nella ricerca in Sanità Pubblica, per contribuire alla realizzazione nella pratica degli interventi evidence-based.
Allo stesso modo, tuttavia, non sono rari gli esempi di interventi di Sanità Pubblica implementati in assenza di una solida base di evidenze. A titolo di esempio, si può ricordare l’OMS, che nel 1997, ha raccomandato l’osservazione diretta, da parte di personale adeguatamente formato, di pazienti affetti da tubercolosi per migliorarne l’aderenza al trattamento. Una revisione sistematica “Cochrane” nel 2007 ha poi dimostrato che l’osservazione diretta di tali pazienti non è in grado di migliorare l’assunzione dei farmaci rispetto all’auto-somministrazione. Analogamente, negli Stati Uniti, sono stati condotti studi su soggetti sottoposti a screening per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico, che sappiamo non essere supportato da solide prove di efficacia. Questi sono alcuni esempi che enfatizzano l’importanza di garantire una solida base di evidenze per gli interventi di Sanità Pubblica.
Un ostacolo alla integrazione dei risultati rigorosi e pertinenti della ricerca nelle decisioni di politica sanitaria può essere rappresentato dalla scarsa tempestività nella produzione di evidenze nei tempi utili alla decisione politica. Christopher JM Whitty scrive che gli accademici, talvolta, sottovalutano la velocità dei processi decisionali, e sarebbe più opportuno pubblicare articoli di buon livello prima che le decisioni di politica sanitaria vengano prese, piuttosto che articoli eccellenti al termine del processo decisionale. Egli conclude suggerendo che la sintesi accurata delle evidenze disponibili è il contributo più importante che il mondo accademico può dare al processo decisionale, anche in termini di valutazione economica degli interventi sanitari, atteso che i responsabili delle politiche sanitarie prendono decisioni che implicano l’utilizzo di cospicue risorse economiche. L’aumento della pressione economica impone la necessità di scegliere “saggiamente” e investire su ciò che “funziona” per migliorare la salute della comunità.
LA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEGLI INTERVENTI DI SANITÀ PUBBLICA
Come è noto, l’implementazione degli interventi orientati a tutelare la salute pubblica, spesso, comporta costi elevati e solo attraverso un percorso di valutazione è possibile garantire che le risorse vengano impiegate in modo appropriato ed efficiente, evitando di finanziare interventi inefficaci o, addirittura, dannosi. Tuttavia, è estremamente complesso sottoporre le politiche sanitarie a processi valutativi evidence-based. Poco o nulla si conosce sull’impatto degli interventi di Sanità Pubblica in termini di miglioramento della salute e del benessere delle comunità e, come richiamato in precedenza, l’impatto di un intervento nel “contesto reale” può essere diverso rispetto a quanto atteso sulla base dei risultati di studi scientifici.
In Italia, la crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale ha acceso il dibattito sull’importanza del value, riconoscendo in esso il driver della sanità. Michael Porter definisce il value come il ritorno in termini di salute delle risorse investite in Sanità, calcolato rapportando gli outcome di salute, intesi come esiti favorevoli ed effetti avversi, e i costi sostenuti dal sistema. Sir Muir Gray ha attribuito al concetto di value un significato più articolato, facendo riferimento a tre dimensioni (allocativa, tecnica e personale) la cui valutazione è ineludibile per la sostenibilità dei servizi sanitari. La dimensione (efficienza) tecnica può essere incrementata disinvestendo da servizi e prestazioni sanitarie che consumano risorse senza migliorare gli outcome e riallocando le risorse in quelli ad elevato value. Nel nostro Paese esistono numerosi ostacoli all’implementazione di questa dimensione, primo tra tutti la non adeguatezza dei sistemi informativi per una rilevazione sistematica degli outcome, in particolare quelli a medio e lungo termine.
Risulta evidente che l’individuazione degli strumenti metodologici e applicativi per la valutazione delle politiche sanitarie rappresenta ancora una straordinaria sfida per la ricerca in Sanità Pubblica. A parere di chi scrive, è una opportunità da non perdere l’attuazione di una strategia nazionale di evidence-based patient information. Le decisioni in sanità non solo devono essere basate sulle migliori evidenze disponibili, ma anche condivise e personalizzate tenendo conto delle condizioni sociali, delle preferenze e aspettative degli individui. Nel documento Crossing the Quality Chasm: A New Health System for the 21st Century, l’Institute of Medicine individua l’assistenza centrata sul paziente come uno dei fattori chiave per migliorare i moderni sistemi sanitari. Creare nel cittadino una cultura della salute appare ancor più importante per le pratiche di Sanità Pubblica. Mentre ogni singolo malato sa esattamente quello che vuole, una diagnosi e una terapia efficace, la maggior parte degli individui sani non sa, al contrario, come proteggere la salute.
In conclusione, è possibile, pertanto, affermare che la complessità della ricerca orientata alla definizione e realizzazione delle politiche per la salute delle popolazioni può essere affrontata solo con grande umiltà e utilizzando uno degli strumenti che da sempre hanno caratterizzato la cultura dell’igienista: la capacità di “mettere insieme” ricercatori e operatori di Sanità Pubblica e di dialogare con le diverse professionalità. In tal senso, ci piace ricordare Ammerman et al., quando affermano che “… per affrontare le grandi sfide della Sanità Pubblica i ricercatori devono far uso di evidenze, strumenti e strategie basati sulla pratica e generare approcci per implementare le evidenze basate sulla pratica… se vogliamo più pratica basata sull’evidenza, abbiamo bisogno di più evidenza basata sulla pratica”.
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Abstract
La resistenza dei batteri agli antibiotici rappresenta una delle principali minacce che la Sanità Pubblica sta affrontando e dovrà sempre più fronteggiare nei prossimi anni. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano come già oggi, ogni anno nel mondo, l’antimicrobico-resistenza (AMR) causi 700.000 morti e dopo il 2050 sia destinata a provocarne 10 milioni/anno, tante quante sono oggi quelle dovute al cancro, se nulla sarà fatto per invertire questo trend.
Uno studio dello European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha stimato che nei Paesi europei nel 2015 si sono verificati circa 672.000 casi di infezione da batteri antibiotico-resistenti, di cui il 63,5% correlati all’assistenza sanitaria. A queste infezioni sono risultati attribuibili oltre 33.000 decessi e quasi 875.000 DALY (disability-adjusted life-year), il 38,7% dei quali dovuto a infezioni da batteri resistenti ad antibiotici di ultima generazione, come carbapenemi e colistina. Il carico di malattia in Europa, più elevato nei neonati e negli adulti di 65 anni di età e oltre, è aumentato dal 2007.
I dati 2017 dello European Antimicrobial Resistance Surveillance Network (EARS-Net) confermano una situazione epidemiologica molto variegata a seconda della specie batterica, del gruppo dell’agente antimicrobico e della regione geografica. In diversi casi, è evidente un gradiente nord-sud e ovest-est, con percentuali di resistenza inferiori segnalate dai paesi del nord e più elevate nel sud e nell’est dell’Europa. Per E. coli e K. pneumoniae resta frequente la multiresistenza e comune la produzione di beta-lattamasi ad ampio spettro (ESBL). Mentre la resistenza ai carbapenemi è rara in E. coli, diversi Paesi hanno riportato percentuali superiori al 10% per K. pneumoniae. La resistenza ai carbapenemi è comune anche per Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter, con percentuali più elevate rispetto a quelle di K. pneumoniae.
Nel 2015, l’Italia è risultato il primo Paese europeo per numero di infezioni (201.584) e di decessi (10.762) attribuibili all’antibiotico-resistenza (circa un terzo delle morti totali per questa causa in Europa).
Tra i batteri Gram positivi, i dati raccolti dal sistema di Sorveglianza AR-ISS nel periodo 2012-2016, relativi a 64.678 isolati da infezioni invasive (98,6% da sangue) provenienti da 15 Regioni e 2 Province Autonome, mostrano per i ceppi di S. aureus (isolato nel 21,4%) elevate percentuali di resistenza alla penicillina (84,8%). Valori di resistenza superiori al 30% sono stati osservati anche per eritromicina (36,2%), clindamicina (30,6%) e levofloxacina (33,9%). La resistenza alla meticillina si è mantenuta stabile con un valore medio nazionale di circa il 34%; valori superiori al 40% sono stati registrati in Liguria (47,6%), Lazio (44,7%) e Piemonte (43,1%). Per S. pneumoniae sono state osservate percentuali di resistenza più alte per eritromicina (25,4%, in riduzione dal 32,5% nel 2012 al 23,5% nel 2016), clindamicina e tetraciclina (22,0%); la totalità dei ceppi resistenti alla penicillina è risultata pari all’11,5%, dimezzata nel quinquennio (dal 12% nel 2012 al 6,5% nel 2016). Le Regioni con i valori più alti di resistenza alla penicillina (> 20%) sono state la Campania e la Toscana. I ceppi di S. pneumoniae resistenti alla penicillina sono risultati più resistenti anche agli altri antibiotici, rispetto a quelli sensibili. La resistenza alla vancomicina degli enterococchi Gram positivi è rimasta stabile intorno all’1% in E. faecalis mentre è aumentata notevolmente in E. faecium (passata da 6,3% a 13,4%).
Tra i batteri Gram negativi, le percentuali di resistenza più elevate in E. coli (patogeno più frequentemente isolato negli anni sotto sorveglianza) si riscontrano per ampicillina (66,5%), amoxicillina-acido clavulanico (35,9%), ciprofloxacina (43,2%, in leggero aumento nel quinquennio) e cefalosporine di III generazione (> 20%, dal 27,3% nel 2012 al 30,5% nel 2016). Per i carbapenemi e le polimixine si sono registrati valori di resistenza < 1%. La multi-resistenza ai fluorochinoloni, alle cefalosporine di III generazione e agli aminoglicosidi non ha mostrato variazioni di rilievo, il valore medio nazionale si è mantenuto intorno al 16%; le Regioni con le percentuali più alte (> 20%) di multi-resistenza sono state la Campania (27,3%), la Sicilia (22,9%), il Lazio (21,8%), la Toscana (20,7%) e la Calabria (20,4%). Il profilo di antibiotico-resistenza di K. pneumoniae mostra percentuali molto elevate per tutte le classi di antibiotici: > 50% per penicilline (con il 99,7% degli isolati resistenti all’ampicillina, il 58,4% ad amoxicillina-acido clavulanico e il 49,5% a piperacillina-tazobactam), > 40% per fluorochinoloni e cefalosporine, > 30% per carbapenemi (stabile nel quinquennio). Meno frequenti risultavano le resistenze a tigeciclina (19,4%) e colistina (14,3%, stabile nel periodo). La percentuale di isolati multi-resistenti (fluorochinoloni e aminoglicosidi) si è mantenuta stabile nel tempo con valori superiori al 40%. Tra gli isolati sensibili ai carbapenemi, la resistenza a fluorochinoloni e aminoglicosidi è stata negli anni sempre superiore al 20%, mentre tra gli isolati resistenti ai carbapenemi la percentuale di ceppi multiresistenti è risultata superiore all’80%. Valori più alti sono stati riscontrati nelle Regioni del centro-sud Italia. La resistenza di P. aeruginosa alle diverse classi di antibiotici è rimasta relativamente stabile con l’eccezione di quella per piperacillina/tazobactam (passata da 26,9% a 29,8%). La percentuale di isolati multiresistenti (cefalosporine di III generazione, fluorochinoloni e aminoglicosidi) si è leggermente ridotta nel tempo, passando dal 15,3% nel 2012-2013 all’11,3% nel 2016. Oltre l’80% degli isolati di Acinetobacter spp. era resistente ai carbapenemi.
Uno dei primi e importanti passi compiuti nel periodo di vigenza del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 è rappresentato dalla riorganizzazione della rete di sorveglianza, con un sostanziale miglioramento della rappresentatività geografica. Con la Circolare Ministeriale “Sistema nazionale di sorveglianza sentinella dell’antibiotico-resistenza (Ar-Iss) - Protocollo 2019”, predisposta con il supporto del Gruppo tecnico di coordinamento (Gtc) della strategia nazionale di contrasto dell’AMR, è stato esplicitato anche il set di requisiti minimi che i laboratori di microbiologia che forniscono dati alla sorveglianza devono possedere. La tempestività nella segnalazione e trasmissione delle allerte rimane l’elemento chiave per attivare efficaci azioni di Sanità Pubblica, come dimostrato recentemente dall’epidemia di enterobatteri produttori di carbapenemasi NDM (New Delhi metallo-betalattamasi) in corso in Toscana.
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Abstract
L’antimicrobico-resistenza (AMR) è stata inclusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra le dieci minacce per la Sanità pubblica che influenzano l’assistenza sanitaria, la prevenzione e l’efficace trattamento delle infezioni. Le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) costituiscono una delle maggiori sfide per la sicurezza del paziente in tutto il mondo e spesso il problema è ulteriormente complesso a causa dell’AMR. L’emergenza dell’AMR è infatti un problema globale, che può essere controllato solo mediante un’attiva collaborazione tra gli stakeholders a livello nazionale e internazionale. Il controllo dell’AMR si basa su quattro pilastri principali: 1) la sorveglianza (delle infezioni, delle resistenze e del consumo di antimicrobici); 2) le strategie di prevenzione e controllo dell’infezione e della trasmissione dell’AMR (IPC, Infection, Prevention and Control); 3) la stewardship antimicrobica; e la 4) ricerca e sviluppo. I quattro pilastri sono necessari per definire il problema (ricerca e sorveglianza) e per risolverlo (IPC e stewardship antimicrobica).
Tra i diversi fattori implicati nel determinismo dell’AMR riveste un particolare ruolo l’utilizzo eccessivo e inappropriato di antimicrobici nell’uomo e negli animali, in particolare in quelli utilizzati per la produzione alimentare. L’OMS e le Istituzioni nazionali e internazionali interessate, stanno lavorando in questi settori, con un approccio One Health, per attuare un Global action plan per contrastare l’AMR aumentando la conoscenza e la consapevolezza, riducendo le infezioni e incoraggiando ad un uso prudente degli antimicrobici.
Le recenti stime europee confermano che, tra tutte le infezioni sorvegliate dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), le ICA rappresentano quelle con il più elevato burden nella popolazione europea; in particolar modo in Italia rispetto agli altri Paesi europei è elevato il burden delle infezioni dovute e microrganismi resistenti agli antibiotici: anche se si considera la sua popolazione numerosa e in invecchiamento, circa un terzo delle morti dovute a infezioni da batteri resistenti agli antibiotici si verificano in Italia.
Per contrastare tale fenomeno, nel 2017, in Italia è stato approvato il Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 e sono state avviate le attività per la sua implementazione.
Il Gruppo Italiano di Studio di Igiene Ospedaliera (GISIO) della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) è da tempo attivamente impegnato nella realizzazione di diverse attività relative ai temi del PNCAR. Infatti, il GISIO in rappresentanza della SItI, nel Gruppo tecnico di coordinamento, monitoraggio e aggiornamento del PNCAR, collabora alle attività del PNCAR e ha fissato come obiettivi specifici per il biennio 2019-2020: i) la prosecuzione dei progetti di sorveglianza delle ICA già inclusi nel PNCAR e l’avvio di attività di sorveglianza attiva prospettica delle ICA nelle unità di terapia intensiva neonatale con la proposta di un network e l’adozione di un protocollo europeo; ii) la collaborazione per l’implementazione del PNCAR e il suo monitoraggio; iii) l’individuazione delle priorità per la proposta di Linee guida per la prevenzione e controllo delle ICA e per l’uso corretto degli antibiotici, e iv) la partecipazione alle iniziative di comunicazione sui temi del Piano.
La sorveglianza delle ICA è considerata un’attività essenziale per migliorare la qualità dei servizi sanitari, dotando i servizi sanitari delle informazioni, linee guida e strumenti utili a gestire efficacemente il rischio di ICA e l’AMR e a monitorare il livello di realizzazione dei programmi di controllo. Un importante contributo alle conoscenze nell’ambito della sorveglianza per monitorare il fenomeno delle ICA e dell’AMR e l’efficacia delle azioni intraprese deriva dagli studi implementati dal GISIO-SItI nelle aree assistenziali a più elevato rischio tra le quali le terapie intensive e le chirurgie.
La rete SPIN-UTI - Sorveglianza Prospettica delle Infezioni Nosocomiali nelle Unità di Terapia Intensiva - del GISIO, è stata istituita nel 2005 contribuendo ad alimentare la rete di sorveglianza europea HAI-Net ICU con i primi dati italiani sulle ICA nelle UTI. Le UTI del network SPIN-UTI fin dalla prima edizione del progetto, utilizzano protocolli e definizioni standardizzate e validate che forniscono quindi indicatori di riferimento per confronti intra- e inter-ospedalieri nazionali e internazionali. Il progetto SPIN-UTI utilizza un protocollo basato su quello patient-based dell’ECDC per la misura dei tassi di ICA, stratificati per rischio, della frequenza dei profili di resistenza agli antibiotici dei microrganismi associati, dei consumi di antibiotici e degli indicatori di struttura e di processo per la prevenzione e controllo delle ICA e dell’AMR, nonché per l’identificazione dei fattori associati ad un maggior rischio di ICA per poter indirizzare le strategie di controllo e prevenzione. In particolare, dal 2016, vengono rilevati gli indicatori, identificati e valutati da un panel di esperti europei e inclusi nel protocollo ECDC, relativi alla prevenzione delle ICA e alle pratiche di antimicrobial stewardship. Tali indicatori sono relativi ai seguenti topics: i) igiene delle mani: consumo di soluzione alcolica nelle UTI; ii) staff delle UTI: rapporto infermieri/pazienti e rapporto operatori socio sanitari/pazienti; iii) antimicrobial stewardship: revisione sistematica, dopo 24-72 ore, della prescrizione di antimicrobici; iv) prevenzione delle polmoniti associate ad intubazione (IAP): livello di compliance alle pratiche relative alla posizione del paziente, al controllo della pressione della cuffia e alla decontaminazione orale; v) prevenzione delle CLABSI, infezioni del torrente ematico associate a catetere venoso centrale (CVC): livello di compliance alle pratiche di gestione del CVC. Un ulteriore obiettivo del progetto, da realizzare mediante la realizzazione di un’indagine ad hoc dal titolo: “Indagine sulle pratiche di prevenzione e controllo delle ICA nelle UTI”, rivolta ai responsabili per il progetto SPIN-UTI che lavorano nelle UTI partecipanti, è la valutazione delle pratiche di contrasto alle ICA adottate nelle UTI partecipanti, quali, tra le altre, lo screening con colture di sorveglianza, l’isolamento dei pazienti, il cohorting dello staff, l’utilizzo di device monouso e i metodi per il monitoraggio della qualità dell’aria e delle superfici nelle UTI.
Il progetto SPIN-UTI inoltre, integra i dati della sorveglianza patient-based con la rilevazione delle resistenze dei microrganismi associati a ICA e dei consumi di antimicrobici in UTI, così come rilevati dal Servizio Farmaceutico, in densità di utilizzo di antimicrobici (AD, antimicrobial density, ovvero DDD/1000 giorni degenza).
Le Infezioni del Sito Chirurgico (ISC) sono, a livello globale, tra le ICA più frequenti. Dal 2010, il GISIO-SItI ha condotto diverse edizioni di studi di sorveglianza delle ISC in interventi di artroprotesi (due edizioni del Progetto Infezioni del Sito Chirurgico in Interventi di Artroprotesi, ISChIA) e in altre tipologie di interventi chirurgici ad elevato rischio di infezione (Progetto ISC-GISIO). Tali progetti integrano la sorveglianza delle ISC a quella della Profilassi Antibiotica Perioperatoria (PAP) e della compliance alle Linee Guida per la PAP, allo scopo di indagare sull’appropriatezza prescrittiva e per l’identificazione dei fattori di rischio e le aree di intervento. Inoltre, nell’ambito del progetto ISChIA è stata inclusa la raccolta dei dati relativi alle caratteristiche strutturali della sala operatoria e alla carica microbica dell’aria.
Nell’ambito del movimento Choosing wisely, l’Associazione Nazionale Medici delle Direzioni Ospedaliere (ANMDO) e la SItI, con il progetto “Choosing wisely - Igiene ospedaliera”, hanno individuato cinque pratiche ad elevato rischio di inappropriatezza da dismettere: l’utilizzo dei guanti monouso in sostituzione dell’igiene delle mani, l’utilizzo della soluzione idroalcolica per il lavaggio delle mani, la somministrazione anticipata della PAP e la sua eccessiva durata, l’ingiustificata apertura delle porte delle sale operatorie e la mancata segnalazione nella lettera di dimissione o documento di trasferimento della positività per microrganismi alert dei pazienti. Il valore aggiunto del progetto ANMDO-SItI “Choosing wisely-Igiene ospedaliera” è quello del monitoraggio delle pratiche identificate come inappropriate e della promozione delle best-practice associate.
Il GISIO-SItI inoltre, insieme alla Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (SIMPIOS) è promotore del Progetto MultiSocietario Italiano sul Controllo dell’Antimicrobico Resistenza (MuSICARe) che ha già coinvolto 31 Società scientifiche e che ha come obiettivo principale quello di porre all’attenzione della comunità scientifica e delle Società Scientifiche italiane il problema del controllo e della prevenzione dell’AMR nel nostro Paese, attraverso la formazione di un vasto gruppo di lavoro multisocietario che permetta la costruzione di una rete di per mettere in atto strategie efficaci per il contrasto all’AMR.
Le esperienze del GISIO in tema di contrasto delle ICA e dell’AMR contribuiscono al miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria attraverso le principali attività considerate i pilastri fondamentali, dalla sorveglianza alla ricerca, alle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni e dell’AMR. Affrontare e contrastare efficacemente le ICA e l’AMR non è un compito semplice ed è pertanto necessario un impegno continuo a tutti i livelli locale, nazionale e internazionale per ridurre questa importante minaccia per la sanità pubblica.
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Abstract
INTRODUZIONE
La valutazione del rischio sanitario associato a fattori di interesse nutrizionale e/o tossicologico (risk assessment) rappresenta un ambito di grande interesse per la popolazione generale, la comunità scientifica e gli operatori di sanità pubblica. Tale processo mira a definire adeguate misure ed indicazioni di sicurezza alimentare, ambientale e occupazionale, e favorire un’appropriata comunicazione del rischio ed efficaci interventi di medicina preventiva. Alla valutazione dei rischi sanitari attribuibili ai diversi fattori di tipo chimico e fisico presenti negli alimenti e negli ambienti di vita e di lavoro (‘fattori ambientali’ in senso lato) contribuiscono da un lato i singoli ricercatori attraverso i loro lavori originali di ricerca o meta-analisi, dall’altro gli enti e le istituzioni specificatamente deputati al processo di risk assessment, quali nello specifico per l’Unione Europea la European Food Safety Authority (EFSA), con sede nel nostro Paese a Parma.
La valutazione del rischio attribuibile ai fattori ambientali e nutrizionali prevede diverse fasi metodologiche, tre delle quali sono state soggette a profonde innovazioni nel corso degli ultimi anni e sono di seguito brevemente analizzate: 1) l’identificazione e la valutazione metodologica della letteratura epidemiologica; 2) l’analisi ed interpretazione dei risultati di tale letteratura; 3) la formulazione di valutazioni finali condivise, superando eventuali differenze di opinione tra gli esperti.
IDENTIFICAZIONE E VALUTAZIONE DELLA LETTERATURA PERTINENTE AL RISK ASSESSMENT
Non vi è dubbio come ogni processo di valutazione del rischio sanitario debba basarsi in primo luogo sull’identificazione della letteratura scientifica pertinente. A tal fine, è naturalmente necessario effettuare una ricerca bibliografica rigorosa, completa ed infine illustrata in modo ‘trasparente’. In questa prospettiva, la metodologia adottata dai processi di valutazione del rischio sanitario si avvicina molto a quella adottata per le rassegne sistematiche, caratterizzandosi per una scelta il più possibile estensiva delle ‘parole chiave’ per identificare la letteratura di interesse, e per una strategia di ricerca e selezione degli studi facilmente riproducibile da chiunque. Ciò comporta l’uso di archivi bibliografici quali PubMed e la nota banca dati da esso contenuta Medline, EMBASE, Scopus e Web of Science (anche quest’ultimi contenenti Medline), ed eventualmente Google Scholar (in realtà più motore di ricerca che archivio bibliografico in senso proprio). Viene talora utilizzata per il risk assessment anche la letteratura ‘grigia’, ritrovabile però mediante ricerche complesse e non facilmente riproducibili attraverso archivi quali Conference Proceedings Citation Indexes di WoS, ERIC, PsycINFO, CINHAL, ProQuest Dissertations & Theses Global, International Guideline Library, e l’URL http://www.opengrey.eu/. L’appropriatezza dell’uso di tale letteratura grigia è tuttavia controversa, trattandosi di materiale bibliografico talora di limitata qualità e non sottoposto a valutazione ‘tra pari’.
Dopo aver identificato gli articoli di interesse, occorre valutarne la pertinenza mediante l’esame del loro testo integrale, ed infine compiere una valutazione della qualità metodologica (critical appraisal o risk of bias assessment). Quest’ultimo processo è estremamente delicato ed influenza in modo sostanziale l’intero processo di valutazione del rischio. Esso prevede la valutazione delle principali distorsioni metodologiche degli studi, quali errori nella stima espositiva, presenza di confondimento, distorsione di selezione e di classificazione degli esiti sanitari, descrizione incompleta dei risultati e improprietà dell’elaborazione statistica. Valutazioni di questo tipo vengono frequentemente effettuate mediante l’uso di ‘griglie’ precodificate (quali il Risk of Bias della Cochrane Collaboration, o l’OHAT del National Toxicologiy Program statunitense). L’uso di tali griglie, tuttavia, non elimina del tutto la soggettività intrinseca del processo valutativo, con inevitabili conseguenze sul giudizio globale dell’evidenza scientifica resa disponibile da tali studi e quindi sui risultati finali del risk assessment, specie qualora ci si intenda basare essenzialmente sugli studi considerati di buona qualità. In questa prospettiva, una valutazione troppo severa delle distorsioni comporta l’eliminazione ingiustificata di studi potenzialmente interessanti (sino ad azzerare in alcuni casi l’intera disponibilità di studi!), compromettendo il processo di risk assessment. Al contrario, un processo di valutazione delle distorsioni troppo blando può portare all’inclusione nel processo valutativo di letteratura di validità incerta o francamente inadeguata, anche in questo caso viziando le valutazioni finali.
METODOLOGIA DI ANALISI ED INTERPRETAZIONE DEI DATI
L’analisi dei dati complessivamente generati dalla letteratura scientifica, sia di tipo epidemiologico che tossicologico, rappresenta un passaggio cruciale per il risk assessment. In questo ambito, due sono le metodologie epidemiologico-biostatistiche il cui uso si sta progressivamente diffondendo nell’ambito della sanità pubblica, con effetti benefici anche sul processo di risk assessment.
In primo luogo, nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un incremento esponenziale dell’uso di metodologie biostatistiche ‘dose-risposta’ nell’ambito del processo di risk assessment e più in generale nella ricerca epidemiologica e nelle rassegne sistematiche. Tali metodologie consistono essenzialmente nella cosiddetta spline regression analysis, di cui oggi è divenuto sempre più frequente l’applicazione non solo agli studi originali ma anche alle meta-analisi, mediante routines messe a punto da statistici quali l’italiano Nicola Orsini (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22135359). Tali procedure, il cui codice sorgente è liberamente disponibile per programmi statistici quali R e Stata (https://ideas.repec.org/c/boc/bocode/s458546.html), permettono uno straordinario rafforzamento del processo di risk assessment, in quanto consentono di modellizzare con precisione relazioni complesse quali quelle caratterizzanti gli effetti sanitari dei fattori ambientali e nutrizionali. Tali relazioni, infatti, sono frequentemente non-lineari, caratterizzandosi per curve ad ‘U’ o ‘J’ o di tipologia più complessa, persino nei casi di sostanze cancerogene specie se non genotossiche e certamente nel caso di fattori nutrizionali. La descrizione precisa la rappresentazione grafica di tali relazioni dose-risposta non lineari permette pertanto di identificare le soglie espositive alle quali si verificano effetti carenziali e/o tossici in associazione a specifiche esposizioni ambientali e nutrizionali. Tali informazioni sono di grande rilevanza per il risk assessment in quanto permettono di individuare standards quali il ‘safe level’, l’upper level e il lower level delle esposizioni di interesse. I processi di valutazione del rischio hanno infatti generalmente e arbitrariamente assunto l’esistenza di relazioni lineari tra esposizioni ed effetti sanitari, ignorando la complessità di tali relazioni specie nel caso di fattori aventi sia proprietà nutrizionali che tossicologiche. Pertanto, sulla base di tali erronee assunzioni di linearità, sono state generalmente utilizzate nel risk assessment metodologie biostatistiche quali procedure di regressione logistica o lineare o persino semplici analisi di correlazione. Per quanto riguarda le meta-analisi, l’assunzione aprioristica di relazioni lineari tra esposizioni e relativi effetti sanitari ha portato al diffondersi dell’uso dei forest plots, cioè della rappresentazione grafica del rischio relativo associato alla categoria espositiva più elevata esaminata in ciascun studio rispetto a quella meno elevata, con in aggiunta il calcolo del rischio relativo cumulativo. I limiti di tale metodologia sono evidenti: essa non è infatti in grado di modellizzare le relazioni dose-risposta complesse e non lineari, ed in modo particolare quelle che possono caratterizzare i livelli espositivi intermedi. In secondo luogo, tale approccio è caratterizzato dalla comparazione delle categorie espositive tratte dai diversi studi e generalmente assai diverse tra loro. Tale eterogeneità determina l’impropriatezza delle comparazioni effettuate tra gli studi e dello stesso rischio relativo cumulativo, come evidenziano altresì le profonde differenze tra i risultati generati dalle due metodologie in alcuni specifici contesti di valutazione del rischio (https://www.ahajournals.org/doi/pdf/10.1161/JAHA.116.004210).
Una seconda, fondamentale problematica metodologica associata all’analisi dei dati ed all’interpretazione dei risultati è legata all’uso del valore della cosiddetta ‘funzione P’ come indicatore della presenza di effetti ‘causali’, generalmente attraverso la sua dicotomizzazione sulla base delle due soglie tradizionali pari a 0.05 e 0.001. Questo approccio consente l’individuazione in un singolo studio o in una meta-analisi della cosiddetta ‘significatività statistica’ dei risultati ottenuti, cioè dell’erroneità della cosiddetta ‘ipotesi nulla’. Tale metodologia ha sfortunatamente pervaso l’intera ricerca biomedica (nonché altre discipline) da quasi un secolo, da quando cioè nel 1925 lo statistico inglese Ronald Fisher ipotizzò come un valore di P inferiore a 0.05 consentisse di attribuire l’esistenza della cosiddetta ‘significatività’ alle differenze osservate tra singoli sottogruppi nell’ambito di uno studio. Questo approccio ha esercitato gravi effetti sull’analisi e l’interpretazione dei risultati della ricerca scientifica, assegnando in modo erroneo a tale valore di 0.05 la capacità di validare o escludere l’effettiva esistenza di relazioni causali. Intere generazioni di professionisti e ricercatori, specie in ambito sanitario, si sono così formate all’uso di tale criterio ‘convenzionale’ nell’interpretazione dei risultati delle analisi statistiche, col rischio di commettere in tal modo seri errori metodologici quali l’attribuzione di un effettivo ruolo causale alle associazioni ‘statisticamente significative’ (< 0,05 e soprattutto < 0,001) o l’esclusione di tale nesso di causalità nel caso opposto. L’apprezzabile lavoro di metodologi quale l’epidemiologo statunitense Kenneth Rothman e numerosi altri ricercatori e metodologi, e più recentemente dell’intera Associazione Statistica degli Stati Uniti (https://amstat.tandfonline.com/doi/full/10.1080/00031305.2016.1154108) ha evidenziato l’impropriatezza delle interpretazioni basate sulla significatività statistica e quindi su soglie prefissate del valore di P. Recentemente, un articolo di Nature (https://www.nature.com/articles/d41586-019-00857-9), sottoscritto da diverse centinaia di ricercatori e prontamente ripreso dalla Società Italina di Igiene nel numero del 13 aprile 2019 di ‘Igienisti-on-line’ (http://www.igienistionline.it/archivio/2019/10.htm), ha ribadito l’importanza di abbandonare l’uso e il concetto della significatività statistica, a favore dell’analisi delle stime di effetto, della loro instabilità statistica (illustrata dagli intervalli di confidenza) e dell’analisi delle distorsioni metodologiche caratterizzanti i singoli studi. Anche nelle procedure di risk assessment, pertanto, l’uso della significatività statistica sta conoscendo una profonda ‘crisi d’identità’, con progressiva diminuzione della sua utilizzazione e della sua validità metodologica, come già da tempo riconosciuto da Enti quali l’EFSA (https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2011.2372).
GESTIONE DELLE DIFFERENZE DI OPINIONE NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO
I processi di valutazione del rischio sono generalmente effettuati da gruppi di lavoro comprendenti diversi esperti nelle tematiche prese in esame (quali epidemiologia, tossicologia e nutrizione). Tali esperti procedono all’individuazione della letteratura di interesse, all’analisi dei suoi risultati eventualmente anche mediante la conduzione di meta-analisi e la considerazione delle evidenze e plausibilità biologico-tossicologiche accanto a quelle epidemiologiche, ed infine all’individuazione di standard espositivi quali ad esempio average requirement (AR), adequate intake (AI), Tolerable Upper Intake Level (UL) e reference intake range (RI). Può naturalmente accadere che nel processo di risk assessment i membri di un singolo gruppo di lavoro manifestino differenze interpretative e valutative anche marcate sui reali livelli espositivi, carenziali o da eccesso, associabili ad effetti nocivi per la salute umana, e quindi sugli esiti del risk assessment. Esistono al proposito modalità per la gestione e la composizione di tali conflitti d’opinione, che prevedono tra l’altro la formulazione corretta dei quesiti, la formazione progressiva di un consenso tra gli esperti, e la documentazione trasparente e accurata di tale processo e delle aree residue di incertezza. Tecniche di gestione e superamento delle differenze d’opinione di questo tipo sono denominate Expert Knowledge Elicitation, e sono sempre più frequentemente adottate da agenzie quali l’EFSA (https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2014.3734). Tali metodologie, di cui esistono diverse varianti, mirano ad ottenere dagli esperti l’affinamento delle proprie opinioni sulle soglie di rischio, procedendo con sistematici aggiustamenti e riesami al progressivo avvicinamento delle opinioni dei diversi esperti, senza permettere a nessuno di essi di ‘prevaricare’ nel processo decisionale, e al contempo evitando di renderne irrilevante il contributo. Un interessante esempio dell’uso e dell’importanza di tali metodologie nel processo di valutazione del rischio è stato recentemente offerto da EFSA nel formulare la sua opinione sui livelli ottimali dell’assunzione di sodio attraverso la dieta, pubblicata nel settembre 2019 (https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2019.5778).
Abstract
La transizione epidemiologica e demografica in atto pone a tutti gli operatori di sanità pubblica l’istanza di una profonda revisione di strategie e metodi di lavoro, nonché delle priorità di salute da affrontare e delle skills da maturare per svolgere efficacemente i compiti di cui siamo incaricati.
La cronicità emergente, correlata a multimorbosità e a polipatologia, impone nuovi – e affatto diversi – paradigmi di lavoro: necessità di lavoro in team; ricomposizione delle diverse specializzazioni e professioni verso obiettivi comuni ma complessi; spostamento dei luoghi di cura dalle istituzioni confinate sempre più verso il domicilio dei soggetti portatori di bisogno; utilizzo di tecnologie appropriate e – possibilmente – a basso costo, o quantomeno a costi sostenibili.
I dati emergenti della cronicità a causa /concausa alimentare sono esplosivi: malattie cardiovascolari, tumori e diabete sono complessivamente responsabili del 71% delle morti globali, dell’85% della mortalità prematura, e l’impatto devastante di tale condizione riguarda, contrariamente al passato, primariamente Paesi a reddito basso o intermedio. Quando invece la cronicità si afferma nelle nazioni ad economia avanzata, essa interessa in particolare i gruppi vulnerabili o socialmente svantaggiati.
La malnutrizione riguarda tanto le forme carenziali, ovvero deficit di energia e /o nutrienti, quanto in forme per eccesso e/o sbilanciamento di intake, che esita in sovrappeso, obesità e altre patologie croniche alimento-correlate. Essa non risparmia nessuno, accanendosi verso i gruppi sociali più fragili: 150 milioni di bambini nel mondo soffrono di arresto della crescita causato da sottoalimentazione, 38 milioni sono i bimbi sotto i cinque anni di età in sovrappeso, e ambedue tali popolazioni sono a maggior rischio di sviluppo di una patologia cronica in età adulta. Sul fronte anziani, circa l’83% è a rischio di malnutrizione, e quando istituzionalizzati dal 20 al 39% risultano francamente malnutriti e dal 47 al 62% a rischio di malnutrizione.
Nonostante un’apparente opposizione agli estremi – difetto vs eccesso, sottopeso vs sovrappeso - tutte le forme di malnutrizione sono accomunate da comportamenti alimentari non appropriati e da bassa qualità dietetica, solo in minima parte sono diretta responsabilità dei singoli cittadini consumatori.
L’ambiente sociale rappresenta, storicamente, una fortissima determinante nell’alimentazione dei popoli perché si lega inestrinsecabilmente a uno dei “valori” fondamentali delle società passate e odierne: il potere e la sua gestione. Nell’attuale assetto sociale, infatti, il significato del cibo è solo marginalmente quello di sfamare/sfamarsi: siamo “affamati di cibo” anche a pancia piena, desideriamo mangiare non per nutrirci e adempiere alle funzioni principali della vita di tutti i giorni, bensì assai più spesso per semplice concupiscenza e ricerca di piacere.
Il passaggio di significato dal cibo come sopravvivenza a cibo come merce di scarso valore etico trova i suoi antesignani in molti fatti, aneddoti e personaggi della storia antica e recente: il controllo del cibo è stata la prima causa di emarginazione sociale, e ha condotto all’attuale prospettiva di massificazione della produzione, secondo una logica di basso costo ma alto (o altissimo) profitto.
Al termine del secondo conflitto mondiale, per ragioni sostanzialmente economiche (produzione di cibo come spinta propulsiva di lavoro e ricchezze nazionali minate dalla guerra), quello che era “per pochi” diviene “tanto per molti”, ovvero una espansione e diffusione universale degli spazi commerciali alimentari, secondo logiche di non sempre garantita qualità offerta e basso ricavo sul singolo “pezzo”. Logica conseguenza di tale cambiamento di prospettiva, è che gli enormi profitti del mercato alimentare si generano solo a prezzo di enormi vendite di derrate, con una proiezione diretta all’ipersfruttamento di terra, acqua e suolo e spreco di circa un terzo dell’intera produzione generata. Si genera quindi un perfetto approccio loss-loss: denaro, energia e forza lavoro per produrre cibo, e altrettanto o quasi spreco di risorse economiche, umane e materiali per gettarlo. Perdono (quasi) tutti, e vincono pochissimi. Quei pochissimi che non sono né produttori, né consumatori ma, molto semplicemente, distributori di cibo in ogni parte del mondo. Ovvero, la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), effetto diretto e promanazione di un ambiente sociale fortemente trasformato e “omogeneizzato” – dal punto di vista dell’offerta – a livello universale. Quello che Ian Grievink già descriveva nel 2003, è ancor più vero e attuale nel 2019: a fronte di un esercito di produttori primari e di una moltitudine di consumatori, il filo rosso del potere e della decisione finale su ciò che la gente dovrà mangiare è in mano a pochi, enormi, distributori.
Ora, il problema sembra essere lo sviluppo demografico e gli attesi nove miliardi di persone che popoleranno il pianeta nel 2050, con un evidente rischio fame per una comunità mondiale così numerosa. Ma solo assai recentemente la paura della fame e il bisogno alimentare è stato contenuto o eliminato in molte nazioni: solo dopo il 1945 grandi eventi di massa, rivoluzioni e sviluppo industriale hanno creato nuovi ceti sociali e una ricchezza e abbondanza diffusa quantomeno alle nuove professioni – la cosiddetta nuova classe media. E qui cambia l’ambiente psicologico – dopo la trasformazione di quello sociale – in una parte rilevante della nuova società civile: la classe media, lentamente ma inesorabilmente, soddisfatti i bisogni basilari, inizierà a pretendere, scimmiottando le classi di potere, una buona dose di beni (anche alimentari) di consumo. Col tempo, e con una maggiore offerta di lavoro e l’avvento di mezzi produttivi e di comunicazione, anche il popolo minuto tenta di affrancarsi dal lavoro e dalla carenza di cibo, dando una spinta alla crescita globale. A cerchi concentrici, dunque, cambiano parallelamente, dilatandosi, le regole non scritte dell’alimentazione, i sistemi distributivi, le occasioni e le modalità di consumo, l’impatto emotivo del cibo verso le persone, le famiglie, le collettività più o meno allargate.
L’ambiente sociale si trasforma in linea con un diverso assetto urbano e suburbano: i templi della distribuzione e vendita di cibo necessitano e pretendono spazi distanti dalla comunità civile, in barba alla coesione sociale; grandi ipermercati si collocano alla periferia degli aggregati urbani, con viabilità dedicata, grandi metrature, spazi commerciali che si diversificano per massimizzare le dinamiche di acquisto anche ai generi extraalimentari.
Cambia, di conseguenza, l’ambiente psicologico del consumatore medio: occorre l’autovettura, non esiste più una rete sociale di rapporti di vicinato in cui l’acquisto basico era quotidiano, scelto giorno per giorno e – altrettanto conseguentemente – facilmente pianificabile con ottimizzazione dell’efficienza e spreco praticamente nullo; si concentra la spesa in un giorno settimanale, generalmente di fretta, con poca possibilità di prevedere i consumi dell’intero arco di sette giorni, la tendenza all’iperacquisto ingenerata dall’iperofferta, e la totale solitudine del consumatore in mezzo alla folla dell’ipermercato: a meno di non incontrare un amico o un familiare, silenzio assoluto e nessun contatto con nessuno dall’ingresso alla cassa, bypassata ormai dai meccanismi automatici del pagamento fai-da-te. È il villaggio globale applicato al cibo: tutti uguali di fronte al mercato. L’omogeneizzazione alimentare partorisce però anche i suoi estremi. L’ambiente sociale è una società aperta, anche ai contrasti: nasce così l’esigenza contrapposta di chi vuole salvare il localismo, il km zero, lo slowfood, i vegani, i vegetariani o i restauratori delle buone usanze di una volta – che non sempre lo erano davvero! – e chi invece cerca di sviluppare al meglio le opportunità della tecnologia e della scienza e le sue applicazioni alla materia alimentare. Le conseguenze di una o dell’altra scuola cozzano spesso con l’aspetto pratico e la realtà degli attori in gioco è comunque una volontà (più o meno buona, più o meno giusta) di agire sull’ambiente economico, ovvero ricavare profitto. Resta il dubbio amletico se esista un limite etico al profitto, soprattutto su commodities che non sono beni di lusso ma necessità imprescindibili per vivere.
Ambiente sociale e ambiente psicologico, alla fine, non aiutano ad ottenere quello per cui un operatore di sanità pubblica dovrebbe lavorare: una logica dietetica del buono, del giusto e del pulito per tutti i cittadini consumatori.
Il cambiamento dell’ambiente sociale si ripercuote infine sull’abbandono delle campagne perché non più adatte a garantire la sopravvivenza attesa, quella propria e pubblicizzata dalla società dei consumi. Il cibo, oramai modificato nel suo aspetto, gusto, sapore, tossicità e storia vive un momento di squilibrio tra il necessario e il superfluo, perdendo identità e proprio la sua caratteristica di “necessario”, diventando merce. E l’altro paradosso di tale assetto civile è che la società dei consumi, che ha voluto e creato un modello siffatto, si interroga oggi sulla comunicazione, sul Social, sulla necessità di fare green economy e sostenibilità. Ora i ricchi pretendono il cibo dei poveri (un esempio per tutti: il farro), dando in cambio un cibo massificato a basso costo con alto profitto.
Alla fine: il controllo del cibo continua a fare la sua parte nei giochi di potere, e non più per ragioni di sopravvivenza o qualità della vita, ma per un potere alimentare che si automantiene espandendosi a tutte le latitudini e concentrandosi in poche, enormi catene: Società per azioni, dove il fine primario non è far mangiare la comunità civile, ma fare l’interesse degli azionisti.
Il cibo perfetto, allora, diventa una cosa “altra” – e aliena – rispetto al buono, giusto e pulito della tradizione. La desiderabilità sociale, unitamente all’ambiente modificato, produce un orientamento delle scelte che riguarda aspetti fino a pochi decenni or sono assolutamente marginali: gusto, olfatto, vista, sensibilità del cavo orale. Se predominano sensi ed emozionalità, il cibo perfetto richiede zucchero, meglio se semplice, grasso per sapore e sale per sapidità. Si ribalta in negativo il concetto di salubrità alimentare e il cibo perfetto diventa diretta generazione di cronicità.
Il diritto al cibo, in uno scenario di questo tipo, è di fatto negato: se infatti esso può essere descritto e sostanziato come un diritto inclusivo, che va oltre la semplice razione calorica e di nutrienti minima, ma si allarga a comprendere tutti gli elementi nutrizionali di cui una persona necessita per vivere una vita attiva e in salute, l’ambiente sociale lo nega quasi esplicitamente a molti; se è un diritto umano, e come tale interdipendente, interrelato e indivisibile rispetto agli altri diritti umani (salute, istruzione, vita, acqua, abitazione, informazione…) e non negoziabile, l’ambiente psicologico ed economico fanno la stessa cosa sui singoli cittadini e sulle famiglie di consumatori.
Il dibattito sulla sostenibilità, dunque, che dall’evento milanese EXPO (2015) in poi è diventato una sorta di mantra, o di moda, in bocca a molti liberi e meno liberi pensatori, dovrebbe riconsiderare il framework culturale, filosofico e strutturale che l’uomo ha volutamente creato, prima ancora di affrontare possibili soluzioni ai problemi generati da malnutrizione e conseguenti cronicità.
Come uscire, allora, da questa perversa spirale al basso che orienta e trascina il mondo intero nella cronicità a concausa alimentare? Innanzi tutto, fondamentale è stabilire i livelli di governo complessivo del sistema alimentare e conseguentemente declinarne i confini e le possibili azioni da intraprendere.
A livello macro si colloca sicuramente la GDO, che rappresenta i veri stakeholder globali; a livello meso la politica, in tutti i suoi attori, dal contesto internazionale a quello europeo, dal contesto nazionale a quelli regionale e locale: un potere decisionale comunque più limitato della GDO, ma in grado di fissare regole e porre paletti allo strapotere del governo privato della catena alimentare; a livello micro, infine, si pone il singolo consumatore e le associazioni di consumatori, che comunque possono e debbono esercitare un impatto dal basso, qualora sviluppino competenze da consum-attori: in questo senso, dovremmo guardare con maggior entusiasmo – anche in termini di ricerca e sperimentazione di interventi finalizzati all’empowerment – le possibili competenze, già in essere o da favorire e formare, di Food e Nutrition Literacy.
Le azioni da intraprendere ai tre livelli decisionali dovrebbero comunque condividere il “rumore di fondo” dei valori fondanti etici, sociali ed economici: una diversa concezione della qualità del cibo; una diversa etica del lavoro; una diversa relazione tra gli attori coinvolti che preveda rispetto reciproco, conoscenza delle rispettive esigenze, trasparenza, reciprocità; una diversa concezione del valore del cibo sostenibile e del suo valore monetario: ovvero pagare il prezzo che è giusto pagare; infine, una diversa e più trasparente conoscenza di ciò che sottende alle pratiche della produzione, trasformazione e distribuzione e di tutto quello che sta dietro alle pratiche del consumo, siano esse mode, miti, modelli o indicazioni medico-scientifiche.
Abstract
Il Global Action Plan for the Prevention and Control of NCDs (Non Communicable Diseases) 2013-2020 OMS, si propone di ridurre morbosità e mortalità delle malattie croniche tramite un approccio che tenga conto della necessità di equità, promuovendo azioni nelle diverse fasi della vita (life-course approach), azioni multisettoriali e che coinvolgano i singoli individui e le comunità.
Tra gli obiettivi di questo piano vi è la riduzione dei fattori di rischio modificabili, oltre a fumo di tabacco, abuso di alcool ed inattività fisica, la dieta sana occupa un posto di assoluto rilievo.
Il modello alimentare universalmente riconosciuto come ottimale per il mantenimento della salute e la prevenzione delle malattie croniche è quello mediterraneo basata su cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, prodotti della pesca e olio vergine di oliva come alimenti prevalenti. Negli ultimi 50 anni si è avuto un graduale abbandono della dieta mediterranea a favore di stili alimentari meno salutari : sono diminuiti i consumi di cereali minori, di riso e legumi secchi, di alcuni ortaggi mentre è aumentato il consumo di grassi, carni e dolci e del consumo calorico complessivo non compensato da un’adeguata attività fisica.
Da qui la necessità di attivare azioni utili a favorire il recupero dell’adesione allo stile alimentare e di vita mediterraneo, da cui la popolazione italiana si è allontanata, paradossalmente in modo più evidente nella Regioni meridionali, che ne sono state la culla, come ben testimoniano gli insufficienti consumi di frutta e verdura registrati per adulti e bambini dalle sorveglianze Passi ed Okkio alla salute.
Le agenzie sanitarie ed educative nazionali ed internazionali concordano nel riconoscere che la ristorazione scolastica costituisce un contesto fondamentale per promuovere un’alimentazione salutare (favorire il consumo delle porzioni raccomandate di frutta/verdura, l’apporto equilibrato dei diversi componenti nutrizionali ridurre il consumo di grassi, zuccheri e sale ) strategica per contrastare l’“epidemia di obesità” e le malattie croniche non trasmissibili (malattie cardiovascolari, tumori, malattie metaboliche) principali cause di morte prematura e anni di vita vissuti in cattiva salute.
L’offerta alimentare in ambito scolastico è un importante determinante di salute che influenza le scelte alimentari e l’adozione di sane abitudini alimentari nei bambini e nei ragazzi, in particolare in termini di risultati durevoli.Il miglioramento all’accesso a sani alimenti nella scuola contribuisce a ridurre le iniquità sociali, consentendo a bambini e adolescenti con poche risorse economiche di migliorare lo stile alimentare.
A partire dal 2005, nei Piani Regionali della Prevenzione dell’Emilia-Romagna sono presenti indicazioni e strategie che mirano alla valorizzazione dell’ambiente scolastico nella promozione della salute. I Servizi Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN), attraverso diverse professionalità, si sono impegnati in un importante azione di stimolo per favorire l’implementazione di progetti educativo-formativi nel campo della sana alimentazione e della promozione della salute in ambito scolastico e supportano le pubbliche amministrazioni nella predisposizione dei capitolati d’appalto per la ristorazione scolastica e per le altre offerte alimentari nella scuola.
Ai SIAN, in particolare, il compito di verificare l’adesione agli “Standard nutrizionali”stabiliti con DGR 418/2012 inerente le “Linee guida per l’offerta di alimenti e bevande salutari nelle Scuole e strumenti per la sua valutazione e controllo ”.
Nel 2015, nell’arco di un triennio, nelle mense delle 660 scuole servite da ristorazione scolastica nel territorio dell’AUSL di Bologna si è ottenuta l’adesione totale (100%) dei menù scolastici alle linee guida Regione Emilia Romagna. I più significativi miglioramenti ottenuti riguardano l’aumento della frequenza dei legumi, la varietà dei cereali, la riduzione della frequenza dei salumi ottenendo quindi l’avvicinamento al modello alimentare di tipo mediterraneo.
L’accostamento della piramide alimentare, secondo il modello mediterraneo, alla piramide ambientale, costruita misurando l’impatto ambientale dei cibi presenti nella piramide alimentare, mette in evidenza che gli alimenti di cui è consigliato un consumo più alto (frutta, verdure e cereali) sono anche quelli che hanno un impatto ambientale minore. Al contrario, gli alimenti di cui i nutrizionisti consigliano un basso consumo (dolci, carne rossa e formaggi) sono anche quelli che impattano di più sull’ambiente. Secondo uno studio commissionato dalla UE (2013) se i cittadini europei riducessero le calorie in eccesso e mangiassero le porzioni raccomandate di frutta e verdura si potrebbe ottenere una riduzione delle emissione di CO2 sino a 200 milioni di tonnellate.
Pertanto l’adesione al modello alimentare di tipo mediterraneo fa bene alla salute delle persone ma anche all’ambiente. Ed è proprio dall’attenzione alle ricadute ambientali dell’alimentazione, oltre che alla salute, che si è mosso l’intervento realizzato nella comunità scolastica della città di Bologna, complice la particolare attenzione delle componenti (rappresentanti Comune, Scuola, Genitori, Gestore Ristorazione, SIAN dell’ASL) della Commissione della Refezione scolastica del Comune di Bologna al tema ambientale e dei rifiuti.
Si è cominciato con rinuncia a piatti e posate di plastica inizialmente sperimentando, in contesti particolarmente motivati, la possibilità di portare i piatti da casa, sino ad arrivare nell’arco di un quinquennio, alla sostituzione totale delle stoviglie a perdere con quelle in ceramica.
Contemporaneamente nelle scuole di Bologna il recupero di pane e frutta avanzati da consumare come merenda o da donare agli enti benefici che è diventato da oltre un decennio occasione per prendere coscienza del problema dello spreco nella ristorazione scolastica, inserito nel percorso di educazione alimentare curriculare.
Il coinvolgimento, nel 2015, della comunità scolastica di uno dei quartieri della città in un progetto di comunità (alla Salute! Cittadini imprenditori di qualità della vita!) è stata occasione per sperimentare la progettazione partecipata e la realizzazione del progetto “ Assaggia ed osserva per il consumo consapevole nella scuola” che ha visto l’attiva collaborazione fra asse sanitario (SIAN l’Azienda USL di Bologna), asse educativo (Scuola, Università) e asse sociale (genitori delle classi coinvolte, ditta di ristorazione scolastica e l’amministrazione locale).
Il progetto ha consentito di verificare i consumi della mensa scolastica e il gradimento delle diverse preparazioni da parte degli alunni, favorendo negli stessi una maggiore consapevolezza sul cibo consumato/scartato anche in relazione al consumo della prima colazione e dello spuntino di metà mattina.
I diversi protagonisti (educatori, ragazzi, genitori, ristorazione scolastica, ente locale ed ASL) hanno toccato con mano i fattori che condizionano gradimento e scarti della ristorazione scolastica e si è stabilito di inserire il tema dello spreco quale parte integrante di un nuovo capitolato per la gestione della Refezione scolastica del Comune di Bologna (19.000 pasti giornalieri).
Si è, altresì, deciso di proseguire con la progettazione partecipata per tutte le scuole del Comune di Bologna: si è attivato un progetto teso a favorire il consumo di spuntini adeguati attraverso l’offerta sistematica di frutta come spuntino ed è stato attivato un sistema di monitoraggio degli scarti utile a orientare gli interventi di educazione alimentare e l’offerta della ristorazione scolastica sempre più impegnata a conciliare menù salutari e gradimento degli utenti. In tal modo si sono anticipati gli interventi previsti dalle “Linee di indirizzo rivolte agli enti gestori di mense scolastiche… per prevenire/ridurre spreco connesso alla somministrazione degli alimenti” (LEGGE 19 agosto 2016 n. 166).
L’analisi dello spreco in un campione rappresentativo di refettori scolastici di Bologna (AASS 2016/17 e 2017/18) ha interessato:
15 scuole, 3.000 alunni e 130 insegnanti coinvolti (23% totale pasti);
3 periodi di rilevazione all’anno (2 menu invernali, 1 estivo) per ogni scuola;
5 settimane per ogni periodo di rilevazione (rotazione completa del menù).
Ogni anno sono state rilevate 1.125 giornate complessive e circa 3.375 portate.
Ogni giorno venivano pesati per ogni portata (primo, secondo, contorno) il cibo non distribuito ed il cibo scartato raccolto in contenitori differenziati per ogni portata.
Il valore dello scarto rilevato si attesta mediamente sul 34 % in peso dei pasti serviti con valori che poco si discostano da quelli rilevati in altre indagini simili realizzate in Italia (23% Trentino salute, 35,8% INRAN Roma, 29,5% MATTman Progetto Reduce ). Rilevante la differenza dello scarto per le diverse portate: maggiormente scartati i contorni (55% vs 28% dei primi piatti) ma a fine del periodo di osservazione si è registrata una riduzione del 7% dello scarto dei contorni.
Di particolare interesse è la differenza registrata fra scuole simili per composizione/contesto ambientale e rifornite dal medesimo centro pasti dove la quantità complessiva di pasti non consumati varia dal 25 al 44%.
Fanno la differenza:
la partecipazione a progetti educativi per favorire consumo di frutta e verdura (“Melanghiotto” spuntino metà mattina a base di frutta, “Il Primo una questione di secondi” anticipa secondi piatti e contorni) e sul tema dello spreco (Spreco zero);
la partecipazione attiva degli adulti : personale di mensa, insegnanti (incoraggiamento, consumo del pasto insieme);
il coinvolgimento del bambino attraverso il “cooperative learning” metodo didattico in cui piccoli gruppi di studenti lavorano insieme per migliorare reciprocamente il loro apprendimento.
Le modalità di intervento sperimentate nella scuola bolognese appaiono coerenti con la LEGGE 19 agosto 2016, n. 166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi “ che prevede fra i suoi obiettivi di “ contribuire ad attività di ricerca, l’informazione e la sensibilizzazione dei consumatori e delle istituzioni sulle materie della legge, con particolare riferimento alle giovani generazioni”.
Ma l’impegno del Servizi di Prevenzione italiani nei progetti per il recupero di alimenti invenduti, ma ancora commestibili, a favore degli indigenti (legge del “Buon Samaritano” 2003) non è solo recente ed ha visto l’attivo coinvolgimento dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL di Bologna, Verona, Livorno, Udine, Cuneo e molti altri.
Dal 2000 il Servizio di igiene Alimenti e Nutrizione di Bologna segue progetti di recupero degli alimenti invenduti, ancora commestibili, nelle vesti di garante della sicurezza alimentare i SIAN hanno collaborato con Università di Bologna (ideatrice del progetto Last Minute Market ), comuni, produttori e volontariato stabilendo rigorosi criteri di selezione e conservazione, condivisi e fatti propri sia da donatori (imprese alimentari) che da riceventi (enti di assistenza). In occasione della razionalizzazione (2005) del proprio sistema di ristorazione per utenti ospedalieri e dipendenti l’Az. USL di Bologna è entrata a far parte del progetto anche come soggetto “donatore” ottenendo il recupero di alimenti non consumati da destinare a fini di solidarietà.
La Legge del Buon Samaritano 2003 ha dato risultati incoraggianti da valorizzare Il cibo recuperato con buon valore nutrizionale (frutta, verdura, carne, latticini, prodotti da forno…) e ogni giorno ha nutrito migliaia di persone, tanto più importante in momenti di crisi con n. crescente di persone in difficoltà. La Legge GADDA 19 agosto 2016 n. 166 Disposizioni concernenti donazione e distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi, che modifica “Buon Samaritano” ha fatto tesoro di esperienze a cui molti dei Servizi Igiene Alimenti e Nutrizione USL italiane (Bologna, Verona, Ferrara, Livorno, Udine …) hanno collaborato fattivamente!
Tali progetti costituiscono una irrinunciabile occasione per perseguire la prevenzione nella collettività degli squilibri nutrizionali qualitativi e quantitativi, al primo posto fra i fattori di rischio correlati all’ alimentazione.
Garantire alimentazione nutrizionalmente adeguata, oltre che sicura dal punto di vista igienico, è un importante è fattore di protezione, nelle persone in stato di indigenza.
Da qui l’impegno del SIAN a realizzare la formazione a favore degli operatori delle associazioni beneficiare sui temi della sicurezza igienica e nutrizionale che coinvolge da anni le Mense della solidarietà e più recentemente la rete degli Empori Solidali (che coinvolge 5 città della rete metropolitana bolognese e 7 empori luoghi di distribuzione dove famiglie in stato di bisogno con una situazione di fragilità lavorativa, abitativa e sociale possono prendere prodotti alimentari, prodotti per l’igiene della casa e la cura della persona, a titolo gratuito) con l’obiettivo di prevedere interventi di educazione alimentare anche per i fruitori.
Un impegno che dovrà continuare nel tempo per dare il dovuto contributo anche all’attuazione degli l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile ed in particolare gli obiettivi Sustainable Development Goals - SDGs finalizzati a garantire alimentazione sicura, nutrizionalmente adeguata, salutare, equa e sostenibile dal punto di vista ambientale.
Abstract
Il diritto all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale al godimento della vita e di tutti i diritti umani. “Il modo più efficiente di assicurare la qualità di una fornitura di acqua potabile è l’uso di un approccio di risk assessment e risk management che consideri tutte le fasi, dal prelievo alle fonti fino al consumatore”. Questo approccio è noto come Water Safety Plan (piani di sicurezza dell’acqua PSA) e segna il passaggio da una garanzia di qualita’ basata su criteri retrospettivi ad un sistema di prevenzione e controllo dei potenziali rischi di contaminazione dell’acqua.
L’implementazione del PSA consiste in un’analisi del rischio dell’intera filiera idropotabile dall’ambiente in cui ha luogo la captazione, fino al punto in cui l’acqua è erogata all’utenza: la sua finalità è ridurre la possibilità di contaminazione dell’acqua captata dall’ambiente identificando i potenziali pericoli di ordine fisico, biologico e chimico e valutando i rischi ad essi associati e conseguentemente valutando le misure di controllo lungo l’intera filiera anche rispetto a contaminanti emergenti non soggetti a controllo ordinario, come ad esempio i composti perfluoroalchilici (PFAS), e a scenari di vulnerabilità associati ad eventi climatici estremi.
I potenziali impatti attesi dei cambiamenti climatici e le principali vulnerabilità per l’Italia includono un possibile peggioramento delle condizioni già esistenti di forte pressione sulle risorse idriche, con conseguente riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, soprattutto in estate nelle regioni meridionali e nelle piccole isole dove il rapporto tra acquiferi alluvionali e aree montane è basso. Lo stato delle risorse idriche in generale non presenta gravi criticità in termini di disponibilità complessiva di acqua su base annua quanto piuttosto in termini di disomogenea, disponibilità nel tempo e nello spazio e di criticità di efficienza gestionale.
Fondamentale nella valutazione del rischio è la condivisione tra gestori degli acquedotti e organi istituzionali nei vari ambiti di competenza (team multidisciplinari con sanità, ambiente, ricerca…) di informazioni e dati sui pericoli di contaminazione come ad es.: elementi geogenici in contatto con l’acquifero, sversamenti d’inquinanti, scarichi illeciti, presenza di discariche o di siti inquinati aree adibite a poli industriali. La valutazione del rischio è eseguita dal gestore del servizio idrico e si basa sui principi generali stabiliti secondo norme internazionali e/o linee guida nazionali (Linee guida nazionali per la valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plans emanate dall’Istituto Superiore di Sanità).
Il PSA ha dimostrato, anche in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) esistente nel territorio di alcune province del Veneto, la sua importanza in termini di prevenzione, soprattutto sanitaria. L’esposizione della popolazione generale ad acido perfluoroottanoico (PFOA) e acido perfluoroottansolfonico (PFOS), due molecole appartenenti alla classe delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), avviene in massima parte per via alimentare, attraverso il consumo di alimenti e acqua.
Nella relazione finale “Contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto valutazione dell’esposizione alimentare e caratterizzazione del rischio” elaborata dall’ÍSS il PFOA risulta il composto più importante in termini di esposizione e di rischio, specialmente per la popolazione della cosiddetta zona A ovvero di massimo impatto. L’acqua risulta il principale veicolo dell’esposizione, con un contributo inferiore, sebbene non trascurabile, degli alimenti prodotti localmente. I bambini presentano livelli espositivi circa doppi rispetto agli adulti. Gli interventi sulla rete acquedottistica operati dalla Regione del Veneto hanno drasticamente ridotto l’esposizione al PFOA di gran parte della popolazione, e in particolare delle famiglie allacciate alla rete, portandola a livelli analoghi ai valori del resto della popolazione veneta. Permangono, tuttavia, esposizioni elevate al PFOA in alcuni gruppi di popolazione. Specialmente nella zona A, le famiglie che fanno uso di pozzi privati per l’approvvigionamento di acqua potabile presentano livelli espositivi ancora eccedenti il Tolerable Weekly Intake (TWI).
Le attuali conoscenze relative agli effetti dei PFAS sulla salute derivano da studi condotti su animali e da indagini epidemiologiche su lavoratori e popolazioni esposte. I risultati della letteratura scientifica tuttavia non sono sempre concordi nel rilevare l’associazione fra esposizione a PFAS e determinate patologie.
Le principali ricerche sull’uomo sono state condotte negli Stati Uniti, nell’ambito del cosiddetto C8 Health Project, che ha riguardato circa 70.000 persone esposte a PFAS tramite l’acqua potabile in Ohio e in West Virginia. Nel 2012 i ricercatori (C8 Science Panel) hanno concluso, sulla base dei propri risultati, di altri studi presenti nella letteratura scientifica e della revisione dei dati tossicologici, che esiste un’associazione probabile tra esposizione a PFOA e ipercolesterolemia, ipertensione in gravidanza e pre-eclampsia, malattie della tiroide e alterazioni degli ormoni tiroidei, colite ulcerosa, tumore del rene e tumore del testicolo.
È stata rilevata inoltre la possibile associazione con: aumento moderato degli enzimi epatici (ALT e GGT), non associato a malattie del fegato; riduzione della risposta immunitaria alle vaccinazioni; riduzione del peso medio alla nascita.
Bibliografia di riferimento
- Assemblea Generale delle Nazioni Unite Risoluzione A/64/L.63/Rev.1. https://contrattoacqua.it/public/upload/1/2/tab_elms_docs/1329481584risoluzione-assemblea-onu-a_64_l.63_traduz.pdf.
- C8 Probable Link Reports. www.c8sciencepanel.org/prob_link.html.
- Contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto valutazione dell’esposizione alimentare e caratterizzazione del rischio. https://rdv.app.box.com/s/le1x47b1jgzpfvnzsb446e8ku2fgij1y.
- Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. www.minambiente.it/notizie/strategia-nazionale-di-adattamento-ai-cambiamenti-climatici-0.
- Lucentini L, Achene L, Fuscoletti V, et al. Rapporti ISTISAN 14/21. Linee guida per la valutazione e gestione del rischio nella filiera delle acque destinate al consumo umano secondo il modello dei Water Safety Plans. 2014. [Google Scholar]
Abstract
Le radiazioni ionizzanti e l’esposizione agli UVA sono responsabili del 2% dei tumori, l’inquinamento ambientale contribuisce per un altro 2%. Secondo IARC(2011) esiste sufficiente evidenza (assenza di bias/fatt. confondenti) per un relazione causale tra Radon e neoplasia polmonare ed una limitata evidenza (possibili bias/fatt. confondenti) per una relazione causale tra Radon e Leucemia. Inoltre, per la genesi multifattoriale delle neoplasie, altri fattori concorrono ad incrementarne il rischio. Esposizioni ambientali/professionali a: particolato atmosferico, metalli pesanti, asbesto; ma anche abitudini voluttuarie come il fumo, costituiscono fattori aggiuntivi che possono incrementare il rischio di cancro polmonare fino ad oltre il 20% 1.
Si stima che in Italia oltre 3.000 casi l’anno di neoplasie polmonari (10% ca. dei casi totali) siano attribuibili al radon, includendo in essi i soggetti fumatori nei quali l’effetto deterministico è moltiplicato 2.
La dose da radiazioni ionizzanti ai polmoni attribuita al radon è dovuta principalmente ai suoi figli (prodotti di decadimento del 222Rn che termina al raggiungimento dell’elemento stabile non radioattivo 206Pb). Il radon è un gas nobile, quindi poco reattivo, che ha una vita media di circa 5,5 giorni e se inalato non si attacca alle pareti del tratto bronchiale e viene espulso durante la fase di espirazione (durata 2-3 sec). La probabilità che il radon decada in 3 secondi è di circa 0,001 %, (trascurabile). I figli (solo i primi 4), sono invece molto reattivi e hanno una vita media molto più bassa, possono inoltre facilmente attaccarsi alle pareti del tratto bronchiale e decadere rimanendovi attaccati. I figli che si trovano nell’aria che respiriamo, possono trovarsi sotto forma di atomi liberi (frazione libera) o sotto forma di clusters, cioè aggrappati attorno a qualche agente che funziona da vettore (impurità, fumo, particelle presenti nell’aria, molecole di acqua). Le dimensioni di questi clusters dipendono dalle particelle sospese nell’aria.
Com’è noto, la pericolosità degli agenti fisici che respiriamo dipende non solo dall’agente fisico inquinante, ma anche dalle sue dimensioni, in quanto man mano che le sue dimensioni diminuiscono riescono con più facilità a superare le barriere del tratto respiratorio (PM 10, PM 2,5 ecc.).
La frazione libera dei figli (“unattached” o “free” pari al 5-20%), che hanno le dimensioni dell’atomo, riesce a superare tutte le barrire del tratto respiratorio e può entrare in circolo. Da quanto detto si comprende che la valutazione della dose assorbita da una persona che si trova in un ambiente in cui vi è radon non dipende solo dalla sua concentrazione, ma anche dalle condizioni fisiche dell’aria, dalle dimensioni del particolato presente, dalla presenza di pareti, dalle suppellettili, dal numero delle persone presenti, dal movimento che si crea nella stanza, etc. Questo perché la dose è principalmente dovuta ai figli che essendo reattivi aderiscono dappertutto (impurità dell’aria, pareti della stanza, suppellettili) e possono anche essere rimossi per ritornare a essere sospesi nell’aria che respiriamo. Le suddette considerazioni, fatte proprie dall’ICRP 115 del 2010, e i nuovi studi epidemiologici hanno portato a quasi raddoppiare il rischio dovuto all’esposizione al radon rispetto a quello finora accettato (anche nel D.Lgs 241/2000) e riportato nel vecchio ICRP 65. La tendenza sarà dunque quella di rivedere al ribasso il limite raccomandato e di disporre misurazioni e approcci più rivolti alla condizione fisica dei figli 3.
Nonostante gli effetti dannosi del Radon fossero noti già dal secolo XVI (anche se in maniera indiretta), una valutazione del fenomeno nelle abitazioni in Italia è stata effettuata negli anni ’90 dal gruppo di Bochicchio. Il D.lgs. 241/2000 è ancora l’unica norma nazionale di riferimento che identifica e classifica le situazioni lavorative nelle quali si può verificare il rischio da radon (art. 10 bis). Mentre a livello regionale solo il Lazio, la Puglia e la Campania hanno emanato norme in materia di protezione da radon in ambiente confinato. Infine, per quanto riguarda le concentrazioni di Radon nell’acqua destinata al consumo umano, il D.lgs. 28 del 15 febbraio 2016 ha recepito la Direttiva Euratom 51/2013 del 22-10-2013 che fissa in 100 Bq/l il valore di parametro per il radon.
La prima indagine nazionale sulla radioattività naturale nelle abitazioni (1989-1997), effettuata dal gruppo di Bochicchio, ha stimato che la concentrazione media di radon in Italia in 75 Bq/m3 con concentrazioni medie massime in Lombardia e Lazio tra 100 e 120 Bq/m3. La Direttiva CE/1990, mai recepita a livello legislativo in Italia e ormai superata, raccomandava valori di riferimento: 400 Bq/m3 negli edifici già esistenti, 200 Bq/m3negli edifici nuovi. Nel 2002 è stato emanato il Piano Nazionale Radon, nel 2009 l’OMS pubblica Handbook on Indoor Radon. A Public Health Perspective. La Direttiva 2013/59/EURATOM, oltre a prevedere il costante aggiornamento del Piano Nazionale Radon, stabilisce norme di sicurezza per la protezione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, includendo prescrizioni per la protezione dal radon sia nei luoghi di lavoro sia nelle abitazioni (concentrazione media annua non > 300 Bq/m3). Questa direttiva doveva essere recepita entro il 6 febbraio 2018 ma a tutt’oggi è ancora aperto il tavolo di concertazione tra tutti gli Enti interessati.
Dopo la prima indagine nazionale, molte Regioni hanno condotto campagne di misurazione del radon sia a livello regionale che sub-regionale con l’intento di effettuare una mappatura delle cosiddette “radon prone areas” (aree ad alto rischio di radon indoor) senza tuttavia pervenire a determinare le stesse.
Dal confronto dei valori ottenuti nella prima indagine nazionale con quelli risultanti dalle successive campagne regionali/provinciali, si evince che le aree maggiormente interessate sono differenti ed in particolare le Provincie autonome di Bolzano e Trento e la Regione Friuli Venezia Giulia precedono il Lazio e la Lombardia. Altre indagini condotte a livello regionale inseriscono anche la Puglia tra le regioni con più alta concentrazione di radon. Inoltre tutte le Regioni e Provincie Autonome che hanno misurato le loro concentrazioni hanno fatto registrare un aumento dei valori medi di concentrazione (fino ad oltre il 50%) con conseguente incremento della concentrazione media nazionale. Non è stato indagato il motivo di tale incremento.
In alcune circostanze, sono stati condotti studi pilota al fine di indagare le cause di un eccesso di neoplasie polmonare. È quanto avvenuto per valutazione dei fattori di rischio per tumore polmonare nella popolazione residente in provincia di Lecce dove i dati del Registro tumori di Lecce (accreditato AIRTUM) e dell’ISS (indagine sui cluster d’incidenza e mortalità) individuano un eccesso di casi osservati rispetto agli attesi. Nello specifico, i dati emersi dal Registro Tumori della ASL di Lecce (accreditato AIRTUM), evidenziano come l’incidenza delle neoplasie polmonari nella popolazione maschile negli anni tra il 2003 e il 2006 sia superiore all’atteso (Tasso d’incidenza per 100.000 abitanti standardizzato sulla popolazione europea: 87.6 contro un TDI 2006-2008 del nord Italia 72.9 e Sud Italia 63.8). Questo progetto, condotto da ARPA ed ASL Lecce, avviato nel 2014, si è sviluppato in due fasi coinvolgendo complessivamente 400 abitazioni in 20 comuni della provincia. I primi risultati hanno evidenziato una concentrazione media annua di radon più elevata nei Comuni con rapporto standardizzato di incidenza per tumore polmonare (SIR) > 100 rispetto ai Comuni con SIR<100 (142 Bq/m3 vs. 135 Bq/m3) ed numero di abitazioni con valore medio superiore al livello di riferimento di 300 Bq/m3 lievemente superiore nei Comuni con SIR >100 (13 ab. vs 11).
Per quanto riguarda il Radon nell’acqua, la sua affinità (misurata come coefficiente di ripartizione) verso l’acqua è scarsa, tende quindi a desorbirsi piuttosto rapidamente, inoltre ha un breve tempo di dimezzamento fisico (3,82 giorni); in quanto gas inerte, si può muovere liberamente attraverso materiali porosi come il terreno o i frammenti di roccia. Quando i pori sono saturi d’acqua, come nel caso del terreno e delle rocce sotto il livello della falda freatica, il radon si dissolve nell’acqua e viene da essa trasportato. L’adsorbimento del radon in acqua è un fenomeno reversibile, il suo facile desorbimento spiega perché la sua presenza è maggiore nelle acque di falda rispetto a quelle superficiali. Inoltre trattamenti e manipolazioni dell’acqua effettuate per migliorarne la qualità ne abbattono le concentrazioni. A ciò concorre il suo breve tempo di dimezzamento fisico. La facilità di desorbimento fa sì che il radon disciolto nell’acqua, utilizzata per usi domestici, possa contribuire all’aumento di concentrazione del radon indoor (indipendente dall’ubicazione dei locali).
Il coefficiente di trasferimento dall’acqua all’ambiente domestico, in condizioni di uso normale, è stato valutato essere dell’ordine di 10-4 (concentrazione di 222Rn in acqua di 10 Bq/kg provoca un aumento di 1 Bq/m3 della concentrazione in aria).
Nel 2014 è stato emanato il documento “Task 01.02.01 Linee guida per la pianificazione delle campagne di misura della radioattività nelle acque potabili” 4 redatto nell’ambito delle Convenzioni tra ISPRA e ARPA, APPA, l’ENEA-INMRI, CRI, ISS. Senza entrare nel merito della complessa materia della radioattività nelle acque potabili, si evidenzia che la Direttiva Europea 51/2013 prevede che i controlli sul radon devono essere effettuati sulle acque di origine sotterranea e devono essere accompagnati dalla conoscenza delle caratteristiche idrogeologiche, della radioattività delle rocce e del tipo di pozzo. Inoltre, i controlli dovrebbero di norma essere effettuati nel punto in cui le acque fuoriescono dai rubinetti normalmente utilizzati. Nel complesso la situazione in Italia sul monitoraggio della radioattività nelle acque, ancorché disomogenea, appare confortante poiché solo in 3 ARPA/APPA la rete dei controlli non è stata attivata. È tuttavia da evidenziare che il Radon è determinato in modo sistematico solo in 4 Regioni. Inoltre in molte delle campagne di misurazioni estese sono state effettuate sull’acqua prima dell’immissione in rete e ciò, per quanto detto, inficia la rappresentatività del superamento del valore limite di 100 Bq/l molto spesso rilevato.
Nella provincia di Lecce verrà avviata una campagna di misurazioni dell’acqua in diversi pozzi con una metodica innovativa molto semplice realizzata dal Laboratorio RADONGAS di Copertino (LE) che detiene il relativo Brevetto Europeo No.EP2307912. Il suddetto brevetto permette di misurare la concentrazione di radon inserendo in una bottiglia d’acqua appena prelevata un dosimetro a tracce come quello utilizzato per le misure in aria. Dopo due giorni di esposizione in dosimetro viene fatto recapitare al laboratorio che provvederà alla lettura. La suddetta tecnica è stata utilizzata anche per una campagna nazionale in Canada (Ref. Radiation Dosimetry, 2017). Inoltre sempre in Provincia di Lecce è programmata un’attività di Educazione alla Salute nelle Scuole Secondarie di Secondo Grado in cui gli studenti parteciperanno attivamente alle misurazioni del radon ed alla lettura dei risultati utilizzando metodiche come quella precedentemente descritta che, pur essendo di semplice esecuzione, garantiscono un risultato affidabile.
CONCLUSIONI
Il radon rappresenta un fattore di rischio certo e non trascurabile per le neoplasie polmonari; le sue possibili correlazioni con leucemie, neoplasia dello stomaco o altre possibili legami in relazione alla sua veicolazione ematogena attraverso nanoparticelle sono ancora incerti; è necessario un impulso all’emanazione di atti normativi che regolamentino in maniera chiara i limiti negli ambienti confinati soprattutto residenziali e stabiliscano gli interventi di prevenzione da adottare; l’obiettivo che le tre regioni che hanno approvato la legge regionale radon, e tutte le altre che seguiranno, è quello di approfittare delle campagne di misure avviate per elaborare una carta regionale radon che individui le zone e le rocce più interessate al fenomeno sulla base di misure passive da effettuare direttamente nel terreno. In particolare i comuni che dovranno effettuare le misurazioni nei loro edifici potrebbero commissionare misure nei terreni di proprietà comunale e correlare queste misure con quelle all’interno degli edifici. Questo al fine di dare precise indicazioni sui nuovi piani regolatori o informazioni utili a chi ha intenzione di edificare. È inoltre necessaria una sinergia operativa inter-istituzionale (ASL, ARPA/APPA, MIUR, INAIL) per promuovere la conoscenza del rischio ed una sistematica attività di misurazione per una mappatura quanto più completa possibile. Occorre agire per incentivare le bonifiche degli ambienti ad alta concentrazione di radon e favorire l’adozione di misure di prevenzione in fase di costruzione, così come peraltro già auspicato dal Decalogo SItI per una casa sana e sicura.
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Abstract
CARENZA IDRICA E RIUTILIZZO DELLE ACQUE
La disponibilità di acqua di buona qualità ed in quantità sufficiente per tutti è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che prevede di ridurre al minimo il rilascio di sostanze chimiche e materiali pericolosi, di dimezzare la percentuale di acque reflue non trattate e di aumentare il riutilizzo in sicurezza a livello globale.
La scarsità idrica rappresenta infatti una delle più importanti emergenze globali secondo il World Economic Forum Global Risk Report (2015), che stima un deficit del 40% nell’approvvigionamento per il 2030 se non si effettueranno idonei cambiamenti. In effetti, mentre la domanda di acqua è sempre maggiore, la sua disponibilità sta diminuendo, anche a causa dei cambiamenti climatici che provocano prolungati periodi di siccità. L’Italia si posiziona nel gruppo dei paesi ad alto stress idrico (40-80%), con grandi differenze tra il Nord (stress basso) ed il Centro-Sud (stress molto alto) ed è il secondo paese europeo, dopo la Spagna, per volume di acque riutilizzate con 233 Mm3/anno, che si prevede arriveranno a 497 nel 2025.
La sostenibilità della risorsa idrica è largamente dipendente dal razionale uso dell’acqua e dal suo riutilizzo, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’economia circolare in quanto fornisce una fonte idrica aggiuntiva non dipendente dalla meteorologia, aiutando a preservare la qualità delle fonti naturali.
Fra gli usi dell’acqua di scarico trattata predominano in termini quantitativi quello agricolo (in Italia il 60%, per irrigazione) e quello industriale, (25%, per processi, raffreddamento, lavaggi, produzione di energia), ma è importante ricordare anche quello urbano (15%, per sistemi antincendio, lavaggio strade, irrigazione parchi), quello ambientale (ripristino delle aree umide) e quello potabile, sia come consumo diretto che attraverso la ricarica delle falde, applicato in aree che non hanno disponibilità sufficiente di fonti alternative 1.
Anche se il riuso è ormai ritenuto indispensabile, la sua applicazione è ancora insufficiente a causa di barriere di carattere normativo, tecnologico, economico e sociale 2. Fra queste i rischi per l’uomo e per l’ambiente sono i più rilevanti poiché possono ostacolare i benefici del riuso: la disponibilità di acqua deve essere vista in un’ottica non solo meramente quantitativa, ma anche qualitativa per gli impatti che essa può avere sulla salute degli ecosistemi e dell’uomo. La qualità dell’acqua di riuso rappresenta anche una barriera all’accettazione sociale di tale pratica: indagini condotte in vari paesi hanno infatti mostrato una grande diffidenza nei confronti del riutilizzo, soprattutto a scopo potabile, ma anche irriguo ed urbano: per superarla è necessario un’importante sforzo comunicativo, ma soprattutto la garanzia che l’acqua riciclata abbia una qualità non inferiore a quella derivante dalle fonti naturali 3.
PERICOLI PER LA SALUTE E L’AMBIENTE
I reflui di origine civile contengono un’ampia varietà di contaminanti microbici e chimici che, raccolti dal sistema fognario, si concentrano a livello degli impianti di depurazione: la pericolosità di tali inquinanti dipende non solo dai loro effetti patogeni, ma anche dalla loro resistenza ai trattamenti e persistenza ambientale.
Fino ad oggi i pericoli più noti associati al riutilizzo di reflui civili, sono stati quelli di tipo infettivo (gastroenteriti, epatiti, infezioni respiratorie) ed hanno riguardato il consumo dei prodotti irrigati e l’esposizione lavorativa (per contatto o aerosol).
I microrganismi patogeni di provenienza enterica (virus, batteri, protozoi e uova di elminti) sono presenti nei liquami urbani in concentrazioni anche molto elevate, dell’ordine di 108-1010 per L e sono ridotti dai trattamenti convenzionali di non più di 3 Log10. Tuttavia, evidenze epidemiologiche e studi di risk assessment (QMRA) dimostrano la necessità di usare acque di buona qualità microbiologica per l’irrigazione di prodotti da consumare crudi 2,4 ed a tal fine l’efficienza richiesta dai trattamenti dovrebbe raggiungere i 5-6 Log10. Inoltre fino ad ora nella stima dei valori accettabili non si è tenuto conto della dimostrata internalizzazione di batteri e virus per assorbimento radicale, che renderebbe inefficace il lavaggio dei prodotti 5.
Se invece i reflui depurati vengono utilizzati a scopo industriale il rischio maggiore per l’uomo è rappresentato dall’esposizione dei lavoratori al bioaerosol (ad es. contaminato da legionelle) prodotto nei processi di raffreddamento e che può estendersi alle popolazioni limitrofe agli impianti, in particolari condizioni. Sebbene tale pericolo non sia da escludere qualunque sia il tipo di acque usate per il raffreddamento, quelle di riuso, per il loro maggiore contenuto in flora microbica e nutrienti, sono particolarmente a rischio.
Per quanto riguarda i pericoli di natura chimica da riutilizzo dei reflui, l’interesse è in continuo aumento, anche se in molti casi le conoscenze necessarie per valutarne il rischio sono ancora insufficienti. I potenziali effetti nocivi sulla salute riguardano soprattutto patologie cronico degenerative (in particolare tumori e malattie neurologiche), ma anche effetti sulla fertilità, sul feto e sul sistema endocrino. La via di esposizione principale sarebbe rappresentata dall’ingestione dei prodotti irrigati o di acqua contaminata. Infatti nei liquami si ritrova un’enorme varietà di sostanze potenzialmente dannose: a quelle normalmente derivanti dai processi depurativi, in particolare nutrienti (nitrati, fosfati ecc.) responsabili di problemi ambientali come l’eutrofizzazione, si affiancano le sostanze tossiche, fra cui i metalli pesanti ed i cosiddetti “Compounds of Emerging Concern” (CECs) che comprendono residui di farmaci ed antibiotici, pesticidi, prodotti di uso casalingo e per la cura personale, ormoni naturali e sintetici e composti di origine industriale (ritardanti di fiamma, plastificanti, additivi alimentari ecc.). Tali sostanze sono presenti in concentrazioni dell’ordine dei micro o nanogrammi per litro di liquame, anche adsorbite a micro e nanoparticelle (ad es. microplastiche), in miscele complesse e diverse a seconda dei contesti. Sebbene la lista di tali sostanze sia molto lunga, svariati studi riportano che le concentrazioni rilevate sono al di sotto di quelle pericolose 6. Tuttavia, tutti gli studi e le linee guida sottolineano la necessità di tenere questo problema in debito conto per la valutazione dei rischi, basandosi sul principio di precauzione, adottando trattamenti idonei all’abbattimento e mettendo in misure preventive.
A livello ambientale, le acque di riuso potrebbero contaminare le acque profonde e superficiali, cambiare le caratteristiche agronomiche dei suoli, alterandone il pH, la salinità, la concentrazione di nutrienti, di metalli pesanti e di prodotti fitotossici e modificarne le proprietà idrauliche con riduzione della porosità, aumento di ristagni, ruscellamento ed erosione. Il riutilizzo di consistenti volumi di acqua potrebbero sottrarla alla reimmissione nell’ambiente, riducendone la disponibilità per altri usi. Le sostanze tossiche, anche in piccole quantità potrebbero andare incontro a bioaccumulo e biomagnificazione negli organismi, raggiungendo concentrazioni pericolose all’apice della catena alimentare, anche in contesti diversi da quello agricolo, come ad esempio le acque marino-costiere.
I convenzionali trattamenti dei liquami urbani spesso non sono efficaci per eliminare le sostanze chimiche pericolose. Infatti il disegno originario di tali impianti, progettati per rimuovere soprattutto i nutrienti ed evitare l’eutrofizzazione, prevedeva un trattamento primario ed uno secondario del refluo, accompagnati da un trattamento dei fanghi. L’emergenza di nuovi problemi di contaminazione, l’evoluzione normativa sugli scarichi e la spinta al riutilizzo, rendono necessari trattamenti molto più spinti di quelli primari e secondari, e la verifica della loro efficacia ai fini del destino dell’effluente.
Esistono vari trattamenti avanzati per la rimozione dei contaminanti, alcuni consolidati (carbone attivo, ozonizzazione e filtrazione su membrana), altri più recenti (processi ossidativi avanzati), ed altri ancora a livello di sperimentazione in piccola scala 7.
Tuttavia, anche gli stessi trattamenti possono avere effetti collaterali negativi a causa del consumo energetico, dei materiali di scarto, dei costi ed in definitiva dell’impatto ambientale e sanitario: quindi la scelta e l’applicazione delle modalità di riuso debbono essere affrontate in un’ottica di analisi rischi-benefici per scegliere e mettere a punto le soluzioni più adatte alle varie situazioni 3.
NORMATIVA E ANALISI DEL RISCHIO
La regolamentazione sui requisiti qualitativi delle acque di riuso è molto disomogenea: in alcuni paesi inesistente, in altri molto restrittiva. In Italia il DM 185/03 si basa sulla valutazione di ben 57 parametri, per alcuni dei quali i limiti di accettabilità sono uguali a quelli per le acque potabili. Questo impone trattamenti molto spinti e costosi, riducendo di fatto le possibilità del riutilizzo, se non nei grandi impianti. A livello europeo, per la necessità di uniformare la normativa, sono stati recentemente proposti limiti minimi di accettabilità per il riutilizzo dei reflui in agricoltura, che definiscono varie classi di qualità con i relativi usi, basate sui valori di pochi parametri (E. coli, BOD5, solidi sospesi totali e torbidità) più legionelle se esiste il pericolo di esposizione a bioaerosol e uova di elminti per l’irrigazione di pascoli o colture per l’alimentazione animale. Sono inoltre indicati i trattamenti da adottare per le diverse classi ed i livelli di efficacia richiesti. Per la I classe, corrispondente alle acque per l’irrigazione di prodotti da consumare crudi il trattamento dovrebbe essere capace di ridurre E. coli e Cryptosporidium di 5 Log10 e i colifagi di 6 Log10. Questi requisiti minimi, validi in ogni caso (fit for all) debbono però essere integrati in un quadro complessivo di analisi del rischio per promuovere il riuso preservando l’ambiente, la salute umana e la produttività agricola, secondo le caratteristiche specifiche di ogni contesto (fit for purpose).
Tale analisi dovrà comprendere sia i rischi ambientali che quelli per salute umana ed animale, tenendo conto dei pericoli identificati in tutto il sistema di riuso, degli ambienti, delle popolazioni e degli individui esposti e della gravità delle relative conseguenze, oltre alle normative esistenti per la sicurezza alimentare e dei lavoratori 2.
Per la valutazione del rischio microbico può essere utile la QMRA (Quantitative Microbial Risk Assessment), che stima il rischio di infezione e malattia dalle concentrazioni di patogeni nelle matrici, applicando le relazioni dose-risposta ai dati di esposizione.
La valutazione del rischio chimico deve includere (quando cooisciuti) i valori di Predicted No-Effect Level per l’ambiente e di ADI per l’uomo, oltre alla valutazione dell’esposizione. In base ai risultati della valutazione del rischio potranno essere aggiunti ai requisiti minimi altri parametri, in particolare riguardanti alcuni contaminanti chimici (metalli pesanti, pesticidi, sottoprodotti della disinfezione, farmaci, microrganismi antibiotico-resistenti ed altri CECs). Dovranno poi essere stabilite misure preventive come trattamenti più spinti per la riduzione dei contaminanti, specifiche tecniche di irrigazione, distanze di sicurezza, ecc., con adeguate procedure e misure di monitoraggio e controllo, oltre a piani di emergenza. Questo schema è paragonabile ad un Water Safety Plan con l’aggiunta della componente ambientale, in accordo con l’evoluzione normativa sulla salvaguardia dell’ambiente e della salute umana che ha superato l’uso dei soli limiti di accettabilità per una più complessa ed esaustiva analisi del rischio.
Tale approccio garantisce una maggiore efficacia preventiva e comprende anche la comunicazione del rischio che, se adeguatamente condotta, può contribuire all’accettazione sociale del riuso delle acque reflue.
CONCLUSIONI
Il riutilizzo dei reflui deve essere gestito con particolare attenzione ai rischi per l’uomo e per l’ambiente, secondo i principi della “salute globale” e con l’approccio dell’analisi del rischio. A tale scopo sono necessarie competenze specifiche: una formazione igienistica appare quindi fondamentale per tutte le figure professionali che intervengano in questo contesto.
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Abstract
Negli ultimi 20 anni l’Italia centrale è stata colpita da numerosi eventi sismici. Con il nome di terremoto dell’Aquila del 2009 si intende una serie di eventi sismici, iniziati nel dicembre 2008 e terminati nel 2012, con epicentri nell’intera area della città, della conca aquilana e di parte della provincia dell’Aquila. Il nome si riferisce principalmente alla scossa principale, verificatasi il 6 aprile 2009 alle ore 3:32, che ha avuto una magnitudo pari a 6,3. Il sisma è stato avvertito in buona parte dell’Italia Centrale ed ha interessato complessivamente 49 comuni concentrati prevalentemente nella Provincia de l’Aquila.
A evento concluso, il bilancio definitivo è stato di 309 vittime, oltre 1.600 feriti e oltre 10 miliardi di euro di danni stimati.
Subito dopo l’evento distruttivo si è provveduto all’installazione di tende da campo, mentre i ricoverati del moderno ospedale San Salvatore, dichiarato inagibile al 90%, sono stati trasportati in una tendopoli adibita a ospedale oppure all’ospedale di Avezzano e in altre strutture della regione. Il sisma ha completamente sventrato la sede della Prefettura dell’Aquila che avrebbe dovuto essere il centro di coordinamento dei soccorsi.
Al 22 gennaio 2010 il numero degli sfollati risultava pari a 10.128, di cui 1.123 nelle caserme di Coppito e Campomizzi, 8.905 presso strutture alberghiere (delle quali 6.195 fuori della provincia dell’Aquila) cui vanno aggiunte le 12.056 persone che hanno avuto una sistemazione provvisoria nelle C.A.S.E. e le 2.362 che l’hanno avuta nei M.A.P.
Gli eventi sismici del Centro Italia del 2016 e 2017 hanno avuto inizio ad agosto 2016 con epicentri situati tra l’alta valle del Tronto, i Monti Sibillini, i Monti della Laga e i Monti dell’Alto Aterno.
Le scosse principali si sono verificate il 24 Agosto 2016 e il 26 ottobre 2016 con magnitudine di 6.0.
Il 30 ottobre 2016 è stata registrata la scossa più forte, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in provincia di Perugia. Questo insieme di eventi ha provocato in tutto circa 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti, dei quali 3 morirono per via indiretta (causa infarto per lo spavento).
I primi soccorsi sono arrivati sui luoghi del sisma già a poche ore dalla scossa del 24 agosto, seppur con un certo ritardo nel raggiungere le frazioni più isolate a causa dei numerosi ponti crollati e delle strade ostruite dalle macerie. Il giorno seguente il numero totale di soccorritori messi in campo ammontava a 5.400 unità.
A seguito del terremoto del 24 agosto con il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 e con successiva Legge di conversione 15 dicembre 2016, n. 229, “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016”, viene istituito un elenco per un totale di 131 comuni.
Nella gestione della ricostruzione, il governo italiano ha scelto sin dall’inizio di allontanarsi dal cosiddetto “modello Bertolaso” (impiegato nel terremoto dell’Aquila, caratterizzato da una gestione centralizzata e dal frequente ricorso a poteri straordinari), come disposto dalla Legge 100/2012 che ridefinisce la prima fase dell’emergenza, specificando che i poteri straordinari per fronteggiare le calamità vanno utilizzati per interventi temporali limitati e predefiniti lasciando poi proseguire le attività alle amministrazioni competenti in via ordinaria, decentrando le decisioni nei territori. Un’altra decisione, presa per richiesta dei sindaci del cratere, è stata quella di ricostruire i centri abitati dove erano, evitando la costruzione di new town per l’alloggiamento degli sfollati.
Tuttavia successivamente i sindaci del cratere hanno denunciato la presenza di un’eccessiva burocrazia che ha rallentato la ricostruzione. A dieci mesi dalla prima scossa erano state consegnate solo 400 “casette” (S.A.E., soluzioni abitative d’emergenza) sulle 3 800 richieste, mentre il 92% delle macerie attendeva ancora di essere rimosso.
Gli eventi sismici hanno avuto in comune alcuni aspetti socio-sanitari ed organizzativi:
8. l’inagibilità di una serie di strutture ospedaliere e sanitarie, nell’area del “cratere”, mentre altre sedi legate alla pubblica assistenza sono state pesantemente compromesse;
9. i soccorsi sono intervenuti molto precocemente rispetto ad altre situazioni simili precedenti grazie al miglior funzionamento della macchina organizzativa e della protezione civile;
10. nell’arco delle 24 ore post sisma, sono state approntate le misure di emergenza con presa in carico delle necessità impellenti per garantire in modo efficace l’organizzazione sanitaria, ovvero: evacuazioni in 24 ore delle strutture ospedaliere e territoriali così come disposte dagli organi tecnici della Protezione Civile;
11. immediata riorganizzazione delle attività clinico-sanitarie e di prevenzione, che ne ha garantito fin da subito la persistenza. Ciò è stato possibile dapprima mediante l’utilizzo di tende e successivamente mediante l’utilizzo di moduli abitativi prefabbricati;
12. ricollocazione degli anziani ospitati nelle Residenze Protette rese inagibili dal sisma;
13. per quanto attiene l’Umbria di grande efficacia è stata la possibilità di utilizzo del Centro Regionale della Protezione Civile situata a Foligno e realizzata dopo il terremoto del 1997.
Per quanto attiene agli aspetti igienico-sanitari si segnalano interventi atti alla verifica della potabilità delle acque, all’accertamento dell’eventuale estumulazione delle salme nei cimiteri, alla rimozione in collaborazione con la Protezione Civile delle macerie e identificazione di siti di stoccaggio e gestione dei rifiuti. Le attività di controllo veterinario hanno interessato la tutela e il mantenimento delle attività commerciali legate alla zootecnia, compresa la produzione di alimenti di origine animale e derivati. Nello specifico sono stati effettuati sopralluoghi negli stabilimenti di produzione e stabulazione per verificare il mantenimento dei requisiti igienici, il censimento delle stalle inagibili, l’evacuazione degli animali dalle zone interdette dalle attività ordinarie per motivi di pericolosità, il recupero e smaltimento degli animali morti. È stato effettuato inoltre il controllo della situazione degli animali da compagnia.
La comunicazione ha svolto un ruolo importante in entrambe le situazioni, ma negli eventi del 2016-2017 si sono sviluppate metodiche maggiormente in linea con l’evoluzione della comunicazione nel nostro Paese.
I Servizi Informatici hanno lavorato per ripristinare con sollecitudine i collegamenti interrotti dal sisma.
I Servizi di Comunicazione aziendali hanno lavorato per facilitare i contatti sia interni che esterni, anche attraverso l’istituzione di numeri verdi e attraverso l’uso del sistema di messaggistica WhatsApp.
I siti web aziendali dedicati alla emergenza terremoto sono stati utilizzati per comunicare l’evoluzione degli interventi.
Attraverso i social network è stata sperimentata la Comunicazione attiva: mutamento sedi, orari, servizi, provvedimenti regionali e/o aziendali, numeri telefonici e la Comunicazione ricettiva: presi in carico e riscontrati messaggi con cui venivano chieste informazioni e approfondimenti.
Per quanto attiene gli aspetti psicologici numerosi sono gli elementi da sottolineare.
In Umbria in occasione del sisma 2016-2017 sono intervenuti più di 200 psicoterapeuti provenienti dalle diverse parti dell’Italia ed altri psicologi di numerose Associazioni. Il Lavoro è stato svolto seguendo dei turni, in maniera volontaria e gratuita utilizzando i “Criteri di massima sugli interventi psicosociali da attuare nelle catastrofi” (G.U. n. 200 del 29.08.2006), oltre a metodi specifici di trattamento (RIF per EMDR), per il primo triage psicologico, la psicoeducazione sulle reazioni all’evento critico supportate dalla consegna di materiale informativo e la costruzione di una rete di contatti. L’intervento è stato rivolto alla popolazione colpita, agli operatori del soccorso, agli istituti scolastici.
Numerose ricerche dimostrano che l’esposizione ai terremoti può portare a qualità della vita compromessa e a sintomi psicologici duraturi spesso diagnosticati come disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
Anche con riferimento allo stato di salute emergono dati di effetti a medio e lungo termine. Un maggiore utilizzo dei dati sanitari correnti e, nei limiti del possibile, l’identificazione delle coorti di esposti consentirebbe di avere indicazioni affidabili sui fabbisogni sanitari e interventi assistenziali efficaci. L’entroterra marchigiano è stato ripetutamente colpito da terremoti particolarmente negli ultimi 20 anni. Oltre ai danni strutturali si è assistito a forti problematiche di natura economica e al progressivo spopolamento delle zone colpite, in attesa della sistemazione nelle SAE o in appartamenti di autonoma sistemazione. A distanza di tre anni, la popolazione dell’entroterra marchigiano è, però, diminuita di oltre 6.000 unità a seguito di trasferimenti in altre zone.
Il gruppo di studio marchigiano dell’Università di Camerino (in collaborazione con psichiatri e psicologi del DSM di Camerino e di Jesi - ASUR Marche) ha iniziato a studiare gli effetti sulla salute dei terremoti già a partire dagli eventi sismici del 1997, che avevano pesantemente colpito Marche e Umbria. L’attività di ricerca si è incentrata sulla valutazione del benessere psicofisico della popolazione colpita e sulla valutazione della qualità della vita percepita. Tale approccio è stato poi utilizzato anche in occasione del terremoto del Molise del 2002 e del terremoto dell’Aquila del 2009. In occasione degli eventi del 2016, è emerso che. parte del campione esaminato mostra una forte intensità di sintomi psicologici (il 25% circa del campione esaminato ha probabile PTSD e il 10% circa manifesta disturbi psichici). I soggetti con probabile PTSD riferiscono anche una minore qualità della vita. Valutando la situazione relativa alla sistemazione abitativa, le problematiche sembrano essere maggiori in coloro che vivono in autonoma sistemazione, soprattutto in riferimento ai sintomi psicologici.
CONCLUSIONI
In sintesi gli eventi sismici dell’Italia Centrale hanno evidenziato:
grande capacità di reazione della macchina sanitaria sull’onda emotiva;
efficienza del sistema di ricezione della rete ospedaliera (118-ospedali), discreto funzionamento dei Piani di Massimo Afflusso (PEIMAF), sebbene si sia evidenziata la necessità di una manutenzione organizzativa e monitoraggio della performance;
debolezza della funzione di coordinamento legata alle diverse competenze regionali, parzialmente compensata dalle diverse organizzazioni aziendali;
debolezza della funzione amministrativa legata soprattutto ad una sovrapposizione normativa nazionale e regionale (es. diversa applicazione della normativa sul ticket) e alla rigidità del sistema degli acquisti (nuovo codice appalti e disposizioni anticorruzione). Ciò rende necessaria una formazione specifica preliminare per la gestione amministrativa dei disastri (https://territoriaperti.univaq.it/master/);
mancanza di flessibilità di sistema nella gestione straordinaria delle risorse umane (es. assunzioni temporanee e spostamento del personale);
necessità di elaborare Linee Guida e sperimentazioni organizzative per la preparedness, ad esempio, nel campo epidemiologico, per la costituzione di coorti di studio per la sorveglianza post emergenza; per migliorare le modalità di raccordo con la Protezione Civile e gli Enti Locali, comprese le strutture per la ricostruzione; infine per l’adeguamento temporaneo delle risorse logistiche delle Aziende Sanitarie coinvolte.
In definitiva emerge la necessità di studiare gli effetti sulla salute a medio e lungo termine delle persone colpite da catastrofi naturali. Si ritiene importante implementare una rete di professionisti che operino sotto il coordinamento di un osservatorio epidemiologico nazionale e che, regolarmente ed in maniera coordinata, raccolgano ed analizzino set di dati di grandi dimensioni a beneficio della sorveglianza epidemiologica dell’emergenza. Tale approccio collaborativo migliorerebbe la qualità e la velocità della risposta in fase di emergenza sia da parte delle strutture locali che di quelle nazionali. Qualità e velocità che dovrebbero essere garantite, grazie alla formazione degli attori principalmente coinvolti ed alla possibilità di applicare quanto previsto da Linee Guida Nazionali che tengano in debito conto la problematica del post-emergenza e dei possibili effetti a lungo termine sulla salute umana, cosicché l’intervento possa essere uniforme su tutto il territorio nazionale per ogni tipologia di catastrofe.
Bibliografia di riferimento
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Abstract
LA POSIZIONE SOCIOECONOMICA È UN FATTORE DI RISCHIO INDIPENDENTE, COME IL FUMO O L’IPERTENSIONE
Le malattie non trasmissibili – come le malattie cardiovascolari, i tumori, le malattie respiratorie croniche e il diabete – sono determinate tanto dalle condizioni economiche, sociali e ambientali (Vineis, 2017), quanto da fattori di rischio come il fumo, l’elevato consumo di alcol, la cattiva alimentazione, l’inattività fisica, l’aumento della pressione sanguigna, l’elevato consumo di sale e il diabete (WHO, 2013). Il progetto H2020 Lifepath ha indicato che la posizione socioeconomica è un fattore di rischio indipendente per la mortalità e per indicatori funzionali e va quindi affrontata insieme agli altri fattori di rischio noti (Stringhini et al., 2017; 2018).
LA BIOLOGIA ALLA BASE DELLE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE
Lifepath ha studiato anche i processi molecolari e fisiologici che stanno alla base delle disuguaglianze di salute. A questo fine abbiamo condotto ricerche sui biomarcatori di epigenetica e metabolomica. Abbiamo così potuto confermare che lo svantaggio sociale gia’ a partire dai primi anni di vita può indurre cambiamenti biologici persistenti, come l’infiammazione cronica, che può tradursi in disturbi cardiovascolari, asma e cancro (Castagné et al., 2016). Una condizione socioeconomica sfavorevole può indurre stress psicosociale cronico con effetti a lungo termine, attraverso fenomeni di usura fisiologica che includono risposte infiammatorie, ridotta funzione immunitaria e accelerazione dell’invecchiamento (McCrory et al., 2019). Si ritiene che società più disuguali producano livelli più elevati di stress in risposta all’“ansia di status” a livello individuale (Layte et al., 2019). L’analisi del percorso di vita di ampie coorti di popolazione considerate in Lifepath ha indicato che la minore istruzione materna e l’occupazione manuale paterna sono associate a un carico allostatico più elevato in età matura (Barboza Solis et al., 2016). Altri studi in Lifepath hanno mostrato come le differenze sociali si riflettono sull’espressione del DNA. La metilazione del DNA, per esempio, come misura dell’invecchiamento biologico complessivo, è stata correlata al livello di istruzione degli individui. Più svantaggiata la condizione sociale delle persone, più è accelerato il processo di invecchiamento biologico (Fiorito et al. 2017).
QUALI POLITICHE PER RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE
I dati di Lifepath mostrano la necessità di interventi per ridurre le disuguaglianze di salute a partire dalla prima infanzia, periodo in cui vi è il massimo di accumulazione degli svantaggi di salute dovuti ad avverse condizioni ambientali e sociali. Ogni fase della vita richiede interventi diversi che tengano conto del contesto, dei tempi, dei legami intergenerazionali e delle opportunità di intervento.
Abstract
Il Piano Nazionale della Cronicità sottolinea come la crescita ineluttabile di tale area determini un impegno molto consistente di risorse per una continuità di cure di lunghi periodi con la necessità di una forte integrazione e coordinamento dei servizi sanitari e socio-sanitari e degli operatori interessati. A fronte di una situazione nazionale molto diversificata per ambiti territoriali, il Piano individua delle fasi di sviluppo di un disegno strategico che le diverse regioni italiane potranno attuare sul proprio territorio in considerazione dei servizi e delle risorse disponibili, secondariamente detta le linee di indirizzo per patologie con specifici bisogni assistenziali e si pone l’obiettivo di influenzare la storia ed il decorso di molte patologie croniche in termini di prevenzione, presa in carico, miglioramento clinico-organizzativo attraverso un percorso assistenziale definito. Infatti l’Invecchiamento della popolazione con l’intensificarsi della complessità assistenziale dovuta all’aumentata gravità ed al numero di anni vissuti con disabilità ne aumenterà la probabilità di non autosufficienza, aggravata da un indebolimento della rete familiare di sostegno, dovuta ai nuovi stili di vita, con un impegno economico, per i sistemi sanitari avanzati come il nostro, stimabile nel 70-80% delle risorse sanitarie affidate. Questa deriva potrà essere affrontata attraverso almeno tre direttrici: la ricerca di maggiore efficienza, definizione di priorità con adozione di esplicite scelte di razionamento e la ricerca di risorse aggiuntive. Ma molte di queste azioni sono già state intraprese da anni in tante regioni o avviate in altre e se, quindi, l’efficientamento inteso in senso tradizionale ha esaurito almeno in molti contesti le proprie potenzialità, l’unico modo per conseguire benefici apprezzabili in termini di efficienza, ma anche di qualità e appropriatezza dei servizi, diventa la ricerca di innovazioni di prodotto e di processo, cioè di soluzioni che garantiscano una maggiore integrazione delle risorse, degli interventi, delle professionalità. Esempi ne sono, l’introduzione di modelli assistenziali basati sulla logica della presa in carico del paziente cronico, quali la riorganizzazione degli ospedali per intensità di cura, lo sviluppo di reti interaziendali per patologia, la creazione di forme di associazionismo che coinvolgano medici di medicina generale, infermieri e/o specialisti (ad es. Case della Salute), i Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA), l’approccio del case management, la creazione di percorsi riabilitativi terapeutici individuali, l’assistenza domiciliare multi-disciplinare e più in generale le cure intermedie. Ma nella struttura della popolazione italiana diventa preponderante considerare che oltre il 40% di coloro che sono nella fascia tra i 65 e i 75 anni presenta tre o più malattie croniche pertanto andando a stratificare la popolazione dei cronici, sempre più dovremo affrontare la polipatologia ed introdurre la fragilità come un’entità multidimensionale che rappresenta la perdita di riserva funzionale in diversi organi, dunque un soggetti fragili e vulnerabili con una ridotta risposta agli agenti stressogeni e un elevato rischio di sviluppo di disabilità. La fragilità diventa un indicatore di non autosufficienza nello svolgimento delle attività della vita quotidiana e costituisce pertanto un’enorme fonte di consumo di risorse sanitarie e assistenziali per la nostra società. La fragilità non corrisponde alla disabilità, ma ne è un precursore diretto perché connette le dimensioni biologica e soggettiva di perdita di resistenza e di capacità di adattamento agli eventi negativi e ai fattori di cambiamento. Fornire un supporto alla fragilità significa allora prevenire e allontanare il momento della non autosufficienza in cui il bisogno di assistenza diventa elevato. I fattori di fragilità possono essere ricondotti a tre gruppi: funzionali, clinici e sociali. Queste considerazioni rafforzano la necessità di un cambio di paradigma nell’affrontare la cronicità che deve tenere in considerazione tutti gli interventi di prevenzione e promozione della salute possibili atti al rallentamento della degenerazione funzionale e lo sviluppo di una rete di assistenza primaria che coinvolga MMG, Infermieri e specialisti attorno ai modelli organizzativi come quelli già descritti. Ma serve anche orientarsi verso una visione più evoluta di responsabilizzazione e consapevolezza anche le forze della comunità civile tutta, non solo i servizi sociali e le istituzioni, bensì associazioni di cittadini che sperimentino, attraverso forme di community building, la partecipazione attiva fra attori di natura diversa (enti pubblici, privati, singoli cittadini, ecc) volta ad innovare le politiche pubbliche e favorire processi collettivi che sostengano, diventandone loro stessi risorse del sistema, un percorso di salute e benessere del singolo e della comunità in un’ottica che vada oltre l’interesse individuale. Seguendo questo filone, le Case della Salute, per la loro vicinanza al territorio e conseguente prossimità rispetto ai bisogni della popolazione affetta da patologie croniche, possono svolgere un’importante funzione ricompositiva di risorse, coordinamento e personalizzazione dell’assistenza.
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Abstract
Il tema dell’organizzazione dei servizi sanitari extraospedalieri è da anni all’ordine del giorno, anche a causa di alcune criticità osservate nei servizi ospedalieri ed attribuite alle carenze di servizi territoriali.
L’obiettivo di questa relazione è quello di offrire elementi che possano indirizzare verso un modello di gestione delle cure territoriali efficace sia in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini sia di impiego delle risorse socio-sanitarie disponibili.
La metodologia si basa sull’uso di dati di contesto provenienti da fonti ufficiali all’interno dei quali descrivere e valutare gli elementi provenienti da più indagini condotte sul campo dai ricercatori del Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata in collaborazione con altri enti e personale di ricerca.
Il primo elemento da considerare, proveniente da un’indagine in corso da 5 anni su una popolazione rappresentativa degli anziani del Lazio, è l’esistenza di una sottopopolazione di consistenza inferiore al 10% del totale degli arruolati, che manifesta un’elevata frequenza di ricovero e di uso del PS (in media più di 4 volte l’anno): a tale popolazione è imputabile oltre il 40% degli accessi in PS ed oltre il 30% dei ricoveri registrati in un periodo di tre anni di osservazione. L’analisi multivariata dei determinanti dell’uso dei servizi ospedalieri per acuti mette in luce l’associazione tra maggiore precarietà sociale e maggiore uso dei servizi, indipendentemente dalla patologie specifiche di cui i soggetti soffrono. L’isolamento sociale è il maggiore determinante di un uso frequente dei servizi ospedalieri indirizzando verso un approccio alle cure territoriali che permetta di identificare in maniera pro-attiva i soggetti ad alto rischio di eventi negativi quali l’ospedalizzazione, l’istituzionalizzazione e la morte, che oltre a peggiorare la qualità della vita e la sopravvivenza dei cittadini rappresentano un carico economico ed organizzativo probabilmente limitabile. In questo senso la valutazione multidimensionale della fragilità costituisce uno strumento originale ed efficace che permetterebbe ai servizi di focalizzarsi sui soggetti a maggiore rischio (più fragili) con attività di prevenzione e cura in grado di ottimizzare i costi e l’uso delle risorse socio-sanitarie a disposizione, come avviene nel caso di interventi fondati sull’impiego dell’infermiere di comunità affiancato da un robusto intervento sociale.
In conclusione la valutazione della fragilità accompagnata da servizi socio-sanitari realmente integrati sul territorio rappresenta una possibile chiave per migliorare la qualità della vita dei cittadini e quella dell’assistenza ad essi prestata dai servizi. In questo senso la SItI Lazio ha presentato a dicembre scorso un’articolata proposta di sperimentazione attualmente ancora in valutazione da parte della Regione Lazio.
Abstract
INTRODUCTION
Healthcare-associated infections (HAIs) affect up to 15% of all hospitalized patients, representing a global concern, whose major causes include the persistent microbial contamination of the hospital environment, and the growing antimicrobial-resistance (AMR) of HAI-associated microbes. The hospital environment represents in fact a reservoir of potential pathogens, continuously spread by healthcare personnel, visiting persons and hospitalized patients. The control of contamination has been so far addressed by the use of chemical-based sanitation procedures, which however do not prevent recontamination and can select resistant microbes. Based on the studies on the human microbiome, we characterized the microbiome of the hospital environment and hypothesized to modulate the persistent pathogenic microbiome by a competitive exclusion biological approach, inspired by the microbiome balance principles.
MATERIAL AND METHODS
The conventional chemical-based cleaning procedures were substituted by a probiotic-based system, and environmental contamination was examined by microbiological and molecular methods, including characterization of the resistome of the contaminating population. In parallel, the incidence of HAI onset and the associated therapy costs were evaluated.
RESULTS
The microbial-based sanitation system was shown to induce a stable and profound remodulation of the hospital microbiota, obtaining a stable control of both bioburden and AMR, associated with a significant reduction of HAIs and of associated therapy costs.
CONCLUSIONS
Collected data highlight the possibility to modulate hospital microbiota and suggest that this system might be considered as one of the tools for AMR and infection prevention and control.
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Abstract
The analysis of the national and international reference context provided by Eurostat, Eurofound and INAIL reports on work-related diseases in recent years shows a prospective increase correlated to seniority and a more significant incidence in healthcare facilities, in particular due to the risk factors of biomechanical overload and work-related stress. These reports launch an alert for the significant increase in the working population aged over 55 by 2030, which is more significant in Italy due to the recent changes to the social security system. In this context, complex healthcare authorities have to face relevant organizational and managerial problems, also in the light of the turn-over policies implemented in recent years, as a result of the overall resources reduction in the healthcare system. This causes a considerable difficulty for healthcare authorities in maintaining the right balance between the need to protect the workers’ health and that of guaranteeing business functionality and containment of public spending, with possible repercussions also on the quality of care and patient safety. In order to reduce the impact of diseconomies, inefficiencies and negative consequences on the work atmosphere, it is increasingly necessary to operate through the prevention strategies on the most important risk factors, the main causes of work restrictions, through the integrated Workplace Health Promotion (WHP) approach and Total Worker Health (TWH), aimed at combining and integrating interventions for work well-being, health promotion, disability management and safety at the workplace. The work well-being must be considered as the authorities’ ability to promote and maintain the highest degree of the workers’ physical, psychological and social well-being, connected to several variables linked to the risks that working activities involve, including the organizational ones. Since the human factor is a fundamental asset of the Hospital, it is necessary to always pay much attention to the workers, as persons called to cooperate with the authorities’ objectives, through actions aimed at meeting the individuals’ specificities and needs on the same wavelength of the authorities’ needs and which can affect the improvement of the internal social system, interpersonal relationships and, in general, “the organization health”. Therefore, it seems appropriate to promote the coordination of the integrated WHP activities, within a complex reality such as that of a hospital, where different areas with specific purposes can develop. To this purpose, in addition to the activities already implemented in the field of assessment and management of occupational risks and health surveillance, it cannot no longer be delayed the implementation of other activities aimed at prevention and health promotion, considered in its broadest sense, and their evaluation in order to measure their effectiveness through a set of shared indicators.
In this sense, three specific lines of action have been adopted in recent years at Bambino Gesù Pediatric Hospital (OPBG), IRCCS: the first aimed at eliminating organizational constraints, a cause of personnel discomfort, a conflictual climate and, in the long term, the system inefficiency; the second concerns the health promotion actions aimed at reaching the workers’ well-being, such as attention to correct lifestyles, oncologic prevention and chronic-degenerative pathologies, cause of most of the personnel invalidity and unsuitability; finally, the third activity, dedicated to the development of the Disability Management, aimed not only at assessing and relocating that staff with limitations and/or disabilities, but also at proposing specific improvement interventions.
WORK AND PSYCHOLOGICAL WELL-BEING
In this context, a work-related stress assessment system and related improvement actions have been implemented, with the aim of reducing and/or eliminating organizational constraints, which cause discomfort to the personnel and that, in the long term, can reduce performance and corporate productivity. Some of the actions implemented in this area stem from the need to create a communication culture, responding to one of the critical issues more frequently highlighted in the results of the authorities’ welfare surveys, as well as the managerial training process. This need is most noticeable in the lack of awareness of the importance of communication and listening to personnel up to an ineffective communication, which inevitably affects both the quality of relationships within the Hospital, thus undermining the Community, key value of a healthy and efficient organization, and the quality of care. The first line of intervention is primarily aimed at satisfying this need, implementing a specific training for the development of both individual and corporate awareness. Alongside these initiatives, the psychological support paths are of particular relevance, both at the individual level, through the company Help Point, and at that of homogeneous groups of workers, through professional empowerment, Yoga and Mindfulness courses aimed at reducing discomfort, thus making workers less fragile in the presence of “stress”.
HEALTH PROMOTION
The second line of activity coincides with the area of “Health Promotion”. It is based on the analysis of the current working context, characterized by the working population aging and the progressive increase of the main causes of mortality, disability and work restrictions represented by chronic non-transmittable diseases to incorrect lifestyles. The evolution of the working context in this regard associated with the prospective increase in Italy (+ 121.5% in the last 5 years) of work-related diseases, with a more significant incidence in health facilities, highlights the need to manage the increasingly difficult balance between workers’ general health conditions and work demands. The main actions in this area concern interventions of primary and secondary prevention of musculoskeletal, cardiovascular and oncological pathologies, acting through the development of specific screening pathways, health protocols and promotion of correct lifestyles. In this regard, food education programs, courses for smoking cessation, back school courses for postural re-education, promotion of physical activity in the workplace, osteopathic pathways for workers suffering from osteoarticular diseases, free vaccination campaigns and screening have been implemented for the prevention of cardiovascular diseases and tumors.
DISABILITY MANAGEMENT
the third objective aims at structuring the area of “Disability Management” and concerns tertiary prevention and, therefore, assessment, recovery and appropriate relocation of personnel with disabilities and/or unfitness, in order to allow an effective use of these resources and minimize the production loss due to absenteeism, disease, replacement of personnel and any possible disputes. To this purpose, the appropriately structured multidisciplinary team develops and promotes targeted plans and strategies aimed at different levels (health, organizational, structural etc.) with the purpose of assessing and relocating personnel with limitations and/or disabilities, as well as developing specific improvement proposals that, through a personalized risk assessment, can also make the disabled or with limitations worker efficient and work-compatible.
The hospital’s WHP activities were organized and developed starting from 2017 through an integrated strategic business plan and implemented according to the most recent evidence. The plan is addressed to all OPBG employees with the aim of disseminating and promoting individual and community well-being, acting on the “health” levers, intended as a common good to be protected and developed within the OPBG Community. The Plan is being developed also in relation to areas broader than the hospital through, for example, a joint program with the European network of Workplace Health Promotion (ENWHP Network), with the aim of spreading health promotion best practices in the work places and collaborating in structuring a validated and shared model at national and international level, also in relation to the adoption of a system of indicators for the performance evaluation of WHP programs. In fact, as widely reported in literature, and also confirmed in our Hospital, individual and working well-being has direct and indirect repercussions on various economic and non-economic factors and indicators, such as absenteeism, high turnover, increased transfer requests, low levels of motivation, lack of trust and commitment, increase in complaints, suitability with limitations, occupational diseases and labor law disputes. The evaluation of the effectiveness of interventions and prevention programs is more and more represented in terms of Return on Investment (ROI) for those companies that invest in the health and safety of their workers. In this regard, a number of key indicators relating to the workers’ health and safety performance detected within the hospital, have been evaluated. Absences due to illness amount to 11.5 days per year per worker. It has been confirmed that this datum is much lower than the national average of the private healthcare field (where an index of sick leave of 18.1 days per worker per year has been reported). With regard to the occupational diseases, the percentage of complaints is 1.11 per 1,000 workers, compared to a national average of 2.9. The figure is also lower than the corporate average of the last 5 years (1.64 occupational diseases per 1000 workers). The risk factor related to the complaints received is the biomechanical overload of the spine and upper limbs. Finally, the percentage of suitability of people with limitations for work is equal to 5.8% of the personnel, with a value significantly lower than the national trend (11.8-22.6%) for healthcare facilities.
The proposal to implement an integrated Workplace Health Promotion program within the Hospital stems from the analysis of the impact of work discomfort and workforce aging on company health with the consequent negative repercussions both in terms of workers’ psychological and physical well-being of workers, and economic value. Human being should be at the center of an efficient organization; therefore not only the patients should receive the proper attention, but also the health operators who daily take care of them, since their state of health and well-being, as well as that of the organization in general, inevitably affects that of the patients. An aspect to be taken into consideration, which accounts for the efforts required in this area, is that related to the high complexity of the health profession, both from a physical point of view, given the multiplicity of occupational risks that the operator has to face daily, and a psychic one, in consideration of the high professional level required and the emotional burden that daily work involves.
The implementation and evaluation of the various health promotion interventions envisaged by the Authority’s Strategic Plan are based on monitoring and analysis of indicators, both subjective, such as those deriving from surveys on company’s climate and work-related stress, and objective, such as absenteeism, occupational diseases, suitability with pre-and post-limitations, as well as verifications of health promotion interventions. The effectiveness of these interventions confirms the importance of investing in prevention and health promotion within complex working contexts in order to contribute to the development of a healthy and efficient reality.
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Abstract
La principale sfida che i servizi sanitari debbono oggi raccogliere è quella del contrasto delle patologie croniche ed il Piano Nazionale della Cronicità (PNC, 2016) disegna la strategia da perseguire per il raggiungimento di tale obiettivo. Il nucleo di tale documento può essere così sintetizzato: contribuire al miglioramento della qualità della vita dei soggetti della comunità delineando un sistema mirato a prevenire e gestire la cronicità attraverso la promozione di interventi centrati sulla persona ed orientati alla piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.
Esso tiene conto dei diversi modelli proposti dalla letteratura per la prevenzione e gestione della cronicità a partire dalla Piramide di Kaiser (Osakidetza, 2010), che differenzia la popolazione in sottogruppi sulla base dello stadio di sviluppo della patologia cronica e dei conseguenti interventi che è necessario attivare, che viene riletta alla luce dell’ICCC (Innovative Care and Chronic Conditions Framework) (WHO, 2002) che vi aggiunge una visione focalizzata sulle “policies” intese come i processi e le linee di condotta che è necessario mettere in atto per ottenere il risultato desiderato.
Concentrando l’attenzione su quest’ultimo modello non può sfuggire ai professionisti di Sanità Pubblica che le policies a cui si fa riferimento affondano le proprie radici nella cultura che negli ultimi due decenni è stata prodotta dalla letteratura dell’area della Promozione della Salute. In testa al modello troviamo i principi che forniscono Struttura ai processi che vanno attivati: rafforzare le alleanze, sviluppare le risorse umane, costruire integrazione, garantire supporto alle leadership. Il cuore del modello è centrato intorno all’idea che, per ottenere migliori risultati di salute nel controllo delle malattie croniche, sia necessario che tra i “blocchi” della fondamentale triade su cui si fonda il “macro-sistema” salute – pazienti e familiari, team dei servizi di assistenza e comunità – si costruiscano partnership in grado di avviare nel complesso del sistema quella nuova cultura che permetta a tutti gli attori di possedere la motivazione, l’informazione e la preparazione necessari a gestire la patologia cronica.
Promuovere salute a partire dai servizi sanitari vuole quindi dire, accogliendo la sfida proposta dal PNC, costruire Buone Pratiche che “diano gambe” a tali policies perché queste non rimangano meri enunciati. Raccogliere e valutare esperienze che sembrano rispondere ai principi proposti dall’ICCC, per tutti i sottogruppi individuati dalla Piramide di Kaiser, è quindi lo sforzo a cui tutti siamo chiamati a contribuire.
In linea con la sfida proposta si pongono il concetto di “health literate” e di “health care organizzation” di cui ci parlerà la collega Lorini e l’esperienza della ulss 2 Marca Trevigiana di cui ci parlerà la dott.ssa Mazzetto.
Lorini: il PNC prevede che il soggetto – sia esso malato o a rischio – sia in grado di comprendere come gestire la propria condizione e come muoversi tra i vari nodi della rete. Questa capacità di comprensione non deve essere data per scontata, così come quella degli operatori e del sistema sanitario di farsi comprendere. Per il raggiungimento degli obiettivi del Piano risulta quanto mai calzante introdurre i concetti di alfabetizzazione sanitaria (health literacy - HL) e di organizzazioni sanitarie alfabetizzate (health literate health care organization - HLHO). La stessa Organizzazione Mondiale di Sanità ha identificato la alfabetizzazione sanitaria, che consiste nelle conoscenze, nella motivazione e nelle competenze delle persone per accedere, comprendere e mettere in pratica le informazioni sulla salute, come uno dei pilastri per la programmazione di azioni per la prevenzione delle malattie croniche. La HL è la risultante tra le abilità individuali e l’interazione con i servizi sanitari e altre istituzioni sociali: non riguarda solo le persone ma è anche integrata nelle strutture organizzative e nei sistemi sociali (Sorensen, 2018). Pertanto, nei servizi sanitari centrati sulle persone – e non soltanto sui pazienti – i professionisti della salute devono cambiare la loro mentalità, focalizzandosi sulle abilità del sistema per venire incontro alla complessità degli individui con differente livello di alfabetizzazione sanitaria. Ciò risulta particolarmente rilevante oggi e lo sarà ancora di più nel futuro, in vista della sempre maggiore evoluzione tecnologica, scientifica e organizzativa in sanità, che genera complessità, e della transizione demografica ed epidemiologica in atto. I sistemi sanitari attuali, generalmente complessi, sono disegnati basandosi sull’assunto che i loro utilizzatori abbiano un livello adeguato di alfabetizzazione sanitaria, assunto che si scontra con una popolazione sempre più vecchia, con disabilità fisiche e cognitive, con bisogni di salute complessi, con una quota rilevante di soggetti con lingua madre diversa dall’italiano. Secondo la definizione di Brach (2012), le organizzazioni sanitarie health literate sono user-friendly, accessibili e comprensibili da parte di utilizzatori con diverso livello di alfabetizzazione sanitaria, con forte attenzione alle modalità comunicative e alla verifica della comprensione del messaggio da parte del ricevente. Un sistema sanitario health literate, non solo è comprensibile ai cittadini, ma contribuisce ad aumentare il livello di alfabetizzazione sanitaria individuale, favorendo la riduzione delle disuguaglianze.
L’OMS, nell’ambito dell’ European Health Information Initiative (EHII) e in linea con Health 2020, ha definito l’Action Network on Measuring Population and Organizational Health Literacy (M-POHL Network). La rete, di qui fa parte anche l’Italia (Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità) mira a indagare l’alfabetizzazione sanitaria in Europa, sia a livello individuale che a livello organizzativo, come prerequisiti per realizzare policies e interventi efficaci.
Mazzetto: un’esperienza coerente con il modello, che ha proposto la promozione dell’attività fisica come supporto terapeutico e/o preventivo delle lombalgie acute o delle riacutizzazioni della lombalgia cronica, è stata sperimentata in due gruppi di operatori sanitari dipendenti dall’ospedale di Treviso, Azienda ulss 2 Marca Trevigiana.
Un primo gruppo di operatori con diagnosi di lombalgia selezionati dal medico competente aziendale veniva valutato dal fisiatra e successivamente avviato ad un training in palestra guidato da un laureato in scienze motorie che consisteva in due sedute pratiche seguite dalla prescrizione di esercizio da autogestire al proprio domicilio con il supporto di un manuale.
Un secondo gruppo di operatori a rischio di lombalgia per età e/o mansioni che includevano la movimentazione di carichi, veniva avviato ad un percorso di coaching breve per aumentare l’ attività fisica.
Ad entrambi i gruppi veniva anche fornito un ampio ventaglio di indirizzi di strutture sportive in partnership formalizzata con l’azienda ulss, distribuite nel territorio, alle cui attività potevano accedere con tariffa scontata. La valutazione a breve e medio termine quantitativa e qualitativa mostrava, oltre al gradimento dei percorsi, un significativo incremento dell’attività fisica in tutti i sottogruppi di operatori reclutati, in particolare sia in quelli precedentemente sedentari sia in quelli insufficientemente attivi, congiuntamente ad un incremento nei punteggi di autoefficacia.
La sintesi tra modello biomedico (intervento educativo e training focalizzato sul paziente) e modello ecologico (intervento sul gruppo, nel luogo di lavoro e la costruzione di opportunità ‘ambientali’ nella comunità) nelle patologie multifattoriali, di cui la lombalgia è un esempio, sembra essere la strategia piu’ efficace per un aumento dell’ empowerment delle persone.
Il convegno Nazionale HPH che si terrà quest’anno a Torino il giorno 8 novembre vuole appunto essere una “palestra”, più che una “vetrina”, in cui gli operatori sanitari potranno presentare le loro esperienze discutendole anche con l’ambizione di costruire, in un futuro non troppo lontano, una “comunità di pratiche”. Il gruppo del Piemonte si è preparato nel corso dell’ultimo anno a questo appuntamento con una serie di incontri seminariali che hanno permesso di mettere in comune, con operatori sanitari ed associazioni dei pazienti, i principali elementi della riflessione che si voleva avviare e hanno dato loro l’opportunità di presentare le esperienze in atto o in avvio che sembravano rispondere ai principi enunciati dal PNC.
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Abstract
Esordiamo dall’assunto che la Salute è Bene Comune e per tutelarla e promuoverla dobbiamo rifarci al modello socio ecologico che evidenzia come le scelte comportamentali di salute di ciascun individuo siano il risultato della continua e complessa interazione tra fattori biologici, cognitivi e ambientali. Ricordiamo infatti come la Carta di Ottawa (1986) sottolineò la necessità di un cambio di paradigma per riorientare in senso favorevole alla salute l’intero contesto di vita assieme agli stili di vita individuali. Di qui una definizione di promozione della salute che esige l’impiego della lente della complessità per comprendere le relazioni che sottendono le situazioni, superando un’ interpretazione riduzionista della salute stessa. In questa cornice la promozione della salute ha come cardini sono: l’empowerment, la giustizia sociale e la visione positiva della salute. Si punta così ad un’empowerment che non si orienti esclusivamente al singolo individuo ma sia collettivo, rivolto alle persone che mettendosi insieme, acquisiscono il controllo sulla propria vita e della propria salute,creando comunità resilienti e ambienti favorevoli alle scelte salutari.
In questa contesto dinamico e complesso che contraddistingue la promozione della salute, il Dipartimento di Prevenzione può ambire a svolgere un ruolo cruciale.
Quest’ultimo istituito a livello nazionale con il D.L.vo 502/92 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della Legge 23 ottobre 1992, venne alla luce in provincia di Trento con la L. provinciale 16/2010. In questa realtà il Dipartimento di Prevenzione (DP) è l’articolazione organizzativa dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS) volta alla tutela della salute ed al miglioramento della qualità della vita della popolazione, mediante attività di promozione della salute, di prevenzione delle malattie infettive e cronico-degenerative, di promozione della sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro. Compito del DP è quello di individuare e rimuovere i fattori di rischio che possono nuocere alla salute dei singoli e della collettività, con particolare attenzione alle fasce più deboli e maggiormente esposte, mediante l’uso appropriato degli strumenti messi a disposizione dall’epidemiologia. Basandosi su una nuova cultura organizzativa, il DP mira a superare il tradizionale modello organizzativo basato sulla differenziazione in compiti specifici; interprofessionalità, multidisciplinarietà ed integrazione sono caratteristiche del dipartimento volte a valorizzare la logica trasversale dell’attività di prevenzione tra uomo, animale, ambiente e natura. I processi di integrazione e l’azione coordinata fra Dipartimento di Prevenzione, assistenza primaria, strutture ospedaliere ed altre istituzioni della vita civile sono volti a rendere più efficaci le attività di prevenzione e di promozione della salute.
Il mandato del Dipartimento di prevenzione è così il primo livello essenziale di assistenza (LEA) dedicato alla Prevenzione collettiva e sanità pubblica, con una vision ampia e multidimensionale volta ad interfacciarsi con tutti gli interlocutori che a diverso titolo sono partecipi dei processi che lo vedono protagonista. Nello specifico la Promozione della salute trova il suo alveo nell’area di intervento: F. “Sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili di vita sani ed i programmi organizzati di screening; sorveglianza di prevenzione nutrizionale”.
Il DP dell’APSS di Trento si propone quale cabina di regia dell’attività di promozione della salute portata avanti a livello provinciale nei 4 setting: scuola, comunità, ospedale e lavoro.
Le azioni messe in campo sono in linea con i documenti di programmazione quali il Piano di Prevenzione Provinciale (PPP) e il Piano Salute Provinciale 2015-2025 che in una prospettiva di “life course” prevede interventi volti a guadagnare salute che si interfacciano e si intersecano in una costruzione progettuale con il medesimo filo conduttore.
Con il mondo della scuola i progetti sono in essere e in divenire grazie ad una costruzione di coprogettazione. Di recente una partnership robusta del DP con l’Assessorato all’istruzione, università e cultura e con l’Assessorato alla salute e politiche sociali sta definendo un atto di indirizzo “rinnovato” per la “Scuola che promuove la salute”.
Con la comunità l’impegno del DP si fa particolarmente interessante grazie all’innesto della tecnologia come elemento rafforzante l’health literacy e quindi l’empowerment di comunità. Il “Progetto Trentino Salute 4.0” che vede protagonisti il DP, l’Assessorato alla salute e la “Fondazione Bruno Kessler” ha in fieri una serie di progettualità volte a sostenere e a facilitare le scelte di salute, oltre che la gestione della patologia, investendo sull’innovazione; ecco l’impiego di App dedicate inserite in percorsi che vedono protagonisti i professionisti e gli utenti (“Trentini Salute +”). In questo continuum l’impegno della promozione della salute è volto anche nella costruzione di una rete di alleanze con realtà del sociale anche del volontariato, finalizzata al coinvolgimento in una progettualità basata su “buone pratiche” che sia sostenibile, uniforme e prossima al territorio (http://www.trentinosalutedigitale.it/).
Con il mondo del lavoro, l’attenzione è riposta nei confronti del cambiamento della capacità lavorativa in rapporto anche al trend dell’invecchiamento della popolazione e della promozione della salute a tutto campo favorendo scelte salutari. Anche in questo contesto la tecnologia può essere di ausilio e supporto; l’alleanza “Trentino salute 4.0” ha appena ultimato un corso Fad sugli stili di vita da proporre a tutti i dipendenti della APSS e portato avanti assieme all’INAIL, un progetto specifico sui lavoratori (Key to health). Il corso Fad costruito sulle evidenze più recenti, ha un’attenzione precipua alla messaggistica e al veicolo di tali contenuto (studio di social marketing). Altro progetto di rilievo costruito e realizzato sempre in partnership “Trentino salute 4.0” ha previsto un’iniziale utilizzo di una App per i lavoratori per una valutazione preliminare di rischio per malattie croniche e successivo counselling individuale, progetto “Key to Health”.
Con la dimensione Ospedaliera (Servizio ospedaliero provinciale) il DP ha una relazione continua e orientata ad una progettualità che coinvolga in modo strutturato l’intera provincia. Si mira a una progettualità rivolta alla promozione della salute in ambito ospedaliero (HPH) messo “a sistema”. In tale direzione la progettualità del counselling rivolto alle persone con diagnosi di tumore alla mammella e al colon retto a cui l’APSS con il DP e il SOP (Servizio Ospedaliero Provinciale) stanno lavorando, ne è un esempio evidente.
Nella ricerca del miglioramento progressivo dei propri processi, l’APSS di Trento ha aderito di recente al sistema di accreditamento volontario “Accreditation Canada”. Il DP è team leader in alcuni gruppi di lavoro impegnati ad evidenziare la promozione della salute in tutti i percorsi e in tutti i contesti; uno di questi gruppi è “Il Benessere nella popolazione”. Inedito e innovativo tale gruppo rappresenta lo sforzo collettivo e dinamico dei professionisti impegnati in una lettura trasversale, multidimensionale e interdisciplinare dei processi assistenziali al fine di dar corpo ad un insieme che veda la salute come un unicum con al centro la persona con i suoi bisogni e la sua domanda di salute.
In questa cornice il Dipartimento di Prevenzione si propone come cabina di regia per la promozione della salute, offrendo il proprio sapere e le proprie competenze in un’ottica di ascolto e mediazione teso ad un unico obiettivo che è la Salute… come bene comune.
Abstract
L’obesità in età evolutiva, in continua crescita e di difficile risoluzione, rappresenta un problema di Sanità Pubblica senza precedenti, reso ancor più preoccupante per il fatto che, essendo un fattore predittivo per il persistere dell’obesità anche nell’età adulta, è strettamente correlata all’aumento di patologie cronico non trasmissibili (diabete, patologie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie); in tal senso l’obesità è corresponsabile dell’insorgere di MCNT, che nella Regione europea dell’Oms provocano almeno l’86% dei morti, il 77% del carico di malattia e una spesa sanitaria pari a 700 MILIARDI di € /anno 1; ne consegue un rilevante carico di costi medici diretti che, nei Paesi occidentali, oscillano generalmente tra il 4 e il 10% delle spese sanitarie nazionali 2.
Tra i principali determinanti dell’obesità, oltre i fattori genetici, si annoverano gli stili di vita e i comportamenti scorretti (errate abitudini alimentari e sedentarietà) che si istaurano nell’età evolutiva.
Proprio l’obesità, unitamente a alimentazione scorretta e sedentarietà, rappresentano, assieme al fumo 4 grandi fattori di rischio associati alle MCNT che l’OMS, nell’ambito del III° Programma dell’UE 2014-2020 in Materia di Salute, suggerisce debbano essere le priorità dei piani di prevenzioni e dei percorsi di cura clinico-nutrizionale dei diversi Paesi 3,4.
In Italia, il Ministero della Salute ha intrapreso differenti iniziative per contrastare l’obesità e promuovere la Sana Alimentazione ed il movimento, quali il Programma “Guadagnare Salute”, il “Piano Nazionale della Prevenzione”, i “Tavoli Nazionali di Lavoro” (Tavolo Sicurezza Nutrizionale - TaSiN, Tavolo Obesità).
Particolare rilievo merita, relativamente alla trattazione odierna, l’Accordo Stato-Regioni “Valutazione delle Criticità Nazionali in ambito Nutrizionale e Strategie di intervento 2016-2019” 5, siglato il 24 novembre 2016, il quale richiede che in ogni Regione venga attivato sperimentalmente almeno un PPDTA per l’obesità. Nello specifico, la Conferenza delle Regioni e delle Province, nel recepimento dell’Accordo, ha inserito tra le osservazioni che “Si ritiene opportuno differenziare quanto fare nella fascia infantile ed adolescenziale rispetto all’adulto… si ritiene che nei minorenni, specie nell’infanzia sia più appropriato un percorso che valorizzi il ruolo del territorio e dei PLS”.
In conformità di tali indicazione, il SIAN dell’ASP di Catania ha avviato sperimentalmente nel Luglio 2017 un Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale – PPDTA – per l’obesità in età evolutiva.
Considerato che è ormai ampiamente dimostrata l’importanza di agire a livello del nucleo familiare per avviare un processo di sviluppo della coscienza critica e di empowerment che consenta, tramite l’acquisizione di corretti stili di vita, la rimozione o la riduzione dei fattori di rischio modificabili, si è scelto di individuando quale target l’intero nucleo familiare, che è stato così attivamente coinvolto nel Percorso.
Inoltre, considerato che innumerevoli dati di letteratura evidenziano come le fasce di popolazione disagiata siano più frequentemente coinvolte dall’emergenza obesità e dalle sue gravi complicanze 6, sfruttando un finanziamento PSN, si è reso accessibile all’utenza il Percorso a titolo gratuito, con l’unico “obbligo” di garantire la presenza non solo del minore ma anche dei genitori e/o caregiver.
Infine, proprio per implementare l’empowerment, si è scelto un approccio pratico-esperienziali, che sembra garantire migliori risultati, in termini di adozione di stili di vita salutari e durevoli nel tempo.
Si è inoltre curato in modo particolare la formazione dell’Equipe del PPDTA, in considerazione del fatto che la letteratura internazionale 7 riporta la presenza in molti operatori sanitari di forti atteggiamenti negativi e di stereotipi nei confronti delle persone con obesità; in letteratura vi sono prove considerevoli che tali atteggiamenti influenzano la percezione, il giudizio, il comportamento interpersonale e il processo decisionale della persona e possono causare stress ed evitamento delle cure, sfiducia nei confronti dei medici e scarsa aderenza alla terapia dei pazienti con obesità.
Il Percorso sperimentale attivato nel 2017 ha consentito, attraverso la costituzione di una Rete integrata coordinata dal SIAN dell’ASP di Catania, la presa in carico multidisciplinare dell’intero nucleo familiare e la realizzazione contestuale sia di azioni prettamente clinico-assistenziali che di promozione di sani stili di vita (alimentazione e movimento) mirati essenzialmente all’aumento della consapevolezza e all’empowerment del nucleo familiare.
I bambini affetti da obesità sono stati inviati prioritariamente dai Pediatri di Libera Scelta e/o dai Medici di Famiglia all’Equipe clinica multidisciplinare dell’ASP, composta da medici specialisti in Scienza dell’Alimentazione o branca equipollente, dietisti e psicologi, il cui coordinamento scientifico è stato affidato ad un Medico Specialista in Scienza dell’Alimentazione.
I piccoli utenti ed i loro genitori sono stati contestualmente avviati ai percorsi di supporto (Gruppi educativo-comportamentali, Gruppo di cammino, Gruppo di cucina didattica etc) realizzati dal SIAN.
Insieme si è lavorato al fine di far riscoprire la Dieta Mediterranea (dichiarata nel 2010 patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco), quale modello di alimentazione sano e salutare per tutta la famiglia.
È altresì stata attivata una Rete Clinica alla quale, ove necessario, sono stati inviati soggetti affetti da diabete, Disturbi del Comportamento Alimentare o altre patologie, inerenti per lo più la Neuropsichiatria Infantile.
Tra i punti di forza del percorso va citata, oltre la componente esperienziale, l’utilizzo di strumenti di counselling in piccolo gruppo, che facilitano la motivazione al cambiamento e l’empowerment del singolo come vero artefice delle proprie scelte salutari.
Tra le criticità, indubbiamente, l’impegno temporale richiesto alle famiglie partecipanti al percorso, cosa che nell’attuale contesto socio-culturale non sempre è stato facile ottenere.
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Abstract
La comunicazione ha un ruolo essenziale in ogni azione che mira a migliorare e promuovere la salute.
Nuovi modelli di comunicazione riconoscono che il processo di comunicazione comporta un’interazione a più vie tra il mittente e il destinatario dei messaggi anche nell’ambito dell’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione.
La comunicazione, infatti, è un processo transazionale e in un contesto sanitario è una parte importante del lavoro di promozione della salute, anche per il raggiungimento di individui e popolazioni sane e contribuisce alla riduzione delle disuguaglianze.
La comunicazione sulla salute è intesa come “un fattore abilitante al cambiamento dei livelli individuali e sociali per raggiungere obiettivi di sviluppo stabiliti, compresa la salute” (Suresh, 2011: 276).
Dal punto di vista formale, la transazione di comunicazione consiste nel condividere informazioni utilizzando un insieme di regole comuni (Northouse e Northouse, 1998).
Gli sviluppi più recenti della comunicazione nell’ambito della promozione e tutela della salute riflettono l’idea in evoluzione che il processo di comunicazione nell’ambito dell’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione è multidirezionale poiché la popolazione generale cerca attivamente informazioni dai formati immediati e accessibili a loro disposizione, ad esempio da Internet.
Ciò ha creato un modello di comunicazione che non è più un modello di comunicazione top-down guidato da esperti, ma una forma di comunicazione orizzontale non gerarchica.
Anche Thackeray e Neiger (2009) concordano con questa idea e suggeriscono un modello di comunicazione che enfatizzi questo approccio dal basso verso l’alto e orizzontale.
Questo modello presuppone che la comunicazione possa essere generata dagli esperti sia dall’alto verso il basso che anche dal basso verso l’alto, e quindi generata dall’utente e dalla condivisione laterale (orizzontale).
Ciò suggerisce che un’efficace comunicazione sulla salute debba comportare una transazione di collaborazione attiva tra il mittente e il destinatario (Kreps e Neuhauser, 2010).
La natura multidimensionale e dinamica della comunicazione significa che le transazioni contengono altri aspetti che influenzano la comunicazione. Kreps (2003), ad esempio, propone che l’aggiunta di “salute” alla definizione del termine comunicazione come “risorsa” e ciò consente di utilizzare i messaggi nell’ambito dell’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (ad esempio nella prevenzione nutrizionale, così come nella sicurezza e tutela alimentare) Questa ampia definizione incorpora il fatto che la comunicazione in Igiene degli Alimenti e della Nutrizione può avvenire a molti livelli.
Di qui la necessità di una comunicazione istituzionale “ certificata” in Igiene degli alimenti e della Nutrizione.
Abstract
Una corretta alimentazione e quindi una adeguata nutrizione, permette all’individuo di svilupparsi in modo corretto, crescere, resistere alle malattie e superarle riuscendo a svolgere le sue attività quotidiane. Si parla quindi di sicurezza nutrizionale, o food secuity come viene definita nella letteratura internazionale, riferendosi a quella “condizione per cui tutte le persone, allo stesso tempo, hanno accesso fisico, sociale ed economico a quantità sufficienti di cibo, sicuro e in grado di soddisfare le necessità nutrizionali, secondo i propri fabbisogni dietetici e le proprie preferenze” 1. Pur riconoscendo alla sicurezza nutrizionale un’importanza fondamentale per la salute degli individui, ancora oggi denutrizione e iperalimentazione costituiscono, entrambe, le principali cause di malnutrizione. In particolare, l’obesità e il sovrappeso in età infantile costituiscono un serio problema di Sanità Pubblica, sia nel mondo Occidentale che nei Paesi in via di sviluppo, poiché oltre a ripercuotersi direttamente sulla salute del bambino, tendono a persistere anche in età adulta. Nonostante i numerosi sforzi messi in atto negli ultimi 30 anni, la prevalenza dell’obesità nei bambini è drasticamente aumentata. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa il 30-40% dei bambini europei risulta essere in sovrappeso e circa il 20% obeso, in Italia la percentuale di bambini in sovrappeso/obesi è del 30,6% di cui il 9,3% risulta essere obeso e il 2,1% di questi ultimi presenta una condizione di obesità grave. Questi risultati sono ancora più preoccupanti se letti alla luce dei dati del sistema di sorveglianza PASSI (2015-2018), secondo cui solo 1 persona su 10, della popolazione italiana, consuma quotidianamente le 5 porzioni raccomandate di frutta e verdura 2. Mentre secondo i dati del sistema di sorveglianza Okkio alla Salute, il 20% dei bambini non consuma quotidianamente frutta e/o verdura e il 36% assume quotidianamente bevande zuccherate e/o gassate (Okkio alla Salute, 2016). Tuttavia, le scelte del singolo sono dettate anche dal contesto socio-culturale in cui si trova a vivere, soprattutto in un’ottica di globalizzazione, e di rapida (dis)informazione tipica dei nostri tempi. L’uso sempre più crescente dei mass-media come televisione, radio, ma anche e soprattutto del web, hanno permesso un’enorme disponibilità di notizie e contenuti anche di carattere sanitario. Secondo i dati di Okkio alla salute, il 41% dei bambini italiani trascorre mediamente più di 2 ore al giorno davanti allo televisione, tablet o smartphone, in accordo con i dati dello studio condotto da Ipsos per Save the Children, che mostra come oltre il 62% dei bambini italiani passa il proprio tempo in attività sedentarie e particolarmente di fronte alla televisione.
Numerose sono le evidenze che dimostrano l’importante ruolo che la pubblicità alimentare ha nell’aumentare il rischio di obesità infantile, questo perché induce un aumentato consumo di alimenti ad alto intake calorico e dal basso profilo nutrizionale, oltre a ridurre le ore trascorse in attività ludico-motorie 3. Inoltre, risulta crescente anche l’utilizzo di nuove forme di media come applicazioni per dispositivi mobili e social network, a cui si aggiunge anche l’enorme successo dei programmi televisivi dedicati alla cucina e al cibo in generale, in cui i bambini risultano essere protagonisti 4. Tuttavia, i mass media non devono rappresentare solo un “nemico” da contrastare, ma possono e devono costituire dei buoni alleati attraverso i quali promuovere l’educazione alimentare. Questo è particolarmente vero se si considera che i dispositivi tecnologici vengono principalmente utilizzati dai più giovani. Recenti evidenze hanno dimostrato la loro efficacia nel promuovere le conoscenze legate sia agli aspetti nutrizionali degli alimenti, ma anche alle capacità culinarie. Ad esempio, l’utilizzo di siti web informativi che disponevano però anche di giochi interattivi, ha permesso in diversi studi, di far aumentare significativamente nel gruppo di intervento le conoscenze nutrizionali possedute, ma anche di incrementare le scelte alimentari salutari. Questi tipi di interventi, infatti, hanno permesso in questo modo, non solo di migliorare le conoscenze, ma anche le capacità stesse del soggetto. Importante risulta essere il potere che gli spot pubblicitari o i giochi hanno nel coinvolgere direttamente il bambino. Sono proprio le pubblicità in cui i bambini sono gli attori protagonisti a riscuotere maggior popolarità. Questi elementi di successo, messi in atto dai media, potrebbero e dovrebbero essere utilizzati anche nei programmi di educazione alimentare rivolta ai bambini, affinché questi ultimi possano raggiungere validi obiettivi nutrizionali.
Un’ ulteriore strategia da tenere in considerazione per comunicare in modo efficacie ai più piccoli il valore di una corretta alimentazione è quella della gamification. Per gamification si intende l’insieme di strumenti, piattaforme e tecnologie che utilizzano le dinamiche proprie del gioco, applicandole ad altri contesti al fine di coinvolgere le persone su un tema specifico e motivarle al cambiamento. L’utilizzo della gamification in ambito di sicurezza nutrizionale si potrebbe definire come la strategia che consente attraverso l’impiego di strumenti propri del game disign, di migliorare le abitudini e i comportamenti alimentari. Introdurre la gamification in ambito nutrizionale o più in generale in quello sanitario potrebbe portare risultati positivi, poiché l’interconnessione tra linguaggi diversi rende più efficace la comunicazione e facilita il coinvolgimento della popolazione target, in particolare se si tratta di bambini 5,6.
Questi strumenti riescono a diffondere rapidamente alcuni messaggi poiché catturano l’attenzione dell’utente, stimolando il suo lato ludico e rendendo i messaggi più accessibili e divertenti. Una applicazione di quanto detto potrebbe essere l’utilizzo di rappresentazioni teatrali finalizzate alla trasmissione di messaggi di educazione alimentare e in cui gli attori sono i bambini stessi. Il teatro, infatti, costituisce un’occasione importante in cui l’apprendimento è facilitato dal gioco, inoltre, molteplici sono gli aspetti che accomunano teatro e cibo, primo tra tutti il corpo. Il corpo dell’attore è infatti elemento essenziale del teatro, ma allo stesso tempo il cibo mantiene in vita il corpo. Inoltre, entrambi, cibo e teatro costituiscono momenti di condivisione e convivialità. Il coinvolgimento emotivo e fisico che si raggiunge mediante il teatro permette un più facile apprendimento, tale da aumentare la propria consapevolezza e far sì che i bambini diventino “attori” protagonisti delle proprie scelte alimentari 7. Consapevolezza delle scelte alimentari dei bambini che molto spesso è assente, infatti evidenze dimostrano che le i bambini sono fortemente influenzati dai comportamenti alimentari dei genitori oltre che, come detto, dall’ambiente circostante. Precedenti studi hanno dimostrato che il cibo fornito dai genitori come snack da consumare durante l’orario scolastico non è in linea con le raccomandazioni sulla dieta sana. Inoltre, i bambini mangiano spesso cibi disponibili a casa, che vengono acquistati dai loro genitori o caregiver. Ancora, il ruolo dei genitori è determinante nell’attuazione di uno stile di vita sano, poiché questi costituiscono l’esempio, oltre che ad una condivisione di comportamenti. Infatti confrontando il BMI (Body Mass Index) del bambino rispetto a quello dei genitori si evince che quando almeno uno dei due genitori è in sovrappeso il 26% dei bambini risulta in sovrappeso e il 9% obeso. Quando almeno un genitore è obeso il 27% dei bambini è in sovrappeso e il 26% obeso. Tutto ciò ha indotto l’OMS, a definire la prevenzione dell’obesità come un obiettivo prioritario di salute pubblica. A tale scopo l’OMS identifica nei governi, nei partner internazionali, nella società civile, nelle Organizzazioni Non Governative e nel settore privato soggetti in grado di svolgere un ruolo determinante nel plasmare ambienti sani che possano facilitare le scelte di stili di vita più salutari sia per i bambini che per gli adolescenti. Emergenti evidenze infatti mostrano che coinvolgere direttamente gli stakeholder, provenienti dalla società civile e comunità locali, svolga un ruolo fondamentale nello sviluppo di politiche di sanità pubblica.
Incrementare la sicurezza nutrizionale in particolare nell’infanzia, rappresenta una delle sfide più serie della salute pubblica e per la quale è necessario che, tutti gli stakeholder promuovano, uniti, stili di vita salutari e abitudini d’acquisto salutari. Per il raggiungimento di tale obiettivo è fondamentale che i mezzi e le strategie messi in campo in ambito comunicativo siano sempre più coinvolgenti al fine di alimentare la motivazione al cambiamento.
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Abstract
INTRODUZIONE
Il Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017-2019 (PNPV) 1 prevede l’offerta attiva del richiamo decennale per difterite-tetano-pertosse (dTpa) in età adulta. La vaccinazione dTpa, come tutte le vaccinazioni incluse nel calendario allegato al PNPV 2017-2019, è inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ai sensi del DPCM 12 gennaio 2017.
Se il richiamo annuale per difterite e tetano era previsto anche nei precedenti calendari vaccinali, il PNPV 2017-2019 raccomanda l’utilizzo per il richiamo decennale del vaccino combinato dTpa con l’obiettivo di: a) mantenere la protezione individuale verso difterite e tetano, b) semplificare la gestione delle ferite a rischio di tetano evitando la somministrazione di immunoglobuline specifiche, c) rafforzare la protezione contro la pertosse attraverso l’immunizzazione individuale e lo sviluppo dell’immunità di gruppo.
Recentemente è stata, infatti, segnalata in molti paesi europei una ri-emergenza della pertosse 2. In Italia, l’analisi delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) dei ricoveri nazionali nel periodo 2001-2014 ha evidenziato che il 63,6% dei 7102 ricoveri per pertosse (in diagnosi principale) ha coinvolto i bambini sotto l’anno di età, con un tasso di ospedalizzazione pari a 59/100.000 abitanti 3. Il richiamo dTap in età adulta, oltre a una protezione individuale, permette attraverso l’immunità di gruppo di contrastare la diffusione della pertosse nella comunità riducendo il rischio di pertosse nei neonati e loro familiari e rappresenta, insieme alla vaccinazione con dTap nella donna in gravidanza, uno strumento importante per proteggere i nuovi nati da un’infezione che mostra un elevato tasso di complicanze e letalità in questa fascia di età.
Per quanto riguarda il tetano, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto del centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (European Centre for Disease Prevention and Control, ECDC) 4 in Italia nel quinquennio 2012-2016 sono stati notificati 252 casi di tetano, l’82% dei quali verificatisi in pazienti ultrasessantacinquenni. Questi 252 casi rappresentano il 45% di tutti i casi notificati in Europa nello stesso periodo (564).
Infine, la vaccinazione rimane l’unico strumento utile per la prevenzione della difterite, permettendo di riportare i livelli sierici della popolazione generale a valori protettivi e non rischiare nuove epidemie; studi sieroepidemiologici hanno dimostrato che i livelli anticorpali in età adulta tendono a diminuire diventando nel tempo non protettivi. Con la riduzione della protezione vaccinale si rischia, nella popolazione adulta, la diffusione di C. diphtheriae e C. ulcerans attraverso la circolazione di individui provenienti da Paesi in cui la difterite è endemica 5.
Il PNPV 2017-2019 raccomanda di offrire attivamente il richiamo per dTap alla popolazione adulta, sfruttando ogni occasione opportuna per l’offerta della vaccinazione, incluse le visite mediche presso il proprio medico di famiglia anche per certificazioni di vario tipo 1.
Il MMG rimane il punto di riferimento per i suoi assistiti. Negli ultimi anni per le malattie croniche sono stati avviati molti progetti di presa in carico del paziente (Percorsi diagnostico terapeutici assitenziale, PDTA) 6, intregrati tra territorio e ospedale, in cui il MMG gioca un ruolo fondamentale nella gestione del paziente, dalla diagnosi, alla cura, alla prevenzione delle complicanze, all’assistenza nella fase avanzata della malattia. Il ruolo del MMG può rivestire un ruolo fondamentale non soltanto per quanto riguarda la cura dei pazienti e la prevenzione terziaria, ma anche nella prevenzione primaria e secondaria, inclusa la promozione e l’offerta vaccinale.
Nonostante in Italia non vengano sistematicamente raccolti dati di copertura vaccinale in età adulta, eccetto che per l’influenza, possiamo ragionevolmente affermare che i programmi di immunizzazione in questa fascia di età non siano consolidati. Basti pensare che la copertura vaccinale per l’influenza supera di poco il 50% 7, nonostante la campagna di vaccinazione antinfluenzale abbia una storia ventennale e coinvolga attivamente i MMG.
Nella ASL di Latina, al fine di favorire l’adesione alla vaccinazione antitetanica in età adulta, in aggiunta all’offerta della vaccinazione presso i Servizi Vaccinali, a marzo 2019 è stato disegnato un percorso strutturato di offerta attiva della vaccinazione dTpa alla popolazione adulta mediante un progetto integrato tra il Distretto e il Dipartimento di Prevenzione (Servizio di Igiene e Sanità Pubblica), che pone il medico di medicina generale come promotore e vaccinatore del richiamo dTpa.
OBIETTIVI DELLO STUDIO
Lo studio si prefigge i seguenti obiettivi generali:1) garantire l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione dTap nella popolazione adulto, anche attraverso forme di revisione e di miglioramento dell’efficienza dell’approvvigionamento e della logistica del sistema vaccinale aventi come scopo il raggiungimento e il mantenimento delle coperture; 2) valutare la fattibilità di un modello organizzativo che preveda l’offerta e somministrazione del richiamo dTap in età adulta attraverso il MMG; 3) aumentare la consapevolezza da parte del MMG dell’importanza della prevenzione; 4) condividere un percorso virtuoso di collaborazione tra Assistenza Primaria, Distretti, Dipartimenti di Prevenzione e Servizi Vaccinali della ASL. Obiettivo secondario è l’incremento delle coperture vaccinali per il richiamo dTap nella popolazione target dello studio.
DISEGNO DELLO STUDIO
Lo studio è stato strutturato in quattro fasi. Nella prima fase di “analisi del contesto e disegno dello studio” sono stati contattati gli attori coinvolti i (Distretto/Dipartimento di Prevenzione), identificati i referenti di ASL, prodotto il materiale informativo (brochure e locandine) da distribuire presso gli ambulatori medici, disegnato il modello organizzativo e definiti gli indicatori di processo ed esito. Come popolazione target della sperimentazione sono state identificate le coorti di nascita 1970-1974, al fine di garantire l’inclusione di soggetti che dovrebbero aver effettuato un ciclo primario di vaccinazione antitetanica, la cui obbligatorietà è stata introdotta in Italia nel 1963. Il modello organizzativo prevede una remunerazione base per il MMG per ogni vaccinazione effettuata. In questa fase, inoltre, sono state selezionate le Unità di Cure Primarie (UCP) partecipanti al progetto su base volontaria. Il modello è stato illustrato in occasione di un incontro con i MMG, a cui è stato richiesto di esprimere la volontà di partecipare al progetto.
Nel periodo luglio-settembre si è svolta la seconda fase di “produzione”, in cui il progetto è stato presentato alle UCP partecipanti attraverso un incontro in cui è stato illustrato il valore della vaccinazione difterite-tetano-pertosse, sono stati presentatati dati di immunogenicità, efficacia e sicurezza del vaccino, illustrato il progetto con dettagli tecnici relativamente ai criteri di inclusione della popolazione target e alla modalità di offerta e somministrazione della vaccinazione, fornita la documentazione necessaria per la procedura vaccinale (scheda anamnestica e raccolta del consenso informato, registrazione dei dati relativi all’individuo e alla vaccinazione somministrata, modulistica per la segnalazione di eventuali reazioni avverse). In questa fase, i MMG hanno selezionato tra i loro assistiti i nati nel periodo 1970-1974 come popolazione target dell’offerta.
La terza fase “operativa” avrà inizio a ottobre 2019 attraverso l’offerta e somministrazione della vaccinazione di richiamo dTpa dal MMG ai propri assistiti presso il proprio ambulatorio. Il MMG coglierà ogni occasione opportuna di contatto con gli assistiti afferenti alla popolazione target dell’offerta per verificare lo stato vaccinale ed eseguirà la vaccinazione nel corso della visita stessa o fissando un appuntamento. L’anamnesi permetterà al medico di confermare l’aver effettuato in passato un ciclo vaccinale primario, in modo da poter somministrare soltanto una dose booster raccomandando un richiamo a 10 anni. Qualora emerga che il paziente non è mai stato vaccinato o lo stato vaccinale non sia noto, il medico effettuerà la prima dose e invierà il paziente al Servizio Vaccinale della ASL per il completamento del ciclo vaccinale. I vaccini trivalenti dTap saranno forniti dal Servizio di Igiene e Sanità Pubblica sulla base del fabbisogno stimato dai MMG partecipanti. Il MMG invierà le schede di vaccinazione mensilmente alla ASL, che provvederà all’inserimento dei dati in anagrafe vaccinale.
Nell’ultima fase di “valutazione” l’adesione alla vaccinazione attraverso il modello proposto verrà valutata come percentuale di adulti vaccinati con dTpa sul totale degli assistiti del MMG appartenenti alle coorti identificate e verrà predisposto un rapporto dettagliato dello studio.
RISULTATI ATTESI E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Due UCP, comprendenti 10 MMG, hanno espresso adesione volontaria al progetto, per un numero totale di assistiti pari a 7461. La popolazione target complessiva, cioè gli assistiti nati nel periodo 1970-1974 e quindi potenziali candidati alla vaccinazione, è pari a 1003.
La valutazione critica del progetto ha identificato una serie di vantaggi per le figure interessate: gli assistiti, il MMG, i servizi vaccinali e il Sistema Sanitario Regionale. Portare l’offerta vaccinale presso gli ambulatori del MMG significa andare incontro ai bisogni degli assistiti, che possono avvalersi del rapporto di fiducia con il proprio medico curante e della logistica facilitata (frequentando lo studio del MMG per altri motivi assistenziali, non devono recarsi specificamente presso un Servizio Vaccinale per la sola vaccinazione dTpa). Il MMG può ampliare le proprie conoscenze e competenze professionali e contribuire al raggiungimento di obiettivi di Sanità Pubblica. Gli operatori sanitari dei Servizi Vaccinali possono reimpiegare le risorse liberate nella programmazione di altre attività di promozione vaccinale. Infine, come sopra menzionato, la vaccinazione dTpa, effettuata secondo il PNPV, costituisce un LEA ed è pertanto da garantire. Il modello organizzativo proposto promuoverebbe il dialogo tra assistiti e MMG in materia vaccinale così da favorire l’adesione consapevole dei soggetti adulti alla vaccinazione dTpa, e più in generale alle vaccinazioni previste dal PNPV, con indubbi vantaggi di sanità pubblica. Aumentando le coperture per dTpa si contrasta la morbosità del tetano e della pertosse (con conseguente riduzione dei costi sanitari diretti legati ai ricoveri per tali patologie) e si garantisce una più corretta gestione del paziente in Pronto Soccorso in caso di traumatismi con ferite a rischio di tetano, attraverso una migliore appropriatezza terapeutica e riduzione del consumo di immunoglobuline specifiche.
Infine, la sperimentazione dell’offerta alla popolazione del richiamo decennale dTpa da parte del MMG in collaborazione con i Servizi Vaccinali dovrebbe permettere di incrementare le coperture nei soggetti adulti popolazione target dello studio, e di valutare la fattibilità di questo modello organizzativo.
Bibliografia
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Abstract
Il Task Shifting ha avuto origine nei Paesi in via di sviluppo al fine di far fronte alle importanti carenze di personale sanitario; infatti, prove documentate mostrano che è stato praticato in Uganda già nel 1918.
Il Task Shifting è inteso come la ridistribuzione razionale dei compiti nell’ambito di un gruppo di lavoro in ambito sanitario: si tratta di una riorganizzazione di attività conseguente allo spostamento di incarichi che prevedono l’uso di competenze tecniche specifiche da operatori sanitari a qualificazione formale più elevata ad operatori sanitari in possesso di specifici requisiti formativi e professionali, con l’obiettivo di ottenere un utilizzo più efficiente delle risorse umane disponibili.
Affidare un compito ad un professionista meno qualificato in grado di svolgerlo correttamente è uno dei criteri di efficienza della strategia Primary Health Care, indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il modello da seguire per la salute globale.
Il tema che ha di fronte l’intera Sanità Pubblica, e non solo la Prevenzione, è di riorganizzare le attività affidandole in base alle effettive competenze certificate più che al titolo di studio. L’ottimizzazione della gestione delle risorse umane può determinare anche il miglioramento della qualità del sistema, inserendosi in un più ampio flusso di idee ed iniziative che in ambito mondiale e comunitario portano sempre più ad organizzare il lavoro ponendo l’accento sulle competenze sostanziali piuttosto che formali.
Il modello operativo è stato applicato in modo costante negli ultimi due anni all’interno dei Dipartimenti di Prevenzione per far fronte all’ormai nota e crescente carenza di personale medico specializzato nell’ambito dell’Igiene e Medicina Preventiva.
Infatti, secondo quanto pubblicato da ANAAO ASSOMED, dall’analisi delle curve di pensionamento e dei nuovi specialisti formati nel periodo 2018-2025, in Italia è previsto un ammanco di circa 16.700 medici.
All’interno dei Dipartimenti di Prevenzione, il Task Shifting è oggi applicato in vari ambiti: esecuzione dei controlli in materia di Igiene Pubblica e di sicurezza alimentare, Commissioni di Vigilanza dei Locali Pubblico Spettacolo, certificati di salubrità inerenti ai locali destinati ad edilizia residenziale e civile, gestione della seduta vaccinale e degli screening oncologici, cardiovascolari e polmonari.
Per sopperire alla carena di Medici specialisti in Igiene e Medicina Preventiva e per la difficoltà sempre maggiore nel reclutare personale infermieristico, nei servizi medici dei Dipartimenti di Prevenzione della Regione Puglia si stanno assumendo sempre più Assistenti Sanitari.
Per quanto concerne in modo particolare la conduzione di una seduta vaccinale, l’Assistente Sanitario rappresenta la figura elettiva deputata alla gestione delle fasi dell’intero processo vaccinale, compresa la somministrazione, con la presenza in struttura di un medico referente.
L’attuazione della Legge 119 del 31 luglio 2017, oltre che per l’impegno costante per i recuperi vaccinali, ha gravato gli operatori degli ambulatori vaccinali di una serie di incombenze ulteriori relative all’obbligo vaccinale connesso con la frequenza scolastica per gli alunni fino a 16 anni, che ha obbligato il Dipartimento di Prevenzione a porre in essere provvedimenti straordinari.
Infatti, il Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’ASL Brindisi ha provveduto ad acquistare e a distribuire negli ambulatori vaccinali del territorio i vaccini necessari a far fronte all’aumentata richiesta in seguito all’introduzione dell’obbligo vaccinale: in un anno si sono registrate ben oltre 7500 vaccinazioni in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per un incremento pari al 35,6%. Gli effetti diretti della Legge 119/2017 sono stati un aumento del 105% della vaccinazione anti dTaP-IPV, del 31% per quella anti DTaP-IPV e del 41% per le vaccinazioni per MPR/MPRV. In aggiunta, bisogna anche considerare che, come effetti diretti e indiretti della Legge di Bilancio della Regione Puglia per l’anno 2017, si sono registrati un aumento del 104% della somministrazione di vaccino anti Meningococco B e del 55% di quello anti Meningococco tetravalente ACWY.
Inoltre, per permettere alla popolazione della Provincia di Brindisi l’osservanza delle scadenze previste dalla L. 119/2017, si è provveduto a dare ampia diffusione del modello di autocertificazione utilizzabile dalle famiglie per attestare di essere in regola con gli obblighi, anche grazie a una continua comunicazione con l’Ufficio VIII - Ambito Territoriale per la Provincia di Brindisi dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia.
Per far fronte all’aumentato carico di lavoro in ambito vaccinale dovuto, oltre che ai già menzionati effetti della Legge 119/2017, anche all’introduzione dei nuovi LEA (DPCM 12.01.2017) e all’attuazione in Regione Puglia del PNPV con la DGR n. 885 del 07.06.2017 (che ha previsto ulteriori offerte vaccinali), si è impegnato sempre più gli assistenti sanitari e gli infermieri professionali in attività di gestione degli ambulatori vaccinali (compresa l’esecuzione dell’anamnesi e del counselling vaccinale), che in passato erano demandate ai medici. In ogni caso, quando dalla raccolta dei dati emergono notizie che possono far pensare a una controindicazione alla vaccinazione, l’operatore sanitario contatta di default il medico responsabile della seduta per la valutazione e la decisione finale.
Si è stimato che nella nostra ASL in un anno per queste attività sono state shiftate circa 2.000 ore di lavoro dei medici su assistenti sanitari e infermieri professionali.
Un’altra attività che è stata demandata dal medico alla figura professionale specifica, ossia il Tecnico della Prevenzione, è la partecipazione alle Commissioni di Vigilanza sui Locali di Pubblico Spettacolo. Per questa attività, vista la sempre più rilevante richiesta, nell’ultimo periodo il trasferimento delle competenze al Tecnico della Prevenzione è stata quasi assoluta, lasciando al Dirigente Medico il ruolo di supervisione e consulenza per Commissioni particolarmente complesse, con un risparmio stimato di attività dei medici di circa 500 ore/anno.
In aggiunta, il Tecnico della Prevenzione rappresenta la figura elettiva deputata alla gestione operativa del procedimento relativo alle certificazioni di salubrità inerenti ai locali destinati ad edilizia residenziale e civile. Oltre la fase ispettiva, demandata abitualmente al Tecnico della Prevenzione, su quest’ultimo negli ultimi anni è ricaduta in modo esclusivo anche la fase di colloquio presso gli uffici del Servizio di appartenenza degli utenti in caso di non conformità a seguito del controllo, che in passato era sempre supportata dal Dirigente Medico, con risparmio stimato di circa 200 ore/anno dei medici. Le non conformità gravi sono gestite di concerto col Dirigente Medico referente della Struttura di appartenenza che propone all’Autorità Competente l’adozione dello specifico provvedimento.
Per le attività richiamare la possibilità di trasferire alcune competenze ben codificate dal medico agli operatori delle professioni sanitarie della prevenzione ha permesso nella ASL di Brindisi di far fronte all’aumentato carico di lavoro descritto malgrado la sempre più drammatica carenza in organico di Dirigenti Medici specialisti in Igiene e Medicina Preventiva.
Naturalmente il Task Shifting non può essere considerato una panacea per tutti i mali dei sistemi sanitari né come un modo per abbattere i costi (tentazione forte in questi tempi di crisi), non può essere alternativo alla formazione di nuovo personale, incluso il personale medico e specializzato e, quando adottato, richiede emanazione di protocolli operativi, formazione, supervisione, aggiornamento e deve far parte di un sistema articolato su più livelli dove ogni necessità possa trovare una risposta.
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Abstract
I professionisti appartenenti al Profilo descritto nella 4a classe di Laurea delle Professioni Sanitarie delle Prevenzione (DM 19/02/2009) sono i Tecnici delle prevenzione in Ambiente e nei luoghi di lavoro (TdP) e gli Assistenti Sanitari (AS). Essi svolgono le attività ancorate alle responsabilità derivanti dai profili professionali declarati nei D.M. 58/97 e 69/97 e, pur dovendosi i ruoli e le funzioni professionali declinare in maniera differenziata a seconda della Regione in cui si eroga la formazione in relazione alle specificità e alle peculiarità del contesto territoriale, l’attenzione alle attività di Prevenzione è elemento cardine.
Le professioni della prevenzione hanno un’importanza strategica per la salute delle popolazioni in tutto il territorio nazionale, rispetto alla dimensione etica delle promozione e della salute anche in termini di dignità della persona, oltre che per le ricadute economiche delle attività di prevenzione: l’investimento sulla sicurezza delle popolazioni, nell’ambiente e nei luoghi di lavoro si traduce infatti in un ritorno positivo sia in termini di salute guadagnata che in un risparmio di costi per la cura delle patologie ed altre spese indirette.
Ciononostante, in alcune realtà si osserva che il supporto delle Istituzioni Pubbliche nell’erogazione del corso di laurea, in particolare dei tirocini, appare insufficiente.
Più in generale, il tiepido interesse delle istituzioni verso le professioni di TdP e AS, malgrado la riconosciuta rilevanza dell’attività sul territorio a tutela della salute e della sicurezza potrebbe costituire una criticità, insieme alla non completa attuazione, per ciò che riguarda le ASL, delle norme istitutive del Dipartimento delle Professioni Sanitarie con l’evidenza che l’istituzione della Unità operativa complessa dell’area della Prevenzione appare disomogenea nelle ASL del Lazio e d’Italia.
Se da una parte i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie della Prevenzione rappresentano elemento fondante della terza missione dell’Università dall’altra, corsi di laurea attivati in differenti Atenei manifestano difficoltà nel colmare il gap tra l’Università ed il mondo del lavoro: la creazione di reti di imprese presso le quali gli studenti, oltre a svolgere il tirocinio professionalizzante, possano svolgere anche esperienze di tirocinio post lauream potrebbe costituire valore aggiunto.
La scarsa conoscenza del profilo professionale del TdP da parte dei datori di lavoro, in alcune piccole e medie imprese, della normativa in materia di sicurezza – che si traduce nell’affidamento dei compiti che dovrebbe svolgere un TdP ad altre figure professionali già presenti nell’impresa, prive di specifico background e formazione – costituisce un ulteriore elemento di criticità.
In riferimento alle Asl il ruolo e la funzione del TdP e dell’AS appaiono non completamente definite, con il rischio di una confusione di ruoli, responsabilità e professionalità e di un aumento della burocratizzazione delle attività dei Dipartimenti di Prevenzione, salvo in caso di presenza di una Dirigenza “illuminata” dove il TdP e l’AS possono contribuire a conseguire un più elevato livello di qualità dell’assistenza ed elevati standard di stili di vita nella popolazione.
Secondo la nostra esperienza, nello specifico del corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione in Ambiente nei luoghi di Lavoro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Roma, la modernità della professione, che viene percepita da tutti gli studenti sin dal primo anno di corso, con autentico interesse verso gli argomenti di insegnamento e, in generale, verso le tematiche della sicurezza, costituisce un punto di forza del percorso formativo.
Ciò è in contrasto con l’evidenza che in alcune Aziende Pubbliche vi è un ritardo nel processo di modernizzazione della figura del TdP che di fatto spesso svolge il ruolo amministrativo di “vigile sanitario”. Se è vero che il TdP affonda le sue radici storiche nel Regio Decreto 6/07/1890 n° 7042, che istituisce la figura del vigile sanitario per coadiuvare l’ufficiale sanitario nell’esecuzione delle ispezioni igienico sanitarie e dei regolamenti comunali e i vigili sanitari erano inquadrati come corpo di polizia dotati di una propria divisa, dipendevano gerarchicamente dal comandante dei vigili urbani per quanto concernente la loro disciplina e dall’ufficiale sanitario per quanto riguarda l’espletamento del loro servizio, ad oggi lo scenario epidemiologico, demografico, professionale e normativo si è modificato - secondo anche l’impostazione del D.L.vo 502/92- per cui l’approccio repressivo deve mutare in un nuovo approccio, anche culturale, verso la prevenzione proattiva intesa come Valore.
Ad esempio, Il corso di laurea in TdP dell’Università Cattolica, grazie anche alla lungimiranza del Direttore delle attività professionalizzanti, è l’unico corso di studi dell’Università Cattolica che prevede l’alternanza scuola-lavoro e che investe nel tirocinio presso piccole imprese locali, nel tentativo di innescare un circolo virtuoso tra l’Università e il territorio.
Favorire l’integrazione dei TdP sul Territorio ed i Servizi aziendali di Risk Management e della Prevenzione e Protezione per collaborare al mantenimento dei livelli di qualità delle prestazioni erogate dal Servizio Pubblico costituisce certamente un’ulteriore sfida positiva.
La “crisi” che oggi le professioni della prevenzione vivono è certamente anche legata al fatto che il profilo del TdP contenuto nel D.M. n. 58/97 è confusamente formulato: in particolare, laddove la declaratoria prevede che i Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro “svolgono la loro attività professionale, in regime di dipendenza o libero-professionale, nell’ambito del servizio sanitario nazionale, presso tutti i servizi di prevenzione, controllo e vigilanza previsti dalla normativa vigente” di fatto sembra escludere che i Tecnici della Prevenzione possano operare negli altri settori diversi dalla Sanità. Ne deriva che presso i datori di lavoro privati di fatto le funzioni dei Tecnici della prevenzione sono spesso svolte da ingegneri e che, di fatto, il corso di laurea in Ingegneria Ambientale e/o della sicurezza sia il principale “competitor” del corso di laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. A ciò si aggiunga che nelle Aziende Pubbliche si registra spesso la presenza di Dirigenti Ingegneri, prevalentemente nei Servizi di Prevenzione e Salute nei luoghi di Lavoro, che di fatto svolgono funzioni dirigenziali che dovrebbero, dalle suddette dirigenze illuminate, essere affidati a Professionisti dell’area della Prevenzione.
Con riferimento al settore pubblico, dai dati sull’occupazione (in particolare dai dati pubblicati dalla Ragioneria Generale dello Stato sul profilo di “operatore di vigilanza e protezione”) risulta che il TdP è il profilo professionale “più vecchio”. Tra i TdP impiegati nel S.S.N., infatti, i professionisti più giovani hanno 40 anni; si stima, inoltre, che entro il 2021 si pensionerà circa il 40% dei professionisti alle dipendenze del S.S.N. A ciò si aggiunge il fondato timore del ridimensionamento dei Servizi di Prevenzione e Protezione del S.S.N. entro i prossimi cinque anni.
Si evidenzia inoltre che gli studenti e i docenti della scuola secondaria superiore non conoscono il corso di laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro: è pertanto necessaria un’operazione di orientamento in ingresso mirata agli studenti delle scuole superiori.
Fondamentale sarebbe ad esempio nelle scuole la valorizzazione della funzione di promozione della Salute per il contrasto del consumo di Droga, Alcol, per una sana alimentazione, per la promozione vaccinale o per lo sviluppo di una cultura ambientale.
Con riferimento al piano degli studi del corso di laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro dell’UCSC, malgrado l’indubbia qualità della formazione e dei contenuti, si rileva che vi sia un sovraccarico cognitivo, evidenziato da una sovrabbondanza di SSD. È apprezzabile che, nel piano degli studi, l’UCSC abbia rispettato il principio della sussunzione delle discipline tecniche sotto il SSD MED/50 affidate ai professionisti del settore della Prevenzione.
Riguardo i Piani di studio sarebbe auspicabile uniformare gli stessi, creando Reti Universitarie che pianifichino uniformemente i percorsi di studi, sia nel percorso triennale che magistrale per cui l’offerta, almeno nella regione Lazio, andrebbe ottimizzata e tarata sulle esigenze degli studenti lavoratori, che spesso vi si iscrivono. Utile appare in tale senso l’individuazione di “livelli essenziali di insegnamento”, che consentono da un lato di evitare il sovraccarico formativo e dall’altro lato di agire direttamente sui contenuti degli insegnamenti con i docenti che li erogano.
Critica potrebbe apparire la sussunzione della disciplina “Deontologia e regolamentazione” sotto il SSD MED/43 anziché sotto il SSD MED/50, il che assicurerebbe probabilmente una migliore attenzione alle specificità deontologiche del Profilo Professionale, quando queste siano state definite dagli specifici Ordini e Albi Professionali.
La professione del Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro è riconosciuta e considerata in vari provvedimenti normativi dal MIUR, dal Ministero della Salute, dal MISE e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: cionondimeno l’Italia è l’unico Paese che non ha mai adottato una strategia nazionale per la sicurezza nell’ambiente e nei luoghi di lavoro
Si rileva l’urgenza di creare un tavolo politico sui temi dell’ambiente, del tutto trascurati, in sinergia anche con i datori di lavoro “istituzionalmente forti” (MISE, Confindustria), valorizzando il ruolo delle Regioni quale interlocutore principale.
Con riferimento alla sinergia tra le imprese e l’Università per i tirocini formativi, sarebbe utile la formulazione di un piano incentivante per i tutor, che potrebbe consistere, per esempio, nella creazione di un albo dei tutor, gestito dall’Ordine professionale, che possa agevolare dette figure nell’accesso ai crediti per la Formazione continua ECM (attribuiti per l’impegno tutoriale) ovvero nella previsione di compensi.
Poiché il piano degli studi prevede uno specifico insegnamento sull’ambiente, le l’ARPA dovrebbero considerare gli studenti del corso di laurea in Tecniche della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro ai fini dello svolgimento del tirocinio professionalizzante atteso che, in base all’art. 1, comma 6, del D.M. n. 58/1997 “ Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro svolge la sua attività professionale, in regime di dipendenza o libero professionale, nell’ambito del servizio sanitario nazionale, presso tutti i servizi di prevenzione, controllo e vigilanza previsti dalla normativa vigente”.
Si auspica che l’istituzione dell’Ordine e dell’Albo professionale possa contribuire alla sensibilizzazione delle istituzioni pubbliche e delle imprese private sull’importanza della professione e del contributo anche culturale alla prevenzione.
In conclusione la sfida, come ha sostenuto il Prof. Walter Ricciardi, già Presidente dell’ISS e Coordinatore della Struttura Didattica del corso di Laure in Tecniche delle Prevenzione in Ambiente e nei Luoghi di Lavoro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore fino al 2015, in occasione della sua nomina a Presidente della World Federation of Public Health Association, è quella di “trasformare la tutela della salute in un’istanza presente in tutte le politiche: educative, ambientali, industriali, poiché solo così è possibile costruire sistemi sanitari equi e sostenibili anche nel futuro”.
È fondamentale comprendere come la scelta sia politica e non economica, oltre che culturale: solo così si può auspicare di vedere finalmente nella sanità non solo un costo e interpretare il concetto di sanità per tutti oltre il mero investimento economico. La sanità, in sintonia con la direzione generale dell’Oms, è quella della Sanità come fattore di sviluppo di un Paese, sia esso ricco o disagiato. È infatti dimostrato che un Paese sano lavora di più, produce di più e spende di meno per le malattie.
I Professionisti della Prevenzione hanno il compito di far comprendere questa evidenza che contribuisce al Valore della Sanità Pubblica in cui la Prevenzione dovrebbe essere protagonista in modalità equa e sostenibile, così da poter adottare decisioni conseguenti con i principali interlocutori economici (MISE) perché è solo con un cambio di visione da sanità come fattore di costo a fattore di sviluppo, che si potrà sperare in un salto in avanti nell’approccio verso l’obiettivo della copertura sanitaria universale, segnando di fatto la sconfitta della visione della sanità di mercato a favore invece di una sanità globale realmente permeante dal punto di vista sociale.
La sfida e la scommessa della salute in tutte le politiche è sostenibile, poiché è dimostrato che per ogni 100 dollari investiti in prevenzione sanitaria ne tornano al Paese dai 600 agli 800.
Il tutto curando sempre le abilità comunicative dei professionisti della prevenzione in un contesto in cui la velocità dell’informazione, non coincide con la correttezza delle conoscenze, soprattutto in tema di prevenzione in cui è pressante l’esigenza di innovazione.
Abstract
Nella nostra Società Scientifica si dibatte da più di un quinquennio di Task Shifting, i cui principi possono non trovare immediata applicazione poiché nel sistema complesso in cui si trovano ad operare le Aziende del Servizio Sanitario Nazionale è necessario aprirsi ad un cambiamento che spesso fatica a concretizzarsi. Se la “ridistribuzione razionale dei compiti all’interno di un gruppo di lavoro sanitario, grazie alla quale competenze tecniche specifiche sono spostate da operatori sanitari a qualificazione formale più elevata ad altri di qualificazione formale meno elevata” può apparire una definizione che richiama esclusivamente ad aspetti organizzativi, è sempre necessario valutare preliminarmente e con spirito critico i punti di forza e le aree di miglioramento che insistono nel sistema complesso in cui opera personale afferente a Servizi e Dipartimenti che erogano prestazioni volte alla tutela della collettività.
Per poter apportare migliorie ad un contesto organizzativo sanitario è necessario sostenere e continuare a sensibilizzare i vertici aziendali nella costante adozione di politiche decisionali utili a rendere le prestazioni territoriali maggiormente efficienti, promuovere l’individuazione delle linee operative in cui è possibile ipotizzare l’attuazione del Task Shifting e studiare strategie volte a vincere resistenza al cambiamento ed a contrastare le abitudini.
Sono state ad oggi individuate e descritte numerose linee di lavoro dei Dipartimenti di Prevenzione in cui i principi del Task Shifting trovano concreta applicazione in diversi contesti aziendali: l’obiettivo strategico comune, seppure apparentemente faticoso, è volto a migliorare il Sistema Prevenzione, valorizzando ruoli e competenze di professionisti sempre più formati, all’adozione di strategie incentivanti volte al riconoscimento delle funzioni ricoperte ed a promuovere la multiprofessionalità nel rispetto di quanto previsto dagli specifici profili professionali.
Abstract
Fulop e Ramsay (BMJ 2019) hanno evidenziato come, nei cambiamenti organizzativi, il corretto uso dei dati e della tecnologia da parte dei manager sanitari, guida il miglioramento della qualità del sistema sanitario e i” patients outcomes”, a prescindere se questo avvenga a livello nazionale o regionale.
Il nuovo Manager Sanitario del 2020, sia esso di direzione strategica oppure middle manager e quindi di ospedale, di distretto o del dipartimento di prevenzione, svolge un ruolo chiave nelle Aziende Sanitarie, con nuove sfide professionali, in quanto ruolo ibrido tra quanto previsto dallo storico D.L. 502/92 al Super Manager della sanità c.d. 4.0 in molti casi frutto delle sfide legate all’introduzione dell’ICT in sanità e delle responsabilità conseguenti l’accorpamento tra ASL. I dati del ministero della salute indicano che dalle 659 ASL del 1992, si è passati alle 101 del 2017 con bacini di utenza anche al di sopra del milione di abitanti per le ASL territoriali.
Il Manager del 2020 avrà quindi sempre più un ruolo di super-manager rispetto a prima ed in particolare di:
gestore dell’equilibrio tra vincoli economici e necessità di rispondere ai bisogni dei pazienti in modo efficace e innovativo per governare l’integrazione ospedale-territorio;
agente di collegamento tra la super Direzione Strategica, i middle manager della prevenzione e del Distretto socio-sanitario, e i professionisti dell’ospedale;
direzione della produzione dei servizi socio-sanitari nelle Aziende sanitarie ed Ospedaliere;
negoziatore privilegiato con interlocutori esterni, come l’impresa, istituzioni pubbliche e cittadini su temi sanitari.
Pur mantenendo centrale la collegialità del lavoro della direzione strategica, al fine di raggiungere in modo sistemico ed efficace gli obiettivi aziendali, diventa fondamentale investire in un middle management aziendale “moderno” in grado di presidiare – attraverso il coordinamento diretto o la collaborazione con altri servizi aziendali – una serie di nuclei di attività: dallo sviluppo strategico al “value management”, dalle relazioni con gli stakeholder alla valorizzazione del capitale umano, alla gestione operativa alle funzioni di garanzia e vigilanza tra ospedale, dipartimento di prevenzione e distretto socio-sanitario.
Il Manager Sanitario del futuro dovrà potersi avvalere di professionisti in grado di affrontare le sfide della gestione delle nuove grandi aziende sanitarie, frutto dei grandi accorpamenti territoriali della filosofia del “bigger is better”, con competenze tecniche o – quand’anche tradizionali – totalmente rinnovate ed una sviluppata expertise manageriale.
Con riferimento alle professionalità, tra le prime, si fa riferimento a:
la Gestione Operativa, che comprende gli approcci e strumenti relativi alla gestione degli asset produttivi aziendali e all’ottimizzazione dei flussi dei pazienti, attraverso il miglioramento continuo dei processi e in relazione ai Percorsi Diagnostico, Terapeutici e Assistenziali definiti in azienda;
l’Information & Communication Technologies (ICT), per le dinamiche che interessano le innovazioni tecnologiche e le dotazioni informatiche necessarie per l’efficace organizzazione delle attività sanitarie e della produzione (ad es. cartella clinica elettronica, l’introduzione delle intelligenze artificiali, l’uso dei big data ecc.).
Tra le seconde, si annovera la Clinical Governance che, da un lato riconduce ad unitarietà gli approcci per la gestione del rischio, dalla prevenzione alla gestione dell’evento avverso, tramite l’applicazione di logiche e sistemi di gestione dei rischi e l’apporto della medicina legale, mentre dall’altro regola e garantisce la gestione della qualità e dell’accreditamento sia esso istituzionale o di eccellenza.
Inoltre, in relazione al proprio ruolo di guida e connettore dei processi di produzione, tra le funzioni con cui il Manager Sanitario deve collaborare strettamente per la definizione di politiche comuni di azione vi sono:
l’area ospedaliera, l’area socio-sanitaria e della prevenzione assieme a quella delle professioni sanitarie, per ricondurre ad unitarietà la gestione della produzione dei servizi sanitari e socio-sanitari nei suoi riflessi sul personale medico, infermieristico e dei tecnici della prevenzione;
la programmazione e controllo e flussi informativi sanitari, compresa la rendicontazione degli outcome clinici e degli esiti, allo scopo di costruire un cruscotto unitario di programmazione e controllo delle performance produttive e sanitarie dell’azienda;
la gestione e sviluppo del capitale umano, con una forte connessione con le articolazioni organizzative dell’Azienda che si occupano di gestione delle risorse umane (sia mediche sia infermieristiche sia le nuove professioni) e della formazione;
le relazioni sindacali, che pur gestite dal punto di vista strategico dalla Direzione Generale, necessitano di un coordinamento che garantisca la connessione tra le politiche discusse dalla DG e analizzi le ripercussioni sulla gestione dell’operatività aziendale garantita dalla DS;
l’ufficio tecnico per le questioni riguardanti la progettazione edilizia, la ristrutturazione dei luoghi e degli spazi, i criteri infrastrutturali e la dotazione tecnologica; solo il coordinamento tra chi conosce le dinamiche reali delle attività sanitarie e chi è deputato agli investimenti infrastrutturali e tecnologici, potrà condurre a politiche efficaci di progettazione degli edifici e dei luoghi dove si produce salute in relazione alle necessità dei professionisti e dei pazienti.
In questo scenario si inseriscono le nuove competenze legate alla gestione dell’innovazione tecnologica che deve acquisire sia il Manager che il Super Manager ed in particolare: la robotica, la domotica, l’intelligenza artificiale nella diagnostica e nello sviluppo dei sistemi di predizione, big data e machine learning, lock-chain in sanità e l’utilizzo delle energie rinnovabili in ospedale.
Il ruolo del Manager Sanitario, sia esso di direzione strategica oppure middle manager, cambierà quindi al pari di come sta cambiando l’ospedale, di come stanno cambiando le cure intermedie, cambierà come cambieranno sia i centri per la riabilitazione che le cure primarie, cambierà come il dipartimento di prevenzione, il distretto socio-sanitario con l’avvento delle nuove tecnologie intelligenti e gli algoritmi predittivi.
Ne esce quindi un Super Manager di direzione strategica e un super “ middle manager”, che dovrà formarsi prevalentemente e necessariamente sul campo (al momento l’offerta accademica è prevalentemente post-specializzazione) oppure andando all’estero.
Tutte grandi sfide per questi Manager Sanitari del 2020 che, per saper rispondere a tutti i collaboratori in tempo reale, li trasformeranno in professionisti sempre più “digitali”, con il risultato di creare un manager della direzione strategica sempre meno avvicinabile dal middle manager e un middle manager sempre meno avvicinabile dai direttori di struttura complessa.
In questo dibattito sull’evoluzione del Manager Sanitario, troppo pochi si stanno impegnando per riconfigurarlo e profilarlo, forse perché l’evoluzione del ruolo e delle responsabilità del Manager e Super Manager sono troppo rapide per essere presentate in maniera ultimativa nelle sedi educazionali tradizionali.
È tuttavia utile ricordare che l’art. 1 comma B e C del nuovo statuto della S.I.t.I. prevede un apposito ruolo della società nel favorire l’evoluzione e lo sviluppo culturale e professionale degli igienisti in cooperazione con l’amministrazione sanitaria e le istituzioni mediche e scientifiche nazionali ed internazionali, che la chiama prepotentemente in causa, forte della sua storia nella sanità pubblica italiana.
In particolare, la SITI potrebbe guidare il dibattito nazionale per cercare risposte alle seguenti domande:
Come ridurre la distanza tra Super Manager della Direzione strategica del 2020 e il middle management? questione chiave per la gestione delle aziende sanitarie territoriali e ospedaliero-universitarie del futuro.
Quale riqualificazione formativa dei manager in ruolo, per innalzare rapidamente il loro livello professionale, per adeguarlo all’evoluzione organizzativa e tecnologica dei sistemi sanitari?
Quale ruolo dovrà avere il direttore del dipartimento di prevenzione di fronte a queste sfide tecnologiche e gestionali in atto, per non trovarsi a margine delle priorità gestionali dell’azienda sanitaria?
L’occasione del Congresso Mondiale di Sanità Pubblica di Roma 2020 è propizia per presentare queste risposte frutto della cultura gestionale delle direzioni strategiche, di presidio ospedaliero, di distretto socio-sanitario e del dipartimento di Prevenzione, del Sistema Sanitario Nazionale e Regionale italiano a 40 anni dalla sua Fondazione che ha fatto dell’SSN un modello pubblico vincente e per questo da difendere.
Abstract
IL CONTESTO
Per definire ruolo, competenze professionali igienistiche e skill manageriali dei medici delle Direzioni Mediche Ospedaliere (DMO) nell’organizzazione sanitaria del futuro occorre considerare le profonde trasformazioni in atto nell’ospedale e il singolare quadro delle DMO, chiamate ad operare in un contesto normativo datato, frammentato e privo di un univoco quadro di riferimento.
L’ospedale è un’organizzazione complessa, strutturata come tutte le “Burocrazie Professionali” sulla base di forti regole implicite, spesso autoreferenziale e poco incline al cambiamento se non per le innovazioni di carattere clinico assistenziale (Zanetti, 1996).
Tuttavia negli ultimi due decenni, nell’ambito dei Sistemi Sanitari più evoluti, l’ospedale ha dovuto accettare la sfida del cambiamento imposta da un mutato contesto economico, socio-demografico, epidemiologico e tecnologico. Le profonde transizioni in atto nei paesi occidentali e la necessità di confrontarsi con problemi di sostenibilità, con l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle patologie cronico-degenerative e dei pazienti pluripatologici e, al contempo, con i continui progressi tecnologici, le nuove conoscenze cliniche e le crescenti attese dei cittadini, rendono ineluttabile un cambio di paradigma del sistema ospedaliero e l’adozione di parallele innovazioni organizzative. Il ruolo strategico dell’ospedale è cambiato e continuerà a mutare nel prossimo futuro. Le attività di media complessità trovano efficaci risposte nell’assistenza territoriale, con il progressivo potenziamento dei servizi distrettuali mentre l’ospedale è deputato sempre più alla cura delle patologie acute, complesse, con perdita definitiva delle precedenti caratteristiche generaliste. Nel suo ambito si sperimentano modelli organizzativi alternativi a rigide settorializzazioni disciplinari e professionali e si definiscono nuovi asseti organizzativi e nuovi obiettivi di servizio. L’adozione del modello dipartimentale, dell’ospedale per Intensità di Cure, l’integrazione in rete dei presidi di diverso livello, la promozione dei Centri di eccellenza, la definizione di PDTA e di accordi interaziendali, rappresentano obiettivi ancora in itinere ma sono coerenti con concetti di committenza sempre meno orientati al semplice governo della produzione e più sensibili alla tutela della salute, in termini di equità di accesso, appropriatezza clinica, sicurezza, continuità assistenziale e presa in carico della persona.
La sfida dell’innovazione imposta da un tale scenario richiede tuttavia un insieme combinato di interventi capaci di favorire l’affermazione di nuovi modelli manageriali e organizzativi ed una effettiva metamorfosi culturale, molto proclamata ma che nei fatti procede più lentamente di quanto dovrebbe, sia nell’area della programmazione che nella cultura del management e dei molti professionisti della sanità (Pieroni, 2010). L’emanazione del DM 70 sugli standard ospedalieri e del Piano Cronicità nel 2015 e 2016, con evidente ritardo rispetto ad un quadro in rapida evoluzione, segna comunque un punto di non ritorno rispetto al recente passato.
I cambiamenti in atto avranno un forte impatto sul ruolo e sulle prospettive professionali dei medici igienisti delle DMO che a partire dagli anni ottanta, accanto alla classica componente di tipo igienico-organizzativo, hanno assunto un ruolo distinto nell’ambito manageriale-gestionale (Zanetti, 1996), successivamente sancito dall’avvio dell’aziendalizzazione. Per accettare e vincere la sfida del futuro è tuttavia fondamentale ridisegnare e affermare per questi professionisti un ruolo meno eterogeneo ed ambiguo dell’attuale ed al contempo sviluppare, sia nel percorso formativo dei giovani colleghi che nell’aggiornamento continuo, nuove competenze che, congiunte a quelle tradizionali già patrimonio dei medici igienisti, sappiano rispondere ai nuovi bisogni delle nostre organizzazioni.
RUOLO E FUNZIONI DELLA DMO
Nell’ultimo decennio sono sorte le premesse per una significativa revisione del ruolo e delle responsabilità attribuite alla DMO ma, in assenza di un quadro univoco “di sistema”, si è assistito ad una progressiva delegificazione e deregulation della funzione che ha generato ambiguità e non sempre consente di individuare con chiarezza quali siano gli ambiti di responsabilità e le competenze da mettere in campo. Diverse indagini dimostrano un’ampia variabilità di modelli ed una vasta gamma di soluzioni riguardo la collocazione organizzativa ed il ruolo della DMO, sia nell’ambito dei 21 sistemi sanitari regionali che nelle realtà di una stessa regione (Pieroni, 2010).
Questa situazione, che riflette asincronie e incertezze tipiche delle fasi di transizione, è da mettere in relazione al decentramento regionale, all’autonomia organizzativa riconosciuta alle Aziende ed al potere discrezionale dei vertici aziendali, ma anche al peso decisivo delle trasformazioni che hanno interessato l’organizzazione dell’ospedale, in particolare:
l’affermazione del modello dipartimentale;
la transizione professionale, con riconoscimento di più ampie autonomie gestionali alla componente clinica, infermieristica e tecnica;
la crescente specializzazione dei Servizi di staff alle Direzioni Aziendali.
Oggi che tale riassetto è stato sperimentato e si è consolidato nella maggioranza delle AS occorre porsi l’obiettivo di rendere sinergiche e complementari le nuove figure gestionali, rappresentate da professionisti dell’area clinica, assistenziale e tecnica, e quella dei medici che tradizionalmente hanno svolto e svolgono funzioni organizzative.
A tale riguardo sembra convincente il quadro concettuale per l’analisi delle funzioni della DMO descritto dal rapporto OASI 2012, più volte ripreso nella letteratura di settore, che individua quattro direttrici (Asset management, Knowledge management, Disease management e Network management) su cui fondare l’organizzazione e la gestione dell’ospedale in trasformazione (Lega, 2012).
In questo quadro di trasformazione, tra altre ipotesi meno suggestive e anche sulla base di ricerche empiriche, la letteratura propone una rappresentazione della DMO impegnata attorno a due grandi aree di sua stretta pertinenza ed attorno ad altre aree “contendibili” con altre linee direzionali/ professionali. Le aree di specifica competenza, che assimilano la DMO ad una “direzione della produzione”, sono quella dei medical affairs e quella dell’operations management.
La prima rappresenta l’area delle funzioni in stretto collegamento con la linea clinica (Programmazione e controllo, gestione dei flussi informativi, supporto all’audit clinico, valutazione degli esiti, HTA, orientamento allo sviluppo professionale…), in rapporto e dipendenza con le strategie aziendali.
La seconda attiene alla gestione operativa, ossia alla funzione che ricerca le migliori condizioni di efficienza dell’ospedale sotto il profilo tecnico e gestionale (organizzazione di infrastrutture diagnostiche e terapeutiche, tecnologiche, logistica e dei processi complessi e sovraordinati quale l’accreditamento, l’igiene ospedaliera, gli investimenti…) e che vede la DMO al centro dei processi decisionali.
Le aree “contendibili” riguardano ambiti altrettanto complessi, non prettamente specialistici e che quindi necessitano di alti livelli di collaborazione con altre professioni (qualità, risk management, gestione dei posti letto…), con le direzioni tecnico amministrative (personale, acquisti, marketing, comunicazione, libera professione, relazioni sindacali…) o con più direzioni contemporaneamente, come nel caso di progetti speciali relativi a riorganizzazioni, reti interaziendali, trasformazioni strutturali. Anche in questi ambiti, in cui la collegialità ed il coinvolgimento dei clinici rappresenta un indiscusso punto di forza, il contributo dei medici di DMO può assicurare un apporto terzo, oltre che competenze e sensibilità tali da porlo spesso in posizione di leadership (Fantini, 2015).
In prospettiva l’obiettivo potrebbe essere quello di costruire una DMO in grado di esercitare le proprie funzioni in tali diversi ambiti, in una logica di Direzione Operativa dell’ospedale e di Team multiprofessionale che comprenda altre figure (infermieri, ingegneri gestionali, statistici…), e dove il Medico di organizzazione assume ruolo e responsabilità dirette a garanzia di una visione unitaria ed unificante dei vari apporti in ordine alle azioni da intraprendere (Fantini, 2015; Pieroni, 2010). Un tale assetto consentirebbe una chiara ed efficace distinzione degli ambiti di responsabilità ai diversi livelli dell’organizzazione, evitando inefficienti sovrapposizioni: l’indirizzo strategico in capo alla Direzione Aziendale, la gestione della produzione e delle attività di supporto alla Direzione Operativa, la gestione delle attività “core” clinico-assistenziali affidata, con gradi di autonomia sempre più ampi, alle direzioni dipartimentali ed assistenziali.
COMPETENZE E FORMAZIONE
Qualsiasi sia l’ambito di azione e di responsabilità della DMO i fattori di successo del futuro saranno i contenuti e le conoscenze che saprà offrire ai propri interlocutori e le modalità di confronto con le altre componenti professionali. La matrice igienistica e l’approccio ai grandi temi della sanità pubblica dei MO è uno dei presupposti per affrontare al meglio le prossime sfide che comunque potranno essere vinte solo se l’approccio sarà basato su solide basi scientifiche maturate nel corso della formazione specialistica e dell’attività professionale.
Il sapere scientifico deve essere migliorato per massimizzare i risultati e ridurre al minimo i rischi di indeterminazione e inappropriatezza. La posta in gioco e i cambiamenti in atto nell’ospedale esigono lo sviluppo di ulteriori e più solide competenze rispetto all’oggi, in diversi ambiti: pianificazione strategica, programmazione, modelli manageriali, progettazione organizzativa, valutazione dei risultati sia in un’ottica di EBM e governo clinico (outcome) che di sostenibilità economica (output). Nella cassetta degli attrezzi del futuro medico di DMO saranno irrinunciabili competenze, o almeno solide conoscenze, in tema di HTA, ricerca epidemiologica, risk management, valutazione comparativa e ricerca operativa sui servizi, da utilizzare con sistematicità e metodo allo scopo di generare sinergie ed alleanze interprofessionali e quindi condividere obiettivi e reciproci impegni (Mannion, 2005).
Nell’era dell’ICT e dell’informazione diffusa un’abilità del tutto particolare, che può essere appresa ma che dovrebbe essere discriminata già nella fase di valutazione delle attitudini di chi aspira ad operare nelle DMO, è la “capacità di comunicare”, caratteristica decisiva per un’efficace interazione con i decisori, il management strategico, le direzioni dipartimentali, la popolazione.
Il tema della formazione universitaria e post universitaria è cruciale per accompagnare il processo di rinnovamento auspicato. Da anni è in corso un serrato confronto sull’impianto delle scuole di specializzazione e le soluzioni via via adottate non sembrano ancora rispondere appieno alle esigenze del SSN. La Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva rappresenta la base su cui sviluppare l’acquisizione delle conoscenze e competenze che abbiamo delineato come necessarie per i medici delle DMO. Tuttavia diverse indagini hanno rivelato che nei fatti i piani formativi possono essere molto differenti nelle diverse sedi e non sempre efficaci rispetto agli scopi (Costantini, 2014). Questo quadro deve essere rapidamente modificato con una concreta revisione dei piani di studio e delle reti formative, anche in funzione di una efficace applicazione dei dettami della Legge 2019/60 che prevede, per gli specializzandi dell’ultimo anno, la possibilità di partecipare ai concorsi di selezione ed essere assunti a TD nell’ambito delle Aziende del SSN.
La nuova normativa segue alcuni principi già sperimentati a livello internazionale dove peraltro la maggioranza delle scuole di Public Health non contemplano il management ospedaliero, riservando la formazione in tale ambito a Corsi e Master precisamente codificati. Questa ulteriore strada comincia ad essere seguita anche nel nostro paese con investimenti più strutturati per l’aggiornamento continuo e per corsi di management sanitario post universitari ed è un’opportunità che va perseguita anche allo scopo di coinvolgere progressivamente altri professionisti della salute impegnati in attività gestionali.
CONCLUSIONI
Ai Medici di organizzazione non mancano occasioni di sfida e opportunità per progettare il futuro e riposizionare il proprio ruolo nell’attuale transizione, a patto che acquisiscano ulteriori competenze per sostenere un impegno di rilevante complessità. Allo stato attuale non è facile indicare modelli univoci perché le esperienze sono disomogenee e l’impianto teorico è ancora privo di riferimenti consolidati. Oltre a quanto sinteticamente illustrato riteniamo tuttavia che i migliori traguardi per le DMO e l’ospedale si possano raggiungere rinnovando l’impegno dimostrato dai medici di matrice igienistica in altre occasioni di radicale trasformazione del sistema sanitario (riforma ospedaliera, istituzione del SSN, aziendalizzazione), in cui sono stati capaci di esaltare le competenze distintive di Sanità Pubblica che differenziano il loro operare da quello dei colleghi clinici, rendendolo complementare.
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Abstract
La Sanità pubblica contribuisce alla sostenibilità dei sistemi sanitari tramite strumenti di prevenzione, programmazione ed organizzazione dei servizi. In tale ambito le scelte per la salute devono tener conto del vincolo delle risorse. Organismi internazionali, letteratura scientifica e norme nazionali forniscono indicazioni su conoscenze e abilità necessarie alla costruzione di un profilo manageriale.
Una recente survey su specializzandi italiani in Sanità Pubblica ha rivelato un significativo gap tra la formazione manageriale percepita come necessaria ed il training ricevuto. Pertanto è necessario individuare framework di riferimento e modalità con cui le core competence rilevanti per la formazione manageriale degli specializzandi (leadership, system thinking, capacity building, pianificazione finanziaria e management) possano essere trasferite dal sistema formativo agli stessi.
Si definisce Management l’attività di orientare ad un risultato un set definito di risorse, in ottica di sostenibilità. I processi di decision-making manageriale in ambito sanitario si avvalgono del cosiddetto “Ciclo Manageriale”, articolato in 4 momenti: Programmazione, Organizzazione e Valutazione, la quale consiste nel monitoraggio e nell’ applicazione di azioni correttive. Questo ciclo è aperto, costituendo così una spirale di miglioramento continuo. Più recentemente si è evidenziato come anche la funzione di leadership si sviluppi secondo fasi di una dinamica interconnessa alla spirale sopradescritta. Tale decision-making si esercita in organizzazioni sanitarie caratterizzate da complessità, definita da relazioni che ne generano a loro volta delle altre. Le proprietà di tali sistemi complessi sono: non linearità, auto-organizzazione, sviluppo di nuove forme non riconducibili alla somma delle parti originarie, regole semplici che influenzano il sistema. A ciò si aggiunge il recente orientamento di gestire i servizi riconoscendo primato alla qualità sui costi, rendendo la dimensione economica funzionale al raggiungimento di esiti clinici, appropriatezza, sicurezza, soddisfazione dell’assistito, della comunità e dei professionisti, questi ultimi sempre più inseriti in team multiprofessionali e multidisciplinari. Il management sanitario “scientifico” necessita di continui approfondimenti e di idonee metodologie e strumenti per il trasferimento di tali contenuti a specializzandi e professionisti di sanità pubblica; tra questi ricordiamo l’adozione dei principi dell’Evidence-Based Management e dell’Evidence-Based Healthcare. Utile è inoltre la condivisione di momenti formativi in prospettiva multidisciplinare e multiprofessionale per varie Scuole ed Operatori (Accademie di Sanità Pubblica, momenti congressuali condivisi, materiale in rete, Skill Factories). La formazione si alimenta dei prodotti della ricerca; pertanto la ricerca valutativa sui modelli di policy e management che impattano su salute, processi assistenziali e utilizzo delle risorse ed equità di accesso, rappresenta un fattore rilevante per la crescita dei professionisti in ambito manageriale. Così si realizza quella preziosa sinergia che unisce esperienze sul campo e metodo scientifico.
Abstract
Il corretto impiego del movimento quale strumento di contrasto alla sedentarietà e di promozione della salute nei programmi di Sanità Pubblica costituisce un obiettivo ambizioso e complesso che può essere raggiunto non solo attraverso la sensibilizzazione e l’educazione dei cittadini riguardo ai benefici derivanti dalla pratica di attività motorie, ma anche attraverso imprescindibili interventi a livello sociale, economico e politico che ne rendano possibili l’implementazione, la conduzione e la fruizione. La promozione dell’attività fisica deve pertanto essere una priorità condivisa dalle politiche sanitarie e sociali, mediante un approccio intersettoriale e multidisciplinare.
Il laureato in Scienze Motorie rappresenta in tale ambito una figura chiave su cui la Sanità Pubblica oggi è sempre più spesso chiamata a investire per il raggiungimento di molteplici obiettivi di salute.
Il D Lgs n.78/1998 ha istituito il Corso di laurea in Scienze delle attività Motorie e sportive (Classe 33), con l’obiettivo di formare operatori idonei “alla comprensione, alla progettazione, alla conduzione di attività motorie a carattere educativo, ludico o sportivo, compensativo-adattativo-preventivo”. Con il sopraggiunto ordinamento universitario (DM 270/2004), il percorso di studi in Scienze Motorie si è arricchito di tre Corsi di Laurea Magistrale, con indirizzo specifico e diversificato: “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate (LM67); “Scienze e Tecniche dello Sport” (LM68); “Organizzazione e Gestione dei Servizi per lo sport e le attività Motorie” (LM47).
Il laureato in Scienze Motorie (LSM) rappresenta una figura professionale con competenze peculiari, frutto di un percorso formativo assolutamente esclusivo che prevede insegnamenti di ambito bio-medico, psico-pedagogico ed economico-giuridico oltre a quelli specifici delle discipline motorio-sportive. È il professionista che si occupa di promuovere, diffondere ed educare alla corretta pratica motoria, con l’obiettivo di contribuire al benessere psico-fisico (prevenzione primaria), concorrere al miglioramento (prevenzione secondaria) e al mantenimento dello stato di salute (prevenzione terziaria) dei soggetti di ogni età e condizione, comprese quelle della vulnerabilità, della disabilità e del disagio sociale.
Il LSM costituisce una risorsa fondamentale per la Sanità Pubblica, in quanto professionista in grado di valorizzare gli effetti positivi dell’attività fisica per la salute, declinandola in modo appropriato a diversi contesti e distinti destinatari. Il suo ruolo di educatore all’interno delle strategie di promozione della salute è ormai ampiamente riconosciuto ed in via di certificazione da parte di Enti internazionali.
Sempre più cogente risulta pertanto l’inserimento di tale professionista nei team multidisciplinari che operano nell’ambito dell’Educazione-Promozione della Salute ed in collaborazione/continuità con il SSN, in particolare con i Dipartimenti di Prevenzione e i Distretti Sanitari, per una più efficace presa in carico globale del cittadino.
Abstract
INTRODUZIONE
Se da una parte la tutela della salute dei lavoratori si concentra opportunamente sulla prevenzione dei rischi specifici legati alle professioni e mansioni negli ambienti di lavoro, ed è finalizzata a prevenire infortuni e malattie professionali, non sono mancate, fin dagli anni ’60, esperienze nelle quali sono stati proposti interventi di “prevenzione” sul personale di più largo spettro, che includevano piani di attività fisica, programmi di cessazione del fumo, di gestione dello stress o di educazione nutrizionale. Nello scorso decennio si è fatta strada in diverse organizzazioni l’idea che una promozione “olistica” del Wellness aziendale potesse anche avere un impatto positivo sui livelli di produttività dei lavoratori coinvolti.
L’ambiente lavorativo di grandi aziende può fornire numerosi strumenti, momenti e risorse utilizzabili per aumentare la coscienza nei lavoratori (e nel loro network sociale) del possibile ruolo preventivo dell’attività motoria e sportiva, e motivarne la pratica costante e corretta.
I programmi finalizzati al “benessere” dei lavoratori, devono, fin dalla loro progettazione, coinvolgere tutte le parti interessate: datori di lavoro, lavoratori, medici del lavoro e altri operatori sanitari presenti all’interno dell’azienda e sindacati, ma in molti paesi si è consolidata l’idea che la salute e il benessere di chi opera in una grande azienda siano parte integrante del “core business”, e non solo un aspetto che riguarda il Dipartimento Risorse Umane o la Responsabilità Sociale dell’Azienda (Conradie et al., 2016).
Pronk et al, in un articolo del 2009 hanno proposto, tre principi base da considerare per progettare ed implementare programmi di attività motoria all’interno delle aziende produttive:
organizzare attività fisiche all’interno di un sistema che valorizzi le relazioni interpersonali dei soggetti e il loro ambente di lavoro;
dare priorità ad interventi per i quali esistano prove scientifiche di efficacia;
integrare gli specifici interventi di promozione dell’attività fisica con coerenti buone pratiche di prevenzione globale negli ambienti di lavoro.
Tra le numerosissime raccomandazioni proposte da questi stessi autori quali buone pratiche per la promozione dell’attività fisica in ambito aziendale, vale la pena di ricordare, in particolare, la necessità di costruire programmi “tagliati su misura” (tailored) per lo specifico ambito lavorativa, l’opportunità di iniziare da piccoli programmi che potranno poi estendersi gradualmente a quanti nell’Azienda intendano partecipare, e l’importanza di accompagnare la proposta di attività fisica con adeguate misure e analisi degli stati dei partecipanti e delle variazioni conseguenti alla partecipazione.
CONTROVERSIE
Non si creda però che tutti gli autori siano concordi nel credere ciecamente nel valore degli investimenti in questo settore: non mancano le voci critiche, quali quella di Spicer (Spicer, Berinato, 2015), che critica il mito del manager “maratoneta” (reale o “virtuale”) o fanatico degli stili di vita sani e del fitness fisico, e ricorda come programmi di promozione della salute e dell’attività fisica troppo intrusivi o opprimenti possano rivelarsi inutili o addirittura controproducenti, portando ad una forma di senso di inadeguatezza, ansietà o colpa negli impiegati. Tuttavia, anche questo autore, così critico verso il marketing aggressivo del Wellness, riconosce che programmi semplici, basati sulla presenza di una palestra o di piccoli impianti all’interno degli ambienti lavorativi e che si pongano obiettivi realistici e non sovradimensionati, possono anche portare benefici rilevanti.
L’idea di promuovere attività fisica in piccole palestre ed eventi sportivi ai quali possano partecipare anche i parenti dei dipendenti è discussa anche da autori come Das (Das et al, 2016), che ricordano come programmi di sola erogazione di attività motoria che non abbiano impatto sul tessuto sociale aziendale e sulla promozione di ambienti di lavoro che promuovano coerentemente gli stili di vita attivi non hanno grandi probabilità di raggiungere esiti positivi.
IL PROGRAMMA “FERRARI FORMULA BENESSERE”
Una interessante esperienza realizzata in Italia negli ultimi anni è quella descritta da Biffi (Biffi et al., 2018), relativa al programma svolto presso lo stabilimento Ferrari di Maranello, a partire dal 2004, e denominato “Ferrari Formula Benessere”. A partire dal 2004, agli impiegati di questo prestigioso stabilimento è stata data l’opportunità di partecipare, su base volontaria e gratuita, ad un programma di screening cardiovascolare. Questo programma di screening prevedeva la definizione di un profilo di rischio individuale di rischio cardiovascolare dei partecipanti, seguito da un intervento integrato per la promozione di stili di vita sani basato su counseling nutrizionale e motorio, quest’ultimo basato sulla valutazione funzionale individuale e prescrizione di esercizio da svolgersi (2/3 volte a settimana) in un palestra sita all’interno della fabbrica e accessibile liberamente per 12 ore al giorno. Dei 2560 impiegati totali dello stabilimento, 719 hanno partecipato allo screening iniziale, e 175 sono poi stati coinvolti in un programma di monitoraggio a lungo termine. Il programma è stato svolto in collaborazione con Med-Ex (Medicine & Exercise), una compagnia privata che fornisce servizi per la prevenzione e promozione della salute dei dipendenti della Ferrari ad ogni livello (dalle linee di produzione in fabbrica, ai meccanici di tutte le categorie e ai piloti dalla Ferrari Driver’s Academy alla F1.
UN RUOLO ANCHE PER I LAUREATI IN SCIENZE MOTORIE? IL PROGETTO FCA CASSINO E LA REVISIONE DELL’ORDINAMENTO LM-67 DELL’UNIVERSITÀ DI CASSINO
Biffi et al. nel loro articolo, ricordano come i programmi di promozione della salute nei luoghi di lavoro e di Corporate Wellness si siano spesso rivelati di non facile realizzazione, e che il successo della loro azione è dovuto ad “una serie di azioni ‘tagliate su misura’ (tailored), basate su un approccio integrato” e ad alcuni fondamentali elementi:
una grande attenzione ai programmi di allenamento inviduali e all’accesso facilitato alla palestra e alle strutture sportive aziendali;
l’impiego di allenatori qualificati;
il controllo annuale medico e di counselling nutrizionale;
la possibilità per i dipendenti di partecipare su base volontaria e gratuita al programma;
la presenza di una ambulatorio medico all’interno dello stabilimento, adeguato anche allo svolgimento delle prove di valutazione funzionale propedeutiche all’esercizio.
I docenti e ricercatori che operano nei corsi di Laurea dell’Area delle Scienze Motorie (L-22 e LM-67) dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, hanno avuto occasione in questi ultimi anni di collaborare con Med-Ex nelle normali attività svolte con Ferrari, ed alcuni studenti hanno avuto occasione di svolgere attività di tirocinio nelle fasi di valutazione funzionale e progettazione e supervisione dell’attività motoria in palestra.
Inoltre, un programma analogo al “Ferrari Formula Benessere” ha iniziato i primi passi presso lo stabilimento FCA di Piedimonte San Germano, e le esperienze professionali svolte dagli studenti tirocinanti hanno convinto i responsabili del Corso di Laurea Magistrale a proporre una variazione nell’ordinamento della Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate (LM-67) che prevede, tra gli altri, nel Curriculum denominato “Attività fisica adattata”, insegnamenti specificamente indirizzati a formare quegli “allenatori qualificati” citati come elemento fondamentale per il successo dei programmi di Corporate Wellness, capaci di effettuare, insieme ad una equipe medica, adeguate prove di valutazione funzionale, e di progettare e monitorare attività motorie “tagliate su misura” per soggetti di diversa età, genere e abilità. Queste figure professionali non potranno infatti essere altro che i professionisti dell’attività motoria adattata, formati dalle nostre Lauree Magistrale di Classe LM-67, che ci auguriamo di vedere in futuro operare in compagnie di servizi analoghe alla Med-Ex o anche diventare parte integrante del personale di Aziende di taglia medio-grande: un orizzonte lavorativo ad oggi ancora troppo poco esplorato.
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Abstract
Epidemiological evidence shows that individuals who maintain a lifestyle with high mobility and physical activity have a remarkably lower risk of noncommunicable diseases, with a reduction of all-cause mortality. Regarding the association between physical inactivity and cancer incidence, in a recent meta-analysis including 12 prospective cohort studies with 1.44 million participants, leisure-time physical activity in relation to risk of 26 different cancer types has been examined 1; the study showed that increasing levels of leisure-time physical activity was associated with lower risks of 13 of the 26 cancers investigated, regardless of body size and smoking history.
Moreover, several studies suggest that exposure to exercise following the diagnosis of certain solid tumors might lower the progression of the disease and reduce cancer-related mortality 2. These findings open to new approaches in the methodologies for cancer progression control, introducing the exercise-oncology field.
Recently, Hojman and colleagues 3 reviewed the current molecular evidence about the effect of exercise on cancer. The authors describe the role of exercise in controlling cancer progression through a direct effect on tumor intrinsic factors and the interplay with whole-body exercise effects. The tumor growth-inhibitory effects could be mediated by several different mechanisms, such as the release of several systemic factors (i.e., catecholamines, myokines, etc.) and sympathetic activation, modulated during the exercise performance. The acute effect of a single exercise bouts leads to intratumoral adaptations, contributing to slower tumor progression. Moreover, growth factors such as insulin and IGFs stimulate cancer cell proliferation through the activation of their respective receptor tyrosine kinases, which trigger the major signal transduction pathways (e.g. PI3K/AKT and MAPK pathways) 4. Chronic exercise reduces growth factor availability in the systemic milieu, and presumably in the tumor microenvironment, induced by prolonged physical inactivity 5.
Our research group is currently evaluating if the systemic response to a high-intensity endurance cycling (HIEC) test session could modulate the proliferation and the tumorigenic potential of breast or prostate cancer cells, in vitro. The study design includes the use of serum samples collected before, immediately after, and after 2 and 24 hours the exercise bouts. Serum samples were then been used in cell culture assays to evaluate cell proliferation and colony formation in a three-dimensional cell growth assay: three-dimensional anchorage-independent growth assay in soft agar is a model used to evaluate malignant cell growth and it is considered a good hallmark of tumorigenesis.
In a first pilot study, blood samples of 12 healthy and sedentary females have been collected before the HIEC sessions exercise (t0, at rest), immediately after (t1), 2-hours and 24-hours post (t2 and t3, respectively) and used to supplement the culture media of cells. Our results showed that immediately-after HIEC and the 2-hours post (t1 and t2) sera markedly reduced cell proliferation capacity of triple-negative breast cancer cells (TNBC), in comparison to that revealed in cells cultured with t0 sera. Moreover, the capacity of post-exercise-conditioned sera to induce tumorigenesis in soft agar was significantly lower in comparison to that revealed in cells cultured with t0 sera.
These encouraging results lead us to apply this model in women with a history of breast cancer. In collaboration with the OU of Oncology, “Santa Maria della Misericordia” hospital of Urbino, we are starting a project entitled “Movimento e Salute oltre la Cura” (Movement and Health beyond Care), MoviS (CESU approved n. 21, 10th July 2019). The general objective of the project MoviS is to improve the quality of life (QoL) of breast cancer survivors (BCS). This proposal stems from the need to respond to the requests of numerous women with a history of breast cancer, which perceive their lifestyle as unhealthy but lack the necessary tools to move towards a correct diet and regular physical activity. The strongest evidence regarding lifestyle changes and cancer risk comes from the link with obesity; however, there is significant evidence that physical inactivity per se increases the risk of cancer and relapse regardless of body weight.
Throughout the planned trial period, the food plan will be prescribed by the nutritionists of the IRCCS National Cancer Institute (INT) Milan following the guidelines indicated in the DianaWeb project 6, based on the recommendations of the WCRF 2018 and on the Mediterranean diet. The exercise protocols will be designed according to the most recent internationally recognized guidelines for the prescription of physical activity with health and preventive purposes in cancer patients 7, which are perfectly in line with the Italian guidelines on physical activity for these patients, recently published by the Ministry of Health. During the intermediate follow-up, various parameters will be evaluated, such as the QoL, the reduction of the ‘fatigue’, the reduction of body weight and the modifications induced on the relevant metabolic and clinical parameters in order to verify the beneficial effects of the prescribed exercise
Within this project, we planned to collect serum samples before and after exercise sessions and use them in cell growth assays, in order to verify and quantify the efficacy of exercise in the inhibition of cell proliferation and tumorigenicity.
Overall, the positive effects of the exercise-oncology on cancer progression control recently gained attention. Despite the anticancer component released in response to an acute exercise have not been fully understood, there is growing evidence that acute systemic changes can control cancer cell viability and proliferation.
To move forward in the translational development of the use of precise exercise for cancer treatment, there is a need of additional studies on preclinical testing, preliminary safety, and efficacy trials, and definitive clinical exercise trials with survival endpoints 2, with the aim of a controlled and personalized administration of acute exercise bouts by exercise experts.
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Abstract
INTRODUZIONE
Promuovere la salute attraverso l’attività motoria nella popolazione di tutte le fasce di età è uno degli obiettivi prioritari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il “Piano d’azione globale sull’attività fisica per gli anni 2018-2030” dell’OMS, mira a ridurre del 15% l’inattività fisica negli adolescenti e negli adulti nel 2030, stabilendo gli obiettivi strategici da conseguire per mezzo di azioni politiche. Il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, prorogato al 2019, ha tra gli obiettivi principali, la promozione dell’attività motoria, con il fine di incrementare del 30% i soggetti adulti e del 15% gli ultra64enni fisicamente attivi.
Nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017, sui nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA), sono previsti l’attivazione di programmi strutturati di attività motoria per soggetti a rischio e l’offerta di counselling individuale per la promozione dell’attività motoria. In sede di Conferenza Stato-Regioni, il 7 marzo 2019, sono state approvate “Le Linee di indirizzo sull’attività fisica per le differenti fasce d’età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione”, stilate da un Tavolo tecnico presso la Direzione generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute. Nelle linee di indirizzo è esplicitato il ruolo decisivo che l’attività motoria svolge per accrescere la salute nella popolazione generale e l’importanza della sua pratica quotidiana.
L’Italia è uno dei paesi più sedentari d’Europa, il 60% della popolazione dichiara di non praticare attività motoria, rispetto alla media europea del 42% (dati Eurobarometro). L’attività motoria è fondamentale per il benessere fisico, psichico e sociale dei cittadini e delle loro comunità. L’attività motoria oltre ad avere un ruolo protettivo nella prevenzione di molte patologie croniche, svolge, come dimostrano numerosi e importanti studi scientifici, un ruolo di promozione della salute nella popolazione generale. L’attività motoria, infatti, si è dimostrata estremamente efficace nel migliorare l’efficienza cardiovascolare, nel mantenere una normale pressione arteriosa, sul metabolismo glucidico e lipidico, sul sovrappeso, sulla obesità, sulla osteoporosi, sui tumori, in particolare quello del seno e del colon, nel migliorare il tono dell’umore, e nel ridurre gli stati depressivi e ansiosi. Per diminuire la mortalità cardiovascolare basta una attività motoria sia negli uomini che nelle donne, indipendentemente dall’età, che comporti un semplice dispendio energetico di 4-7 kcal/minuto. Nelle persone attive l’età biologica è di 10-20 anni inferiore rispetto ad un soggetto sedentario di pari età. L’attività motoria e sportiva è inoltre un fattore di coesione sociale generando relazioni positive.
METODI
I Servizi Sanitari Nazionali (SSN) hanno recepito le raccomandazioni dei massimi organismi scientifici internazionali, definendo il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), a sua volta recepito nei vari Piani Regionali della Prevenzione (PRP).
Perché l’attività motoria possa essere implementata in maniera significativa ed efficace sul territorio, quale elemento di promozione della salute, bisogna che vengano realizzate iniziative intersettoriali, che vedano coinvolti le istituzioni pubbliche e private a tutti i livelli, il terzo settore, le reti sociali, la società civile, gli enti di promozione sportiva, le Regioni, i Comuni.
A tal fine nelle Regioni sono stati attivati vari progetti, caratterizzati dal coinvolgimento di numerosi e qualificati stakeholder, da una programmazione condivisa, dalla costruzione di convergenze programmatiche e alleanze di scopo su obiettivi condivisi, dalla formazione rivolta a tutti i professionisti dei vari settori coinvolti per acquisire competenze, linguaggi comuni, conoscenze reciproche, per definire ruoli, compiti e responsabilità di ognuno. Altro elemento qualificante è stato quello di diffondere la cultura degli stili di vita attivi come fonte di benessere personale e collettiva, facilitare la pratica motoria e sportiva anche nei soggetti fragili, soggetti svantaggiati sul piano socio-economico, soggetti con disturbi psichici e mentali, categorie più difficili da coinvolgere in queste progettualità. La promozione dell’attività motoria passa anche attraverso investimenti in campo culturale, educativo, ambientale, sociale, economico e ciò può contribuire a raggiungere gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile 2030 (SDG).
La promozione dell’attività motoria richiede quindi una forte leadership del settore sanitario, che deve comunque interagire con altri settori, quali l’istruzione, la cultura, lo sport, i trasporti, l’urbanistica e l’economia. L’approccio intersettoriale per disincentivare la sedentarietà, peraltro, era stato già perseguito dal programma “Guadagnare Salute”, che agiva sia sullo stile di vita individuale sia modificando le condizioni ambientali e sociali per contrastare gli stili di vita scorretti.
RISULTATI
Maggiore benessere fisico e psichico, mantenimento e recupero della salute, promozione di comportamenti e stili di vita per la salute; in definitiva un miglioramento della qualità della vita, un aumento della partecipazione attiva alla vita di comunità, riduzione dei costi sociali.
Incremento del numero di persone che praticano attività motoria. Integrazione tra i diversi operatori del territorio per la diffusione di stili di vita salutari e per il potenziamento delle pratiche motorie e sportive e per la prevenzione delle condizioni patologiche di rilievo. Maggiore conoscenza sui benefici dell’attività motoria e sui rischi della vita sedentaria. Analisi e scambio di buone pratiche per la promozione dell’attività fisica e motoria e la tutela della salute. Organizzazione di manifestazioni sportive. Riduzione dei costi economici e sociali con recupero di risorse, utilizzate per una migliore tutela del diritto alla salute.
CONCLUSIONI
I vari progetti per promuovere l’attività motoria sul territorio si sono caratterizzati per la intersettorialità, sostenibilità ed efficacia dell’intervento. In una prima fase è stata condotta una campagna di informazione sui benefici dell’attività motoria e sui rischi della vita sedentaria, sono stati coinvolti i diversi attori presenti sul territorio con l’obiettivo di costruire e realizzare politiche di salute comuni. L’implementazione del progetto ha consentito di mettere in atto un lavoro di squadra, favorendo l’integrazione tra i diversi operatori per la migliore diffusione di stili di vita salutari. Una successiva raccolta ed elaborazione di tuti i dati permetterà un’analisi sui risultati raggiunti sulla promozione dello stato di salute della popolazione attraverso l’attività motoria.
Abstract
Una delle più rilevanti e più lungamente inattuate innovazioni del D.Lgs 81/2008 è stata rappresentata dall’estensione delle responsabilità del Medico Competente (MC) alla promozione della salute dei lavoratori, indipendentemente dai rischi specifici presenti sui luoghi di lavoro e dalla persistente missione operativa di evitare l’insorgenza ovvero individuare precocemente malattie professionali o correlate al lavoro 1-3. La promozione della salute sui luoghi di lavoro (o Workplace Health Promotion, WHP) può essere definita come una strategia complessa di programmi di miglioramento organizzativo, della salute e del benessere psicofisico dei lavoratori, definita dal quadro Europeo come “lo sforzo congiunto di imprese, addetti e società per migliorare la salute e il benessere dei lavoratori” 4. La WHP è quindi strettamente collegata alla definizione di salute e di promozione della salute quali definite dalla Carta di Ottawa del 1986 3,5. Corollario all’interpretazione della salute non più semplicemente quale assenza di malattia, ma come interazione positiva della sfera fisica, mentale e sociale dell’individuo è che il posto di lavoro, ambito nel quale l’individuo spende buona parte della propria vita attiva, divenga un luogo prioritario per promuovere la salute e più in generale i corretti stili di vita 1,2,5,6.
Ancora in qualche modo vincolata all’approccio tabellare e rigido promosso dal pregresso quadro normativo (i.e. DPR 547/55, DPR 303/56, nonché il coordinato rappresentato dal D.Lgs 277/1991 e D.Lgs 626/1994), e nonostante la presenza di linee guida nazionali ed internazionali 6, nonché di uno specifico obiettivo europeo esplicitato dalla Dichiarazione del Lussemburgo del 1997 4, la medicina del lavoro italiana ha solo recentemente abbracciato la WHP quale bagaglio operativo del MC italiano, in un contesto nazionale che permane estremamente complesso ed eterogeneo. Nonostante alcune regioni, come l’Emilia Romagna tramite l’iniziativa “Luoghi di Prevenzione” (www.luoghidiprevenzione.it/Home/), abbiano non solo richiamato le responsabilità dei MC già esplicitate dal D.Lgs 81/2008 (i.e. art 25: “il medico competente collabora anche ‘alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute, secondo i principi della responsabilità sociale’”), ma altresì investito tempo e risorse per mettere a disposizione di questi ultimi un modello formativo e organizzativo per la progettazione e la realizzazione di interventi di promozione della salute e per la costruzione di competenze, la diffusione delle pratiche di WHP è tuttora insoddisfacente 3,7. Tra i programmi WHP avvallati da parte dell’European Network for Workplace Health Promotion (ENWHP) sono generalmente previsti: la promozione di una corretta alimentazione, il contrasto al fumo di tabacco, la promozione dell’attività fisica e della sicurezza stradale anche per tramite di una “mobilità sostenibile”, il contrasto al consumo dannoso di alcool e altre dipendenze, la promozione della conciliazione vita lavoro ed infine il benessere sul lavoro 8,9. All’atto pratico, le poche statistiche nazionali a disposizione, per altro estrapolate da uno strumento assai critico quale l’Allegato 3B ex D.Lgs 81/2008, lasciano intendere che il MC continui a considerare tale ambito operativo del tutto ancillare alla più convenzionale Sorveglianza Sanitaria dei lavoratori 2. La diffusione della sorveglianza sanitaria dei lavoratori secondo i presupposti del D.Lgs 81/2008, un sostanziale unicum nel contesto operativo europeo ed internazionale 10, costituirebbe del resto un’occasione unica nel nostro Paese per contattare un gran numero di soggetti che in molti casi non si sarebbero recati volontariamente dal medico, consentendo intrinsecamente un’apertura importante verso una maggiore sensibilizzazione ai problemi degli stili di vita e del benessere, in particolare per quei contesti lavorativi di piccole dimensioni, in cui il ruolo del MC può essere più critico e decisivo 1,9,11. Sfortunatamente, benché non sia ancora disponibile una decisiva evidenza scientifica, in particolare relativa al nostro Paese, molte esperienze indicano che la buona efficacia degli interventi di WPH sembri crescere proporzionalmente con il numero degli impiegati e con il crescere delle dimensioni, organizzazioni e budget delle aziende che li promuovono 1,2,5,6,8,9. In altre parole, ben lungi dall’ottenere una più capillare diffusione della WHP anche nei contesti meno strutturati, quello che si va concretizzando è un contesto estesamente ed impropriamente dicotomizzato. Da una parte, aziende di piccole dimensioni e/o artigianali, con limitato o sostanzialmente nullo accesso ad interventi WHP. Dall’altro, le grandi aziende, nelle quali, forse indirettamente beneficiando dell’identificazione come intervento ai limiti dei c.d. “benefit aziendali”, la sussistenza della WHP e l’efficacia degli interventi promossi nel suo contesto sembrano spesso più correlati al costo dell’appalto per la sorveglianza sanitaria e/o al relativo budget che alla loro effettiva opportunità/necessità, e quindi ad un effettivo disegno preventivo. Il che, all’atto pratico, estende i dubbi relativi ad opportunità e correttezza di tanti interventi “promozionali” anche ad alcuni ambiti della WHP, che in questo contesto rischia di diventare sul lungo periodo una forma di “moltiplicazione di spesa” 1,12,13.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente critico: se da un lato gli interventi propri della WHP non prevedono stringenti vincoli operativi (fatta parziale eccezione per il solo contrasto dell’alcolismo), e quindi non prevedono nemmeno sanzioni in caso di inadempienze, in pochissimi casi essi sono valutati con rigorose metodiche di analisi del rapporto costo/benefici (o con ROI, ad esempio). Probabilmente in quanto risiedenti in questa “zona grigia”, gli interventi di WHP non sono spesso menzionati nei report ufficiali relativi alla attività di controllo espletata dagli Organi di vigilanza,e sembrano anche carenti nelle strutture industriali, artigianali, ed anche in molte strutture sanitarie territoriali (salvo la tematica vaccinale) 1,2,5,6,8,9,12,13.
In una visione olistica e attuale, in cui si prospetta una promozione della salute di tipo tipicamente interdisciplinare, i programmi di WHP, non solo e non soltanto dovrebbero mirare alla creazione di ambienti che consentano di offrire un adeguato supporto alle persone per il perseguimento della salute in condizioni di vita e di lavoro, ma dovrebbero sviluppare maggiormente la opportunità di procedere alla realizzazione di situazioni dalle quali ne derivino maggiore sicurezza e gratificazione (assenza di condizioni di stress lavoro-correlato, accomodamento ragionevole, aumento capacità di resilienza imparando a far fronte in modo positivo a qualunque effetto traumatico). Il conseguimento di tale obiettivo passa pertanto attraverso la necessaria collaborazione di tutti i professionisti operanti nel contesto della prevenzione, in primis certamente il MC aziendale, ma anche gli operatori dei Servizi di Vigilanza e del Dipartimento di Prevenzione, nonché del personale direttamente coinvolto nella ricerca biomedica, affinché gli interventi siano appropriatamente disegnati, applicati e promossi in tutti i luoghi di lavoro in cui una certa attività di WHP possa essere utile ed appropriata, e non solo sulla base delle disponibilità economiche del Datore di Lavoro. Ed affinché, al tempo stesso, interventi che non trovino effettiva base di evidenza, e che potrebbero contribuire esclusivamente ad una inutile moltiplicazione della spesa pubblica (e.g. i cosiddetti “screening cardiovascolari”, che raramente scoprono effettive condizioni patologiche precliniche, e che più spesso si limitano a tramutare il cittadino in paziente/cliente di ripetuti, costosi e vieppiù inutili controlli laboratoristici e strumentali) siano tempestivamente interrotti. Ovviamente ciò richiede la collaborazione di un ulteriore “role player” nella WHP, e cioè rappresentanze dei lavoratori adeguatamente informate e formate.
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Abstract
In recent decades, significant changes have influenced the world of work, as effect of the equally relevant changes that have affected the industrialized countries from an economic and social point of view. The most important aspect is the progressive increase in the average age of the working population (in particular in Italy) related to a higher aging rate of the general population (demographic transition), despite an increase in retirement age, reduction of employment rate and hiring of young people. Presently in Europe, workers aged over 50 years are twice than those under the age of 25; in Italy, in the last twenty years, the workers’ average age has increased by 5 years (from 39 to 44 years). In 2015 the Eurofound report identifies the increase of 16.2% of the working population over 55 by 2030 as an alert, while ISTAT underlines that such aging will be more significant in Italy due to the recent changes to the pension system. Currently in Europe 100 million people suffer from musculoskeletal disorders and pathologies, responsible for more than 50% of absences from work, unsuitability, limitations and permanent unfitness for work. The analysis of the national context on the trend of work-related diseases highlights a progressive increase of these over the last 5 years. In 2017, there were around 58 thousand complaints of occupational diseases (about 2,200 less than in 2016), with an increase of about 25% compared to 2012. The professional cause was identified in 33% of the reported diseases while, as for the type, the musculoskeletal diseases (65.75% of the complaints) rank the highest. The contrast to the spread of chronic diseases, recently promoted by WHO with the 2020 Health Program, is also of particular relevance in terms of occupational health protection, since many of the chronic-degenerative age-related diseases, once they arise, can condition people’s quality of life, progressively and permanently compromising their level of autonomy and work capacity, strongly affecting the system productivity. The repercussions observed in terms of employment can be different: reduced productivity, absence due to illness, demotion, interruption of the employment relationship which, depending on the case, can be an early retirement, a recognition of disability indemnified by the government, or even a dismissal. Healthcare is one of the labor fields most involved in the phenomenon of the increased incidence of work-related diseases, mainly connected with exposure to risk factors due to biomechanical overload (disorders and pathologies of the musculoskeletal system) and psycho-social discomfort (work distress, burn-out, etc.) and work-related stress. An interesting element of reflection at national level is represented by the study on the phenomenon of personnel limitations in healthcare companies (HC) (CERGAS of Bocconi University, 2015). The national data showed percentage values that range between 10.70% of the territorial companies and 22.60% of the IRCCS (total value of the invalidity equal to 11.8%) of the total amount of the workforce, which corresponds to a total of 16,266 people with impairments. As the research has clearly confirmed a strong relationship between work restrictions and workers age, it is essential that all health authorities take this aspect into consideration in order to systematically address their policies by the application of the management models of “disabilities”. On the basis of consolidated international experiences, it is possible to apply the Disability Management (DM) model to the company system, without disregarding the active participation of all the key figures of occupational prevention and in particular the managerial function of the Occupational Medicine. The term DM refers to a model theorized in the 1980s, initially developed in North America and Europe, which today is still poorly applied in Italy, aimed at reducing the impact of invalidity (deriving from disability, illness or accident) on the individuals’ capability to effectively carry out their work activities. The DM model has been developed with the aim of matching the productive interests of the company with the needs of disabled or sick workers to find a job that satisfies them, not only in economic terms, but also on a human and social level. In fact, DM intends to offer support to employees suffering from chronic illnesses or disabilities in order to optimize their professional performance, limiting the negative effects of the disease on their activity, through a global, coherent and progressive approach implemented by the company. On an international level, DM is widely used in the public field, such as, for example, in the Canadian government, where this method is implemented to prevent and manage absences from work due to illness or injury, with tools such as sick leave, but also planning of benefits and adjustments of professional duties when returning to work. The possibility for the workers to be assigned a different duty, in order to work to the best of their abilities, besides being a shared value, in this country is a legal obligation. The professional profile responsible for the overall process of the socio-working integration of people with disabilities, in charge of planning, research and selection, insertion and retention in the company, up to the professional and organizational development, is known as Disability Manager. Its origin has to be considered within the Public Administration in which, especially within the Italian Municipalities, it finds its specific location. In comparison with countries in which this professional profile has existed for the past 30 years, the Lombardia Region has recently recognized the professional profile of the Disability Manager (Regional Decree No. 2922 of March 1, 2018). Beyond the regulatory evolution and the recognition of professionalism, the Disability Manager profile has already been introduced in several large companies that have by now many years of experience in the field. In the health field there are also different experiences carried out in some hospitals, i.e. health agencies such as the Local Health Unit 4 of eastern Veneto and private companies. In this regard, the experience and the company role of the competent physician make her/him as one of the most authoritative candidates to hold such position within the companies.
A DM program started in 2011 within IRCCS Bambino Gesù Children’s Hospital, which serves as a national and international reference for its clinical excellence and translational research. In this context, the distribution of work restrictions by risk factor highlights how the main causes are the ergonomic factors and the organizational risks, on which the main preventive actions have been focused. In fact, the improvement actions have concentrated on limiting the risk from biomechanical overload/manual patient movement (MPM) and on the activities necessary for the organizational well-being. In this regard, health and safety promotion initiatives have been implemented together with the Health Department (HD) (ad example, food education courses, on-the-job training on correct maneuvers in the MPM, anti-flu vaccination campaign). Occupational Medicine (OM) has collaborated in developing proposals for the ergonomic requalification of spaces (ceiling lifts, robotization systems for drugs preparation, corporate back school, etc.). Furthermore, in 2011 an ad hoc Working Group (WG) was set-up starting managing the so-called “difficult suitability”, with the aim of replacing the cases with limitation and, at the same time, identifying the “full” suitability for the assigned task. The WG, coordinated by the Head of OM, is constituted by competent physicians, members of Human Resources (HR) Department and the HD; it meets periodically on a monthly basis. During the last two years, through DM programs, 700 assessments have been carried for about 150 workers (5% of health personnel), mostly women (about 90%) with an average age of 50 years; 77.8% of workers are nurses. In accordance with the national case law on reporting of occupational diseases, the cases dealt with regarded three categories: 1) cases of biomechanical overload with musculoskeletal pathology (38.2%); 2) other problems linked to the presence of serious pathologies, especially neoplasms (35%); 3) cases of working and non-working discomfort, especially of a psychological nature, linked with work-related stress conditions (26.8% of the cases). An evaluation of the program effectiveness was carried out by verifying the number of job limitations registered among the hospital workers: from the systematic review of health surveillance data collected between 2015 and 2018 after the program introduction, the job limitations are lower (present a lower trend) (5.5% of personnel) compared to the national benchmark relative to the HC (10.70-22.60%).
Still in the DM ambit, in consideration of the general reduction of the vaccination coverage in the population in Italy with a progressive increase in antibiotic resistance and nosocomial infections, as well as a strong increase in the illness related absences of health workers due to diseases transmissible, including mainly the flu, the University Hospital “A. Gemelli” IRCCS, a national and international reference point for personalized medicine and innovative biotechnology, since 2014 implemented a strategy to fight hospital infections and flu transmission, through a facilitated company path for personnel vaccination, as well as a nutritional program for the prevention of related diseases. The competent physician and hygienist have a key role in a multi-infections disciplinary stewardship strategy (MIDs Model) which involved structuring specific vaccination campaigns and integrated surveillance/control strategies. Such strategy allowed to improve the vaccination coverage (for example for flue) of the health staff from only 2% (between 55% for physicians and only 25% for nurses) to over 25.4% in only 4 years (with an increase for physicians of 31% and 68.9% for nurses) with an implementation of the disability management model with on-site training and vaccination (with an improvement of 72.1%, compared to the national benchmark of national health services, and a reduction of absence due to illness of 1.6 days, as well as a € 95.0 reduction in costs for the company, for each health worker).
In conclusion, the experience carried out over the years within the two IRCCS has led to the development of a protocol, structured according to the DM model, with the management’s consent as a “company good practice”. Redefinition and recoding of the key steps of the DM process and evaluation of the results achieved, also through the analysis of key indicators, such as pre-post-illness absence, is contributing to the implementation of the model. This will allow a review of the DM model to be proposed within the Italian healthcare organizations. Further development of the protocol should include the introduction of the professional profile of the Disability Manager as responsible for the entire program.
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Abstract
INTRODUZIONE
Gli Operatori Sanitari rappresentano un settore d’impiego di notevole importanza, sia a livello globale che a livello europeo, rappresentando più del 15% della popolazione in età produttiva. Il termine ombrello “operatori sanitari” include non solo i lavoratori che prestano assistenza ai pazienti ma anche altri operanti in differenti contesti occupazionali come, ad esempio, i tecnici di laboratorio, il personale ausiliario e gli studenti di area sanitaria. Gli operatori sanitari sono esposti a una vasta gamma di rischi che possono causare infortuni in occasione di lavoro andando a incidere sulla salute e sulla sicurezza in questa categoria occupazionale. Diverse variabili, tra cui le caratteristiche del personale sanitario (es., età, sesso, istruzione, e stili di vita), le caratteristiche del paziente in cura (es., caratteristiche socio-demografiche del paziente e tipo di malattia) e le caratteristiche dell’ospedale (es., organizzazione, carico di lavoro, lavoro a turni), possono agire come condizioni e fattori di rischio in ambito di salute e sicurezza dell’operatore sanitario. Inoltre, i soggetti equiparati ai lavoratori dalla normativa vigente in Italia (D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.), come ad esempio gli studenti di area sanitaria, rappresentano una categoria a rischio di infortunio nell’ambito della loro attività formativa professionalizzante. Infatti, secondo i dati riportati dall’European Agency for Safety and Health at Work (EU-OSHA) i lavoratori in età compresa fra i 18 e i 24 anni sono ad aumentato rischio d’infortunio rispetto a lavoratori appartenenti ad altre fasce d’età, almeno in parte a causa di inesperienza e ridotta formazione specifica. L’esposizione a condizioni di lavoro non idonee può comportare lo sviluppo di malattie professionali fin dall’età giovanile.
OBIETTIVI
Lo scopo dello studio è di valutare la prevalenza/incidenza d’infortuni negli Operatori Sanitari e soggetti a essi equiparati. La valutazione epidemiologica del fenomeno infortunistico a livello internazionale, con focus su questo specifico gruppo di popolazione, si pone l’obiettivo di comparare i dati ottenuti dalla revisione con il fenomeno infortunistico riportato a livello nazionale e locale, fornendo un utile strumento di supporto per il Medico del Lavoro/Medico Competente.
METODI
Il presente progetto si svolge nell’ambito di programmi di reciproca collaborazione, di assistenza di carattere tecnico-scientifico con partecipazione delle parti in regime paritetico, nonché in attuazione all’accordo quadro di collaborazione tra Università degli Studi di Genova e INAIL - Direzione regionale Liguria. Il progetto ha durata triennale e prevede tre fasi che comprendono: una preliminare analisi della letteratura, l’indagine di conoscenze e comportamenti degli Studenti di area sanitaria per programmare, nella fase finale, interventi mirati di prevenzione in questa specifica popolazione. Il disegno dello studio, nella prima fase del progetto, ha la finalità di mappare il fenomeno infortunistico riportato a oggi in letteratura consolidando le attuali conoscenze in relazione ai principali determinati degli infortuni nel contesto sanitario. Al fine di mappare il fenomeno infortunistico negli Operatori Sanitari è stata condotta una revisione della letteratura sulla base di un quesito di ricerca ampio che rimanda a una letteratura di natura complessa ed eterogenea. Lo studio è stato condotto utilizzando la cornice metodologica pubblicata nel protocollo dello studio. Lo studio è stato effettuato seguendo le linee guida Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-analysis (PRISMA). I criteri PECO, hanno definito l’ambito dello studio e, nello specifico sono stati inclusi: P (Population - Operatori Sanitari), E (exposure - infortuni), C (comparator- differenti tipi di operatori sanitari) e O (outcomes - prevalenza e incidenza degli infortuni e relativi determinanti). Sono stati applicati limiti temporali selezionando la letteratura compresa tra il 2000 e il 2019 anche al fine di permettere una comparazione diretta dei risultati con i dati epidemiologici presenti nelle banche dati INAIL locali e nazionali. Gli infortuni riconducibili alla categoria in-itinere sono stati esclusi dallo studio. In accordo con la strategia impostata sono stati considerati gli studi effettuatati in paesi occidentali, in conformità alla definizione impostata dalla “Organisation for Economic Co-operation and Development” (OECD). La qualità degli studi è stata valutata utilizzando la checklist Effective Public Health Practice Project (EPHPP) “Quality Assessment Tool for Quantitative Studies”.
RISULTATI
Si riportano, di seguito, i risultati preliminari relativi alla prima fase del progetto. Sono stati analizzati n = 244 studi rispondenti ai criteri di ricerca. La popolazione inclusa comprende più di 400.000 Operatori Sanitari e soggetti a essi equiparati. La tipologia di infortunio più argomentata nel contesto occidentale riguarda gli infortuni biologici, e nello specifico quelli da taglio e da punta. I principali determinanti associati a questa tipologia specifica d’infortunio comprendono la frequenza e l’invasività delle procedure eseguite da parte degli Operatori Sanitari, unitamente all’adozione di comportamenti non conformi alle procedure standard (es., reincappucciamento di aghi e contatto con rifiuti contaminati) nonché alla carenza di interventi formativi specifici e all’assenza di addestramento in merito all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI). Gli infortuni a carico del distretto muscolo-scheletrico dovuti a movimentazione manuale dei carichi e alla movimentazione dei pazienti ospedalizzati rappresentano un fenomeno largamente studiato e di forte impatto sia in termini di disabilità che di danno alla salute deli Operatori Sanitari nel contesto occidentale. I principali determinanti associati a questa tipologia d’infortunio riguardano la turnazione, la mancanza di sinergia con i colleghi in materia di movimentazione dei pazienti ospedalizzati, le scarse conoscenze in materia d’utilizzo di ausili minori e maggiori, l’età avanzata rispetto alla media degli Operatori sanitari e l’essere riconducibile alla categoria occupazionale infermieristica. Questi fenomeni correlati al fenomeno infortunistico a carico del sistema muscolo-scheletrico rappresentano, all’oggi, una delle maggiori sfide da affrontare per il Medico del lavoro moderno. In parallelo ai rischi tradizionali, gli Operatori Sanitari sono esposti a rischi emergenti che possono essere causa d’infortunio in occasione di lavoro. Tra questi sono stati descritti i fenomeni di aggressione verbale e fisica, di violenza, ed episodi infortunistici riconducibili allo stress lavoro-correlato. La revisione ha evidenziato come il fenomeno infortunistico per questi rischi professionali si concentri nei reparti di psichiatria e nelle Unità Operative dedite all’assistenza in condizioni di emergenza/urgenza (es., Pronto Soccorso). Il genere femminile è risultato essere più soggetto a violenza di tipo verbale, mentre il genere maschile è risultato essere più incline a subire violenze fisiche o aggressioni. L’assenza di barriere di separazione nei reparti di emergenza/urgenza costituisce un fattore di rischio per questa tipologia d’infortuni. Gli anni di anzianità lavorativa rivestano un ruolo significativo in relazione al fenomeno infortunistico, infatti, la popolazione di giovani Operatori Sanitari è risultata essere a maggior rischio per alcune tipologie d’infortuni (es., biologici), mentre l’anzianità d’impiego costituisce un determinate d’infortunio per altre tipologie d’infortunio (es., muscolo scheletrici, cadute). Alcune settori in espansione riguardanti mansioni/impieghi non tradizionali (es., operatori dediti a cure domiciliari e lavoratori precari) sono a maggior rischio d’infortuni imputabili allo stress lavoro correlato, a ritmi di lavoro serrati e a alla mancanza di formazione specifica in relazione all’esposizione ai rischi professionali. Il fenomeno infortunistico negli operatori sanitari nei paesi occidentali, e in particolar modo nei paesi europei, risulta essere sottodimensionato a causa del fenomeno di under-report, della scarsa consapevolezza e dall’insoddisfacente percezione dei rischi nel contesto occupazionale.
CONCLUSIONI
Tali risultati ottenuti possono fornire importanti implicazioni pratiche sia per il Medico del Lavoro/Medico Competente sia per le Agenzie/Autorità Sanitarie. Infatti, lo studio epidemiologico degli infortuni in ambito sanitario, unitamente allo studio dei relativi determinanti può consentire di orientare interventi mirati in materia di prevenzione al fine di tutelare la salute e la sicurezza degli Operatori Sanitari. Queste evidenze forniranno la base su cui sviluppare un questionario validato per la seconda fase del progetto. L’implementazione di progetti di ricerca per la valutazione del rischio professionale in ambito sanitario unitamente allo studio d’interventi di prevenzione mirati costituiscono la base per sviluppare programmi di formazione applicabili su larga scala in gruppi professionali omogenei, monitorabili nel tempo a breve e medio termine. Tali conoscenze potranno risultare funzionali ad agevolare l’adempimento degli obblighi dei datori di lavoro previsti dalla normativa vigente in ambito preventivo, in primis garantendo un’informazione e una formazione dei lavoratori sui rischi occupazionali di elevata qualità. La recente comparsa nel panorama della medicina occupazionale di rischi non tradizionali in ambito sanitario, rammenta la necessità di un costante aggiornamento sul tema, al fine di tutelare le categorie occupazionali a maggior rischio, consolidando una vera e propria cultura della prevenzione in ambito sanitario.
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Abstract
INTRODUZIONE
I professionisti della salute presentano un più alto rischio di sviluppare patologie mentali, come depressione, stress e burnout. È sempre più evidente come questo rischio aumentato esista anche per gli studenti di Medicina 1 e, secondo alcuni Autori, gli effetti negativi si cronicizzerebbero in specializzandi e specialisti. Una revisione sistematica del 2016 su 129.123 studenti di Medicina in 47 Paesi ha evidenziato come il 27,2% (range: 9,3%-55,9%) degli studenti è risultato positivo alla depressione 2, una prevalenza più alta di quella nella popolazione generale. L’analisi di 9 studi longitudinali nei quali è stata misurata la prevalenza di sintomi depressivi prima e durante la Scuola di Medicina rileva un aumento dei sintomi depressivi del 13,5% a seguito dell’inizio della carriera universitaria 2. Questo suggerisce che non solo gli studenti di Medicina sono più suscettibili a sviluppare sintomi depressivi, ma che la Scuola di Medicina stessa potrebbe essere un fattore causale.
Gli studenti infatti devono fronteggiare non solo eventi stressanti o dal fortissimo impatto emotivo frequenti nella quotidianità ospedaliera, ma sono anche costantemente posti sotto pressione dal percorso universitario. Da un lato l’enorme carico di studio e le scadenze puntuali delle sessioni esami; dall’altro, il poco tempo libero risparmiato da studi e tirocini, che spesso impedisce l’adozione di comportamenti e abitudini, come sport o hobby, che svolgono un ruolo protettivo nei confronti dello stress 1-3. Inoltre, spesso gli studenti devono affrontare difficoltà economiche e per la prima volta la lontananza dalla famiglia, a causa di un test di ingresso con graduatoria nazionale che in alcuni casi rende necessario il trasferimento in un’altra Regione. L’insieme di questi fattori genera negli studenti sintomi depressivi, con una compromissione fisica, emotiva e cognitiva delle loro capacità: l’esito spesso è un peggioramento dei risultati accademici, oltre che un peggioramento della qualità dell’attività assistenziale, con scarsa comunicazione e aumento degli errori medici. Questo instaura un circolo vizioso che tende a cronicizzare 1-3.
Il test di ingresso a inizio carriera, i voti conseguiti agli esami e la consapevolezza di dover affrontare, una volta laureati, un ulteriore difficile test selettivo per le Borse di Specializzazione che porrà nuovamente gli studenti gli uni contro gli altri, contribuiscono a creare un ambiente quasi sempre competitivo e a volte propriamente ostile. Questa situazione a sua volta porta gli studenti a nascondere le difficoltà per la paura di stigmatizzazione, di esclusione, di “mostrarsi deboli”. In questo contesto gli studenti di Medicina tendono a non cercare il giusto supporto nella propria rete sociale, né a rivolgersi a specialisti quali psicologi e psichiatri 1-3.
L’esito finale di questi fenomeni può essere molto grave e a volte irreversibile: oltre a burnout ed abuso di sostanze, l’11,1% (range: 7,4%-24,2%) degli studenti ha riferito ideazione suicidaria durante l’Università 2.
La prevalenza di questo fenomeno, la sua gravità, e i probabili effetti negativi sulla qualità di vita degli studenti rendono necessaria una approfondita analisi del fenomeno anche in contesto italiano, in modo da individuare i fattori implicati più importanti (e se possibile sottopopolazioni a rischio), al fine di implementare efficaci misure preventive e di trattamento.
MATERIALE E METODI
Lo studio multicentrico realizzato per analizzare i fattori determinanti stress, depressione e rischio suicidario negli studenti di Medicina è stato un’indagine cross-sectional che ha coinvolto 12 Scuole di Medicina, le quali rappresentano quasi il 30% di tutte le Scuole di Medicina in Italia. Le Scuole sono state selezionate tramite campionamento opportunistico col fine di rappresentare l’intera nazione, nello specifico il 33% era situato nel Nord Italia, il 25% nel Centro e il 42% nel Sud o nelle Isole. I partecipanti sono stati reclutati nel mese di Novembre 2018 negli anni di corso 1°, 4° e 6°, con l’obiettivo di determinare le condizioni di salute mentale a inizio, a metà e a fine percorso accademico. Agli studenti che hanno deciso volontariamente di partecipare è stato distribuito un questionario auto-compilato, composto da una sezione socio-demografica, sviluppata in seguito ad una revisione della letteratura per includere la maggior parte dei fattori associati al benessere mentale degli studenti di medicina, e una sezione relativa alla salute mentale.
La stima della prevalenza di sintomi depressivi è stata realizzata con il Beck Depression Inventory-II (BDI-II) 4, uno strumento di 21 item. Ogni item ha un punteggio da 0 a 3 e la somma di tutti i punteggi costituisce lo score finale. Punteggi da 0-13 rappresentano nessuna/minima depressione, 14-19 leggera, 20-28 moderata e 29-63 grave. È stato quindi utilizzato un cut-off di 142 per definire la presenza di sintomi depressivi, primo outcome del presente studio. L’item 9 del BDI-II riguarda l’ideazione suicidaria, in particolare si è deciso di considerare l’opzione “Non ho alcun pensiero suicida” come assenza di ideazione suicidaria e raggruppare le rimanenti tre opzioni come presenza di ideazione suicidaria, rendendo anche questo outcome dicotomico.
La valutazione dello stress percepito è stata effettuata con la Perceived Stress Scale, versione da 10 items (PSS-10), frequentemente utilizzata e già validata su campioni di studenti universitari. Gli items della PSS-10 analizzano quanto l’individuo abbia subito eventi imprevedibili e quanto sia stato in grado di farvi fronte in modo funzionale nel mese precedente. Ogni item è una scala Likert da 0 a 4, ma alcuni hanno significato e quindi score invertito. Lo score totale varia dunque da 0 a 40, identificando 3 categorie di rischio per stress percepito, ultimo outcome considerato: 0-13 basso, 14-26 medio, 27-40 alto 5.
Il test del Chi-Quadro e l’analisi dei residui standardizzati sono stati utilizzati per valutare la differenza di prevalenza delle variabili tra: gli studenti con/senza sintomi depressivi; gli studenti con/senza ideazione suicidaria; i gruppi di rischio individuati dalla PSS. Gli effetti delle variabili indipendenti sulla presenza di sintomi depressivi sono stati analizzati tramite modelli di regressione logistica multivariata, aggiustati per età e genere, sia a campione intero sia stratificando per anni. La selezione delle variabili da inserire nel modello è avvenuta tramite un metodo backward stepwise. Analisi analoghe sono state realizzate per valutare predittori della presenza di ideazione suicidaria. È stata poi effettuata una regressione multinomiale (Rif.: basso rischio di stress) con metodo backward selection, aggiustata per età e genere, per individuare i predittori di maggior peso relativamente alle categorie di rischio della PSS. Tutte le analisi sullo stress sono state effettuate su campione intero e successivamente su campione stratificato per distanza da casa (fuorisede/non fuorisede). Per effettuare tutte le analisi è stato utilizzato il software SPSS (versione 25) ed è stato considerato significativo un p < 0.05.
RISULTATI
Un campione di 2513 studenti ha partecipato allo studio. Il 61,3% era di sesso femminile e l’età mediana era di 22 anni (IQR = 4). Il 60,4% era fuorisede, il 39,6% in sede.
La prevalenza di sintomi depressivi è stata del 29,5%, mentre la prevalenza di ideazione suicidaria del 14%. I principali fattori di rischio in comune per questi due outcome sono risultati essere: età (p < 0,050), orientamento sessuale bisessuale/asessuale (p < 0,050), situazione economica insufficiente/scarsa (p < 0,050) (situazione peggiorata dal fatto di essere fuorisede per quanto riguarda i sintomi depressivi), parenti di 1°/2° grado con patologie psichiatriche (p < 0,010). Inoltre, i fattori di rischio significativi, più collegati al frequentare la Scuola di Medicina, sono stati: giudicare negativamente aver scelto Medicina (p < 0,001), non essere soddisfatti delle amicizie con i compagni di corso (p < 0,050), considerare il clima con i compagni di corso competitivo e ostile (p < 0,001), essere preoccupati di non essere all’altezza della professione (p < 0,001). Al contrario, avere una buona/ottima coesione familiare sembrava essere un fattore protettivo per entrambi gli outcome (p < 0,050). Inoltre, una significativa maggiore probabilità di mostrare sintomi depressivi è stata riportata da: studentesse, partecipanti che vivevano con il partner/coinquilini, partecipanti che praticavano sport meno di 90’/settimana, coloro con una patologia cronica e coloro che ritenevano che la Scuola di Medicina impedisse specifiche attività. Invece, avere hobby, curiosità intellettuale come motivazione della scelta universitaria e non avere preoccupazioni relativamente al futuro accademico/lavorativo sembrano ridurre significativamente la probabilità di avere sintomi depressivi. Avere una relazione e essere di sesso femminile hanno mostrato di diminuire la probabilità di riportare ideazione suicidaria.
Le regressioni non hanno rilevato nessuna differenza significativa tra i modelli a campione intero e i modelli stratificati per anni di corso. Tuttavia, le frequenze dei fattori di rischio e di protezione erano distribuite diversamente negli anni di corso secondo i test del chi-quadro.
Al 4° e al 6° anno, anche la soddisfazione della propria media e l’essere in tempo con gli esami hanno influenzato significativamente la presenza di sintomi depressivi.
È da notare come alcuni fattori di rischio fossero più frequenti negli studenti fuorisede, come praticare sport meno di 90’/settimana e pensare che la Scuola di Medicina impedisca di avere hobby. Inoltre, i fuorisede del 1° anno hanno dichiarato più frequentemente di giudicare negativamente la scelta di Medicina (16%, p < 0,001).
Inoltre, il 27,9% del campione presentava un basso rischio di stress, il 55,2% un rischio moderato e il 16,9% un rischio elevato. Alcuni fattori sono risultati essere significativamente correlati ad un aumentato rischio di stress in tutto il campione: il genere femminile, una sede universitaria situata nel Centro o nel Sud Italia, una cattiva situazione finanziaria, una cattiva opinione della scelta effettuata iscrivendosi a Medicina, ritenere il clima tra compagni di corso competitivo e ostile, non sentirsi all’altezza della professione. Altri fattori di rischio avevano significatività statistica solo nella sottopopolazione degli studenti non fuorisede: ad esempio una storia familiare di suicidio o tentativi di suicidio, pensare che la Scuola di Medicina impedisse di riposarsi a sufficienza. Infine, alcuni fattori di rischio sono risultati specifici degli studenti fuorisede: si tratta della presenza di una patologia cronica, il basso impegno sportivo settimanale, il non aver stretto amicizie soddisfacenti con i compagni di corso, pensare che frequentare l’Università impedisca avere hobby e dormire adeguatamente, essere preoccupati per la scelta della specialità o per le limitate opportunità lavorative. Per quanto riguarda i fattori protettivi, i fattori significativi per l’intero campione, sono una valutazione ottima del proprio nucleo familiare, avere un hobby o aver scelto la Scuola di Medicina per curiosità intellettuale. Negli studenti in sede, risulta protettivo aver scelto medicina per opportunità lavorative e per prestigio sociale e ritenere che il futuro sia stimolante o non pensare affatto al futuro. Infine, specificamente per gli studenti fuorisede, è fattore protettivo la presenza di una relazione sentimentale.
CONCLUSIONI
I principali limiti di questo studio includono la struttura cross-sectional, la quale circoscrive possibili interpretazioni causali e rende difficile comprendere se alcuni fattori portino a depressione, ad esempio, oppure l’associazione sia dovuta al pensiero negativo tipico di questa malattia; gli strumenti auto-compilati rispetto a interviste strutturate e diagnosi cliniche. Inoltre, a causa del campionamento opportunistico non è stato possibile raccogliere dati relativamente agli studenti che non hanno voluto partecipare allo studio o che non erano presenti a lezione causando una potenziale perdita di informazioni importanti.
Il presente studio ha mostrato come gli studenti di medicina italiani siano a rischio di depressione e di ideazione suicidaria, con delle prevalenze paragonabili a quelle degli studenti di medicina di tutto il mondo. Questa popolazione risulta inoltre fortemente a rischio di sviluppare livelli di stress molto elevati, a cui spesso le risorse cognitive, emotive, sociali non riescono a far fronte, instaurando circoli viziosi che rischiano di protrarsi fino al percorso di formazione specialistica e all’attività di specialista.
Le Scuole di Medicina dovrebbero compiere degli sforzi per pianificare e implementare strategie preventive e di cura, sia offrendo un servizio di supporto psicologico sia lavorando su fattori di rischio potenzialmente modificabili.
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Abstract
La sanità pubblica a livello globale deve oggi affrontare molteplici sfide per fornire servizi sanitari efficienti, adeguati e di elevata qualità a costi accessibili. Diverse ricerche e attività in ambito sanitario sono oggi disponibili per supportare le politiche di sanità pubblica e il processo decisionale clinico allo scopo, da un lato, di organizzare servizi sanitari in modo efficace ed efficiente e migliorare le prestazioni dei sistemi sanitari, nonché la qualità dell’assistenza sanitaria e, dall’altro, di ridurre gli sprechi, disinvestire sulle prestazioni o pratiche sanitarie inefficaci e inappropriate e riallocare le risorse verso le attività a maggiore “valore” in grado di produrre i migliori risultati in termini di salute.
In realtà, affrontare il problema della produzione di prestazioni/pratiche inutili, ma che addirittura espongono i pazienti a potenziali rischi, è un’esigenza percepita in una molteplicità di contesti internazionali, a partire da quello statunitense dove già da anni è stata posta la domanda “more is better?”
In tal senso, nell’ultimo decennio si sono moltiplicate le iniziative mirate a promuovere una sanità parsimoniosa che garantisca un’assistenza appropriata e che corrisponda alle necessità e ai bisogni dei pazienti: da campagne come “Too Much Medicine” promossa dal British Medical Journal, alle attività correlate al Movimento che si ispira al “less is more”, a conferenze e dibattiti su “overdiagnosis” e “sovratrattamento”, fino a recenti programmi, come, ad esempio, quello sulla Prudent Healthcare, promosso dal governo gallese nazionale.
Una delle iniziative più rilevanti in questo panorama è sicuramente quella di Choosing Wisely promossa dall’American Board of Internal Medicine Foundation (ABIM) e alla quale hanno aderito diverse società scientifiche statunitensi, ciascuna delle quali ha stilato una propria”Top Five List” cioè un elenco di cinque prestazioni o procedure, che pur essendo comunemente utilizzate nella pratica assistenziale, risultano non idonee o addirittura inutili, non determinanti benefici significativi e/o fonte di rischi, non giustificabili, per i pazienti.
In tale approccio, nell’ambito delle competenze igienistiche e organizzative, l’aderenza alle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni è essenziale per un’assistenza sanitaria di elevata qualità e per garantire la sicurezza dei pazienti in tutti i setting assistenziali. Le best practice sono comunemente definite come il “modo migliore” per identificare, raccogliere, valutare, diffondere e implementare informazioni e per monitorare gli outcome degli interventi di assistenza sanitaria. Le tecniche e le metodologie identificate come best practice, attraverso l’esperienza e la ricerca, hanno dimostrato in modo affidabile di portare al risultato desiderato in situazioni e contesti specifici, senza utilizzare risorse eccessive. La valutazione delle best practice, attraverso standard validati permette di caratterizzare lo scenario epidemiologico e di identificare le aree prioritarie per le strategie di controllo e il benchmarking per il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza.
Nell’ambito del progetto “Fare di più non significa fare meglio - Choosing Wisely Italy”, lanciato nel 2012 in Italia dal Gruppo Slow Medicine ed ispirato al progetto Choosing Wisely, l’ANMDO (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere) e la SItI (Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica) con il gruppo di lavoro GISIO (Gruppo Italiano Studio Igiene Ospedaliera) hanno promosso il progetto intersocietario “Choosing wisely - Igiene Ospedaliera” per il contrasto alle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), e, in particolare, all’antimicrobico-resistenza (AMR), mediante l’identificazione di best-practice da monitorare e promuovere in un contesto nazionale. Partendo dalla consapevolezza delle nostre specificità, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, sono state individuate cinque pratiche da monitorare, capaci di orientare e influenzare i comportamenti e le scelte degli operatori e delle organizzazioni, con appropriati indicatori. In particolare, sono state identificate le seguenti pratiche inappropriate: i) utilizzo dei guanti monouso in sostituzione dell’igiene delle mani e mancato utilizzo della soluzione idroalcolica, ii) e iii) somministrazione anticipata della profilassi antibiotica perioperatoria (PAP) e la sua eccessiva durata, iv) ingiustificata apertura delle porte delle sale operatorie e v) mancata segnalazione nella lettera di dimissione o documento di trasferimento della positività per microrganismi alert dei pazienti. Per ciascuna delle pratiche è stato predisposto un protocollo operativo con le indicazioni per la misura e i relativi indicatori per il loro monitoraggio, nonché delle apposite schede, gestite mediante un sistema informativo web-based per la raccolta dei dati dai centri partecipanti a livello nazionale.
Il progetto ha coinvolto, mediante i componenti del GISIO-SItI e di ANMDO, molteplici istituzioni sanitarie, seguendo l’ottica del movimento Choosing wisely, mirato ad aumentare l’efficacia e l’efficienza degli interventi di riduzione del rischio infettivo. Pertanto, tramite i componenti del GISIO le strutture sanitarie a livello nazionale sono state invitate a partecipare prima ad uno studio pilota, proseguito successivamente con uno studio tuttora in corso. Complessivamente hanno finora aderito al progetto 72 Strutture Sanitarie pubbliche e private.
Il monitoraggio delle pratiche di igiene delle mani e dell’utilizzo dei guanti è stato effettuato utilizzando i metodi e gli strumenti validati dall’OMS (metodi diretto e indiretto) modificati per permettere la valutazione dell’utilizzo dei guanti mediante l’osservazione delle opportunità di igiene delle mani e identificazione di quelle in occasione delle quali gli operatori sanitari sostituiscono l’igiene delle mani con l’uso dei guanti. I risultati del progetto confermano l’Italia tra i Paesi europei con il più basso consumo di soluzione idroalcolica (11,1 litri/1.000 giorni di degenza), consumo inferiore allo standard raccomandato dall’OMS. Inoltre, evidenziano un’adesione complessiva all’igiene delle mani del 39,5% con un livello di compliance che varia tra le diverse categorie professionali. Tale percentuale è simile a quella riportata dalla survey della OMS condotta nel 2009 (circa 39%) e conferma i dati della Campagna Clean care is safer care condotta in Italia nel 2006. Inoltre, la non adesione all’igiene delle mani con l’uso dei guanti è risultata pari a circa il 37% con percentuali differenti tra le diverse categorie professionali.
L’importanza dell’appropriata Profilassi Antibiotica Perioperatoria (PAP) per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (ISC) è stata confermata da diversi studi epidemiologi; inoltre, il suo utilizzo inappropriato contribuisce notevolmente al consumo totale di antibiotici negli ospedali ed è stato associato all’aumento della resistenza agli antibiotici dei microrganismi. I risultati del progetto “Choosing wisely – Igiene ospedaliera” evidenziano elevate percentuali di non compliance alle raccomandazioni internazionali relativamente al momento di somministrazione della PAP e alla sua durata, identificando ampi margini di miglioramento. Le strategie di prevenzione delle ISC prevedono anche interventi per garantire la qualità dell’aria nella sala operatoria: l’apertura delle porte può compromettere l’efficacia degli impianti di ventilazione determinando un incremento del rischio di ISC. Anche per questa procedura i risultati del progetto confermano elevati livelli di inappropriatezza.
Le più importanti istituzioni internazionali in tema di gestione e controllo dell’AMR e dei microrganismi multiresistenti (MDRO) hanno evidenziato che tra l’ampia varietà di interventi di controllo delle ICA da MDRO è indispensabile la documentazione dello stato di paziente positivo quando questo viene dimesso o trasferito in un altro reparto o in un’altra struttura sanitaria. I risultati del progetto Choosing wisely - Igiene ospedaliera riportano che per i pazienti positivi ai microrganismi alert inclusi, la frequenza di segnalazione nella lettera di dimissione o nel documento di trasferimento in altra struttura è complessivamente pari a circa il 50%.
Requisito fondamentale per il successo di efficaci strategie di controllo e prevenzione delle ICA e per il contrasto all’AMR è l’utilizzo di una metodologia standardizzata e di indicatori validi per il monitoraggio delle pratiche in modo da indirizzare e sostenerne il miglioramento nel tempo. I risultati del progetto consentono di evidenziare particolari target su cui indirizzare tali interventi per contrastare l’inappropriatezza delle pratiche e migliorare l’assistenza.
Con questo spirito, il Gruppo di Lavoro si è quindi prefissato di effettuare una attività che non fosse la ricerca di elementi di novità o produzione di ulteriori evidenze scientifiche e nemmeno solo cassa di risonanza per pratiche già largamente note e sostenute da ampia letteratura scientifica, ma di perseguire una linea di azione “standardizzata”, orientata alla possibilità di migliorare effettivamente la situazione del contesto nazionale, ancora oggi caratterizzata da differenze quali-quantitative tra le Regioni nell’ambito dei servizi e delle prestazioni erogati e che, proprio per questo, ha notevoli margini di miglioramento.
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Abstract
La sala operatoria è uno degli ambienti assistenziali a maggior rischio di infezione, e l’infezione del sito chirurgico (ISC) è la più frequente complicanza dell’intervento chirurgico, con un aumento di morbosità, mortalità e notevole aggravio di costi. L’aria rappresenta un importante veicolo di ISC in particolare negli interventi puliti e specialmente in quelli con impianto di protesi. La carica microbica a livello del sito chirurgico è il necessario precursore della successiva infezione; i microrganismi presenti nell’aria possono raggiungere il sito chirurgico sia depositandosi direttamente su di esso sia indirettamente dopo essersi depositati su altre superfici, come strumenti chirurgici, telini, mani dei chirurghi. La principale misura di prevenzione delle ISC di origine aerea è l’installazione di impianti di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata (VCCC), a flusso d’aria turbolento o unidirezionale. La sala operatoria è, pertanto, un ambiente a contaminazione controllata, cioè un ambiente in cui la concentrazione di particelle aerotrasportate è controllata e che è costruito e utilizzato in modo da minimizzare l’introduzione, la generazione e la ritenzione di particelle al suo interno e in cui altri parametri pertinenti, come temperatura, umidità e pressione sono controllati a seconda delle necessità. Tuttavia, diversi fattori possono influenzare la carica microbica dell’aria: le persone sono la principale sorgente di contaminazione in ambienti confinati, per cui il mancato utilizzo o lo scorretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, o il muoversi o il parlare portano ad un aumento della dispersione dei microrganismi da cute e mucose; le continue aperture di porte determinano alterazioni del flussso d’aria e favoriscono l’ingresso dei microrganismi da ambienti adiacenti, e lo stesso impianto VCCC, se non ben gestito, può diventare un pericoloso fomite di infezione. Pertanto, l’aver installato un impianto VCCC non è garanzia di bassa carica microbica dell’aria; diventa, quindi, fondamentale verificare che tutti i fattori associati all’aumento della contaminazione microbica dell’aria siano strettamente controllati e che la qualità dell’aria corrisponda a quanto atteso con il tipo di impianto VCCC che è stato installato. In tale contesto, il monitoraggio microbiologico rappresenta un utile strumento per valutare la qualità dell’aria, verificare l’efficacia degli interventi di prevenzione mesi in atto ed evidenziare situazioni a rischio. Infatti, come dice Möller “Everybody working in cleanrooms of any class in pharmacy, food industries, hospital, etc, or, generally speaking when hygiene is of importance, must make reliable measurements of airborne microorganisms”.
Per il campionamento microbiologico dell’aria possono essere utilizzati il metodo attivo e il metodo passivo. Il campionamento attivo si basa sull’aspirazione di un volume noto di aria che viene proiettata contro una superficie di raccolta, solida o liquida, utilizzando diverse tecniche, come, ad esempio, ad impatto su substrato solido, ad impatto su substrato liquido, per filtrazione; esso fornisce indicazioni sulla concentrazione dei microrganismi nell’aria espressa in unità formanti colonia per metro cubo (UFC/m3). I diversi campionatori presentano una diversa efficienza di campionamento, legata in particolare alle caratteristiche ingegneritiche del campionatore utilizzato, che giustifica la variabilità di risultati ottenuti con campionatori diversi e rende difficile la standardizzazione del campionamento e la definizione di valori soglia di riferimento; inoltre, il volume di aspirazione, la velocità di impatto e il tempo di campionamento sono altre variabili che influenzano i risultati ottenuti. Il campionamento passivo si basa sull’utilizzo di piastre Petri contenenti terreno nutriente, lasciate esposte all’aria per un dato periodo di tempo. Tale campionamento permette di determinare il tasso di sedimentazione dei microrganismi presenti nell’aria sulle superfici, quindi fornisce indicazioni sul fall-out microbico, cioè quella parte di bioaersol che si deposita su una superficie critica; questo rende il campionamento passivo particolarmente utile in sala operatoria, in quanto stima il rischio di contaminazione per il sito chirurgico derivante dai microrganismi aerogeni. Variabili che influenzano il risultato del campionamento passivo sono il tempo di esposizione, la dimensione della piastra, la sua distanza dal suolo; al fine di standardizzare il campionamento è stato proposto l’Indice Microbico Aria (IMA) che corrisponde al numero di CFU che si contano su una piastra Petri di 9 cm di diametro contenente terreno nutriente, lasciata esposta per un’ora, a un metro di altezza e a circa un metro da ogni ostacolo fisico rilevante.
Relativamente all’interpretazione dei risultati, a seguito dello studio del Medical Research Council britannico che dimostrò una significativa correlazione tra la contaminazione microbica dell’aria, la contaminazione microbica del sito chirurgico e l’incidenza di infezioni profonde del sito chirurgico in interventi di atroprotesi di anca e ginocchio, in Gran Bretagna furono definiti valori soglia di contaminazione microbica dell’aria, sia per le sale operatorie a flusso unidirezionale sia per quelle a flusso turbolento, ottenuti utilizzando il campionatore attivo Casella. L’Health Technical Memorandum 2025 raccomandava per le sale operatorie a flusso unidirezionale: entro 300 mm dalla ferita chirurgica, valori di contaminazione microbica < 10 UFC/m3 durante interventi in cui l’équipe chirurgica indossava camici convenzionali di cotone e < 1 CFU/m3 durante interventi in cui venivano utilizzati camici body exhaust; al perimetro della zona pulita, ≤ 20 CFU/m3 con camici convenzionali e < 10 CFU/m3 con camici body exhaust; a livello delle bocchette di immisisone ≤ 0,5 CFU/m3; per le sale operatorie a flusso d’aria turbolento: ≤ 35 UFC/m3 per le sale “a riposo” (installazione completa, con le apparecchiature in sala, ma in assenza di personale) e ≤ 180 UFC/m3 durante l’attività chirurgica. Queste indicazioni hanno rappresentato un riferimento per altri Paesi europei, tra cui l’Italia. Le Linee Guida italiane dell’ISPESL (Istituto Superiore per la Previdenza e la Sicurezza sul Lavoro), pubblicate nel 1999, raccomandavano gli stessi valori soglia britannici per le sale operatorie a flusso turbolento, mentre per le sale operatorie a flusso unidirezionale valori ≤ 20 CFU/m3 durante l’attività chirurgica e ≤ 1 CFU/m3 a livello della bocchetta di immissione dell’aria. Nel 2007, in Gran Bretagna fu pubblicato l’Health Technical Memorandum 03-01 che sostituiva l’Health Technical Memorandum 2025: per le sale a flusso unidirezionale veniva raccomandato un unico valore, ≤ 10 CFU/m3, entro 300 mm dalla ferita chirurgica; per le sale operatorie a flusso turbolento “a riposo” il valore soglia veniva abbassato a ≤ 10 CFU/m3, mentre rimaneva invariato quello durante l’attività chirurgica, ≤ 180 CFU/m3. Nelle Linee Guida dell’ISPESL del 2009 non veniva apportata alcuna modifica rispetto ai valori soglia indicati nella precedente versione del 1999; veniva però specificato che il valore ≤ 35 UFC/m3 nelle sale operatorie a flusso turbolento “a riposo” è solo indicativo, in quanto possono essere raggiunti valori molto inferiori a tale valore, ed “è auspicabile in tal senso che ogni struttura sanitaria individui i valori indicativi del corretto funzionamento di ciascuna sala operatoria (valori obiettivo), quelli che indicano un funzionamento ai limiti dell’accettabilità (valori allerta) e quelli che evidenziano la necessità di un intervento in quanto mostrano che ci si è allontanati dallo standard qualitativo della corretta gestione (valori azione)” e venivano forniti dettagli sulla modalità di calcolo di tali valori. In realtà, è stato evidenziato che gli attuali impianti di ventilazione a flusso turbolento sono molto più efficienti di un tempo; in uno studio multicentrico condotto nell’ambito del GISIO (Gruppo Italiano Studio Igiene Ospedaliera) della SItI (Società Italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica), in sale operatorie a flusso turbolento, è stato registrato un valore mediano di 11,75 CFU/m3 “a riposo” e di 54 UFC/m3 durante l’attività chirurgica; è stato, quindi, ragionevole l’abbassamento del valore soglia di contaminazione microbica dell’aria in sala operatoria “a riposo” a ≤ 10 CFU/m3, mentre il valore soglia di 180 CFU/m3 durante l’attività chirurgica, rimasto invariato, porterebbe a una sottostima del rischio. Bisogna tener presente, inoltre, che considerando la variabilità dei risultati ottenuti con i diversi campionatori e il gran numero di campionatori oggi disponibili, la definizione di uno standard richiederebbe l’indicazione anche del campionatore da utilizzare. A tale proposito, le Linee guida sulla prevenzione e sicurezza nelle sale operatorie del 1999 della Regione Lombardia sottolineavano la variabilità dei risultati ottenuti con i diversi campionatori e raccomandavano di realizzare uno studio preliminare che permetta di fissare una soglia critica di contaminazione. Relativamente al campionamento passivo, sono stati proposti valori soglia di IMA per le sale operatorie a flusso d’aria unidirezionale e a flusso turbolento durante l’attività chirurgica, rispettivamente < 5 IMA e < 25 IMA; lo standard IMA è stato incluso nelle Linee guida svizzere H+ Die Spitäler der Schweiz che indicano valori obiettivo, valori di allerta e valori di azione per sale operatorie in cui vengono effettuati interventi di artroprotesi, rispettivamente 2, 2-5, 5 IMA, e per sale operatorie in cui si effettuano interventi di chirurgia generale, rispettivamente, 15, 15-25, 25 IMA.
È stata dimostrata un’ampia variabilità di contaminazione microbica dell’aria in sale operatorie provviste dello stesso impianto VCCC, con valori anche molto superiori a quelli raccomandati. In uno studio multicentrico condotto dal GISIO-SItI sono stati registrati valori fino a 290 UFC/m3 e 64 IMA nelle sale operatorie a flusso unidirezionale, 466 UFC/m3 e 94 IMA in quelle a flusso misto e 249 UFC/m3 e 156 IMA in quelle a flusso turbolento; in alcuni casi, in sale operatorie a flusso unidirezionale sono stati registrati valori di carica microbica dell’aria superiori a quelli di sale operatorie a flusso turbolento. La mancata considerazione di questa evidenza può portare ad un errore di valutazione relativamente all’efficacia dei flussi unidirezionali nella prevenzione delle infezioni del sito chirurgico, argomento oggi molto dibattuto. Principali fattori associati a un aumento della carica microbica dell’aria sono la cattiva gestione dell’impianto e i comportamenti scorretti degli operatori, tra cui, in particolare, le aperture della porta della sala operatoria, che nello studio multicentrico del GISIO-SItI hanno raggiunto valori inaccettabili fino a 100/ora in sale operatorie a flusso unidirezionale e 173/ora in sale operatorie a flusso turbolento. L’apertura delle porte della sala operatoria è stata inserita tra le cinque pratiche inappropriate da dismettere individuate dalla SItI e dall’ANMDO (Asscociazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere) nell’ambito del progetto Choosing wisely - Igiene ospedaliera, e il protocollo dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) relativo alla sorveglianza delle ISC, pubblicato nel maggio 2017, ha incluso il numero delle aperture della porta della sala operatoria durante l’intervento chirurgico tra le variabili da rilevare.
Ad oggi non sono disponibili standard generalmente accettati per la qualità microbiologica dell’aria in sala operatoria, né relativamente alla metodologia di campionamento, né ai valori soglia di riferimento, e le indicazioni correnti in alcuni casi non tengono conto di aspetti importanti legati al campionamento o alla sala operatoria, come, ad esempio, la maggiore efficienza dei moderni impianti VCCC rispetto al passato; è fondamentale, pertanto, possedere conoscenze e competenze adeguate per compiere scelte appropriate, al fine di evitare che venga vanificato l’investimento di risorse per la prevenzione dell’ISC e garantire la sicurezza del paziente. Diventa, inoltre, essenziale lavorare verso la definizione di comuni standard di riferimento; nell’ambito dell’EUNETIPS (European network to promote infection prevention for patient safety) è in corso un’indagine relativa alla disponibilità di raccomandazioni nazionali sulla qualità dell’aria in sala operatoria, che potrà fornire un quadro sulla situazione corrente e rappresentare un punto di partenza per raggiungere un consensus su questo importante tema.
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Abstract
Le Malattie Infettive, nel corso dei secoli, hanno avuto un profondo impatto non solo sulla salute umana ma anche sulla storia della specie, influenzando l’esito di guerre nonché il destino di nazioni ed imperi 1-3. A differenza della stragrande maggioranza delle malattie cronico-degenerative, la cui eziologia è complessa e multifattoriale, le malattie infettive sono in genere causate dall’azione di un unico agente biologico, la cui identificazione permette di attuare idonee misure di controllo, sia generiche (igiene personale e/o ambientale, disinfezione, controllo dei vettori) che specifiche (vaccinazione e terapia antimicrobica) 1. Tali misure hanno avuto un tale successo (si pensi solo alla campagna di eradicazione del vaiolo) che, almeno nei paesi industrializzati, ne è derivata la convinzione che le malattie infettive fossero ormai prossime ad essere definitivamente sconfitte. È così che, sul finire degli anni ’60, il “Surgeon General”, la massima autorità sanitaria statunitense, annunciò: “It’s time to close the book on infectious diseases… the war against pestilence has been won”. Tale affermazione sembrava indubbiamente destinata a spostare l’attenzione e le priorità verso le malattie cronico degenerative. Del resto, malattie cardiovascolari ischemiche e l’ictus, le malattie polmonari cronico-ostruttiva risultano essere ormai le tre principali cause di morte nel mondo, oltre ai tumori, che vengono presentati in forma disaggregata nelle graduatorie che tengono conto del tipo specifico di diagnosi. È altresì vero che, ancor oggi, fra le più frequenti cause di morte a livello globale figurano le infezioni delle basse vie respiratorie, le diarree e la tubercolosi. Quindi, a distanza di quasi mezzo secolo, le malattie infettive rappresentano un rilevante determinante di mortalità. Inoltre, se si restringe il campo ai paesi poveri di risorse, oltre alle infezioni alle basse vie respiratorie, alle diverse forme di diarrea e alla tubercolosi, troviamo certamente l’HIV/AIDS e la malaria. Infine, se si considera la mortalità infantile (decesso in età < 5 anni), nelle prime posizioni troviamo la polmonite, la sepsi neonatale, le diarree e la malaria 4.
Non sono solo le malattie infettive “tradizionali” a giocare un ruolo ancora importante per quanto riguarda la morbidità e la mortalità, in quanto negli ultimi decenni abbiamo assistito con sempre maggior frequenza al fenomeno delle infezioni emergenti, causate per lo più da passaggi di specie (da reservoir animali all’uomo) con successivo adattamento di agenti patogeni, quasi sempre di natura virale. Cambiamenti demografici e ambientali, inclusi i cambiamenti climatici e l’urbanizzazione, sono tutti fattori che possono poi contribuire alla diffusione di tali agenti patogeni. Tra i virus “emersi” o identificati negli ultimi 50 anni ricordiamo Ebola e Marburg, Nipah, HIV, SARS-coronavirus, i virus dell’influenza aviaria da H9N2 a H7N7, H5N1 o H7N9, il virus dell’influenza di origine “suina” H1N1, MERS-coronavirus. Altri virus, come quelli dell’influenza umana, vanno incontro ad un continuo processo di mutazione e selezione, per cui sono in grado di evadere le risposte immunitarie e provocare epidemie ogni anno. Inoltre, virus, come Dengue, Zika e Chikungunya, la cui nicchia ecologica era geograficamente ristretta, hanno invece espanso la propria area di attività, conquistando nuove terre e nuovi continenti al seguito delle loro zanzare vettrici 5-7.
Altre malattie infettive, che sembravano destinate ad esser poste sotto controllo, sono ricomparse o hanno ripreso una più intensa attività; un esempio fra tutti è quello della tubercolosi, una classica infezione riemergente. A causa del loro potenziale epidemico, tali infezioni rappresentano una costante minaccia per l’umanità, ed è quindi fondamentale contrastarle con attività di ricerca, sorveglianza, prevenzione e controllo.
Infine, il fenomeno della resistenza antimicrobica rischia di mettere a repentaglio la medicina moderna nel suo insieme, rendendo difficilmente curabili o non curabili affatto un’ ampia gamma di infezioni, soprattutto quelle associate all’assistenza in ambito ospedaliero e nelle lungodegenze. Germi multiresistenti agli antibiotici, come ad esempio le Klebsielle (l’ultimo allarme a questo proposito riguarda la cosiddetta New-Delhi) hanno invaso le corsie di molti ospedali italiani, soprattutto le terapie intensive, laddove si trovano pazienti fragili sottoposti a frequenti procedure invasive. Il sempre più frequente ricorso all’ospedalizzazione associato all’invecchiamento della popolazione contribuisce certamente ad aumentare le dimensioni del problema, che può essere contenuto mediante un uso prudente degli antibiotici e la costante applicazione di appropriate misure di igiene ospedaliera.
Fortunatamente, l’uso di vaccini sempre più efficaci ha determinato globalmente una diminuzione del carico di malattia, contenendo la diffusione di patologie potenzialmente letali quali tetano o difterite. Importanti successi sono stati ottenuti anche nei confronti di malattie batteriche invasive, quali quelle da pneumococco, emofilo e meningococco, e di infezioni associate a tumori, prime fra tutte HBV e HPV. Infine, un flagello come la poliomielite, è ormai ristretto a un limitato numero di paesi.
La lotta contro le malattie infettive vecchie e nuove è quindi lungi dall’essere vinta, anche se importanti passi in avanti sono stati fatti nel corso dell’ultimo secolo. Per questo è importante un impegno continuo da parte della sanità pubblica, al fine di rafforzare i programmi di sorveglianza e controllo, sia a livello nazionale che globale.
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Abstract
Per un efficace contrasto delle malattie infettive la conoscenza di come, dove e in che misura ogni singola malattia sia presente in uno specifico ambito territoriale è un indispensabile prerequisito: e questo è lo specifico campo di azione della sorveglianza. Sebbene l’idea di utilizzare i dati di morbilità e mortalità per il controllo e il contrasto delle malattie infettive affondi le sue radice nell’Italia dei comuni e delle signorie e l’obbligo di notifica, già introdotto alla fine del secolo XIX, abbia avuto la codifica attuale nel 1934 con il Testo unico delle leggi sanitarie, dobbiamo far risalire la attuale concetto scientifico di sorveglianza all’immediato dopoguerra, con l’avvio dei programmi nazionale ed interazionali di controllo delle principali malattie infettive ed in particolare della malaria, e la nascita delle principiali agenzie governative (CDC) ed internazionali (WHO). Si iniziò allora a definire “sorveglianza” la raccolta e l’analisi dei dati di mortalità e morbilità e nel 1955 Alexander D. Langmuir, Chief Epidemiologist dell’allora Comunicable Desease Control Center, antenato dell’attuale Center for Disease Control ((CDC), definì le attività di sorveglianza delle malattie infettive: “The continue watchfulness over the distribution and trends of incidence trough the systematic collection, consolidation, and evaluation of morbidity and mortality reports and other relevant data. Intrinsic in the concept is the regular dissemination of the basic data and interpretation to all who have contributed and to all who have need to know”.
Le attività, e conseguentemente il termine sorveglianza, andarono progressivamente allargando il loro ambito, comprendendo progressivamente le misure di sanità pubblica finalizzate al controllo e al contrasto delle malattie infettive: come per esempio le azioni di profilassi e di lotta ai vettori per la malaria e le vaccinazioni per il morbillo e la polio. Il termine sorveglianza divenne quindi, nel tempo, sinonimo di contenimento: “Ongoing systematic collection, analysis ad interpretation of health data in the process of describing and monitoring a health event. This information is used for planning, implementing, and evaluating public health interventions and programs” (Centre for Disease Control – CDC – 1988).
La conoscenza e la condivisione da parte di tutti gli attori del sistema, delle specifiche finalità, strategie e procedure che sottendono alla raccolta dei dati nell’ambito dei programmi di sorveglianza è fondamentale per l’efficacia complessiva delle conseguenti attività di analisi.
La sorveglianza delle malattie infettive è affidata soprattutto al Sistema Informativo delle Malattie Infettive (SIMI), ora rinominato Sistema di Segnalazione delle Malattie Infettive (PREMAL) dal DPCM 3 marzo 2017 “Identificazione dei sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità, di tumori e di altre patologie”. Il riferimento operativo è ancora oggi il DM del Ministero della Sanità del 15/12/1990; che prevede che “il medico che, nell’esercizio della sua professione, venga a conoscenza di un caso di qualunque di malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, pericolosa per la salute pubblica, deve comunque notificarla all’autorità competente”.
Le attività del Servizio di igiene e Sanità Pubblica finalizzate al controllo e alla prevenzione delle malattie infettive sono strutturate secondo indicazioni del DM del Ministero della Sanità del 15/12/1990, che definiscono i criteri, i flussi informativi e la relativa modulistica, con la finalità di assicurare la sollecita attuazione delle azioni e degli interventi di sanità pubblica rivolti al controllo e alla prevenzione della diffusione delle malattie, nonché la raccolta sistematica di dati e informazioni per la sorveglianza epidemiologia dell’ andamento delle malattie infettive.
Il flusso informativo previsto si svolge attraverso il medico, ospedaliero o di base, che diagnostica la malattia infettiva ed effettua la segnalazione alla ASL di competenza, incaricata della adozione di eventuali misure di profilassi a tutela della salute pubblica, la Regione con azione di supervisione e coordinamento, gli Organismi Centrali (Ministero della Salute, ISTAT, Istituto Superiore di Sanità) ed eventualmente internazionali (ECDC, WHO).
Il SISP che ha ricevuto la notifica dall’ospedale è tenuto ad effettuare la cosiddetta inchiesta ospedaliera inviando presso l’ospedale proprio personale medico per acquisire dal malato direttamente e dai medici che lo hanno in cura tutte le informazioni, cliniche ed anamnestiche, utili ad assolvere il debito informativo previsto, e a definire e guidare gli eventuali interventi di sanità pubblica finalizzati al controllo della diffusione della malattia.
Il SISP di residenza del malato effettua la cosiddetta inchiesta domiciliare, recandosi presso il domicilio o la residenza del malato, sempre al fine di acquisire ogni ulteriore utile informazione e soprattutto a porre in essere ogni azione ed intervento gli interventi di sanità pubblica finalizzati alla prevenzione della diffusione della malattia.
I provvedimenti da adottare nei confronti di soggetti affetti da malattie infettive e nei confronti di loro conviventi o contatti, a nei confronti di comunità o collettivi, sono indicati nella circolare del Ministero della Salute n° 4 del 13 marzo 1998 Protocollo 400.3/26/1189 - “Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica”, che dedica ad ogni malattia una scheda con le informazioni relative alla Classificazione Internazionale delle Malattie (IX revisione), ai periodi di incubazione e contagiosità, ai provvedimenti da adottare nei confronti dei malati, dei conviventi e dei contatti, nonché ad altre misure preventive, quando necessarie ed in tutte le ulteriori circolari ministeriali e regionali, nonché le indicazioni dei specifici programmi di controllo. Ovviamente costituiscono fondamentale elemento di riferimento le linee guida internazionali.
Per quanto attiene la Tubercolosi costituiscono fondamentale riferimento le Linee Guida per il controllo della malattia tubercolare di cui al D.M. 29 luglio 1998, aggiornate nel 2009, e la circolare del Ministero della Salute del Roma, 27 marzo 1995, avente per oggetto “Protocollo per la notifica dei casi di tubercolosi”. La Tubercolosi è inserita nella 3° classe, tra le malattie per le quali sono richieste particolari documentazioni e flussi informativi differenziati, insieme a AIDS, lebbra, malaria, e micobatteriosi non tubercolari. Per la raccolta dei dati sulle notifiche dei casi accertati di Tubercolosi è utilizzata l’apposita scheda (modello 15), proposta in allegato al D.M. 15/12/1990 e modificata nell’allegato al Decreto del 29/7/1998.
A livello locale l’analisi e l’elaborazione dei dati è finalizzata a:
stimare l’incidenza e la prevalenza delle patologie infettive;
identificare eventi epidemici ed aggregazioni spazio temporali di specifiche patologie;
rilevare la distribuzione dei fattori di rischio e identificare associazioni specifiche;
individuare patologie emergenti.
Accanto al PREMAL sono attivi specifici sistemi di sorveglianza per alcune patologie, con flussi e modulistiche dedicate, finalizzati alla raccolta di informazioni ulteriori focalizzate in base alle specifiche esigenze di Sanità Pubblica:
sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta (SEIEVA);
sistema di sorveglianza delle Malattie Batteriche Invasive (meningococco, pneumococco, emofilo);
sistema di sorveglianza integrata del morbillo e rosolia, inclusa la Rosolia congenita e in gravidanza;
sistema di sorveglianza dell’antibiotico resistenza, compresi i batteri produttori di carbapenemasi;
sistema di sorveglianza delle malattie trasmesse da vettori;
sistema di sorveglianza dell’influenza;
sistema di sorveglianza della legionellosi;
sistema di sorveglianza delle malattie sessualmente trasmesse (IST);
sistema di sorveglianza del botulismo;
sistema di sorveglianza delle resistenze a farmaci antitubercolari;
sistema di sorveglianza della pertosse (ECDC);
sistema di sorveglianza HIV/AIDS.
La tempestiva e accurata sorveglianza è alla base delle attività di controllo delle malattie infettive, senza i dati della sorveglianza sarebbe impossibile definire ed attuare appropriate strategie di controllo. La sorveglianza delle malattie infettive consiste quindi nella raccolta sistematica, nella analisi e interpretazione dei dati sanitari essenziali per:
pianificare, implementare e valutare delle azioni di Sanità Pubblica;
garantire un efficace ed adeguato controllo delle malattie infettive.
A tal fini i sistemi di sorveglianza devono avere la capacità di raccogliere ed integrare i dati necessari attingendo a più fonti. Molte fonti di dati si sono sviluppate nel tempo: registri cause di morte, registri di patologie, banche dati di attività di laboratorio, schede di dimissione ospedaliera, risultati di indagini epidemiologiche specifiche; dati ambientali, dati di tipo socioeconomico, eccetera, eccetera. Ugualmente si sono evolute nel tempo le tecnologie, forme e modalità di conservazione dei dati, creando opportunità per l’utilizzo di un grande quantità di dati, non sanitari, ma comunque potenzialmente utili, nell’attività di indagine epidemiologica sulle malattie infettive.
Sarebbe utile di disporre di una piattaforma informatica unica, nazionale a supporto delle attività di sorveglianza delle singole Asl e Regioni attualmente frammentate nell’utilizzo di soluzioni informatiche individuali, spesso indagate, o comunque obsolete. Ugualmente sarebbe auspicabile disposare di sistemi informativi sanitari e non sanitari integrati o interoperabili.
Allo stesso modo sarebbe auspicabile individuare standard e riferimenti per l’individuazione delle dotazioni organiche, in termini quantitativi e qualitativi dei servizi che svolgono queste attività, che spesso operano in situazioni di forte carenza. Anche nella prospettiva di lavorare sulla preparedness a fronte delle possibili emergenze infettive che richiedono organizzazioni flessibili e resilienti.
Bibliografia di riferimento
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Abstract
Affrontare, in una prospettiva di Sanità Pubblica, il tema della tutela della salute del migrante richiede alcune considerazioni preliminari.
La prima riguarda l’estrema indeterminatezza del termine ‘migrante’, che segnala esclusivamente un’esperienza di migrazione senza indicarne le cause, la temporalità (attuale o pregressa), l’inquadramento giuridico e le caratteristiche socio-economiche e culturali della persona che ne è, o ne è stata, protagonista. Ne consegue che qualunque iniziativa di sanità pubblica necessita di una esplicitazione chiara dei ‘migranti’ destinatari dell’intervento (ad es.: ‘lavoratori stranieri addetti al settore agro-zootecnico’) e di una preliminare caratterizzazione del contesto specifico di riferimento (la migrazione si presenta infatti disomogenea per quantità e qualità sul territorio nazionale).
La seconda premessa riguarda l’assetto istituzionale emerso dalla riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001, in cui, all’art. 117, la materia “immigrazione” è compresa tra quelle di cui lo Stato ha legislazione ‘esclusiva’, mentre “tutela della salute” è stata inserita tra quelle di legislazione ‘concorrente’ (dando avvio al cosiddetto ‘federalismo sanitario’). Ciò ha prodotto una certa ambiguità riguardo alle rispettive competenze istituzionali nell’ambito della ‘salute degli immigrati’, che ha visto fin qui posizionarsi in modo differente le diverse Regioni e Provincie Autonome. Si è reso pertanto necessario discutere ed approvare, in Conferenza Unificata, indicazioni univoche circa l’interpretazione delle normative esistenti nel tentativo di ‘allineare’ le politiche locali.
La terza e ultima considerazione preliminare attiene al fatto che, all’interno di un sistema universalistico quale il nostro, può apparire pleonastico indicare uno specifico soggetto (per quanto, come abbiamo detto, genericamente indicato) quale meritevole di tutela sanitaria. Caratteristica peculiare dell’universalità di un sistema sanitario è, infatti, quella di rivolgersi in modo non discriminante a tutti gli individui presenti. Tale chiaro orientamento trova, nel caso italiano, un ulteriore rafforzamento nella formulazione dell’Art. 32 della Costituzione che, come noto, recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti [omissis]”, dove è particolarmente significativa la scelta (unica in tutto il testo costituzionale) di utilizzare il termine ‘individuo’ anziché ‘cittadino’ (come negli altri articoli). Da ciò ne è conseguita una normativa di settore che contempla forme, benché differenziate, di tutela sanitaria indipendentemente dallo status giuridico del soggetto (in termini di possesso o meno di un permesso di soggiorno in corso di validità e/o della cittadinanza italiana).
Con riferimento a tale ultima premessa è utile notare, a distanza di vent’anni, come nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 – probabilmente il più importante documento programmatorio sanitario di livello nazionale nella storia del nostro SSN – il IV obiettivo fosse intitolato “Rafforzare la tutela dei soggetti deboli” e gli ‘Stranieri immigrati’ vi fossero ricompresi insieme alle ‘Tossicodipendenze’, alla ‘Salute mentale’ e alle ‘Fasi della vita e salute’ (includendo infanzia e adolescenza, anziani e persone nella fase terminale della vita). Con la sensibilità dell’oggi si eviterebbe forse di cercare di individuare macro-categorie di soggetti vulnerabili per focalizzare maggiormente l’attenzione su dimensioni di vulnerabilità trasversali all’interno della popolazione (come tipicamente si fa con l’approccio dei ‘determinanti sociali della salute’ concentrandosi su fragilità quali l’assenza o insufficienza di reddito o la precarietà abitativa…). Ciò malgrado, è interessante rilevare come l’approccio del citato PSN fosse già ben orientato in questo senso.
Il testo esplicitava infatti che “I soggetti che non dispongono di adeguate abilità sociali sono spesso portatori di bisogni complessi e chiedono al sistema sanitario capacità di fare sintesi sui loro problemi e di agire in modo unitario per soddisfarli. Sono soggetti deboli tutti coloro che, trovandosi in condizioni di bisogno, vivono situazioni di particolare svantaggio e sono costretti a forme di dipendenza assistenziale e di cronicità”.
Si dichiarava inoltre che “Obiettivo fondamentale del Psn 1998-2000 è introdurre nel sistema sanitario condizioni di maggiore equità nella erogazione dei servizi alle diverse categorie di popolazione in condizione di bisogno. In particolare, va evitato il rischio di assecondare aree privilegiate di bisogno e di utenza, quando non giustificato da necessità assistenziali e da priorità etiche, evitando vantaggi competitivi per chi sa meglio rappresentare i propri bisogni. A tal fine va incrementato l’utilizzo di metodi di valutazione interprofessionale del bisogno e va incentivato l’orientamento a formulare diagnosi globali, evitando di settorializzare gli interventi. Gli standard di struttura vanno correlati a standard di processo idonei a garantire qualità di assistenza ed esigibilità dei diritti dei soggetti svantaggiati. Per una maggiore tutela dei soggetti deboli, le Regioni evidenziano le condizioni di grave emarginazione presenti nel territorio ed elaborano progetti finalizzati a contrastare le diseguaglianze di accesso ai servizi”.
Questa impostazione indica chiaramente come le forme di tutela specifiche che la Sanità pubblica deve essere in grado di esercitare devono riguardare quei gruppi di popolazione che sono maggiormente esposti a disuguaglianze nella salute e nell’assistenza. Tra questi gruppi ve ne sono sicuramente alcuni che condividono l’esperienza della migrazione (ad esempio, i ‘minori stranieri non accompagnati’ o i ‘richiedenti asilo senza fissa dimora’ o le ‘assistenti familiari straniere/badanti’), ma non gli ‘stranieri immigrati’ in quanto tali (tra cui vi sono molte persone di seconda o terza generazione sane, non esposte a rischi specifici e ben integrate socialmente).
Le diverse tipologie di interventi che la Sanità pubblica può ritenere necessario adottare con riferimento alla popolazione immigrata si iscrivono e trovano legittimazione, in coerenza col principio costituzionale sopra richiamato, all’interno di un ‘corpus’ giuridico di settore che delinea politiche sanitarie chiaramente inclusive. Questo pacchetto di normative è costituito, essenzialmente, dagli articoli 34 e 35 del D.Lgs. 286/98 (il cosiddetto ‘Testo unico sull’immigrazione’) e dai corrispettivi articoli 42 e 43 del D.P.R. 394/99 (il suo Regolamento di attuazione). Ulteriori specifiche sono contenute nella Circolare n. 5 del 2000 del Ministero della Salute e, come sopra accennato, dall’Accordo Stato-Regioni e PP.AA. n. 255 del 20 dicembre 2012, dal titolo “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome”. Puntuali richiami a queste norme sono stati inseriti nelle diverse formulazioni dei LEA - Livelli Essenziali di Assistenza (compresa la loro ultima modifica approvata nel 2017).
Questi richiami dimostrano come sul piano formale la Sanità pubblica goda da oltre vent’anni di un ampio spazio di azione istituzionale tanto per gli stranieri regolarmente presenti (cioè in possesso di un permesso di soggiorno a lungo termine in corso di validità), quanto per i cosiddetti ‘Stranieri Temporaneamente Presenti (STP)’. Con riferimento a quest’ultima categoria di immigrati, l’interesse collettivo delle misure di tutela ad essi garantite (ed in particolare, il loro diritto alla prevenzione, diagnosi e cura, anche gratuita, delle malattie trasmissibili), ne ha aumentato l’accettabilità sociale mettendole in qualche misura ‘al riparo’ dagli approcci ideologici o demagogici spesso agiti in ambito politico. Sul piano applicativo tali norme sono però andate incontro, in questo periodo di vigenza, ad una serie di difficoltà di natura amministrativa correlate a requisiti estranei al settore della salute, quali, ad esempio, il possesso della residenza, del codice fiscale, dell’iscrizione anagrafica etc., che ne ha a volte inficiato l’efficacia pratica.
È necessario sottolineare come, con queste scelte ed indirizzi, l’Italia si sia di fatto posta, nell’ambito europeo ed internazionale, come un Paese pionieristico e all’avanguardia rispetto alle raccomandazioni che diversi Documenti, Rapporti e Risoluzioni del WHO e dell’Assemblea Mondiale della Sanità avrebbero poi proposto ai paesi membri negli ultimi anni.
Se facciamo ad esempio riferimento al MIPEX HS – cioé all’indice che misura le politiche di integrazione dei migranti per la Sezione Salute riferito al 2015 – nel confronto con altri 33 Stati membri della Regione Europea della WHO, è possibile constatare che l’Italia figura sempre nei gruppi di Paesi che offrono le condizioni di tutela dei migranti più favorevoli in termini di: condizioni per l’inclusione (è tra gli Stati caratterizzati da una inclusione incondizionata); estensione della copertura sanitaria (è nel gruppo di Paesi che offrono ai migranti con permesso di soggiorno le stesse misure assistenziali garantite ai nazionali residenti). Se si effettua un’analisi delle politiche sanitarie concentrandosi sull’accesso ai servizi sanitari da parte dei migranti in situazioni di irregolarità, tra i 34 paesi europei coperti dal MIPEX HS, calcolando la media degli indicatori di accesso per questa componente di migranti, l’Italia ottiene il punteggio più alto (83), seguito da Danimarca, Francia, Paesi Bassi, Romania, Spagna, Svezia e Svizzera con 67. Il punteggio per i diritti legali all’assistenza sanitaria è 75 (lo stesso della Svezia), ricordando che la segnalazione di pazienti irregolari alle autorità di polizia è vietata e non vi sono sanzioni contro il loro aiuto. Tuttavia, la Legge n. 132 introdotta dal I Governo Conte nel 2018 (il cosiddetto ‘Primo Decreto Sicurezza’) ha limitato alcuni dei loro diritti e ha suscitato preoccupazioni circa le reali possibilità di tutela della salute di alcune tipologie di migranti sia tra le principali Associazioni medico-umanitarie/ONG che tra le principali Società scientifiche che si occupano del tema. Tra queste la SitI, che ha sottoscritto insieme ad altre sei Società scientifiche coinvolte e coordinate dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), una lettera rivolta al Ministro Grillo.
Con riferimento al titolo di questo Workshop: “La sanità pubblica per la sorveglianza e il controllo delle malattie infettive”, va sottolineato come in queste due decadi non si siano mai registrati nel nostro Paese, contrariamente a quanto ripetutamente suggerito da alcuni Media, veri allarmi sanitari riconducibili alla presenza degli stranieri. Ciò proprio a motivo della presenza di una rete capillare di professionisti e di servizi sanitari accessibili anche agli stranieri e della sostanziale efficacia protettiva del loro intervento. Una sfida fondamentale è, evidentemente, quella di assicurarsi di programmare ed attuare interventi basati su prove di efficacia. A tal riguardo, sono disponibili in Italia - tra le altre - una Linea Guida, prodotta dall’INMP in collaborazione con l’ISS e la SIMM, sui “Controlli sanitari all’arrivo e percorsi di tutela per i migranti ospiti nei centri di accoglienza”, che forniscono le raccomandazioni evidence-based rispetto a tutta una serie di rischi di patologie trasmissibili e non trasmissibili, ed una Linea Guida (ad opera delle stesse organizzazioni) sul “Controllo della tubercolosi tra gli immigrati in Italia”.
Come sottolineato in un recente rapporto dell’Ufficio della regione Europea della WHO, sarebbe però fortemente limitante, in quanto contrastante con l’attuale situazione epidemiologica, enfatizzare eccessivamente l’ambito delle malattie infettive diffusive a scapito di quello delle malattie cronico-degenerative, che stanno registrando una crescente prevalenza e gravità nelle popolazioni immigrate. Ciò sembra legato sia alla possibilità di una minore ‘health literacy’ rispetto ai rischi legati a specifiche esposizioni con particolare riferimento a stili di vita a rischio, sia ad una minore conoscenza ed attitudine, in alcuni sottogruppi di immigrati, al ricorso a interventi di prevenzione primaria e secondaria. Ciò configura un possibile ruolo centrale degli igienisti, ai diversi livelli in cui questi sono protagonisti nelle strutture sanitarie pubbliche (ed in particolare nei Dipartimenti di Prevenzione), nell’identificazione e tutela di quei gruppi “hard to reach” che sono maggiormente esposti al rischio di disuguaglianze nella salute e nell’assistenza.
Un esempio emblematico è quello offerto dal ritardo con cui le badanti straniere si avvalgono dello screening cervicale, registrandosi così carcinomi in situ ad uno stadio più avanzato.
Tale tipologia di attenzioni e tale capacità di focalizzazione dei reali bisogni di salute ed assistenza nella comunità di interesse a partire dai soggetti più vulnerabili – auspicabilmente all’interno di quell’approccio innovativo oggi denominato ‘Medicina di prossimità’ – risponde di fatto appieno alle nostre specifiche matrici culturali e professionali.
Va inoltre ricordato che se i servizi sanitari pubblici si dimostrano capaci di rispondere efficacemente a bisogni ‘nuovi’ o ‘specifici’ per un gruppo di popolazione del proprio bacino di utenza, ciò attesta una loro maggiore propensione a riqualificarsi a beneficio dell’intera popolazione servita. In altre parole, essere capaci di promuovere e tutelare adeguatamente la salute delle persone immigrate (nelle diverse declinazioni che abbiamo esemplificato), rappresenta una cartina al tornasole della performance complessiva dei servizi pubblici. È quanto mai auspicabile che tali percorsi vengano realizzati attraverso il coinvolgimento e l’empowerment delle comunità di stranieri interessati, in linea con quanto rappresentato dall’approccio della Promozione della salute.
A pieno titolo, richiamando un editoriale del Lancet del 2018, possiamo quindi affermare: “No public health without migrant health”.
Abstract
È stato stimato che il Bacino del Mediterraneo nei prossimi anni dovrà far fronte ad impatti particolarmente negativi degli effetti dei cambiamenti climatici, che, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno di questa regione una delle aree più vulnerabili d’Europa. In assenza di un’inversione nel trend delle emissioni di gas-serra, l’aumento delle temperature globali si tradurrà con elevata probabilità, nei prossimi decenni, in una modifica delle condizioni meteorologiche: maggiore frequenza e intensità di eventi estremi, dalle alluvioni improvvise a periodi siccitosi, aumento della temperatura con il verificarsi di ondate di calore sempre più violente e innalzamento del livello del mare, sono i primi possibili effetti 1.
Tali eventi catastrofici graveranno soprattutto sulle città: spesso situate lungo la costa, nelle pianure alluvionali, o lungo spaccature sismiche, con la loro concentrazione di beni e persone sono vulnerabili alle catastrofi 2. In particolare, tre quarti di tutte le grandi città si trovano sulla costa e più della metà della popolazione mondiale vive entro 60 chilometri dal mare 1. Un altro aspetto che pesa negativamente in tal senso è il fenomeno della forte urbanizzazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni. Entro il 2050, le Nazioni Unite stimano che più del 70% della popolazione mondiale andrà a vivere nelle aree urbane. In Asia orientale, la popolazione urbana dovrebbe raddoppiare tra il 1994 e il 2025 2.
L’urbanizzazione rapida e non pianificata, che avviene su terreni marginali e aree pericolose, in combinazione con insediamenti mal costruiti ed ecosistemi degradati, mette in pericolo più persone e più beni, e particolarmente a rischio sono le città piccole e medie in rapida crescita. Spesso non solo mancano di risorse finanziarie, infrastrutture e servizi, ma anche la capacità di gestire la popolazione urbana via via in aumento 2.
In tale contesto, l’Italia, secondo uno studio dell’ONU condotto nel 2015 dall’UNISDR (Centro per la riduzione del rischio dei disastri) e dal Centro di ricerca sulla epidemiologia dei disastri (CRED) è nella top 10 dei Paesi del Mondo che hanno subito più danni dal 1998 dovuti a catastrofi naturali come terremoti, maltempo, temperature estreme, siccità, tsunami e cicloni.
Accanto ai rischi legati agli aspetti geofisici ed ai mutamenti ambientali, le nostre città presentano altre problematiche che possono configurare situazioni di emergenza, legate a molteplici fattori di carattere economico, sociale e demografico 3:
la crisi economica che ha creato fasce di popolazione con gravi difficoltà di accesso ad un’abitazione adeguata e sicura con conseguenti fenomeni di affollamento e insicurezza sociale (baraccopoli, abusivismo, quartieri degradati ecc.);
l’instabilità internazionale causa dell’incremento della popolazione immigrata in cerca di lavoro e soluzioni abitative possibili (campi profughi, soluzioni d’emergenza inadeguate ecc.);
l’incremento della popolazione anziana che richiede diverse esigenze (accessibilità, spazi sufficienti per mobilità assistita);
l’aumento dei soggetti fragili monoreddito (separati, vedovi, anziani soli, precari) con difficoltà a sostenere le spese di una grande città.
Esiste ormai vasta letteratura scientifica sugli effetti sulla salute determinati dalle criticità legate all’ambiente costruito 4.
In particolare la globalizzazione e l’urbanizzazione, associati all’invecchiamento della popolazione, interagiscono con i determinanti sociali, culturali ed economici di salute (scolarità, abitazione, lavoro) nell’esporre gli individui a fattori di rischio comportamentali per la salute (uso di tabacco, errate abitudini alimentari, insufficiente attività fisica, abuso di alcol ecc.) in grado di determinare alterazioni metaboliche e biologiche che predispongono alle patologie croniche.
In generale l’ambiente urbano può incidere sulla salute agendo su diversi livelli:
alterando gli stili di vita della popolazione a seguito di cambiamenti sociali ed economici indotti dall’urbanesimo (es: ampia offerta di cibi e bevande non salutari, facile accesso a droghe, prostituzione, negozi di scommesse ecc.), con conseguenti impatti sanitari negativi quali sovrappeso ed obesità, isolamento sociale, patologie mentali, malattie infettive ecc.;
esponendo la popolazione a rischi legati ad un ambiente fisico alterato dall’inquinamento (es: emissioni in atmosfera, domestiche e da traffico veicolare, rumore, scarsità di verde urbano e di percorsi pedonali, eccesso di traffico veicolare, etc.), con conseguenti impatti sanitari negativi quali patologie respiratorie e cardiovascolari, sovrappeso ed obesità, incidentalità stradale;
alterando i sistemi di supporto vitale della biosfera per la rilevante impronta ecologica delle popolazioni urbane moderne (es: modificazioni climatiche), con conseguenti impatti sanitari negativi dovuti a stress termici da freddo e da caldo, a calamità naturali e variazioni negli eco-sistemi.
Pertanto, gli interventi di ricostruzione post-emergenze, oltre ad essere orientati verso la correzione delle fragilità e l’aumento della resilienza dell’ambiente urbano, devono prevedere scelte basate su un approccio salutogenico. La resilienza non implica il ripristino ad uno stato iniziale, ma il ripristino della funzionalità attraverso il mutamento e l’adattamento. Ciò può essere attuato contribuendo alla riduzione dei rischi indotti dai disastri a livello urbano, alla preparazione alle emergenze, alla valutazione e alla capacità di dare una risposta coordinata con altri enti di gestione, alle emergenze a livello nazionale, regionale e locale 2.
In tale ambito ha avuto particolare sviluppo negli ultimi decenni l’Urban Health, una disciplina interessata allo studio della salute delle popolazioni che vivono in ambienti urbani, ed alla comprensione dei suoi determinanti al fine di migliorare lo stato di salute degli abitanti delle città. Negli ultimi dieci anni l’Urban Health è diventato un argomento di particolare interesse per la sanità pubblica, come dimostrato dalle oltre mille ricerche e documenti pubblicati a partire dal 1960, di cui oltre il 60% dopo il 2000 5.
La pianificazione territoriale ed urbana, a grande e piccola scala, può essere considerata uno strumento chiave per tutelare e promuovere la salute individuale e collettiva.
Secondo quanto proposto nella Carta di Erice 6, le strategie dei governi locali del territorio ai fini della realizzazione di una “città in salute” dovrebbero orientarsi secondo le seguenti linee di indirizzo:
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Promuovere una pianificazione urbana orientata a incentivare comportamenti sani sia con la riqualificazione di aree esistenti, sia con la progettazione di nuovi insediamenti, ad es.:
progettando città in grado di promuovere il trasporto pubblico e la mobilità attiva, anche attraverso la realizzazione di strade e piste ciclabili sicure e ben collegate;
prevedendo luoghi e sistemi di spazi pubblici di qualità che favoriscano la socializzazione, la coesione e l’attività fisica, considerando le specifiche esigenze delle fasce di popolazione più vulnerabili.
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Migliorare le condizioni di vita nel contesto urbano. Il cambiamento nelle condizioni abitative, il controllo dell’inquinamento indoor e outdoor, l’accesso a energia, acqua e sistemi di depurazione idonei contribuiscono a garantire elevati standard di salute ed a ridurre il rischio di patologie infettive riemergenti e di patologie croniche. Molte di queste problematiche interessano principalmente gli insediamenti abitativi abusivi ed informali, raramente dotati di servizi.
In tale ambito si dovrebbe agire incentivando la ri-funzionalizzazione di aree dismesse ed il recupero di edifici esistenti da destinare anche all’edilizia sociale e collocando all’interno di percorsi socio sanitari le categorie a maggior rischio di marginalità sociale.
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Costruire una città accessibile ed inclusiva, con particolare riferimento alla popolazione fragile. A livello globale, ma anche in Italia, la popolazione sta rapidamente invecchiando; con l’avanzare dell’età, molte tra le persone più anziane andranno incontro a disabilità fisiche e sensoriali.
Le azioni concrete dovrebbero essere indirizzate a favorire la compresenza di luoghi di aggregazione per bambini ed anziani e a potenziare le politiche volte all’eliminazione delle barriere architettoniche nel contesto di vita.
Realizzare aree urbane resilienti. Rendere gli ambienti urbani resilienti, ossia in grado di aiutare la popolazione, le organizzazioni e i sistemi vulnerabili a resistere ad eventi distruttivi, sia vigilando sulle trasformazioni urbane e sull’incremento di volumetrie in aree esposte a rischio, sia individuando strutture sanitarie in aree sicure e strutture e strategie di gestione del territorio per far fronte ad emergenze climatiche (caldo e freddo estremi).
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Favorire lo sviluppo di nuove economie ed occupazione attraverso interventi di rigenerazione urbana. Negli ultimi anni gli interventi di recupero del territorio hanno assunto un’ottica più ampia che prevede un approccio multi-partecipato, per fornire alle città non solo un aspetto nuovo e competitivo, ma un rilancio dal punto di vista culturale, economico e sociale, orientato agli aspetti ambientali. In tale ambito si deve agire per:
diffondere l’accessibilità alle informazioni e servizi attraverso la digitalizzazione della città;
sostenere le iniziative imprenditoriali del territorio ed il partenariato pubblico-privato;
favorire la flessibilità e la riconversione dei luoghi per lo sviluppo occupazionale.
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Contrastare le disuguaglianze sociali. Nelle nostre città, assistiamo ad una sproporzione nella distribuzione tra centro e periferia, o tra periferie storiche e consolidate e periferie di nuova costruzione, tra quartieri pianificati a partire da una visione sociale ed inclusiva di città e quartieri abbandonati a sé stessi.
Azioni concrete e realizzabili che possono essere adottate comprendono:
rafforzamento delle reti sociali presenti nelle aree maggiormente vulnerabili;
rigenerazione di spazi in disuso e/o abbandonati, rendendoli di nuovo fruibili come luoghi condivisi di aggregazione, aumentando così il senso di appartenenza dell’individuo alla comunità e incrementando la resilienza della stessa;
attenzione verso le fasce più vulnerabili della popolazione, indagando caratteristiche e bisogni in funzione di una programmazione di interventi sul contesto urbano volti a migliorarne l’utilizzo e quindi la vivibilità.
Migliorare il livello di conoscenza dei diversi stakeholder sui fattori che influenzano la salute nelle città. L’educazione ad uno sviluppo sostenibile e soprattutto ad una gestione del proprio ambiente di vita, attenta alla tutela della salute, rappresenta oggi un obiettivo strategico per il presente e per il futuro delle aree urbane. Le azioni devono essere volte ad aumentare la consapevolezza dei diversi portatori d’interesse sulla corretta manutenzione e gestione dell’abitazione, sulla scelta di materiali a bassa emissione, sul corretto utilizzo di attrezzature ed impianti in ambiente indoor; a favorire la formazione di operatori in grado di gestire gli aspetti sanitari delle emergenze e a formare gli operatori per conoscere i nuovi strumenti di progettazione del territorio (es: rigenerazione).
Assicurare una governance urbana partecipata. A livello urbano, una buona governance sanitaria può far sì che le opportunità e i vantaggi siano più equamente distribuiti e che l’accesso alle prestazioni sanitarie sia equo e facilitato. Si deve tener presente che molte cause di cattiva salute non ricadono sotto il controllo diretto del settore sanitario, per la prevenzione delle quali si rende necessaria l’attuazione di approcci multisettoriali. Diventa fondamentale quindi condividere le informazioni sulla pianificazione della città per la salute e incoraggiare il dialogo e il confronto tra le diverse professionalità coinvolte 7.
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Introdurre strumenti prestazionali, quali-quantitativi, in grado di misurare la propensione della città a promuovere salute. Nei contesti urbani contemporanei, i policy makers e gli stakeholders coinvolti nelle fasi di progettazione urbana, di tutela e di promozione della salute pubblica, stanno orientando le risorse economiche e le domande di ricerca verse azioni di Health Evidence Based Urban Planning 7. In tale ambito sono azioni concrete e fattibili:
la conduzione di indagini finalizzate alla determinazione della qualità urbana percepita dalla popolazione;
l’articolazione di studi osservazionali volti a identificare, qualitativamente, le condizioni del contesto urbano, gli elementi di problematica e di potenzialità emergenti.
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Promuovere la condivisione della conoscenza e l’accessibilità all’informazione.
È di fondamentale importanza la volontà di partecipazione da parte delle comunità ma, specialmente in quelle più povere, ai cittadini mancano gli strumenti per essere determinanti a livello politico e per avere un ruolo nella progettazione. In tale ambito è necessaria:
una maggiore interconnessione delle varie discipline coinvolte, sia di formazione tecnica (progettisti architetti, ingegneri ed urbanisti) che sanitaria (medici igienisti e operatori del territorio);
la divulgazione delle informazioni derivanti dalla creazione di piattaforme informatiche, dalla diffusione di dispositivi mobili;
lo sviluppo di sistemi informatici in grado di relazionarsi al singolo individuo informandolo sui fattori che hanno influenza sulle condizioni di salute, facilitando il compito degli operatori di Sanità Pubblica;
il confronto con casi studio di riferimento, seguito dalla determinazione di problematiche e potenzialità alla base dell’individuazione di best-practices esportabili in altri contesti.
Bibliografia
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Abstract
Il legame fra le caratteristiche morfo-tipologiche e funzionali dei contesti urbani e lo stato di Salute Pubblica apre uno scenario fortemente attuale sulla tematica dell’Urban Health, la quale assume un’importanza crescente tanto più elevato è il fenomeno di inurbamento che caratterizza la società contemporanea. Il Population Division Department delle Nazioni Unite (UN) stima che, entro il 2050, oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà in contesti fortemente urbanizzati 1 e che l’aumento della densità abitativa sarà una delle principali tendenze globali, con impatti significativi di Public Health, sia per i paesi in via di sviluppo, date le condizioni di economia emergente e crescita informale ed incontrollata degli insediamenti edilizi 2, che per i contesti afflitti da calamità ambientali ed eventi improvvisi 3.
A partire dai rinnovati Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 (UN, 2015), con particolare riferimento all’Obiettivo 13 “Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico”, è importante focalizzare l’attenzione sul tema della resilienza urbana, definita come “la capacità di un sistema, di una comunità o di una società esposta a pericoli di resistere, assorbire, accogliere e recuperare dagli effetti di un pericolo in modo tempestivo ed efficiente, anche attraverso la conservazione e il ripristino di le sue strutture e funzioni di base essenziali”. Costruire la resilienza urbana richiede il passaggio da un approccio tattico, incentrato sulla reazione immediata all’evento, a uno strategico, incentrato sulla gestione a lungo termine. Per raggiungere tale obiettivo, è importante osservare i contesti urbani in modo olistico, al fine di comprendere i sistemi che compongono tali luoghi ed i potenziali fattori di rischio ambientali. Essi vengono suddivisi in due macro-categorie: cronici, come quelli derivati da cambiamenti climatici, o improvvisi, come le calamità natura e gli eventi meteorici avversi. Questo è fondamentale per comprendere come consentire alla città di migliorare il suo sviluppo, proteggere il benessere dei suoi cittadini e promuovere politiche di Salute Pubblica 4.
Allo stesso livello, il termine “urbanismo tattico” descrive una serie di interventi urbani di dimensioni contenute e richiedenti finanziamenti esigui, temporanei e scalabili all’ambiente costruito, per catalizzare interventi a lungo termine 5. Si tratta di un approccio di azioni e politiche volte a migliorare i quartieri locali e i luoghi di ritrovo delle città. Le iniziative di urbanistica tattica rappresentano un fenomeno che si è diffuso negli ultimi anni, come alternativa e sfida agli strumenti formali di pianificazione spaziale per soddisfare la necessità di un sistema di pianificazione più reattivo. In altre parole, è un processo di legittimazione sociale delle trasformazioni volte a fornire una risposta reale e immediata alle esigenze e ai bisogni spaziali degli abitanti. Gli impatti indiretti sulla Salute Pubblica si concretizzano principalmente nella riduzione delle disuguaglianze sociali e nel miglioramento dei comportamenti sani 6.
L’intervento nell’ambito del Workshop dal titolo “Salutogenic & Resilient Cities nelle situazioni di emergenza ambientale, sociale e sanitaria”, promosso dal Gruppo di Lavoro SItI “Igiene Edilizia”, verterà sulla definizione e sulla descrizione delle strategie e delle azioni progettuali – sostenibili e ripetibili – che potrebbero essere adottate nelle azioni di trasformazione urbana della città contemporanea, quali ad esempio:
passare da un approccio tattico, incentrato sulla reazione immediata all’evento, a uno strategico, incentrato sulla gestione a lungo termine;
migliorare la preparazione e la resilienza dei contesti urbani in risposta alle catastrofi ambientali e alle calamità naturali, per garantire una prima risposta efficace e attuabile;
«ricostruire migliori» pratiche in materia di recupero, ricostruzione e riattivazione sociale dei luoghi;
migliorare la resilienza delle infrastrutture sanitarie, del patrimonio culturale, dei luoghi di vita e di lavoro;
rimuovere i rischi sanitari imminenti causati da cattive condizioni di vita e inaccessibilità ai servizi di base;
promuovere iniziative sociali volte ad innescare e ad accompagnare un vero processo di innovazione delle politiche convenzionali;
sensibilizzare i responsabili politici alla creazione di una differenziazione tra elaborazione e attuazione dei piani e dei progetti di trasformazione urbana;
incoraggiare opportunità di formazione per i progettisti, volte ad acquisire le competenze per affrontare la tensione esistente tra la necessità di coinvolgere gli abitanti nei processi di ripensamento degli spazi e la necessità di ottenere soluzioni con qualità formale.
In ultima analisi, come evidenziato dal Dr. Antoni Plasencia, Direttore del Barcelona Institute for Global Health e promotore del concept “Barcelona Superblocks”, le città contemporanee «non sono progettate tenendo conto di rigorosi criteri di salute. Oggi abbiamo sia l’obbligo che l’opportunità di invertire questa situazione e applicare tutte le prove scientifiche disponibili per trasformare gli spazi urbani e creare città che ci rendono fisicamente e mentalmente più sani».
Salute urbana e sostenibilità ambientale dovrebbero essere prese in considerazione sin dalle prime fasi della progettazione urbana e architettonica, tenuto conto, come già detto, che pianificazione e progettazione possono e dovrebbero divenire forme di prevenzione primaria e di collaborazione nel promuovere la salute, mettendo in luce la necessità di un approccio olistico alla costruzione della città e del patrimonio edilizio che la costituisce 7. Questo approccio di tipo Bottom-Up è una delle sfide emergenti per tutte le città contemporanee e per la sostenibilità dei relativi Sistemi Sanitari delle nazioni coinvolte.
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Abstract
L’impatto dei disastri naturali o tecnologici, risulta potenzialmente maggiore sulle aree urbane, dove la densità abitativa incrementa la gravità dei danni e delle ripercussioni socio-economiche dovute all’interruzione dei servizi essenziali. L’ambiente costruito è contraddistinto da caratteristiche protettive, che possono rappresentare un elemento importante per ridurre il rischio di catastrofe ed incrementare la resilienza degli insediamenti umani. Al contrario, la corruzione di queste caratteristiche, come la perdita di edifici strategici o infrastruttura, può aumentare la vulnerabilità di una comunità. In particolare, le città italiane rappresentano un significativo esempio di organismo urbano capace di evolversi e adattarsi agli eventi sismici che hanno caratterizzato la storia del paese 1.
L’UNISDR definisce 4 priorità condivise a livello globale nel Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030 2 e fra queste risulta di particolare importanza, per la presente discussione, l’ultima: 4.Migliorare la preparazione ai disastri per una risposta efficace e per realizzare pratiche di “Build Back Better” (“ricostruire meglio”) nel recupero, nella riabilitazione e nella ricostruzione. Il tema del “ricostruire meglio” si ripropone dopo ogni evento calamitoso, in Italia come nel resto del mondo, puntando sempre più in alto gli obiettivi prefissati.
Come ribadito da Latina, nelle ricostruzioni del passato in Italia si sono sempre evidenziate due tendenze: “Una ‘eterodossa’ che formula l’ipotesi della nuova ricostruzione in aree diverse da quelle danneggiate dal sisma […]”; in altre parole, il terremoto come “occasione” di riscatto e sperimentazione. Tuttavia, la tendenza “che va più accreditandosi, sospinta anche dall’onda emotiva post sisma, è quella dei cosiddetti ‘ortodossi’, di chi perora la causa del ‘dov’era e com’era’” 3. Occorre però evolvere il concetto del “com’era, dov’era” nel più condivisibile “dov’era, meglio di come era”, prevedendo il confronto con standard qualitativi attuali.
Ogni ricostruzione è stata figlia del suo tempo, se quindi nel Belice, dopo il terremoto del 1968, si optò per una rilocalizzazione dei centri colpiti forti del boom edilizio e del fermento architettonico direzionato alla nuova costruzione, in Friuli invece prevalse la logica del “com’era dov’era” dopo il sisma del 1976. In Umbria-Marche dopo il sisma del 1997, si iniziò ad affrontare il tema di una ricostruzione attenta agli aspetti della riduzione della vulnerabilità tanto a scala edilizia che urbana, in Abruzzo post-2009 si torna invece ad affrontare il tema di una diversa collocazione delle comunità e della nuova costruzione “più sicura”, dopo il sisma del 2016 non si può che ribadire il concetto del “meglio di com’era”.
Questo concetto deve oggigiorno confrontarsi necessariamente con gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, di cui l’11esimo, rimarca l’importanza di “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicure, resilienti e sostenibili”. Latina rimarca questo concetto, sottolineando come la ricostruzione dovrebbe procedere seguendo il processo di rigenerazione urbana 3.
In letteratura la rigenerazione urbana viene definita come una “policy integrata e intersettoriale, promossa da un soggetto pubblico, in partnership con soggetti privati, finalizzata al recupero complessivo, duraturo e olistico di un’area urbana degradata nelle sue componenti fisico-ambientali, economiche e sociali” 4,5. In questi termini, il concetto di rigenerazione non andrebbe confuso con l’azione sistematica di puntuale sostituzione edilizia consentita in alcune recenti normative regionali, sebbene ciò permetta di migliorare la qualità energetica e la sicurezza sismica generale delle nostre città.
Per quanto concerne la situazione normativa italiana, le uniche Leggi Regionali specifiche sulla rigenerazione sono state emanate dalle Regioni Puglia (LR21/2008), Lazio (LR7/2017) e Liguria (LR23/2028); di queste, nella sola LR della Puglia ritroviamo i principi generali della rigenerazione così come definita in letteratura. La LR23/2011 delle Marche in materia di riqualificazione urbana sostenibile, seppur non riferendosi direttamente alla rigenerazione urbana, contempla diversi contenuti di integrazione interdisciplinare; mentre in altre regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Sardegna) la rigenerazione è introdotta in alcuni titoli specifici nella legge urbanistica regionale.
Punto fondamentale del concetto di rigenerazione urbana è la necessità che le amministrazioni locali e nazionali sviluppino un approccio alla pianificazione integrata e ai processi di partenariato per massimizzare l’efficienza nell’uso delle risorse economiche, implementare la resilienza e la sostenibilità, ridurre le disuguaglianze sociali e i rischi derivanti da disastri e dai cambiamenti climatici. Tutti questi fattori sono contemplati anche nella definizione della comunità sane. Una comunità sana è quella in cui un gruppo eterogeneo di soggetti interessati collabora per utilizzare le proprie competenze e conoscenze locali per creare una comunità che sia socialmente e fisicamente favorevole alla salute 6.
La salute è, infatti, ritenuta una pre-condizione necessaria per uno sviluppo urbano sostenibile 7 ed è essenziale per raggiungere un’economia forte e una società vivace 6. In particolare, nelle fasi di emergenza post-sisma e recupero su lungo termine è necessario integrare gli aspetti igienico-sanitari nel processo decisionale di ricostruzione al fine di mitigare gli effetti negativi delle catastrofi e sfruttare la specifica condizione come opportunità per migliorare la salute e il benessere della popolazione in generale. Nelle ricostruzioni recenti, la Sanità pubblica ha focalizzato l’attenzione su altre problematiche sanitarie (es: sorveglianza epidemiologica, interventi vaccinali, etc.), trascurando questa opportunità di rigenerazione del contesto urbano.
Vi è una notevole quantità di letteratura incentrata sull’impatto delle caratteristiche del contesto urbano sulla salute sia fisica che mentale, sul benessere e sulla coesione sociale. La creazione di città non solo “sane», ma anche “salutogeniche», richiede nuovi approcci alla pianificazione, dando maggiore importanza alla salute pubblica e riconoscimento di una serie di obiettivi correlati: favorire stili di vita sani; supportare la coesione sociale; implementare la qualità dello spazio pubblico; rafforzare la sicurezza stradale e personale; garantire livelli di rumore e qualità dell’aria accettabili; garantire condizioni abitative adeguate; ridurre le emissioni che minacciano la stabilità climatica 5. Questo approccio sottolinea la connessione dinamica tra le caratteristiche morfologiche e funzionali del contesto urbano e la salute pubblica ed è un argomento cruciale per la società contemporanea al fine di aumentare la resilienza dell’ambiente urbano contro possibili disastri futuri 7.
Le aree di intervento prioritarie dovrebbero specificamente affrontare alcuni requisiti essenziali di miglioramento della salute con particolare attenzione alle infrastrutture per l’attività fisica, come percorsi pedonali, piste ciclabili, parchi e spazi ricreativi, nonché progetti di quartieri a destinazione mista, di infrastrutture di trasporto e politiche di utilizzo del territorio che garantiscano l’accessibilità alle attività produttive, commerciali e culturali, ai servizi sociali e sanitari per la comunità 6.
Se da un lato si rileva la necessità e la volontà in ambito accademico di far convergere le line di ricerca su ricostruzione, rigenerazione e i principi della città salutogenica; dall’altro gli esempi di esperienze realizzate in tale ottica risultano ancora pochi e carenti di uno o più degli aspetti citati, o non esplicitamente definiti. Sicuramente tale problematica appare legata alla recente diffusione di ricerca e applicazione della definizione tanto di rigenerazione urbana, quanto di città salutogenica.
Tra le limitate esperienze occorre citare quella teorica su Illica, frazione del Comune di Accumoli, colpito dal terremoto del 2016, quella elaborata per il distretto di Zeytinburnu, in Turchia a seguito del sisma del Marmara del 1999, e quella della ricostruzione in Emilia-Romagna post-sisma 2012.
Nel caso studio di Illica è stato sviluppato un progetto di rigenerazione urbana, dal corso nella Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza”, definendo la struttura di piano, come un quadro strategico, organico e integrato che ha identificato due obiettivi generali – 1) la ricostruzione identitaria dei luoghi e della comunità; e 2) la promozione del sistema economico locale – e cinque specifici – 1) ricostruzione del tessuto edilizio; 2) ricostruzione del tessuto sociale; 3) valorizzazione integrata del patrimonio culturale diffuso; 4) promozione del settore agro-silvo-pastorale; 5) promozione del settore turistico-ricettivo –. La prefigurazione di un sistema complesso di azioni strategiche per lo sviluppo sostenibile nel medio/lungo periodo delle aree colpite dal sisma viene approfondito all’interno di un quadro progettuale che consente di affrontare anche questioni che sono pregresse all’evento sismico, come ad esempio il progressivo spopolamento o la scarsa attrattività di quei luoghi, e in una dimensione sovracomunale.
Il distretto Zeytinburnu, localizzato sul lato occidentale della provincia di Istanbul, è stato selezionato tra i casi pilota per il progetto di ricostruzione e rigenerazione, nell’ambito dell’Istanbul Seismic Risk Mitigation and Emergency Preparedness Project (ISMEP). Il Progetto è basato su tre fasi: 1) pianificazione e progettazione; 2) costruzione; e 3) gestione, in quest’ultimo sono inclusi il controllo e la valutazione del processo di rigenerazione urbana e ricostruzione. Il caso ha richiesto l’integrazione di operazioni di riqualificazione del patrimonio edilizio, di ricostruzione post-disastro e di misure di incremento delle capacità delle autorità coinvolte. Il progetto, iniziato come tentativo locale di beneficiare del fondo MEER della Banca mondiale, è stato chiuso perché non ha soddisfatto i requisiti sopra indicati, ma ha avviato alcune ricerche in collaborazione con le università nazionali per lo sviluppo di queste capacità sul territorio, in preparazione ai prossimi eventi.
Nel caso della ricostruzione in Emilia-Romagna dopo il sisma del 2012, accanto alle politiche di gestione incentrate su interventi edilizi, quelle socioeconomiche per la ripresa delle attività produttive e la predisposizione dei piani della ricostruzione, un ulteriore strumento elaborato dalla Regione è il Programma Speciale d’Area in attuazione dei Piani Organici (PO) (Deliberazione dell’Assemblea Legislativa n.50/2015). Con questi PO la Regione intende promuovere una ricostruzione di qualità, da integrare con iniziative ed interventi volti alla rigenerazione degli ambiti urbani e degli spazi pubblici e privati, oltreché alla rivitalizzazione delle funzioni economiche, sociali ed amministrative. Il PO di Mirandola si articola in una serie di scelte programmatiche, identificando aree di particolare interesse per la rigenerazione del centro storico, assi a vocazione socio-culturale o commerciale, integrando azioni materiali e immateriali. Si rimarcano tra le azioni materiali, quelle in tema di “delocalizzazioni”, cioè la possibilità di acquistare o ricostruire in un’altra zona della città con un contributo pari a quello dovuto per l’edificio danneggiato; tra le immateriali, la possibilità di finanziamenti per la creazione di start-up, attività commerciali e culturali per rivitalizzare il tessuto urbano.
Nel caso di Reggiolo il PO individua 20 ambiti particolareggiati, rimarcando l’importanza di ambiti pedonali, aree verdi e spazi pubblici di relazione al fine di incentivare percorsi ciclabili, percorsi pedonali e zone30, laddove necessari i percorsi veicolari. Sebbene non vi sia un riferimento esplicito ad obiettivi della città salutogenica, questi elementi di attenzione del piano sono decisamente orientati in quest’ottica nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Questi strumenti devono coordinarsi con i piani della ricostruzione dei relativi comuni, ma pongono nuove visioni, obiettivi e priorità per una ricostruzione che vada al di là del mero “com’era, dov’era”, richiedendo ai progettisti e agli attori della ricostruzione una maggiore attenzione verso gli elementi cardine della rigenerazione urbana e della città sana.
Il più grosso ostacolo a una ricostruzione ottimale è la mancanza di una guida e di un coordinamento tra le diverse iniziative, nonché la carenza di capacità degli attori coinvolti. Da questi coordinamenti capaci dovranno risultare le priorità e i possibili cambiamenti che potranno guidare la ricostruzione post-disastro. Dall’analisi dei casi studio emerge infine, l’importanza di avere un piano personalizzato e preliminare ai disastri naturali, consentendo di superare la dicotomia tra l’impulso a ripristinare al più presto le infrastrutture per tornare alla normalità e quello di usare i disastri naturali come occasioni per il miglioramento delle zone colpite 6.
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Abstract
EMERGENZA E INFRASTRUTTURE SANITARIE
Sono molte le condizioni di emergenza che, nel panorama globale attuale, ci si trova ad affrontare. Da definizione, lo “stato di emergenza” è una misura adottata per affrontare casi di pericolo e/o minaccia imminente, e solitamente viene dichiarato quando si verifica un disastro naturale, oppure la presenza di disordini civili o a seguito di una dichiarazione di guerra.
Caratteri differenti e molteplici distinguono l’ampia casistica delle situazioni di emergenza e altrettante criticità si presentano nel momento in cui l’uomo cerca di porvi rimedio con risposte differenti per temporaneità, efficacia ed impatto dell’intervento sul territorio.
Negli ultimi anni si sono registrati numerosi eventi che hanno determinato situazioni di emergenza a livello sanitario-epidemico, ambientale e socio-politico, a scala globale o locale. Seppur dovuti da differenti cause, l’aspetto che accomuna questi diversi stati di emergenza è la necessità di garantire strutture socio sanitarie e abitative che possano supportare le operazioni di primo soccorso. In tale contesto, pertanto, è di fondamentale importanza la risposta delle strutture sanitarie esistenti e/o l’allestimento di strutture socio-sanitarie e abitative in grado di assicurare un ricovero a coloro che hanno dovuto abbandonare la propria abitazione.
Tale tema risulta essere estremamente attuale e di fondamentale importanza all’interno del quadro sociale globale perché tale condizione implica necessariamente una diffusione capillare della conoscenza delle suddette tematiche, in modo tale da implementare e migliorare la risposta all’emergenza.
CASI ESEMPLIFICATIVI A SCALA NAZIONALE E INTERNAZIONALE
Attualmente, in diversi contesti sociopolitici piuttosto critici per la presenza di conflitti bellici, le architetture per la salute si sono adattate per rispondere a diverse esigenze di emergenza: per esempio nell’Assuta Hospital in Israele i piani parcheggi interrati sono stati concepiti come dei veri e propri bunker e sono stati pertanto progettati per poter trasformarsi in aree sanitarie e rispondere alla necessità emergenziale di garantire il servizio sanitario anche in caso di attacco aereo. La flessibilità degli spazi e delle organizzazioni risulta essere quindi un requisito fondamentale per far fronte a diverse situazioni emergenziali siano esse temporanee o prolungate nel tempo.
Sul territorio nazionale, invece, si può osservare come nell’area del Pronto Soccorso (Dipartimento Emergenza e Accettazione) degli ospedali italiani è possibile trovare aree dedicate ad affrontare similari situazioni, anche se meno consuete. È il caso dell’area “Bioterrorismo – decontaminazione” e l’area polifunzionale “Catastrofi – Emergenze”, composta da spazi “polmone” adatti ad ospitare un numero elevato di utenti al sopraggiungere di specifiche situazioni di emergenza. Tali locali non afferiscono a quegli spazi obbligatori che la normativa nazionale prescrive sotto forma di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private per Decreto del Presidente della Repubblica del 14/01/1997. L’analisi approfondita di alcune aree di Pronto Soccorso di recente realizzazione in Italia, ha evidenziato che in 4 casi su 16 (25%) è possibile riscontrare la presenza di aree “Bioterrorismo – decontaminazione”, mentre in un solo caso (6%) si è rilevata la presenza dell’area polifunzionale “Catastrofi – Emergenze”.
Questi dati evidenziano una grande criticità e carenza di spazi per la gestione straordinaria delle emergenze attraverso le strutture ospedaliere italiane, anche alla luce di recenti stime che propendono per una crescita sempre maggiore di emergenze per cause naturali e non, già in continuo aumento.
CRITICITÀ DELLE STRUTTURE SANITARIE ITALIANE
La carenza di spazi dedicati all’interno delle aree di Pronto Soccorso per rispondere alle grandi emergenze, la mancanza di una cultura diffusa sul tema e l’obsolescenza della maggior parte delle strutture sanitarie italiane (oltre il 70% è stato realizzato prima del 1970), porta ad individuare nell’allestimento di campi di emergenza temporanei la soluzione più ottimale e strategica. Attraverso la raccolta di informazioni riguardo la tematica delle strutture socio-sanitarie e abitative per l’emergenza, però emerge una mancanza di competenze adeguate da parte di volontari e operatori che per le prime volte si sono trovati a lavorare nell’ambito della realizzazione di tali allestimenti.
OBIETTIVO DELLA RICERCA
Pertanto, emerge la necessità di proporre strategie organizzative e indicazioni progettuali sulla realizzazione e sul funzionamento dei campi di primo soccorso e di tutte le strutture adibite alla cura in situazioni di emergenza che possono anche configurarsi come tendopoli. L’obiettivo è quello di rispondere alle necessità di diffondere e rendere facilmente accessibili la conoscenza delle principali procedure attuabili in condizioni di emergenza di vario genere.
METODOLOGIA
Supportati da un ampio campione di casi studio, si sono distinti gli stessi in tre grandi macro-gruppi, caratterizzanti le tre principali tipologie di emergenze, ovvero:
legate ad una componente epidemica;
generate da un evento naturale o climatico disastroso;
dovute a problematiche sociali e politiche, quali le guerre e migrazioni.
Per la raccolta dei materiali utili, è seguita una prima fase di analisi di casi studio, basata sulla tipologia di struttura relazionata alle dimensioni, il numero di pazienti ospitabili e il numero di operatori necessari per gestirla; il tutto è quindi stato posto in relazione alla tipologia di emergenza che la tendopoli o la struttura sanitaria si trovavano a dover affrontare. Una matrice di analisi basata su dati quantitativi (quali l’estensione, la capacità ricettiva e la permanenza) e qualitativi (come l’organizzazione logistica delle funzioni interne) ha permesso di confrontare diversi casi studio internazionali. L’obiettivo di tale analisi è la comprensione delle modalità di pianificazione e allestimento delle diverse tipologie di strutture per l’urgenza.
A partire dalla matrice di confronto, i casi studio sono stati sottoposti ad un’analisi critica che ha permesso di analizzare le differenti funzioni al loro interno, la loro organizzazione e le relazioni spaziali e funzionali in essere tra le diverse aree. Questa analisi ha permesso così di sviluppare una coscienza critica riguardo alle corrette modalità di realizzazione delle strutture in questione e una maggior consapevolezza riguardo gli accorgimenti da mettere in atto nelle fasi di progettazione e allestimento delle stesse.
RISULTATI E SVILUPPI DELLA RICERCA
Il risultato finale si traduce in una proposta meta-progettuale di layout funzionali, rispettivamente per ogni macro-area, e la definizione delle principali raccomandazioni che costituiscono un supporto alla realizzazione e all’allestimento del soccorso sanitario per le vittime colpite da calamità naturali, problematiche socio-politiche o emergenza di carattere epidemico. Tali considerazioni, suddivise in base alle diverse tipologiche di evento catastrofico, possono supportare i decisori nella scelta delle strategie ottimali da attuare quali l’individuazione dell’area, la programmazione delle fasi di soccorso e di insediamento, e l’applicazione delle relazioni funzionali e spaziali più adeguate ed efficaci.
Il lavoro di ricerca si pone dunque come punto di partenza per un più approfondito studio riguardante le modalità che meglio si adattano ad ogni contesto di rischio, per effettuare scelte consapevoli, efficaci e coerenti rispetto alla tipologia di emergenza che ci si trova ad affrontare.
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Abstract
Neisseria meningitidis, o meningococco, è un batterio Gram-negativo responsabile di malattia invasiva (meningite e/o sepsi) con una incidenza nel nostro Paese pari a 0,28 x 100,000 abitanti, dato provvisorio 2018, (fonte: Sorveglianza Nazionale delle Malattie Batteriche Invasive, Istituto Superiore di Sanità, ISS), ma che aumenta fino a 10 volte (incidenza pari a 2,41 x 100.000 abitanti, dato provvisorio 2018) nei bambini al di sotto di 1 anno di età. Gli adolescenti risultano essere il secondo gruppo di età maggiormente affetto da questa malattia. La mortalità è stimata intorno al 10% e tra i sopravvissuti si segnalano spesso gravi complicanze. È tra le malattie infettive ad esordio molto rapido per cui la prevenzione tramite vaccinazione rimane l’unica possibilità per limitare il diffondersi del meningococco. L’epidemiologia molecolare gioca un ruolo fondamentale nell’ambito delle attività di sorveglianza sia in corso di un “outbreak” che per valutazioni relative alla variabilità genetica dei ceppi circolanti appartenenti a diversi cloni iper-virulenti. Infine, le indagini molecolari tramite analisi dell’intero genoma permettono di valutare la presenza/assenza di un gene codificante un antigene vaccinale e la presenza di varianti proteiche. Tutto quanto premesso è di particolare rilevanza per il controllo della malattia invasiva da meningococco di sierogruppoB (MenB) in relazione ai vaccini attualmente a disposizione. I vaccini disponibili contengono, infatti, antigeni sub-capsulari, antigeni proteici, soggetti a una elevata variabilità tra ceppo e ceppo di sierogruppo B e con un livello di espressione variabile per uno stesso ceppo. È stato condotto uno studio di tipizzazione molecolare su 155 campioni positivi per meningococco di sierogruppo B, segnalati al Sistema di Sorveglianza Nazionale dal 2014 al 2017 e inviati per le indagini molecolari all’ISS. In particolare, è stato analizzato il complesso clonale di appartenenza e le varianti FHbp componente principale di uno dei due vaccini antimeningococco B licenziati in Italia. Complessivamente, 71 isolati di MenB hanno mostrato la sottofamiglia A FHbp e 83 la sottofamiglia B FHbp. A05 e B231 le sottovarianti più frequentemente identificate. Le varianti A e B di FHbp sono distribuite in modo diverso rispetto alle età dei pazienti da cui il ceppo è stato isolato. I ceppi di MenB sono stati caratterizzati da una notevole associazione tra complesso clonale e varianti di FHbp nel periodo preso in esame. Una buona rappresentazione di entrambe le famiglie A e B di FHbp è stato, inoltre, identificata. Sebbene relativamente rara, l’infezione da meningococco è riconosciuta come un grave problema di salute pubblica a causa degli alti tassi di morbilità e mortalità associati alla malattia meningococcica invasiva. Inoltre, i focolai dovuti a questo patogeno non sono rari e MenB continua a essere una causa significativa di malattia negli adolescenti e nei giovani adulti. Potrebbero verificarsi cambiamenti dinamici in alcune varianti, evidenziando la necessità di una continua sorveglianza basata sul genoma per riconoscere l’emergere e l’espansione di nuovi cloni, in particolare quelli caratterizzati da nuove varianti e di indagare e, infine, prevedere potenziali fallimenti del vaccino.
Abstract
I micobatteri non tubercolari (non-tuberculous mycobacteria, NTM) più frequentemente riscontrati in infezioni e malattie umane sono: M. avium complex (MAC), M. abscessus, M. chelonae, M. fortuitum, M. kansasii, M. malmoense, M. szulgai, M. xenopi. La loro principale sede di localizzazione è ambientale. L’eterogeneità fenotipica e genotipica degli NTM implica difficoltà nello standardizzare la loro epidemiologia, basata su caratteristiche differenti delle diverse specie e sul loro peculiare rapporto con l’ospite ed il serbatoio ambientale. Tali forme infettive hanno dimostrato una contagiosità variabile; in particolare, la trasmissione inter-umana è stata suggerita a seguito di indagini epidemiologiche classiche e molecolari con descrizione di singoli o pochi casi.
La definizione del burden di infezione e malattia è complessa. La grande variabilità finora descritta dipende da una differente distribuzione geografica delle specie, dalle differenze ambientali nei vari contesti geografici, dalla mancanza di sistemi di sorveglianza in grado di eseguire una valutazione continuativa e sistematica in contesti regionali e sub-regionali. Le forme morbose sostenute da NTM sono differenti. Da un punto di vista classificativo si riconoscono forme polmonari (fibro-cavitaria o nodulare-bronchiectasica) ed extra-polmonari.
In Italia è presente un sistema di notifica obbligatorio che fa rientrare le malattie da NTM nella classe III, secondo il decreto ministeriale del 15/12/1990. Tuttavia, come nel caso di altre malattie infettive, è stato rilevato un elevato tasso di sotto-notifica che fa sì che il dato italiano non risulti affidabile nel definire delle stime attendibili sul carico di malattia. Inoltre, le schede di notifica non possiedono informazioni dettagliate che possano permettere una analisi stratificata del trend epidemiologico basato sulle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche dell’ospite o sulle caratteristiche ambientali.
Nella maggior parte dei casi i dati epidemiologici derivano da analisi retrospettive di coorte o trasversali, riguardanti ambiti mono-centrici o regionali.
È stato segnalato un incremento percentuale di malattia da M. avium, M. kansasii, e M. xenopi in Italia. Tuttavia, spesso, le segnalazioni di incrementi microbiologici di isolamento di NTM non si accompagnano a descrizioni dettagliate del quadro clinico, rendendo difficile l’interpretazione sull’incremento delle forme morbose o di isolamento microbiologico (espressione di potenziale colonizzazione, infezione, o malattia).
In Europa il 37% dei casi è determinato da M. avium complex, seguito da M. gordonae, responsabile del 17% degli isolamenti. Il dato microbiologico europeo è simile al dato rilevato in Sud-America, ma contrasta fortemente con l’epidemiologia in Nord-America (52%), Sud-Africa (50%), Asia (54%), ed Australia (71%) dove le forme da M. avium complex superano la metà dei casi.
La malattia polmonare da NTM (NTM lung disease, NTM-LD) ha una prevalenza stimata variabile per area geografica, con valori molto elevati negli Stati Uniti (22 per 100.000), ed inferiori a 5 casi per 100.000 in Europa (2,9 per 100.000), in Australia (3 per 100.000), ed in Sud-America (1 per 100.000).
I casi incidenti di NTM-LD sono aumentati significativamente nell’ultima decade, a fronte di una stabilità delle forme extra-polmonari (ad esempio, linfonodali, cutanee). Tale incremento è stato segnalato soprattutto in aree geografiche che si sono dotate di specifici sistemi di sorveglianza, come negli Stati Uniti. Questo incremento di incidenza potrebbe essere spiegato con la misdiagnosi o mancata identificazione di tali forme nel passato (strumentazione microbiologica e radiologica poco sensibile e specifica), oppure con l’incremento di soggetti a rischio di malattia (immunocompromissione da comorbidità o da terapie immunosoppressive), con le variazioni di patogenicità e virulenza di specie di NTM, o con maggiore esposizione a serbatoi ambientali. Ciò che risulta significativo è il cambio epidemiologico in ambito di micobatteri, con le forme di malattia sostenute da M. Tuberculosis in riduzione ed incremento dell’incidenza di NTM-LD, in una sorta di replacement ecologico, che, tuttavia, non possiede specifiche motivazioni scientifiche allo stato attuale.
Le morti attribuibili agli NTM (sostenute soprattutto da M. avium complex, M. xenopi, e da altri micobatteri a lenta crescita) hanno mostrato trend temporali variabili, con incremento in vari contesti geografici, spiegabili con la ritardata diagnosi, associata ad un aggravamento prognostico, con la somministrazione di terapie antibiotiche non mirate, e con l’interessamento di gruppi di popolazione particolarmente vulnerabili (41% la mortalità in pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva). Il peggioramento della prognosi in alcuni casi può essere spiegato dall’insorgenza di forme sostenute da ceppi di micobatteri antibiotico-resistenti. Tale fenomeno, in crescita in determinati contesti dove alcuni antibiotici sono utilizzati empiricamente ed in maniera inappropriata per altre forme cliniche, può essere inducibile (resistenza innata) o acquisito (esposizione a concentrazioni sub-ottimali di antibiotici nel dosaggio e nella frequenza di somministrazione).
Gli indicatori di mortalità ed incidenza vanno, tuttavia, analizzati nell’ambito del triangolo epidemiologico ospite, microrganismo, ed ambiente. L’ospite potrebbe presentare maggiore sensibilità all’infezione, alla malattia, e maggiore rischio di decesso per specifici trait genetici, solo parzialmente definiti dalla ricerca di base e clinica; in particolare, mutazioni geniche del recettore dell’IL-12, dell’IFN-gamma, dell’alfa-1 anti-tripsina potrebbero alterare i processi difensivi e riparativi dell’ospite in target anatomici per NTM (ad esempio, polmone). I sistemi di difesa innata ed acquisita sono, inoltre, spesso modificati per patologie di organo (asma, tumori, dipendenza al fumo, fibrosi polmonare, bronchiectasie associate o non associate alla fibrosi cistica, lesioni post-tubercolari, ecc.) o sistemiche (infezione da HIV, diabete mellito, dipendenza da alcol, trapianti ecc.).
La frammentarietà del contesto epidemiologico pone gli operatori sanitari ed i decisori di fronte a scelte complicate in termini di allocazione delle risorse finanziarie, sanitarie, ed umane. La dimostrata condizione di sotto-notifica italiana, che nasce da una scarsa consapevolezza della necessità di misurare tale fenomeno e dalla scarsa conoscenza della patologia da NTM (se non in contesti altamente specialistici), porta a considerare le forme di malattia da NTM come forme rare.
Tuttavia, le stime internazionali di Paesi come gli Stati Uniti dimostrano una realtà diversa, il cui impatto clinico e di sanità pubblica, oltreché economico-finanziario, potrebbe essere rilevante negli anni a venire.
Studi condotti in Germania hanno mostrato l’elevato impatto finanziario di tali patologie, dove la componente di gestione clinica in ambito ospedaliero rappresenta la principale voce di costo (> 60%); le terapie antibiotiche e l’ospedalizzazione hanno costi elevati, soprattutto se considerata la lunghezza del follow-up gestionale. In particolare, l’impatto dei costi diretti potrebbe giungere a valori superiori ai 30.000 euro. Mancano stime attendibili dei costi indiretti ed intangibili legati alle patologie polmonari ed extra-polmonari da NTM.
Tuttavia, l’epidemiologia attuale, nota solo parzialmente in alcuni contesti geografici, potrebbe andare incontro a cambiamenti radicali in un breve arco temporale. L’occorrenza di forme mono- o poli-resistenti potrebbe, ad esempio, rendere difficile il management clinico di alcune forme, soprattutto alla luce della scarsa disponibilità di opzioni terapeutiche.
L’inquadramento nosologico rappresenta una delle prossime sfide di ricerca: la corretta categorizzazione delle forme di colonizzazione, infezione, e malattia permetterebbe la proposizione di una corretta gestione terapeutica. Le società scientifiche nazionali ed internazionali, supportate da ricerche di base, traslazionali, e cliniche, dovranno fornire adeguate raccomandazioni al fine di migliorare le aree grigie nella diagnosi, terapia, e prevenzione.
Inoltre, è richiesto uno sforzo di costi e risultati nell’ambito della diagnostica e dell’armamentario terapeutico: per quanto si siano ottenuti miglioramenti nell’ambito della diagnosi rapida grazie alle nuove tecniche di biologia molecolare, gli strumenti più innovativi sono a disposizione di centri specializzati e presentano ancora margini di miglioramento in termini di accuratezza diagnostica. Inoltre, le terapie antibiotiche necessiterebbero di una riduzione della durata e della tossicità, nonché un miglioramento dell’efficacia.
La crescita di una nuova consapevolezza sulla malattia da NTM in operatori sanitari, decisori politici, e pazienti porterà ai miglioramenti auspicati in un periodo di tempo proporzionale al coinvolgimento atteso.
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Abstract
La relazione illustrerà lo stato di avanzamento delle tre principali iniziative europee che hanno rilevanza per la ricerca sulle cause delle disuguaglianze di salute e per la promozione di politiche di loro contrasto e di moderazione del loro impatto.
L’iniziativa di ALLEA e FEAM (le associazioni europee delle accademie rispettivamente delle scienze e di medicina) su “Health inequalities: an interdisciplinary exploration of socioeconomic position, health and causality” 1 mira a costruire consenso intorno alle questioni più controverse tra discipline economiche e sociali sul nesso di causalità tra determinanti sociali e salute. Il dibattito è ancora aperto sulla direzione della causalità: le prove di causazione inversa tra reddito e classe occupazionale da un lato ed effetti sfavorevoli sulla salute dall’altro sono almeno altrettanto se non più importanti di quelle della causazione diretta. Mentre le prove sulla causazione mediata dalle disuguaglianze nella esposizione ai principali fattori di rischio sulla salute sono solide. Le implicazioni per le politiche sono che ogni strategia e intervento che miri a ridurre le disuguaglianze di esposizione ai principali fattori di rischio sarebbe in grado di ridurre significativamente le disuguaglianze di salute. Mentre l’efficacia delle politiche distributive non è ancora dotata di prove giudicate adeguate da tutte le parti scientifiche, dalle scienze economiche in particolare.
Una nuova iniziativa dell’ufficio della regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “Health Equity Status Report” EHSR 2 mira a costruire consenso tra i governi dei paesi della regione europea dell’OMS su una formula per rendere esigibile la responsabilità delle politiche nel ridurre le disuguaglianze evitabili di salute. Questa formula comprende sia un atlante periodicamente aggiornato delle disuguaglianze di salute su scala nazionale (indicatori di salute, di esposizione a fattori di rischio, di esposizione a determinanti sociali, di implementazione di politiche distributive e di moderazione delle conseguenze delle disuguaglianze), sia un insieme di strumenti di guida per la scelta di politiche e interventi utili per contrastare o moderare le disuguaglianze di salute. Il primo rapporto è stato rilasciato al pubblico a metà settembre 2019 e stanno iniziando i progetti di trasferimento di questo modello di “reporting and accountability” ai paesi che intendono applicarlo a livello subnazionale, nel caso italiano per coinvolgere le regioni.
La nuova Joint Action della Unione Europea sulle disuguaglianze di salute “JAHEE: Joint Action Health Equity Europe!” 3 si propone di accompagnare 24 paesi membri partecipanti a migliorare la capacità di risposta politica ai bisogni di maggiore equità per la salute attraverso concrete azioni di innovazione su cinque campi di innovazione: migliorare la capacità di monitoraggio delle disuguaglianze di salute, le capacità di promozione della salute nelle politiche del setting municipale, le capacità di costruzione di meccanismi inclusivi nelle politiche sanitarie e sociali per l’immigrazione e per i gruppi più vulnerabili, e le capacità di costruzione di strutture e meccanismi intersettoriali buoni a promuovere una Salute Equa in Tutte le Politiche.
L’Italia ha la responsabilità di guidare JAHEE attraverso un consorzio di ISS, AgeNaS, INMP Ministero della salute e Piemonte; ha inoltre una posizione privilegiata nella partecipazione a HESR in quanto sede del WHO Venice Office che ne è esecutore e in quanto campo privilegiato di sperimentazione di una applicazione subnazionale dell’HESR; infine l’Italia partecipa al panel di esperti delle Accademie delle scienze e di medicina e concorre ad organizzare i workshop interdisciplinari che saranno chiamati a costruire consenso intorno alle questioni di causalità più controverse.
Il seminario offrirà l’occasione per interpellare la comunità professionale degli igienisti circa il ruolo che la sanità pubblica italiana può giocare in queste due agende, della ricerca sui determinanti sociali di salute e dei progressi nelle capacità di risposta delle politiche.
Bibliografia
Abstract
Nella programmazione sanitaria e quindi nell’orientamento delle risorse a disposizione, è fondamentale il contributo dell’epidemiologia. Un’epidemiologia più indirizzata ad essere strumento di servizio piuttosto che di sola ricerca. Si tratta di quella “epidemiologia di campo” che sintetizza in sé il rigore metodologico e quindi le relative competenze tecniche associate ad una naturale propensione all’approccio di ricerca, con il ruolo di servizio che è insito nel momento in cui opera all’interno del Dipartimento di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Pubbliche. Di fondo gli strumenti di cui necessita un’epidemiologia di questo genere sono competenze ed esperienze:
nel campo delle sorveglianze sanitarie orientate alla osservazione di informazioni di natura sia quantitativa che qualitativa;
nella realizzazione di profili di salute strutturati non solo su indicatori di stato ma anche su indicatori dinamici che permettono la costruzione di scenari;
nella partecipazione, con altri soggetti pubblici e privati, alla realizzazione di profili di comunità che rappresentino una lettura ragionata e partecipata dei bisogni di salute e di benessere di una popolazione; in pratica uno strumento di vero supporto all’individuazione delle criticità e delle priorità da considerare all’interno della programmazione e delle politiche territoriali sociali, socio-sanitarie e sanitarie;
nella costruzione di profili delle disuguaglianze in risposta alle esigenze sempre più forti di applicare veri criteri di equità all’accesso ai servizi.
È riconosciuto come l’obiettivo «hard» della sanità pubblica sia lo sviluppo di percorsi di promozione della salute che coniugano gli interventi di prevenzione primaria e secondaria con quelli sulla comunità questi ultimi più interessati al coinvolgimento, alla partecipazione ed alla condivisione di percorsi in modo da creare consapevolezza ed avere strumenti adeguati per affrontare tematiche di salute spesso richiedenti competenze (life skills) e soprattutto propensione al cambiamento.
Dietro questo obiettivo c’è l’esigenza di conoscere lo stato di salute di una comunità, di definirne i bisogni sia percepiti che non, di sorvegliare e di monitorare abitudini e comportamenti, di realizzare mappe delle fragilità e di individuare aree in cui si concentrano le disuguaglianze che, come noto, sono alla base di un sottoutilizzo o peggio ancora di un utilizzo inappropriato delle risorse offerte in quel territorio. Ciò nella consapevolezza che esiste un “effetto area di residenza” come ben descritto in bibliografia 1-3.
L’approccio in questo caso non può che partire dalla realizzazione di un profilo di salute che attraverso dati raccolti da varie fonti (demografiche, amministrative, sanitarie, sociali) permette di riconoscere differenze territoriali e quindi individua bisogni oggettivi 4. A fianco risulta fondamentale conoscere la comunità locale per meglio caratterizzare quei bisogni che sono percepiti come rilevanti al di là della loro oggettiva importanza in termini di riconosciuti fattori di rischio, di frequenza dei fenomeni e di consistenza delle evidenze scientifiche. Sotto questo punto di vista diventa fondamentale avere competenze nella raccolta ed analisi di informazioni di natura qualitativa attraverso un coinvolgimento attivo della comunità locale che si va a studiare e su cui si intende poi agire con specifici interventi 5. Da ultimo e certamente non ultimo in termini di importanza è avere la capacità di definire i determinanti di salute che agiscono in quella popolazione e mappare la distribuzione delle disuguaglianze sostanzialmente condizionate proprio da quei determinanti di salute. Necessario in tutti questi step è avere a disposizione esperienze nella gestione di mappe che contestualizzano bene la distribuzione dei fenomeni indagati e forniscono in modo immediato suggerimenti sulla priorità degli interventi e quindi sul buon esito degli stessi in quanto realizzati in modo mirato.
Si tratta di un percorso complesso che necessita di un lavoro multidisciplinare e multiprofessionale che ha comunque il grande vantaggio di leggere a tutto tondo i fenomeni socio-economici che in gran parte sono alla base di quanto osservato localmente. Un percorso complesso ma non impossibile come dimostrano varie esperienze a livello nazionale (vedi i lavori del Prof. Giuseppe Costa) e internazionale (che vede in Michael Marmot un riferimento fondamentale) che va tuttavia ancora meglio testato nella sua applicabilità e nel livello di efficacia ottenuto rispetto agli esiti di salute perseguiti.
Un esempio a carattere locale è quello realizzato dall’Azienda USL di Bologna che ha prodotto profili di salute e di comunità oggi orientati a sostenere profili di diseguaglianze da offrire ai decisori locali ed alla comunità tutta per l’esecuzione (attualmente in corso) di interventi mirati a contrastare quei determinanti di svantaggio sociale che sono la più importante causa di disuguaglianze di salute. In questo modo è stato possibile rilevare differenze importanti all’interno della città di Bologna dove ad esempio sono state osservate aree territoriali con differenze di aspettativa di vita di oltre 3 anni e mezzo sia tra i maschi che tra le femmine. Questo lavoro ha avviato un processo di pianificazione di interventi socio-sanitari con il comune di Bologna che ha già individuato due aree su cui svolgere attività che contrastino le condizioni di natura demografica, sociale ed economica che poi sono causa di differenze in salute nella popolazione. In particolare è stato avviato nell’aprile del 2019 il progetto “Piazza dei Colori” presso l’area “Croce del Biacco” che vede la presenza costante in quel territorio di un assistente sociale ed un operatore sanitario che hanno l’obiettivo di costruire relazioni improntate alla fiducia con i cittadini residenti al fine di comprenderne più direttamente i bisogni e quindi orientarne il percorso di accesso ai servizi socio-sanitari disponibili. Analogo intervento, ovviamente rimodulato in funzione delle peculiarità del contesto specifico, è già in essere da alcuni anni presso l’area “Pescarola”.
In ragione di questi interventi per arricchire la conoscenza dei bisogni e per definire meglio le cause alla base delle disuguaglianze in salute osservate è stata finanziata dall’Università di Bologna, dall’Azienda USL, dall’Azienda Ospedaliera Sant’Orsola-Malpighi e dal Comune di Bologna una ricerca di natura antropologica che potrà fornire molte indicazioni per orientare al meglio gli interventi di sostegno socio-sanitario futuri da organizzare nei sei quartieri che compongono la città di Bologna.
Nel contempo è stata realizzata un’interessante esperienza in un’area periferica dell’Azienda USL di Bologna, il Comune di Molinella. La comunità di questo territorio ha voluto costruire un profilo di comunità a partire dalla scuola e nella scuola sviluppato attraverso il coinvolgimento, oltre che degli studenti, anche del personale docente e dei genitori. Tramite una convenzione specifica con il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda USL di Bologna, il Dirigente dell’Istituto Comprensivo Scolastico, ha coordinato la costruzione del profilo coinvolgendo l’intera comunità a partire ovviamente dall’Amministrazione comunale. Il profilo ha permesso di orientare gli interventi di educazione alla salute offerti agli studenti a partire dalle scuole materne fino alle scuole medie inferiori in coerenza con quanto indicato dal Piano Regionale della Prevenzione 2015-2019. La comunità tutta è stata poi esposta ad una valutazione della qualità di vita percepita utilizzando il questionario EQ-5D validato nella sua traduzione in italiano. I risultati ottenuti permettono di avere un punto di riferimento per l’analisi di efficacia di interventi di comunità che si stanno progettando.
Tutte queste attività necessitano del contributo dell’epidemiologia che deve assumere in sé il compito di garantire sistemi di sorveglianza adeguati che permettano di analizzare e valutare l’efficacia degli interventi e, se necessario, riorientarli anche in un’ottica di ottimizzazione delle risorse disponibili. E perché no, anzi sarebbe auspicabile, anche di sostegno a richieste di specifici investimenti di promozione della salute alla luce di bisogni specifici e di validata efficacia degli interventi messi in campo.
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Abstract
Il termine hard-to-reach trova differenti accezioni che vanno dal campo del marketing sociale a quello della ricerca scientifica, con sfumature sempre meno omogenee.
Complessivamente si può parlare di hard-to-reach in riferimento a individui o gruppi che, a causa di barriere di salute, geografiche, culturali, linguistiche, attitudinali, sociali, lavorative od economiche, sono caratterizzati da un ridotto accesso ai servizi (anche sanitari) e da uno stato di salute generalmente peggiore rispetto a quello della restante popolazione; tali gruppi generalmente rappresentano una sfida per la sanità pubblica in termini di inclusione e presa in carico.
In ottemperanza alle direttive della Regione Lazio (“Attuazione di un piano di intervento socio sanitario rivolto agli immigrati stanziali presso gli insediamenti abusivi ed edifici occupati delle aziende sanitarie locali”, Legge 31 luglio 2017, n. 119 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale”) e al Piano Nazionale della Prevenzione, del Piano Regionale della Prevenzione e al Piano di Prevenzione Aziendale, in collaborazione con altri enti sono state identificate tre differenti comunità dove dare seguito ad altrettante progettualità con le quali la ASL ROMA1 ha posto in essere interventi volti alla promozione del benessere bio-psico-sociale in una prospettiva di contrasto delle diseguaglianze nella salute e nell’assistenza, finalizzata alla implementazione ed al potenziamento delle attività di presa in carico e di orientamento ai servizi, alla costruzione di un modello organizzativo di intervento comunitario integrato sociosanitario che tenesse conto della costo-efficacia e che potesse renderlo replicabile e perfettibile in altri contesti di alta vulnerabilità.
PIANO DI INTERVENTO SOCIOSANITARIO RIVOLTO AGLI IMMIGRATI E ALLE PERSONE IN CONDIZIONE DI FRAGILITÀ SOCIO-ECONOMICA CHE VIVONO STABILMENTE PRESSO ALCUNI EDIFICI OCCUPATI DELLA CAPITALE
Tale piano è stato sviluppato con l’intento di migliorare lo stato di salute della popolazione presente negli stabili, attraverso l’offerta attiva di prestazioni sanitarie, l’educazione alla salute e l’orientamento ai servizi, in occasioni di incontri svolti direttamente nei luoghi di vita e dedicati a specifiche tematiche (“giornate per l’accessibilità”).
L’iniziativa è maturata nel solco delle esperienze già intraprese dall’INMP e dalle ASL metropolitane con i migranti in transito e risultano particolarmente importanti sia per l’assistenza socio-sanitaria garantita sia per il modello sperimentato, centrato sulle Aziende Sanitarie ma in un’ottica di “rete”, intesa come sistema dialogante di una pluralità di attori e professionalità differenti.
Per la realizzazione delle attività, sono stati individuati i seguenti stabili insistenti sul territorio:
via S. Croce in Gerusalemme 54, Roma;
via Cardinal Domenico Capranica 37, Roma.
Gli interventi hanno avuto, nel loro complesso, lo scopo di avvicinare gli operatori dei servizi socio-sanitari alla popolazione alloggiata negli stabili occupati e quest’ultima ai servizi sanitari e socio-sanitari territoriali.
Sono stati contattati i Comitati di gestione degli edifici, in qualità di organi di rappresentanza delle popolazioni ivi soggiornanti, laddove presenti, o figure chiave delle comunità residenti, per la condivisione degli obiettivi del piano e l’acquisizione di informazioni relative al contesto e alle caratteristiche della popolazione presente. Sono stati, inoltre, organizzati incontri e focus group con i referenti all’interno degli edifici e con alcuni abitanti, per discutere e concordare i contenuti, le modalità e la tempistica degli interventi.
Il piano di intervento è stato strutturato come percorso di formazione accreditato ECM, rivolto agli operatori dei servizi territoriali delle ASL (medici, infermieri, assistenti sociali, ostetriche e psicologi), che ha coniugato momenti di approfondimento in aula con esperienze sul campo, formando gli operatori all’accoglienza e alla relazione transculturale, in un’ottica di mediazione di sistema. Sono state sviluppate le conoscenze in merito alla normativa relativa all’accesso ai servizi sanitari da parte della popolazione immigrata, offrendo un supporto alla decostruzione del pregiudizio e allo sviluppo di competenze culturali e relazionali per la gestione di casi complessi e ad alto impatto relazionale.
All’interno degli edifici, sono state realizzate complessivamente 10 giornate nell’arco temporale giugno 2017 giugno 2018. Vista la diversità degli stabili per dimensioni, caratteristiche logistiche e profilo della popolazione presente, la modalità di svolgimento degli interventi è stata improntata alla massima flessibilità, tenendo conto della limitata disponibilità di risorse strutturali e organizzative. Nell’ambito di tali giornate, è stata svolta un’attività di educazione sanitaria su vari temi anche mediante la distribuzione di materiale informativo:, diritto alla salute e accesso ai servizi sanitari dei cittadini Ue e extra UE; salute e benessere del bambino; salute e benessere della donna; stili di vita e patologie croniche; è stato realizzato un orientamento attivo ai servizi sanitari territoriali, mediante l’utilizzo di “mappe di fruibilità”, appositamente realizzate per ciascuno degli stabili oggetto dell’intervento e contenenti indicazioni semplici e fruibili sui servizi presenti; inoltre sono state erogate prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e psicologiche minime e, laddove necessario, gli utenti sono stati inviati ai servizi territoriali per ulteriori approfondimenti diagnostici.
I contatti avvenuti tra professionisti e persone all’interno degli stabili sono stati documentati mediante compilazione di una scheda appositamente predisposta.
PIANO DI INTERVENTO SOCIO-SANITARIO IN FAVORE DELLE POPOLAZIONI ROM A ROMA
Il piano è rivolto alle popolazioni rom e sinti presenti presso alcuni insediamenti della Capitale, caratterizzati da elevata criticità e identificati dalle ASL territorialmente competenti come setting prioritari di intervento.
In considerazione della diversità degli insediamenti per dimensione, caratteristiche logistiche e ubicazione si è richiesta una certa flessibilità nella scelta delle strategie di svolgimento degli interventi. Le condizione generali di marginalità e lontananza dai servizi, unitamente alla necessità di avviare tempestivamente azioni di tutela e promozione della salute, hanno portato comunque a privilegiare il ricorso a strategie di outreach, da attuare direttamente presso gli insediamenti grazie a personale sanitario che si è reso disponibile a collaborare al progetto e all’ausilio di unità sanitarie mobili.
Sono state organizzate “giornate per la salute”, finalizzate a creare occasioni di incontro tra gli operatori e le persone presenti. Gli interventi effettuati nel corso di tali giornate sono di seguito descritti:
presa in carico per patologie complesse;
offerta attiva di visite dermatologiche;
informazioni sui servizi;
interventi di educazione alla salute;
individuazione di difficoltà di apprendimento;
individuazione del disagio psico-sociale;
visite pediatriche e vaccinazioni.
Per quest’ultime azioni, cosi come si configurano nel progetto regionale “Piano di intervento socio-sanitario in favore delle popolazioni rom a Roma” che coinvolge le tre ASL Romane, l’INMP e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG), hanno collaborato l’Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti di Roma Capitale, la Comunità di Sant’Egidio e la Cooperativa OSA.
L’attuazione del “d.l. prevenzione vaccini”, ha previsto la copertura obbligatoria di dieci vaccinazioni, target 0/16 anni, condicio sine qua non per la frequenza scolastica. Sono state previste azioni a garanzia della copertura vaccinale e favorenti interventi di empowerment e advocacy nella popolazione Rom rivolto ai minori presenti in quattro campi insistenti sul territorio della ASL Roma 1: Monachina, Camping River, Foro Italico, Cesare Lombroso.
È stato effettuato un intervento integrato intersettoriale e multidisciplinare scandito da: censimento dei minori presenti nei campi; realizzazione di giornate dedicate presso i servizi vaccinali; calendarizzazione di appuntamenti ad personam all’interno delle ordinarie sedute vaccinali; esecuzione delle vaccinazioni nei campi utilizzando il camper sanitario dell’OPBG.
Sono state realizzate e compilate schede per la raccolta dati: anagrafica nucleo familiare, anagrafica del minore, stato vaccinale.
PROGETTO BASTOGI SALUTE
Nell’area conosciuta come ex Bastogi, inserita nella zona nord-ovest di Roma, sorgono sei palazzine costruite negli anni ’80 e mai utilizzate; successivamente, dagli anni ’90, sono state occupate da gruppi organizzati di cittadini con disagio abitativo. Attualmente si stima che vivano nell’area, ca. 2.000 persone, di cui 1.233 formalmente residenti e prevalentemente di nazionalità italiana. Il contesto è attualmente caratterizzato da diverse variabili che configurano complessivamente un quadro di complessità e di ‘vulnerabilità sociale’ diffusa. Il progetto è finalizzato a far emergere nuove povertà e disuguaglianze di salute in un contesto di città globale, nella prospettiva di progettare interventi di promozione della salute in un target di popolazione a forte rischio di esclusione, anche a causa della difficoltà ostacoli di accesso ai servizi.
Il progetto si è articolato in tre principali processi: 1) costruzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare ha visto la partecipazione di realtà istituzionali socio-sanitarie (ASL, INMP, DEP), universitarie e locali (Comune, Municipio); 2) creazione di un modello organizzativo di ricerca-azione ed intervento comunitario integrato; 3) attività di presa in carico e orientamento ai servizi. È stata adottata una metodologia community based, combinata con un rigoroso approccio analitico, attraverso metodologie quantitative (studio trasversale descrittivo) e qualitative, come i focus group, consultazioni della popolazione e la somministrazione di questionari (Sorveglianza di Popolazione PASSI ecc.).
La creazione di rapporti inter-istituzionali tra i soggetti del gruppo di ricerca-azione ha permesso di realizzare una prima fase finalizzata ad indagare la presenza di eventuali disuguaglianze sociali di salute tra Bastogi e i contesti urbani circostanti, mediante la somministrazione di questionari volti ad esplorare vari fattori di rischio fattori di rischio e la possibilità di ’accesso ai servizi socio-sanitari della popolazione.
La costruzione di un intervento richiede la partecipazione di più soggetti istituzionali e non, e il coinvolgimento della popolazione al fine di costruire interventi capaci di agire in contesti estremamente difficili attraverso processi decisionali partecipativi.
Lo sviluppo di metodologie partecipate ed inclusive appare quindi una strategia fondamentale per migliorare lo stato di salute di popolazioni vulnerabili in contesti urbani.
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Abstract
Saper innovare in sanità significa avere la capacità di trasformare le buone idee in realtà applicative nella pratica, clinica e di sanità pubblica, garantendo a singoli pazienti e popolazioni esiti di salute migliori, trasparenti e misurabili. Per farlo è imprescindibile facilitare una sempre maggior integrazione tra il mondo della ricerca “life science” e dell’innovazione tecnologica con il mondo dell’organizzazione sanitaria raggiungendo per gradi, anche attraverso singole ma robuste progettualità pilota, evidenze da ampliare su scala regionale e nazionale. Va ricordato che innovazione (innovation) non è sinonimo di innovatività (innovativeness), una caratteristica che resta legata al contesto ed alla cultura delle organizzazioni nonché alla loro capacità di essere permeabili alle “novità efficaci e vantaggiose” 1. È il numero di pazienti che hanno la possibilità di beneficiare in modo rapido ed equo di una nuova tecnologia in grado di soddisfare lo specifico bisogno di salute che misura l’innovatività di un sistema sanitario.
Tra le possibilità offerte dall’innovazione tecnologiche negli ultimi anni di particolare interesse per il mondo sanitario è la sfida della digitalizzazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la digitalizzazione in sanità rappresenta la risposta alla sfida di garantire l’accesso a cure sanitarie di qualità a tutta la popolazione (universal health coverage) in un contesto di risorse finite e nel rispetto della sostenibilità dei sistemi sanitari 2. Difatti, oggi la principale sfida di tutti i sistemi sanitari evoluti è rispondere efficacemente al crescente bisogno di salute della popolazione attraverso l’allocazione efficiente di risorse sanitarie sempre più ristrette e la creazione di valore sia per il singolo sia per la comunità. Questa sfida si manifesta in molteplici scenari, in particolare per le patologie cronico-degenerative, complice la transizione epidemiologica e l’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione. Sempre secondo l’OMS, in questo senso, la digitalizzazione delle organizzazioni sanitarie potrebbe colmare in modo efficace ed efficiente il gap esistente tra la domanda di salute e l’offerta di servizi sociosanitari permettendoci di passare, attraverso una trasformazione evolutiva dirompente (disruptive innovation), dalla sanità esistente (as is) alla sanità che dovrebbe essere (to be). Focus del potenziale digitale è la gestione del dato e la capacità di trasformare dati sempre più granulari e specifici in informazioni rilevanti nella pratica clinica e di sanità pubblica.
La società, con particolare riferimento agli asset produttivi/finanziari, ha iniziato a considerare i dati come la risorsa più preziosa oggi a disposizione, superando il petrolio nelle strategie di investimento più accorte. Il paragone, tuttavia, pur essendo di per sé di immediata comprensione non è corretto in quanto mentre è il petrolio è una risorsa in via di esaurimento la raccolta di dati, al contrario, è in assoluta espansione. Inoltre, mentre il petrolio è una risorsa di proprietà di pochi i dati sanitari sono per natura un patrimonio della singola persona prima ancora che della società. Pertanto, sembra più corretto dire che i dati sanitari sono preziosi come il sangue e come tali dovrebbero essere maneggiati, trattandoli con il rigore, l’attenzione e la cautela riservati ai campioni biologici 3.
Si stima che il tempo necessario per raddoppiare le conoscenze mediche sia passato da 3,5 anni nel 2010 ad uno, stimato, di 0,2 anni entro il 2020. L’intelletto umano, quindi, non è già più in grado di gestire la complessità dei dati raccolti e delle conseguenti informazioni. Per garantire la protezione e fruibilità di questa mole di dati e informazioni di cui oggi disponiamo, in quantità e specificità mai avuti prima nella storia dell’umanità, alcune tecnologie digitali possono essere di interesse in un’ottica di sanità pubblica 4.
In sanità pubblica, i metodi e le tecniche computazionali per l’analisi dei dati si sono evoluti per decenni. Alcuni di questi metodi sono diventati collettivamente noti come «intelligenza artificiale». L’intelligenza artificiale costituisce un vasto insieme di metodi computazionali che producono sistemi che svolgono azioni e compiti che normalmente richiedono intelligenza umana. Questi metodi computazionali comprendono, a titolo esemplificativo, il riconoscimento di immagini automatiche, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’apprendimento automatico. Tuttavia, in sanità un termine più appropriato sembra essere “intelligenza aumentata”, che riflette le capacità potenziate del processo decisionale umano se abbinato a questi metodi e sistemi computazionali artificiali (machine learning) 5.
La maggior parte degli approcci di apprendimento automatico si articola in due categorie principali:
supervisionato = ottimo per la classificazione e analisi di variabili precostituite (ad es. rilevazione di un nodulo polmonare da una radiografia del torace; modelli di stima del rischio della terapia anticoagulante; rilevazione dell’aritmia nell’elettrocardiogramma; progettazione e sviluppo di clinico in silico ecc.);
non supervisionato = utilizza set di dati di grandi dimensioni e identifica i modelli di interazione tra le variabili. Queste tecniche possono scoprire associazioni precedentemente sconosciute, generare nuove ipotesi e guidare ricercatori e risorse verso direzioni più fruttuose; è spesso usato nell’esplorazione dei dati e nella generazione di nuove ipotesi.
Un sotto insieme del “machine learning” con grandi applicazioni in campo di sanità pubblica ed epidemiologia è il cosiddetto “deep learning” che imita il funzionamento del cervello umano utilizzando più strati di reti neuronali artificiali per generare previsioni automatiche dai set di dati utilizzati per addestramento (es. riconoscimento delle immagini e identificazione di un focolaio epidemico utilizzando le relazioni spazio-temporali tra gli eventi).
La conservazione e la condivisione dei dati sanitari attraverso piattaforme digitali progettate per fornire a professionisti e decisori informazioni su esiti di salute e costi generati per risolvere il problema di salute del singolo paziente sono fattori fondamentali per l’applicazione di modelli organizzativo-gestionali improntati alle strategie basate sul valore (value based healthcare). Rispettare la privacy delle informazioni sensibili in questo processo resta una grande sfida per tutti i sistemi sanitari.
La “blockchain” (letteralmente “catena di blocchi”) è una struttura dati condivisa e immutabile. È definita come un registro digitale pubblico e distribuito le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. Immutabile in quanto ogni modifica di informazione che viene apportata lascia una traccia di registrazione; distribuita perché tutti i nodi della rete ricevono una copia in continuo aggiornamento, superando il rischio di perdita di informazione dovuta a danneggiamento di un server. Le sue crescenti applicazioni in economia e finanza (es. registro transazioni bitcoin) ne consigliano l’utilizzo anche in altri settori della società come la sanità, ad esempio, dove la blockchain potrebbe risolvere il problema dell’interoperabilità consentendo a organizzazioni sanitarie e professionisti di raccogliere informazioni su un paziente da più sistemi di raccolta indipendenti, compresi software in diretta gestione del paziente (smartphone, alcuni wearable device ecc.). Questo, in aggiunta, in modo trasparente, sicuro ed efficiente in quanto svincolato dalla necessità di certificazione di qualsivoglia autorità centrale in quanto la disintermediazione non richiede operatori e funzioni dedicate dal momento che tutti i partecipanti alla rete hanno accesso al registro distribuito 6.
Ciò sembra particolarmente utile nelle attività di prevenzione e promozione della salute nonché nella gestione dei pazienti che soffrono di malattie cronico-degenerative in quanto facilitano l’erogazione di atti medico-sanitari programmati connettendo direttamente il paziente/cittadino ai servizi/istituzioni (es. ASL, Scuola ecc.) e mettendo in accesso comune, trasparente e certificato tutti i dati (es. registro delle vaccinazioni, aderenza e screening ecc.). In questo modo sarà possibile aumentare l’interoperabilità senza compromettere la sicurezza, garantendo migliori standard di cura e proteggendo al contempo la privacy dei pazienti.
Nonostante le grandi aspettative date dalla digitalizzazione resta inteso che gli aspetti più umanistici e meno analitici della medicina di sanità pubblica saranno molto più difficili da sostituire con la tecnologia. L’arte di prendersi cura in tutte le sue componenti – come la comunicazione, l’empatia, il processo decisionale condiviso, la leadership e il team building – dovrà trovare sin da ora maggior spazio nel curriculum di medici e professionisti della salute. Soltanto attraverso questa sinergia potremo ottenere l’obiettivo di umanizzare la medicina attraverso le nuove tecnologie.
Seppur l’effetto netto della digitalizzazione in sanità pubblica sia difficile da prevedere, soprattutto in un contesto di incertezza politico/programmatoria ed economica, è plausibile che il suo effetto sulla salute pubblica possa essere principalmente indiretto. Ad esempio, se l’intelligenza artificiale avrà il potenziale per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei processi attraverso un continuum della salute pubblica tra una gestione personalizzata del paziente e l’ottica di popolazione, particolare attenzione dovrà rimanere rivolta ai determinanti sociali di salute. Difatti, ciò che da un lato produrrà profondi vantaggi grazie a un miglioramento della produttività e delle prestazioni dei sistemi sanitari dall’altro, complice l’ampia automazione dei lavori manuali, qualora non correttamente governato, potrebbe causare nel breve periodo disoccupazione nelle comunità a basso reddito, con aumento delle diseguaglianze ed effetti negativi sulla salute.
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Abstract
BACKGROUND
The widespread use of Internet and Social Media among the general population in recent years has interested a wide range of areas related to public health. The need to collect information regarding health and medical treatment on the web, such as vaccination strategies or cancer screening, has led to the circulation of fake news and many anecdotal documents on the effectiveness and safety of these and other preventive measures 1.
The recent decline observed in vaccination coverage, for instance, can be associated with the spread of erroneous information within mass and social media 2. Several studies showed that parents frequently acquire information on vaccination through the web, often on non-institutional and anti-vaccination websites 3.
To date, in Italy, 54.8 million subjects are active on the web (92% market penetration index – MPI – in comparison to general population numerousness) and 35 million subjects are active on social media (59% MPI) 4.
This short report aims to evaluate the up-to-date role of Social Media in Public Health issues and the possible future opportunities to meet the communication needs of general population.
THE EPIDEMIOLOGY OF SOCIAL MEDIA IN ITALY
According to the Digital 2019 report, in Italy, the mean time spent every day on the web by general population is approximately 6 hours. Every day about 2 hours (1 hour and 51 minutes - 30% of total web usage daily time) are spent on Social Media by over 35 millions Italian 4.
The social media mainly used are: Youtube® (87%), Whatsapp® (84%), Facebook® (81%), Instagram® (55%) and Twitter® (31%) 4.
Specifically, Youtube® represents a multimedia content community where can be shared video on several topics 4.
Differently Whatsapp®, that was born in 2009 as a an alternative of SMS/MMS for the exchange of text/video/photo/audio messages among private citizens, has gradually evolved over the years in a “social app” with new possibility of communication: audio- or video-calls, update of personal “status” or photo, whatsapp-business (a digital tool to stay in touch with customers and increase brand loyalty) 4.
On the other hand, Facebook® and Instagram® represents actually the most important and commonly used social networking media worldwide 4.
Both social networks enable the creation of personal profiles or public pages. Public pages, otherwise than personal profiles, allow a shared usage, an unlimited number of contacts, instruments for post and private messages management, business purposes (“Facebook® Ads” to purchase advertising) and tools for statistical analysis of the page (“Insights”) 4.
The main difference between Facebook® and Instagram® is represented by the age classes of users. The first one has a catchment area between 25 and 80 years old subjects (more than 80% of single users; 53% over 35 years old), while Instagram® has an higher percentages of users under 35 years old (85%; 59% between 19 and 24 years old) 4.
Finally, Twitter® actually represents the most important “blog social media”, used by principal Politicians, Policy Makers, Celebrities, Authorities and Organizations all over the world.
It represents a fundamental Institutional tool for share and spread events, messages, campaigns, fundraising or other 4.
A message or a commented news/event on Social Media (defined as “post”), to be attractive for general internet-users, should have four main characteristics: easy, attractive, social and timely.
In general, a good “post” concerning health-care or public health shared on a public page of Social Media such as Twitter®, Facebook® and Instagram® could be viewed by millions of subjects, even if posted online by an anti-scientific organization 1.
THE IMPACT OF SOCIAL MEDIA ON PUBLIC HEALTH
The impact of Social and Mass Media on Public Health is considerable. A recent manuscript, that analyzed Youtube® digital contents, reported a direct correlation (4 times higher) between pro-vaccine videos and the reporting of accurate information and between anti-vaccine videos and the reporting of incorrect information or omissions on HPV vaccination 5.
In Italy a research conducted on number of followers of public Facebook® pages of pro- and anti- vaccine organizations showed, in April 2015, a clear predominance of anti-vaccines pages (over 25,000 followers of pages of anti-vaccines health professionals or pages that stated the associations between autism and vaccination vs over 10,000 to pro-vaccines pages). After 3 years, in April 2018, trough a widespread network of health organizations (vaccinarsi.org website, Iovaccino, Rete Informazioni Vaccini), over 120,000 followers of pro-vaccines pages have significantly overcomed 65,000 followers of anti-vaccines pages (Dr. Daniel Fiacchini personal data; presented at 51st National Congress of the Italian Society of Hygiene, Preventive Medicine and Public Health).
In 2016, the European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) released the technical document “Social media strategy development” that represents a guide for public health organisations to integrate social media into their overall communication activities 6.
The report underline the role of Social media for listening, informing, educating, and empowering people about health issues. During the last years Social media play a key role also in collecting surveillance data, enhancing the speed at which communication is sent and received during public health emergencies or outbreaks and facilitating desired behaviour changes 6.
The guide provides a flexibile approach due to different social media literacy and capacities within EU Member States and includes examples, drawn from European public health agencies or organizations, to illustrate practical approaches to Social Media (for instance on sharing information, retweeting public health messages, analyzing Google® trends ecc.). Finally, the guide reports practical advice on using the most popular social media platforms, including Twitter®, Facebook® and YouTube® 6.
According to ECDC, Social Media are an essential tool for public health organizations, allowing to collect feedback from general population in real-time, to drive online conversations on relevant topics of interest, to have a direct contact with users and to provide a channel to rapidly respond to queries and concerns 6.
Finally, the public health professionals that approach a “social media” communicative strategy should consider that:
the communication on Social Media is mainly visual;
the use of impacting tile and correct key words is necessary;
the main messages of the “post” should be included at the begniining of the text;
main paragraphs should be separated (to better understand the steps of the logical process and metaphors and icons should be used;
summarise the text as possible, according to the principle of “less is more” 7.
CONCLUSIONS
Having recognized the importance of Social Media for public health, would be recommended the integration of a tailored and integrated social media strategy into principal health organizations.
An integrated social media strategy, across all European Public Health Authorities and Organizations, could address the risk communication for communicable disease or non-communicable diseases and for other public health interventions 6.
For all these reasons, in future, Health Authorities or Organization should be present, active and interactive with users not only on the web, but also on Social Media.
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Abstract
Le innovazioni dell’e-health avranno sempre un maggiore impatto sul sistema sanitario, che andrà adeguatamente governato per coglierne appieno i benefici e fronteggiare le grandi sfide della sanità di oggi e soprattutto di domani.
Nel processo di riorganizzazione in chiave e-health del sistema sanitario il cittadino/paziente occuperà una posizione preminente in quanto sarà il protagonista nelle scelte che lo riguardano ed il gestore diretto delle sue informazioni sanitarie. Fattori strategici e abilitanti di questo cambiamento saranno la tecnologia inscindibilmente congiunta all’innovazione organizzativa e di processo.
L’innovazione digitale sarà dirompente visto che le nuove tecnologie andranno ad incidere nell’intero percorso che va dalla prevenzione, alla cura, all’assistenza e al follow-up, mediante strumenti come il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Telemedicina, le Terapie Digitali ecc; inoltre, si svilupperanno nuovi touchpoint con la sanità da parte dei cittadini, con siti Web, App, chatbot, ecc. visto che i social media e servizi mobili saranno sempre più pervasivi.
I sistemi informativi sanitari – ovvero l’insieme dei flussi di informazione gestiti all’interno dell’organizzazione sanitaria utili alla misura ed alla valutazione dei processi gestionali e clinici – saranno chiamati, mediante la loro architettura, ad assicurare il sempre più complesso livello operativo, di controllo e di governo delle aziende sanitarie, tenendo in debita considerazione lo sviluppo dei nuovi sistemi integrati regionali o di area.
Occorrerà però fare i conti con sistemi tecnologici preesistenti, a volte obsoleti o comunque eterogenei, con culture organizzative diverse e disomogenee e con trasformazioni organizzative.
L’e-health potrà supportare i problemi di sostenibilità economica e di garanzia dei servizi essenziali di assistenza erogati, anche a fronte di una domanda incrementale, e difficilmente governabile con i paradigmi attuali, riguardo ad ambiti come la cronicità e l’invecchiamento della popolazione. L’attuazione diffusa della Teleassistenza e del Telemonitoraggio consentirà l’accompagnamento sicuro a persone fragili ed anziani, sperimentando servizi Smart in casa propria, sia per la sfera sociale (spesa, pasti ecc.) che per l’assistenza infermieristica.
I principali fattori determinati il successo di interventi e-health identificati a livello internazionale sono la qualità delle cure, il miglioramento nella diagnosi, il Clinical management e la gestione dei flussi di lavoro; i professionisti sanitari identificano, comunque, delle barriere nella sanità digitale, riguardanti l’allineamento con i processi clinici, la modifica dei ruoli, la mancanza di comunicazione face-to face con i pazienti. Non trascurabili sono i costi, in particolare se devono essere assicurati mediante finanziamenti pubblici.
Dovranno essere opportunamente valutati nel contesto italiano i principali processi caratterizzati da evoluzione nell’ambito socio-sanitario che inducono cambiamenti organizzativi; quelli più rilevanti attengono alla revisione dell’organizzazione dei presidi ospedalieri, alla riorganizzazione complessiva della sanità regionale, alla revisione dei processi di presa in carico dei pazienti, alla razionalizzazione presidi ospedalieri sul territorio, alla centralizzazione acquisti, dei processi clinici/socio-sanitari, dei processi amministrativi/HR, dei processi ICT, dei servizi diagnostici e dei servizi emergenza urgenza. Non apparirà più possibile fare innovazione e cambiamenti di processi organizzativi sostenibili in sanità senza un utilizzo diffuso dei sistemi informativi, che assumeranno quindi un ruolo cruciale come leva strategica di cambiamento aziendale. Per operare questo cambiamento sarà basilare l’e-leadership – non solo per i Chief Information Officer ed i tecnici esperti ma anche per le professioni sanitarie – quale capacità di guidare l’innovazione organizzativa verso modelli interdisciplinari e interprofessionali, fortemente integrati e basati su comunità virtuali di pratica per l’e-health.
La governance dell’innovazione digitale dovrà comprendere tutti i livelli istituzionali, da quello europeo, a quello nazionale (Governo, Ministero, Agenzia per l’Italia Digitale), a quello regionale (Regioni, Società in-house) ed a quello aziendale. Pertanto, a livello nazionale andrà assicurato principalmente il quadro normativo e regolatorio per il supporto per l’accesso ai finanziamenti, la definizione di standard e infrastrutture (materiali ed immateriali) e la semplificazione normativa; a livello regionale andrà garantita la programmazione e lo sviluppo mediante la messa a disposizione di risorse economiche, la definizione di Linee Guida regionali, la definizione di obiettivi comuni e convergenti; a livello aziendale dovrà essere sostenuta l’attuazione e la gestione dall’acquisizione di cultura riguardante l’innovazione digitale, sviluppando adeguate competenze nell’utilizzo delle soluzioni ICT.
Per andare verso il sistema sanitario Smart occorrerà perseguire un armonico sviluppo delle seguenti componenti: servizi infrastrutturali (anagrafica regionale, piattaforme di integrazione, infrastruttura dedicata, Data Center, BC/DR, ecc.); servizi al cittadino (ricette elettroniche, servizi di prenotazione e pagamento esami e visite, App mobile, consultazione documentazione clinica-sanitaria…); servizi a supporto dei processi clinico-sanitari e assistenziali (FSE, PACS, PDTA informatizzati, Telemedicina, Certificati di malattia, reti di patologia, ecc.); servizi amministrativi (sistema ERP, sistema gestione pagamenti e prenotazioni, eProcurement, servizi HR condivisi…); governance e monitoraggio (Linee guida, meccanismi di coordinamento, formazione, monitoraggio e controllo ecc.).
Alcune delle tecnologie che guideranno, anche in sanità, l’innovazione futura saranno:
Blockchain, che potrà essere l’architettura dei dati che unisce tutti i servizi disparati del settore sanitario e sociale in un unico sistema interoperabile e condiviso, per l’intera vita del paziente, quale repository di dati globale decentralizzato, peer to peer;
Extended Reality e gli strumenti di realtà virtuale e realtà aumentata, quale tipo di percezione sensoriale che avviene sovrapponendo l’esperienza reale e delle informazioni digitali, con scopi di arricchirla mediante vari livelli di informazione;
Artificial Intelligence, con i suoi algoritmi predittivi e le sue interfacce interattive.
La recente strategia del luglio 2019 delineata dal Ministero dello Sviluppo Economico a livello nazionale per l’Intelligenza Artificiale, per l’ambito salute troverà applicazioni con la chirurgia assistita con la robotica intelligente, l’assistenza infermieristica virtuale, il supporto alla diagnostica per immagini, la gestione dei fascicoli sanitari elettronici; inoltre, troverà applicazioni per l’ambito previdenza sociale principalmente per il supporto agli individui con disabilità, per incrementare l’inclusione sociale di categorie di cittadini svantaggiati e per soddisfare i nuovi bisogni derivanti dall’invecchiamento della popolazione. L’Intelligenza Artificiale potrà dare impulso all’innovazione ed alla predisposizione di standard condivisi nelle varie Regioni.
Nel contesto sanitario ci sarà pertanto il bisogno di promuovere il possesso di nuovi skills per la governance e la reingegnerizzazione di processi e per la gestione del change management per tutti gli stakeholder che utilizzano le ICT, al fine di garantire una visione d’insieme coerente. Pertanto, si dovranno costruire percorsi di formazione - universitari e post-universitari - il cui obiettivo formativo è il governo della tecnologia tra figure diverse (professionisti sanitari, tecnici, gestori, esperti di processo o di organizzazione, CIO, ecc.), che saranno coinvolti in team multidisciplinari che integrino le competenze tecnologiche digitali, organizzative e di processo, e che governino il percorso insieme al management. Inoltre, sarà basilare definire percorsi di crescita equilibrata delle componenti di servizio ICT.
Con queste premesse, alla domanda “E-Health e assetti organizzativi: nuove opportunità per le professioni sanitarie?” è possibile rispondere che le principali utilità si potranno ricavare dall’integrazione organizzativa delle professioni sanitarie – con evolute competenze – su un numero sempre più ampio di servizi a supporto dei processi di prevenzione, cura ed assistenza (es. servizi relativi ai PDTA informatizzati, continuità assistenziale) e nelle iniziative di Telemedicina, inseriti in progetti regionali strutturati (es. sistema per la gestione delle cronicità), come Virtual Healthcare Teams. Questa integrazione potrà essere proficuamente estesa all’ambito sociale.
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Abstract
Dopo il sequenziamento del genoma umano la genetica molecolare e l’analisi genomica hanno acquisito un ruolo specifico per il progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria, e sono diventate una forza trainante nella ricerca e nella pratica medica. Il progresso in genomica (accompagnato da un aumento della disponibilità, incontrollata, di test genetici sia per malattie monogeniche che complesse) ha assunto implicazioni cruciali per la salute pubblica perché offre l’opportunità di differenziare individui e gruppi con maggiori probabilità di sviluppare determinate condizioni patologiche, e questo con nuovi modi rispetto a quelli tradizionalmente usati dagli operatori della salute.
Negli ultimi due decenni, l’uso di le parole che terminano con “-omic” si sono estese, dall’iniziale “Genomica”, ad una vasta gamma di discipline biomolecolari indirizzate allo studio di aspetti specifici, studiando pool di molecole (es. ioni, acidi nucleici, proteine, enzimi) con varie funzioni all’interno degli organismi viventi. La diffusione delle discipline omiche è stata possibile principalmente attraverso lo sviluppo di tecnologie high-throughput in grado di generare un grande quantità di dati relativi ai diversi livelli di complessità biologica (DNA, mRNA, proteine, metaboliti, ecc.), contribuendo a rivoluzionare l’approccio allo studio di organismi viventi. Le tecnologie “ Omics” come il Next Generation Sequencing (NGS) hanno un vasto potenziale applicativo che vanno dall’aumentare la comprensione dei diversi processi fisiologici e fisiopatologici al loro utilizzo in screening, diagnosi e valutazione della storia naturale, risposta alla terapia e / o prognosi di vari disturbi.
La pletora di tecnologie ad alto rendimento disponibili per le scienze omiche e la loro rapida evoluzione richiede alla comunità scientifica di superare il divario tra la produzione di dati omici e progresso delle tecnologie high-throughput, da un lato, e la capacità di gestire, integrare, analizzare e interpretare questa enorme quantità di dati, dall’altro; nella prospettiva che, nel prossimo decennio, la genomica e altre scienze omiche giocheranno un ruolo decisivo all’interno di Big Data .
La complessità delle scienze omiche e relative applicazioni come la medicina personalizzata, certamente richiede una governance dai sistemi sanitari. Implementare un approccio personalizzato all’assistenza sanitaria richiederà anche un cambiamento nell’organizzazione dei Servizi sanitari. In una prospettiva più ampia, i leader della sanità pubblica sono responsabili di aiutare a catalizzare il cambiamento nell’organizzazione dei servizi sanitari definendo politiche pubbliche capaci di assicurare che la genomica e le altre tecnologie siano utilizzate per il miglior effetto.
Il modo in cui il sistema sanitario pubblico si adatterà a questi nuovi scenari sarà un determinante significativo della possibilità che la personalizzazione dell’assistenza sanitaria possa, alla fine, portare a maggiori guadagni nella salute generale della popolazione . Benchè, come osserva anche l’OMS, sia ancora necessario cogliere meglio il potenziale (e i limiti) della genomica nella genesi delle malattie e investire in educazione e ricerca per raggiungere gli obiettivi di sanità pubblica.
Pochi paesi hanno implementato una politica nazionale strutturata. In Italia, nel 2013, la conferenza Stato-Regioni approvava le Linee di indirizzo su La genomica in sanità pubblica. Un ulteriore passo è stato recentemente fatto con l’approvazione di un “Piano nazionale per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche”. Questo piano soddisfa la sfida di un approccio globale all’innovazione, tenendo conto che tale l’innovazione è profondamente intrecciata con la crescita economica del Paese, in particolare intorno all’argomento trasversale dell’IT. Secondo anche le indicazioni dell’OCSE, il piano mira anche a sostenere l’attenta implementazione e l’uso intelligente del Big Data nel settore sanitario e a favorire il raggiungimento di benefici significativi sia per la salute della popolazione che per il sistema economico. Il piano si impegna anche a implementare le recenti Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea sulla medicina personalizzata. Il piano delinea i modi in cui l ‘innovazione delle conoscenze nel campo biologico dovrebbe riformare il sistema sanitario nazionale nelle aree di prevenzione, diagnosi e cura, tenendo conto dell’efficacia (basata sull’evidenza) e della sostenibilità (costo-efficacia) per migliorare la salute dell’individuo e della popolazione.
Il Piano ha lo scopo di supportare il Servizio Sanitario Nazionale in ordine a:
aumentare la consapevolezza di tutte le parti interessate in merito all’innovazione basata sulle scienze omiche e dei suoi effetti sulla salute di individui e popolazioni migliorando la capacità della società di far fronte agli aspetti culturale, etico, psicologico della “rivoluzione genomica”;
mettere in atto una strategia di “governo dell’innovazione “della genomica;
valutare e implementare le opportunità attualmente offerte dalle scienze omiche per la salute della popolazione.
Gli obiettivi principali del piano nazionale sono:
trasferire la conoscenza genomica nella pratica dei servizi sanitari, in un approccio incentrato sul paziente;
aumentare l’efficacia della prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie, tenendo conto delle differenze individuali nel patrimonio genetico, negli stili di vita e nell’ambiente, e fornire ai professionisti le risorse necessarie per personalizzare gli interventi;
promuovere l’innovazione culturale, scientifica e tecnologica del sistema sanitario.
Il piano si concentra su diversi argomenti, tra cui la genomica nella diagnosi delle malattie mendeliane e complesse (es tumori), la prevenzione personalizzata (test pre-concezionali; test pre e postnatali, screening neonatale), genomica in terapia (farmacogenomica e terapia personalizzata dei tumor). Inoltre, il piano evidenzia quali sono i funzioni del governo centrale e le azioni da sostenere per l’attuazione del piano. Fornisce anche le principale indicazioni per favorire la ricerca e l’innovazione nel seguenti ambiti:
big data e medicina computazionale;
formazione e tecnologie per la literacy;
opportunità per la sostenibilità del sistema sanitario nazionale mediante programmi di prevenzione pre-primaria volti a ridurre il peso della malattia e, su un altro versante, il riposizionamento dei farmaci;
opportunità per il sistema sanitario nazionale a rimanere sostenibile attraverso la prevenzione secondaria volto a ridurre il peso del cancro al seno;
pazienti non diagnosticati.
Completato l’Iter istituzionale della predisposizione del Piano e della definizione con le Regioni della relativa Intesa, si è aperta la fase di implementazione della stessa ed, in particolare, del raggiungimento degli obiettivi previsti, rispetto ai quali si deve considerare come preliminare l’attivazione della previsto assetto di governance. Tale assetto di governance è identificato al Capitolo 6 del Piano, anche sulla base di quanto espresso al riguardo dall’Intesa del 13/3/13 sulle “Linee di indirizzo sulla Genomica in Sanità Pubblica” e dalle raccomandazioni delle Council conclusions on personalized medicine for patients del 7/12/2015.
In questo scenario, il previsto Gruppo di coordinamento interistituzionale si configura al vertice di tale assetto di governance come strumento di promozione e centro di responsabilità dell’attuazione dell’Intesa di cui all’oggetto. Esso è composto dalle Direzioni Generali del Ministero, dall’ISS, dall’AGENAS, dall’AIFA, e da rappresentanti delle Regioni.
Abstract
Lo studio del microbioma umano intestinale e della sua influenza sulla salute è in rapida espansione. Dalla conclusione della prima parte del Human Microbiome Project ed in seguito alla diffusione di metodi di analisi avanzati di biologia molecolare si è arrivati a produrre più di 10.000 prodotti della ricerca censiti su pubmed, nel 2018, in questo ambito di ricerca. Sebbene il microbiota umano sia costituito da microrganismi eucarioti, archaea, virus e batteri, quest’ultima componente ad oggi è maggiormente studiata e conosciuta. I batteri presenti nel corpo umano sono numericamente in media 10 volte più numerosi delle cellule umane, presentando un bagaglio di geni di diversi ordini di grandezza maggiore dei geni umani. Questi microrganismi contribuiscono a funzioni fondamentali per l’uomo per esempio nella produzione di vitamine, nell’assimilazione di nutrienti, nell’interazione e stimolazione del sistema immunitario, ecc. Una crescente disponibilità di dati sono stati prodotti dimostrando i cambiamenti nella composizione del microbiota, in particolare intestinale, in numerosi stati patologici che includono malattie infettive, metaboliche, del sistema immunitario, tumorali e neurologiche. La modulazione del microbiota potrebbe essere un’importante prospettiva terapeutica soprattutto nell’ottica della medicina personalizzata. Sebbene permangano degli ostacoli nella validazione tecnica e bioinformatica si sta procedendo verso delle procedure maggiormente condivise e standardizzate. D’altra parte il microbiota umano è influenzato da numerosi fattori ivi inclusa l’interazione con il microbioma ambientale e non è ancora chiaro quali possano essere le prospettive in termini di prevenzione primaria e secondaria. L’intervento per la modulazione del microbiota include prevalentemente il trapianto di microbiota fecale, la somministrazione di probiotici e prebiotici e la modifica degli stili di vita ivi inclusa l’alimentazione. Attraverso gli studi di metagenomica e le tecnologie di whole genome sequencing è possibile considerare la complessità del genoma umano contenuto in un campione ivi incluso il bagaglio ascrivibile al microbioma. Inoltre la metabolomica può fornire delle conferme rispetto alla presenza ed all’attività delle varie componenti microbiche. Alcuni esempi in particolare riferiti alla patologia diabetica ed al tumore del colon possono fornire un esempio di sistema integrato di prevenzione. In prospettiva è auspicabile che anche in Italia possa essere disponibile una valutazione microbiomica che specularmente a quanto valutato per la genomica sia opportunamente interpretata e costo-efficace, in modo da avere una ricaduta effettiva per la salute pubblica.
Abstract
Il modello di salute pubblica in tema di vaccinazioni si fonda essenzialmente sul principio generale della “stessa dose per tutti per ogni malattia”, che rappresenta l’attuale approccio, scientifico e normativo, per la prevenzione delle malattie infettive per le quali sia disponibile un vaccino. Peraltro, prescindendo dall’aggiunta di sostanze adiuvanti che potenziano la risposta immunitaria artificiale attiva, ad oggi la progettazione di nuove formulazioni vaccinali in grado di superare problematiche legate, ad esempio, al cambiamento della struttura demografica della popolazione e della distribuzione delle cause di malattia e di morte, è stata piuttosto limitata, in linea con la necessità di sviluppare programmi vaccinali destinati principalmente all’età pediatrica. In questo scenario, comunque di grande successo per la Sanità Pubblica, avendo garantito l’eradicazione ed il controllo di malattie infettive che, fino a non molto tempo fa, determinavano mortalità e invalidità nella popolazione, diventa sempre più cogente prendere ulteriormente in considerazione alcune condizioni che influenzano la risposta vaccinale, come l’immunosenescenza, la presenza di un sistema immunitario immaturo, le condizioni di salute come obesità e sovrappeso ed i fattori non modificabili come il sesso.
In linea con i notevoli progressi che la medicina personalizzata sta facendo in molti campi della salute umana, il complesso delle scienze “omiche” (ovvero le discipline che utilizzano tecnologie di analisi che forniscono grandi quantità di dati utili per la descrizione e l’interpretazione dei sistemi biologici studiati) potrà essere applicato, in maniera sempre più consistente, allo sviluppo di nuovi vaccini orientati ad una migliore personalizzazione della pratica vaccinale, a vantaggio della qualità della risposta immune e a detrimento del rischio di eventi avversi, soprattutto se gravi.
In questo solco, la vaccinomica e l’avversomica mirano a comprendere le cause delle variazioni nelle risposte immunitarie ai vaccini negli esseri umani, così come le cause degli eventi avversi ad essi associati. Questi nuovi campi di ricerca stanno sempre più delineando una nuova frontiera della vaccinologia che, superando l’approccio empirico del passato, pone attenzione su ogni aspetto della risposta vaccinale. La vaccinomica e l’avversomica indagano l’influenza della regolazione genetica e non genetica sulla variabilità della risposta immune ai vaccini, a livello sia individuale, sia di popolazione.
In particolare, la vaccinomica studia lo sviluppo di vaccini “personalizzati” basati sulla comprensione dell’immunogenetica/immunogenomica della risposta immunitaria, occupandosi dell’insieme dei geni che influenzano la risposta ai vaccini. In effetti, i determinanti immunogenetici implicati nella risposta individuale alle vaccinazioni sono numerosi e, tra questi, il complesso maggiore di istocompatibilità (HLA) riveste un ruolo di grande rilievo insieme ai recettori transmembrana dell’immunità innata, come i Toll-like receptors (TLRs), alle citochine, alla cascata del complemento, passando per il microbioma intestinale e l’epigenetica, che si occupa di comprendere i fattori che possono modulare l’espressione genica senza che vi siano cambiamenti nella sequenza dei nucleotidi. L’avversomica può, invece, essere definita come l’applicazione dell’immunogenomica e della biologia dei sistemi alla comprensione, a livello molecolare, delle cause, genetiche e non, poste alla base delle reazioni avverse ai vaccini, mirando così a prevenirne il rischio di comparsa negli individui.
I nuovi settori della vaccinomica e dell’avversomica hanno pioneristicamente avviato la comprensione delle interazioni tra il sistema immunitario ed altri sistemi, e tra i diversi componenti del sistema immunitario stesso, che sono critiche per lo sviluppo della risposta immunitaria ai vaccini e, più in generale, agli agenti patogeni. Questi settori studiano la definizione di modelli basati sulla biologia dei sistemi, cioè su un approccio interdisciplinare in grado di integrare dati scientifici (Big data) di diversa natura studiando le connessioni dinamiche esistenti tra geni, proteine, metaboliti e altre molecole, al fine di sviluppare un modello esplicativo dei sistemi biologici che aggreghi informazioni utili a caratterizzare le risposte innate, sia umorali che cellulari.
GLI AMBITI DI RICERCA E LO STATO DELL’ARTE
È opportuno sottolineare che, attualmente, la “vaccinologia personalizzata” basata su vaccinomica e avversomica, più che mirare alla produzione e allo sviluppo di vaccini destinati a singoli individui, punta a superare il problema della bassa immunogenicità e delle reazioni avverse di specifici vaccini destinati a sottogruppi di popolazione ben identificati. In fondo, qualcosa di simile è già accaduto a livello internazionale per la vaccinazione antinfluenzale dove, negli ultimi 10-15 anni, sono state sviluppate diverse tipologie di vaccini, come il trivalente, il quadrivalente, a virus vivo attenuato per i più giovani, ricombinante per i soggetti allergici alle proteine dell’uovo, ad alta dose o con l’adiuvante MF59 più immunogenici ed efficaci.
Ad oggi, diversi studi sono stati pubblicati su prestigiose riviste internazionali; essi hanno analizzato l’influenza delle variazioni genetiche sulla risposta immunitaria di tipo adattivo, sia umorale che cellulare, indotta dai vaccini contro epatite B, rosolia, influenza A, vaiolo, antrace e parotite. È stato dimostrato che circa un terzo della variabilità della risposta umorale al vaccino MPR è associata a polimorfismi dei geni della risposta immune e a sottotipi HLA. Inoltre, anche i polimorfismi dei geni dei recettori TLR influenzano la risposta umorale ai vaccini contro morbillo, rosolia e parotite.
Fattori come il sesso, l’età e il peso corporeo, solo apparentemente meno complessi da indagare, causano estrema variabilità nella risposta immunitaria ai vaccini. È stata, infatti, evidenziata una diversa risposta umorale e cellulare in base al sesso, con, in generale, una più efficace sieroconversione - ma anche una maggiore frequenza di reazioni avverse locali e sistemiche - nel sesso femminile. Queste situazioni sono state evidenziate in tutte le fasce d’età, escludendo, pertanto, un ruolo predominante di fattori ormonali. Ancora poco si conosce su quali fattori genetici possano spiegare queste differenze di risposta immune tra maschi e femmine, che fino ad oggi sono state poco considerate negli studi di efficacia e tollerabilità dei vaccini.
L’immunosenescenza può essere definita come la modifica della funzione immunitaria legata all’età, che interessa componenti del sistema immunitario innato ed adattivo determinando una ridotta risposta protettiva ai vaccini e una risposta immunitaria inadeguata alle infezioni. I meccanismi che sottendono questa ridotta risposta nell’anziano non sono ancora pienamente chiari. È noto, tuttavia, che è presente un’alterata secrezione di citochine, una minore espressione di TLR, una diminuita attività delle cellule natural killer (NK) e uno stato di infiammazione cronica con aumento di TNF-alfa, IL-1B e IL-6 sierica. Gli studi di biologia dei sistemi e di vaccinogenomica, insieme con l’analisi dei profili citochinici, stanno fornendo i primi risultati utili a prevedere la risposta anticorpale verso il vaccino per l’epatite B, in generale meno efficace nell’anziano.
Non per ultimo, sovrappeso e obesità rappresentano condizioni predittive di ridotta risposta anticorpale, ad esempio ai vaccini per epatite B, influenza e tetano, tanto da poter forse rappresentare un potenziale marker di immunosoppressione. Tra le ipotesi poste alla base di questa evenienza, viene preso in considerazione il meccanismo di resistenza alla leptina, tipico degli obesi, che sembra condizionare negativamente la risposta immunitaria alla vaccinazione antinfluenzale attraverso una ridotta attivazione di cellule T CD8+, con ridotta produzione di IFN-gamma.
CONCLUSIONI
È probabile che la “vaccinologia personalizzata” rivoluzionerà la pratica vaccinale. Vaccinomica e avversomica contribuiranno significativamente a definire “l’impronta immunitaria molecolare” delle risposte adattive e disadattive ai vaccini, a sviluppare biomarcatori di risposta vaccinale, a identificare i soggetti a cui somministrare un certo vaccino e a quale dose, ad aumentare la sicurezza e la fiducia della popolazione nei vaccini riducendo il rischio di reazioni avverse. Appare chiaro che si sta, probabilmente, definendo un nuovo paradigma nella pratica vaccinale, con un approccio personalizzato basato su chiare evidenze scientifiche, su questioni legate alla sicurezza, sui problemi di immunogenicità e sulle modifiche che si sono verificate nelle popolazioni (età, obesità, etc.), in linea con una medicina individualizzata che comincia già ad essere applicata in altri campi medici.
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Abstract
All’interno della pratica clinica l’approccio di “medicina personalizzata”, che consiste nell’adozione di un’assistenza sanitaria di tipo individualizzato, viene sempre maggiormente adottato. Il progetto PREvention of Chronic Diseases (Prevenzione delle Malattie Croniche, PRECeDI), finanziato dalla Commissione Europea tramite Marie Skłodowska Curie Action, Research and Innovation Staff Exchange (RISE), ha promosso una collaborazione nella ricerca e formazione nell’ambito della medicina personalizzata ponendo particolare enfasi sulla prevenzione delle malattie croniche. Dal 2014 al 2018, il consorzio PRECeDI ha formato 50 ricercatori sulla prevenzione personalizzata delle malattie croniche attraverso la formazione e la ricerca. L’acquisizione di nuove competenze da parte dei ricercatori stessi è merito di distaccamenti, da e verso enti accademici e non accademici, che hanno lo scopo di formarli su diversi ambiti di ricerca correlati alla prevenzione personalizzata di malattie quali cancro, patologie cardiovascolari e neurodegenerative. In particolare, 5 domini di ricerca sono stati esplorati: 1) identificazione e validazione di biomarker per la prevenzione primaria di patologie cardiovascolari, per prevenzione secondaria della malattia di Alzheimer e prevenzione terziaria del cancro del distretto testa collo; 2) valutazione economica delle applicazioni genomiche; 3) questioni etico-legali e policy legate alla medicina personalizzata; 4) analisi sociotecniche su aspetti pro e contro l’informare individui sani sul loro genoma; 5) identificazione di modelli organizzativi per l’erogazione di test genetici predittivi. Basandosi sui risultati della ricerca condotta dal consorzio PRECeDI, a Novembre 2018, è stato sviluppato un set di raccomandazioni, per i policy-makers, per gli scienziati e per il settore dell’industria, con il principale scopo di promuovere l’integrazione degli approcci di medicina personalizzata nel campo della prevenzione delle malattie croniche.
Abstract
INTRODUZIONE
L’epidemia influenzale si presenta ogni anno con caratteristiche piuttosto simili andando a colpire prevalentemente la fascia di età pediatrica ma procurando complicanze e sequele soprattutto a carico della popolazione anziana e affetta da condizioni a rischio. La conoscenza dei dati epidemiologici, virologici e di burden rappresenta un elemento imprescindibile per la programmazione dei servizi sanitari e, soprattutto, per il supporto alle scelte in ambito vaccinale. L’inquadramento del problema di salute, obiettivo di questo lavoro, rappresenta infatti il primo dominio di qualsiasi valutazione di Health Technology Assessment (HTA).
METODI
Al fine di valutare l’impatto dell’influenza stagionale in italia è stato adottato un duplice approccio. Da una parte è stata condotta una revisione sistematica di letteratura sulle banche dati PubMed, WoS e Embase per identificare gli studi sugli aspetti epidemiologici, virologici e relativi al burden dell’influenza stagionale condotti in Italia con esclusione dei case report. Dall’altra sono stati consultati i dati della sorveglianza epidemiologica e virologica e quelli relativi ai tassi di ospedalizzazione e alla mortalità attraverso la consultazione di: InfluNet-Epi, InfluNet-Vir, InfluWeb, Health for All, sistema nazionale di sorveglianza della mortalità giornaliera (SiSMG) e monitoraggio dell’andamento delle forme gravi e complicate di influenza stagionale. I dati sono stati sintetizzati con riferimento alle classi di età pediatrica, adulta e anziana.
RISULTATI
I dati della sorveglianza epidemiologica ci permettono di stimare che, nonostante la variabilità inter-stagionale, l’incidenza cumulativa di sindromi similinfluenzali nella popolazione generale si attesta sul 10%. L’incidenza mostra valori superiori nella fascia di popolazione di età compresa tra 0 e 4 anni e inferiori nei soggetti di età ≥65 anni, ma i tassi di ospedalizzazione risultano maggiori negli ultrasettantacinquenni, con valori medi di 142,3 e 84,7 per 100.000 rispettivamente tra gli uomini e le donne. Anche con riferimento alla mortalità sono gli ultrasessantacinquenni a far registrare i tassi più alti. La letalità dell’influenza si attesta su valori elevati (17-36%) nei casi gravi con necessità di ricovero in Unità di Terapia Intensiva e/o ossigenazione extracorporea a membrana. La revisione sistematica ha messo a disposizione un totale di 20 studi, di cui 10 sulle complicanze e sulla mortalità. Due lavori sono stati condotti sulla popolazione pediatrica, due sono stati condotti su gruppi selezionati di pazienti adulti a rischio, quattro sulla popolazione anziana e due su tutta la popolazione con un’attenzione specifica alla mortalità. Dalla sintesi di questi lavori è possibile desumere importanti informazioni, sebbene non sia possibile trarre delle conclusioni definitive circa le probabilità di sviluppo di complicanze a causa dell’eterogeneità delle popolazioni e dei setting considerati. La prima informazione rilevante riguarda la più alta probabilità di sviluppare complicanze che si registra nei soggetti anziani e con condizioni a rischio in cui si raggiungono valori anche pari al 60%. La seconda riguarda la rilevante probabilità di sviluppo di complicanze (fino a valori del 30%) anche nell’età pediatrica, rappresentate più comunemente da infezioni del tratto respiratorio inferiore e da otite. Infine, relativamente alla mortalità, la letteratura ci permette di imputare all’influenza un eccesso medio quantificabile in 1,9-2,2 decessi per 100.000, quando vengono considerate influenza e polmonite, e in 11,6-18,6 per 100.000, quando si considerano tutte le cause.
CONCLUSIONI
Questo lavoro sintetizza per la prima volta tutti i dati italiani relativi agli aspetti epidemiologici dell’influenza stagionale fornendo un quadro chiaro rispetto alle classi a maggior rischio di sviluppare complicanze e all’impatto dell’influenza in termini di salute di popolazione. Tali dati, e il loro costante aggiornamento, rappresentano degli elementi preziosi per indirizzare le decisioni di sanità pubblica.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni il panorama dei vaccini antinfluenzali ha subito notevoli cambiamenti. In Italia, ad esempio dalla stagione 2018/19 il vaccino trivalente a somministrazione intradermica non è più disponibile e i vaccini trivalenti non adiuvati prodotti su uova (TIVe) non sono più utilizzati dal mercato pubblico. Nella stagione 2018/19 erano disponibili il vaccino trivalente prodotto su uova adiuvato con MF59 (MF59-TIV) e i vaccini quadrivalenti prodotti su uova (QIVe). Dalla stagione 2019/20 sarà disponibile un nuovo vaccino quadrivalente prodotto su coltura cellulare (QIVc).
MF59-TIV è un vaccino influenzale trivalente a subunità adiuvato con MF59 sviluppato al fine di superare le criticità legate all’immunogenicità subottimale dei vaccini non adiuvati negli anziani e nei soggetti immunocompromessi. In sintesi, l’adiuvante MF59 permette di: intensificare la risposta immunitaria al netto della quantità di antigene, determinare una risposta immunitaria anche verso i ceppi influenzali non contenuti nel vaccino e ridurre la quantità di antigene in caso di emergenza (es. pandemia) 1. Attualmente MF59-TIV è autorizzato per l’immunizzazione di soggetti over 65 in circa 40 Paesi e in Italia dalla stagione 2018/19 è il vaccino di scelta per la popolazione over 75. Nel Regno Unito dalla stagione 2018/19 è l’unico vaccino rimborsabile per i soggetti d’età ≥ 65 anni e dalla stagione 2019/20 ha una raccomandazione preferenziale per gli anziani anche in Austria.
Al fine di rispondere alla variabilità dei virus influenzali e, in particolare, alla comparsa nello scenario epidemiologico dei due lineage del virus B che dal 2001 co-circolano con una variabilità stagionale non sempre prevedibile sono stati sviluppati i QIVe contenenti due ceppi A e i due lineage B (Yamagata e Victoria). In Italia il primo QIVe fu introdotto nella stagione 2015/16. Attualmente sono registrati tre brand QIVe di cui due a virus frammentato e uno a subunità.
Alla luce di queste innovazioni è stata condotta una revisione sistematica e meta-analisi sui vaccini influenzali prodotti su uova attualmente disponibili in Italia (MF59-TIV e QIVe) al fine di disporre di dati aggiornati di immunogenicità, efficacia e sicurezza.
MATERIALI E METODI
La revisione sistematica ha seguito le linee guida per le revisioni sistematiche e meta-analisi PRISMA.
La ricerca ha utilizzato il modello PICOS (P: Population; I: Intervention; C: Comparators; O: Outcome; S - Study design).
P: (i) MF59-TIV: anziani e (ii) QIVe: soggetti di età ≥6 mesi; la popolazione è stata stratificata per classi di età: bambini, adulti e anziani;
I: (i) MF59-TIV e (ii) QIVe;
C: (i) MF59-TIV: vaccini non adiuvati di qualsiasi valenza e (ii) QIVe: TIVe o MF59-TIV;
O: immunogenicità [due sottodomini: (i) immunogenicità assoluta (i.e. vs placebo o un vaccino non influenzale) e (ii) immunogenicità relativa (i.e. vs un vaccino influenzale diverso)], efficacia [due sottodomini: (i) efficacia assoluta (i.e. vs placebo o un vaccino non influenzale) e (ii) efficacia relativa (i.e. vs un vaccino influenzale diverso)] e sicurezza;
S: studi clinici randomizzati e controllati (RCT), studi di immunogenicità, studi osservazionali di coorte e caso-controllo, studi degli eventi avversi postmarketing.
Per l’immunogenicità è stato considerato il test di inibizione dell’emoagglutinazione (HI). L’immunogenicità assoluta è stata quantificata attraverso: (i) incremento medio dei titoli HI post/prevaccinazione (MFI), (ii) tassi di sieroconversione (SCR) e (iii) tassi di sieroprotezione (SPR). Per l’analisi qualitativa dell’immunogenicità assoluta sono stati utilizzati i criteri europei e statunitensi. Per l’immunogenicità relativa sono stati considerati: (i) la differenza delle medie geometriche dei titoli anticorpali (GMT) dei vaccini di interesse e quelli in comparazione; (ii) il rischio relativo (RR) di sieroconversione dopo vaccinazione con MF59-TIV o QIVe rispetto ai vaccini in comparazione e (iii) il RR di sieroprotezione dopo vaccinazione con MF59-TIV o QIVe rispetto ai vaccini in comparazione. Il RR significativamente (p < 0,05) > 1 indica una migliore performance di MF59-TIV/QIVe rispetto ai competitor.
Relativamente all’outcome efficacia clinica (assoluta e relativa) sono state considerate sia l’efficacia teorica (efficacy) sia l’efficacia sul campo (effectiveness). L’efficacy è stata definita come riduzione del rischio di eventi correlati all’influenza grazie alla vaccinazione in condizioni “ideali” (RCT). L’effectiveness è stata definita come riduzione del rischio di eventi correlati all’influenza grazie alla vaccinazione in condizioni “del mondo reale” (studi osservazionali). Per i parametri relativi all’efficacia clinica sono stati considerati diversi esiti potenzialmente riconducibili all’influenza: influenza confermata in laboratorio, sindrome simil-influenzale (ILI), ospedalizzazione per patologie respiratorie, ospedalizzazione per ILI/influenza/polmonite, ospedalizzazione per eventi cardiovascolari acuti, ospedalizzazione per eventi cerebrovascolari acuti e mortalità per tutte le cause. L’influenza confermata in laboratorio è stata considerata come gold standard. Nel dominio di sicurezza abbiamo considerato gli eventi avversi sollecitati e quelli non sollecitati.
La ricerca sistematica è stata condotta tramite la modalità automatica visionando le seguenti banche dati: Ovid MEDLINE® ALL; Biological Abstracts; CAB Abstracts (incluso Global Health) ed è stata limitata al periodo “01/01/1990 - marzo 2019” e “01/01/2005 - marzo 2019” rispettivamente per MF59-TIV e QIVe. Tale scelta è stata determinata dal fatto che i primi studi clinici su MF59-TIV sono stati condotti all’inizio degli anni ’90, mentre il primo RCT condotto su QIVe si riferiva alla stagione 2007/08. La ricerca è stata successivamente aggiornata al 5/06/2019. Alla ricerca automatica è seguita una ricerca manuale.
Successivamente sono state condotte meta-analisi ove possibile/ragionevole. I modelli a effetti casuali sono stati scelti a priori. Nel caso in cui l’eterogeneità osservata era assente o particolarmente bassa, i modelli a effetti fissi sono stati riapplicati al fine di vedere se l’effetto pooled cambiava significativamente.
RISULTATI
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MF59-TIV
La ricerca automatica ha identificato 1.302 manoscritti e dopo il processo valutativo sono stati inclusi 50 manoscritti nell’analisi qualitativa e 42 in quella quantitativa (meta-analisi).
33 studi hanno riportato almeno una stima dell’immunogenicità assoluta. Per quanto riguarda l’immunogenicità verso ceppi simil-influenzali, nel 74-97% degli studi era superato il criterio europeo di SCR, nel 97–100% era superato il criterio europeo di SPR e nell’88–100% era superato il criterio europeo di MFI. Relativamente ai ceppi eterovarianti i più studiati appartengono al sottotipo A(H3N2). I tassi erano elevati: l’89% e il 97% degli studi riportavano rispettivamente SCR ≥ 30% e SPR ≥ 60%. MFI superava il valore soglia in tutti gli studi. Pochi studi riportavano dati sull’immunogenicità eterologa verso i ceppi appartenenti a A(H1N1) e B. Lo studio di Camilloni et al. 1 ha valutato l’immunogenicità cross-lineage (tipo B) di MF59-TIV; la risposta immune è stata rilevante verso i ceppi appartenenti a B/Yamagata nonostante la formulazione nella stagione 2003/04 contenesse un ceppo appartenente a B/Victoria.
L’immunogenicità relativa è stata valutata tramite l’analisi quantitativa dei soli RCT. I soggetti immunizzati con MF59-TIV avevano una probabilità significativamente superiore di raggiungere la sieroconversione rispetto ai soggetti immunizzati con vaccini non adiuvati del 17%, 21% e 28% rispettivamente per A(H1N1), A(H3N2) e B. Un risultato analogo è emerso dalla meta-analisi di SPR. I soggetti immunizzati con MF59-TIV mostravano una probabilità di avere valori di HI ≥1:40 significativamente più alta del 5%, del 5% e del 6% rispettivamente per A(H1N1), A(H3N2) e B. La meta-analisi relativa ai tassi di SCR verso ceppi A(H3N2) eterovarianti ha mostrato un RR = 1,35; ciò significa che i soggetti vaccinati con MF59-TIV avevano una probabilità superiore del 35% di sieroconvertire rispetto ai soggetti vaccinati con vaccini non adiuvati.
L’effectiveness di MF59-TIV nel prevenire l’influenza confermata in laboratorio era del 43% (stagione 2010/11) e del 72% (stagione 2011/12). La stima pooled ha prodotto un’effectiveness del 60,1% (IC 95%: -1,6-84,3%; P = 0,053).
La meta-analisi delle ospedalizzazioni per tutte le complicanze e per influenza e/o polmonite ha rivelato un’effectiveness di MF59-TIV del 62% (IC 95%: 42-75%) e del 51% (IC 95%: 39-61%), rispettivamente.
MF59-TIV è risultato significativamente più efficace sul campo rispetto a TIVe e QIVe, indipendentemente dall’outcome associato. Lo studio di Mannino et al. 3 ha dimostrato un vantaggio di MF59-TIV rispetto a TIVe del 25% nel prevenire le ospedalizzazioni dovute a influenza o polmonite.
Un recente e ampio studio statunitense (stagione 2017/18 con oltre 13 milioni di over65enni vaccinati) ha stabilito che MF59-TIV è significativamente più efficace del 3,9% rispetto a QIVe nel prevenire l’ospedalizzazione per influenza. Una stima analoga è emersa nel confronto tra MF59-TIV e TIVe (3,6%, P < 0,05) 4.
MF59-TIV è risultato statisticamente più reattogeno rispetto a TIVe per quel che riguarda gli eventi avversi locali (dolore, eritema e indurimento nel sito di iniezione). Nelle sorveglianze post-marketing nessun problema di sicurezza è stato rilevato.
QIVe
Relativamente ai QIVe la ricerca automatica ha permesso di individuare 444 manoscritti. Dopo il processo di selezione 56 studi sono stati inclusi nella valutazione qualitativa e 42 nella valutazione quantitativa.
Tutti gli studi hanno analizzato l’immunogenicità assoluta verso ceppi omologhi. Le valutazioni erano suddivise per fasce d’età. Nei bambini le stime pooled di SCR variavano tra il 49% e l’81% e quelle di SPR erano nel range 72-99%. Negli adulti la maggior parte degli studi soddisfaceva i criteri regolatori europei e americani. Le stime meta-analitiche di SCR (59,0-64,4%) e di SPR (97,2-98,7%) erano simili per tutti i quattro ceppi. Negli anziani la maggior parte degli studi soddisfaceva i criteri europei e americani. Il range tra le stime pooled era per SCR 41,5-55,4% e per SPR 91,0-94,7%. Per quanto riguarda l’immunogenicità relativa in tutte le fasce d’età QIVe non era inferiore a TIVe rispetto ai ceppi condivisi. Per i ceppi non condivisi, QIVe era sempre statisticamente superiore rispetto a TIVe indipendentemente dal lineage e parametro considerato.
L’efficacy di QIVe è stata valutata solo nei bambini, non sono disponibili studi di efficacia negli adulti e negli anziani. Le stime ottenute nei bambini erano buone/ottimali a seconda dell’outcome/metodologia considerati e variavano tra il 24% e il 100%. L’efficacy di QIVe era generalmente più alta nel prevenire l’influenza confermata di media/severa entità clinica rispetto a quella di qualsiasi entità.
Uno studio statunitense di effectiveness nei bambini (2015/16) riportò un’efficacia pari al 59%, 56%, 60%, 70% e 29% per qualsiasi tipo di influenza, A(H1N1)pdm09, B, B/Victoria e B/Yamagata 5.
Tutti i QIVe sono risultati sicuri e ben tollerati. La frequenza degli eventi avversi sollecitati variava nelle diverse classi di età. L’evento avverso locale più comune era il dolore nel sito di inoculo e tra gli eventi sistemici la mialgia e il malessere/affaticamento erano i più frequenti. Le sorveglianze post-marketing hanno registrato una percentuale di eventi avversi in seguito alla vaccinazione con QIVe molto simile a quella con TIVe.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La presente revisione sistematica e meta-analisi è la prima ad esaminare l’intero panorama dei vaccini antinfluenzali prodotti su uova attualmente disponibili in Italia.
Dalle nostre analisi risulta che:
nell’anziano MF59-TIV è altamente immunogeno; è significativamente più immunogeno rispetto alle formulazioni non adiuvate sia verso ceppi omologhi sia verso ceppi eterovarianti; è altamente efficace nella prevenzione dei diversi outcome riconducibili all’influenza (influenza confermata in laboratorio e le ospedalizzazioni per influenza e le sue complicanze); è generalmente più efficace sul campo rispetto alle formulazioni non adiuvate nel prevenire l’influenza confermata in laboratorio e altri outcome riconducibili all’influenza; è sicuro e può essere co-somministrato con i vaccini antipneumococcici raccomandati per l’anziano (PCV13 e PPV23);
i QIVe attualmente disponibili in Italia sono: altamente immunogeni nei bambini, adulti e anziani; non inferiori a TIVe per i ceppi in comune; superiori per il quarto ceppo B non condiviso; efficaci nella popolazione pediatrica; sicuri e co-somministrabili con i vaccini antipneumococcici (PCV13 e PPV23) e i vaccini contro HZ (sia vivo attenuato che adiuvato).
In conclusione si evidenzia l’importanza della vaccinazione con MF59-TIV nella popolazione anziana e con le formulazioni QIVe nelle popolazioni più giovani.
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Abstract
INTRODUZIONE
La produzione dei vaccini anti-influenzali rappresenta un processo lungo e complesso che inizia con la definizione, da parte del WHO, dei virus vaccinali candidati (VVC) e termina al momento della consegna del vaccino agli operatori sanitari. Attualmente, per i vaccini anti-influenzali vengono definiti due ceppi di virus A (H1N1 e H3N2) ed entrambe le due varianti del virus B (Victoria e/o Yamagata). La maggior parte dei vaccini anti-influenzali viene prodotta utilizzando le uova embrionate di pollo e i VVC, al fine di favorire una migliore replicazione, vengono combinati con un ceppo standard (i.e. A/PR8/34 or PR8-like). I VVC vengono quindi sottoposti a verifiche qualitative e, successivamente, viene valutata l’idoneità produttiva. Il virus vaccinale cresciuto nella cavità allantoidea delle uova embrionate, viene raccolto, inattivato e purificato per la conseguente produzione della preparazione vaccinale.
Il cambiamento del substrato replicativo induce il virus ad adattarsi, questo può pertanto dar luogo alla possibilità di induzione di alcune mutazioni con il risultato di dare origine a ceppi diversi rispetto a quelli di partenza (definite mutazioni eggs-adaptive) 1. Tali modifiche, se coinvolgono il cambiamento del sito di legame del recettore, potrebbero ridurre l’efficacia del vaccino stimolando una produzione anticorpale non protettiva 2. Il ceppo che ha presentato maggiormente, nel corso delle varie stagioni influenzali, tale cambiamento è l’H3N2 3.
Lo sviluppo di tecnologie alternative, quali i vaccini derivati dal Baculovirus e quelli coltivati su linee cellulari, risultano fondamentali al fine di poter evitare le mutazioni egg-adaptive. Per quanto riguarda le colture cellulari, in relazione alla suscettibilità all’infezione con i virus influenzali, sono state impiegate alcune linee cellulari, tra cui le Madin-Darby Canine Kidney (MDCK). Il loro utilizzo è stato approvato dall’ente regolatorio europeo nel 2007 e il WHO ha ratificato la possibilità del loro utilizzo anche per la produzione del VVC.
IL VACCINO QUADRIVALENTE CELLULARE
Il vaccino quadrivalente su coltura cellulare è stato autorizzato e commercializzato in America nel 2016, mentre in Italia la sua commercializzazione è prevista per la stagione influenzale 2019/2020.
Reattogenicità
In termini di sicurezza il vaccino QIVc è risultato essere ben tollerato sia negli adulti che nei bambini. Le reazioni attivamente raccolte sono presenti nel 62% dei soggetti adulti [circa 60% per il vaccino trivalente prodotto su uova (TIVe)] e nel 71% dei bambini (circa 65% per il vaccino TIVe). Le più comuni reazioni collaterali registrate sono state il dolore nella sede di inoculazione e il mal di testa (≥ 10% per tutti i vaccini). Risultati sovrapponibili (circa 40%) tra le formulazioni utilizzate si sono registrate negli anziani e la reazione avversa più comune è stata il dolore in sede di inoculo (circa 20%). La maggior parte degli eventi avversi sono stati lievi e di breve durata e le reazioni severe sono risultate rare (dolore persistente circa 0,1%). Gli studi che hanno valutato la raccolta degli eventi avversi in modo non attivo hanno registrato una percentuale di eventi paro a circa il 16% 4.
In termini di reattogenicità e di sicurezza il vaccino quadrivalente su coltura cellulare pertanto ha dato risultati sovrapponibili al vaccino tradizionale.
Immunogenicità
L’immunogenicità del QIVc è stata valutata in studi multicentrici confrontandolo con la formulazione trivalente. Tali studi, condotti su soggetti con età ≥ 4 anni, hanno dimostrato la non inferiorità della risposta anticorpale nei confronti dei tre ceppi presenti nel vaccino trivalente usato come confronto e la superiorità nei confronti del secondo lineaggio del virus B. In tutti gli studi sono stati ampiamente soddisfatti i criteri CHMP (per gli adulti il seroprotection rate deve essere ≥ 70%, il seroconversion rate ≥40% e il mean fold increase ≥ 2.5; i rispettivi limiti per gli anziani sono ≥ 60, ≥ 30% e ≥ 2.0) 4.
Efficacia vaccinale
Le evidenze di efficacia derivano prevalentemente da studi di real-world effettuati negli USA durante la stagione 2017/2018, caratterizzata dalla circolazione prevalente del virus H3N2 e dalla coincidente presenza del fenomeno egg adaptation. Gli studi (di coorte retrospettiva e caso-controllo) hanno dimostrato come le tipologie di vaccino sono efficaci nella prevenzione dell’influenza. Nello studio di Boikos et coll., che ha utilizzato fonti amministrative correnti ed effettuato in una coorte di età superiore ai 4 anni, i risultati hanno evidenziato come il QIVc sia stato del 36,2% (IC 95%: 26,1-44,9%) più efficace nel prevenire le ILI (Influenza like illness) rispetto al vaccino quadrivalente standard prodotto su uova (6). Una ulteriore analisi condotta dal Food and Drug Administration ha valutato l’efficacia delle strategie vaccinali nella popolazione anziana (> 64 anni) nel corso dell’ultima stagione influenzale. Lo studio ha confrontato l’efficacia relativa delle varie strategie vaccinali alternative al vaccino quadrivalente prodotto in modo convenzionale. Per quanto attiene il vaccino quadrivalente prodotto su culture cellulari ha dimostrato una efficacia relativa pari al 10,0% (95% CI 7,0-13,0) rispetto al quadrivalente tradizionale. Tali risultati indicano l’importanza della nuova tecnologia nel prevenire le mutazioni egg adaptive 7.
CONCLUSIONI
La vaccinazione rappresenta la miglior strategia per ridurre la mortalità e la morbidità associata all’infezione da influenza virus e il raggiungimento delle coperture vaccinali ottimali rappresenta la priorità in Sanità Pubblica. Il nuovo vaccino prodotto mediante l’utilizzo delle colture cellulari presenta i limiti dei vaccini antinfluenzali tradizionali ma sicuramente ha il vantaggio, rispetto alla coltivazione nelle uova, di evitare del rischio di mutazioni egg adaptive, particolarmente rilevanti per l’H3N2. Da considerare inoltre il miglioramento dell’efficienza produttiva, sia in termini virologici (replicazione virale) che in termini logistici (maggior velocità di produzione e di approvvigionamento). Tale metodica può costituire pertanto una importante piattaforma tecnologica per la produzione di vaccini nei confronti di una patologia sfuggente quale è l’influenza.
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Abstract
Ogni anno l’influenza stagionale rappresenta un problema di salute pubblica e le campagne di vaccinazione rappresentano la strategia più efficace per limitare la diffusione dell’influenza e il carico per il sistema sanitario. Per la stagione 2018/19, in Europa è stata autorizzata l’immissione in commercio quattro tipologie di vaccini antinfluenzali: i vaccini trivalenti non adiuvati prodotti su uova, il vaccino trivalente adiuvato con MF59®, i vaccini quadrivalenti non adiuvati prodotti su uova (QIVe) e i vaccini vivi attenuati. Dalla stagione 2019/20, in Italia sarà introdotto il vaccino quadrivalente prodotto su colture cellulari (QIVc) che sarà indicato per la prevenzione dell’influenza dai 9 anni di età. In questo lavoro ci proponiamo di eseguire un’analisi modellistica di costo-efficacia per valutare il profilo economico dell’introduzione del nuovo vaccino antinfluenzale QIVc in Italia.
Il risultato finale è stato espresso come il rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER - Incremental Cost-Effectiveness Ratio) espresso come EUR/QALY guadagnato, laddove EUR è Euro 2018 e QALY (Quality-Adjusted Life Years) sono gli anni di vita guadagnati e ponderati per la qualità. Tenendo conto che fino ad oggi non esiste un valore soglia della disponibilità a pagare (WTP - Willingness-To-Pay) della popolazione italiana, abbiamo assunto una soglia di 30,000 EUR/QALY guadagnato come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Lo studio è stato condotto sia dal punto di vista del Servizio Sanitario Nazionale (cioè della sanità pubblica) italiano (considerando solo i costi diretti) sia dal punto di vista della società (cioè considerando anche i costi indiretti dovuti alla perdita di produttività). Queste scelte sono conformi alle linee guida dell’OMS sulla valutazione economica della vaccinazione antinfluenzale.
Per stimare la costo-efficacia dell’introduzione del vaccino quadrivalente su coltura cellulare in Italia, è stato sviluppato un modello matematico che conta di tre parti. 1) La prima è un modello dinamico della trasmissione dell’influenza in grado di stimare il numero di infezioni di influenza per età. 2) La seconda, è un modello di “burden” dell’influenza base dell’output del modello di trasmissione e che viene utilizzato per stimare il numero di casi sintomatici, visite dal medico di medicina generale o pediatra di libera scelta (GP visits), ospedalizzazioni, casi complicati, e decessi. 3) Un modello economico che è stato sviluppato sulla base del modello di burden ed è utilizzato per stimare gli anni di vita ponderati per la qualità (QALY) e i costi associati in una stagione influenzale.
Il modello di trasmissione è stato calibrato sulla base di una dettagliata analisi della pandemia influenzale del 2009 in Italia e delle seguenti 7 stagioni influenzali. I modelli di burden ed economico tengono conto delle più recenti stime disponibili nella letteratura scientifica. Il modello finale è stato utilizzato per stimare l’impatto dell’influenza considerando il precedente piano vaccinale e considerando l’introduzione del vaccino quadrivalente su coltura cellulare. Confrontando questi due scenari è possibile stimare la costo-efficacia dell’introduzione del vaccino QIVc.
Per quel che riguarda l’efficacia del vaccine (VE - vaccine efficacy) QIVc rispetto a QIVe, è stato utilizzato un approccio conservativo in quanto è stato assunto che la sua VE relativa (rVE - relative Vaccine Effectiveness) vs QIVe è > 0% solo nei confronti del sottotipo A(H3N2). Nell’analisi primaria della valutazione della rVE di QIVc vs QIVe contro sindrome influenzale (ILI - influenza-like illness) è stato stimato in letteratura un incremento pari al 36,2% (p < 0,05) per il QIVc. La definizione alternativa di ILI considera solo i soggetti con ILI che hanno una probabilità > 75% ad essere positivi al virus (considerando il test di laboratorio appaiato). Visto l’importanza della stima della rVE nell’analisi di costo efficacia dell’introduzione di QIVc e l’incertezza nella sua stima, sono stati proposti degli scenari alternativi di rVE nell’intervallo 0-50%.
Il caso base analizzato con il modello prevede la rVE di QIVc vs QIVe nei confronti del sottotipo A(H3N2) del 36,2%, la probabilità che un soggetto infetto diventa sintomatico del 66,9% e la mortalità P&I (cioè decessi associati a pneumonia ed influenza).
Il modello stima che, nei prossimi anni, l’introduzione di QIVc in Italia potrebbe evitare da 80.000 a 190.000 episodi di influenza (sia sintomatica che asintomatica) a stagione con un particolare beneficio per le fasce d’età 0-17 e 65-74 anni. Il numero di GP visits evitate è stimato essere dell’ordine di 18.000-50.000, fra le 200 e 600 ospedalizzazioni evitate e 20-100 decessi evitati. Considerando uno scenario medio (cioè dove i costi, i parametri che definiscono il burden di influenza e il numero di infezioni sono considerati essere medi), otteniamo una stima del costo annuale dell’introduzione di QIVc pari a 1.3M EUR dalla prospettiva societaria e 9,3M EUR dalla prospettiva di sanità pubblica (che non considera i costi legati alla morte prematura a causa dell’influenza). I QALY guadagnati annuali sono stimati essere 1,218. Questo si traduce in un ICER pari a 1,088 dal punto di vista societario e 7,621 dal punto di vista della sanità pubblica. Per entrambe le prospettive, l’introduzione di QIVc risulta essere altamente costo-efficace rispetto alla soglia di 30.000 EUR/QALY utilizzata seguendo le raccomandazioni dell’OMS.
L’analisi multivariata probabilistica del modello ci permette di stimare la probabilità che l’introduzione di QIVc sia costo-efficace. I risultati del modello mostrano che l’introduzione di QIVc è costo-efficace in oltre il 99,9% dei casi (se si considera la soglia di 30.000 EUR/QALY). Il modello stima inoltre che, dal punto di vista della società, il programma di introduzione di QIVc’è sotto ad una soglia di 10.000 EUR/QALY in oltre il 90% dei casi, arrivando ad essere cost-saving in oltre il 40% dei casi. Dal punto di vista della sanità pubblica, queste due stime diventano rispettivamente 64% e 5%.
Tramite l’utilizzo del modello sono state condotte diverse analisi di sensitività sui parametri più importanti che regolano la costo-efficacia del programma di vaccinazione. In particolare, considerano lo scenario medio descritto sopra, se utilizziamo tutte le cause di mortalità anziché mortalità P&I, le stime dell’ICER diventano -3,679 EUR/QALY e 2,598 EUR/QALY dal punto di vista della società e della sanità pubblica, rispettivamente, supportando la costo-efficacia dell’introduzione di QIVc. Se consideriamo che i sintomi di influenza siano sviluppati da tutte le persone infettate dal virus, otteniamo un ICER di -1,775 EUR/QALY e 5,057 EUR/QALY dal puto di vista della società e della sanità pubblica, rispettivamente. Se invece assumiamo che i sintomi siano sviluppati solo dagli infetti che richiedono una GP visit, otteniamo un ICER pari a 7,774 EUR/QALY e 13,928 EUR/QALY dal puto di vista della società e della sanità pubblica, rispettivamente. Entrambi li scenari supportano la costo-efficacia dell’introduzione di QIVc. Abbiamo inoltre esplorato un ampio intervallo di valori di rVE (0-50%). Assumendo rVE = 20%, stimiamo che la probabilità che l’introduzione di QIVc sia costo-efficace sia di oltre il 95% dal punto di vista societario e di oltre il 90% dal punto di vista del SSN. Assumendo una rVE di soltanto il 10%, il modello stima che la probabilità che l’introduzione di QIVc sia costo-efficace nel 56% dei casi dal punto di vista della società e nel 43% dei casi dal punto di vista del SSN.
Va rimarcato che tutti i risultati presentati fino ad ora sono ottenuti considerando l’epidemiologia delle 7 stagioni influenzali dal 2010 al 2017. Rianalizzando ogni stagione singolarmente e stimando quale sarebbe potuta essere la costo-efficacia di una del tutto ipotetica introduzione di QIVc in ogni stagione, otteniamo che stime altamente variabili a seconda del grado di circolazione e trasmissibilità di H3N2 nelle singole stagioni. In particolare, l’introduzione di QIVc sarebbe stata svantaggiosa nelle stagioni 2010-2011, 2012-2013, e 2015-2016 che furono caratterizzate da una limitata/nulla circolazione di H3N2. D’altro canto, l’introduzione di QIVc sarebbe stato altamente costo-efficace nelle stagioni 2011-2012, 2013-2014, e 2014-2015 dove H3N2 ha circolato in concomitanza con altri ceppi influenzali e nella stagione 2016-2017 dove ha circolato quasi esclusivamente H3N2. Pertanto, l’analisi condotta suggerisce che non si può considerare una singola stagione per valutare la costo-efficacia dell’introduzione di QIVc in quanto il risultato dipende dal grado di circolazione e trasmissibilità di H3N2. D’altra parte, i risultati ottenuti mostrano chiaramente la costo-efficacia dell’introduzione di QIVc nella popolazione italiana nel medio periodo.
In conclusione, l’introduzione di QIVc in Italia nei soggetti di età 9-74 anni è un “good value for money”. L’efficacia maggiore di QIVc rispetto a QIVe nei confronti del sottotipo A(H3N2) è associata a una notevole protezione di gregge anche nei soggetti di età 0,5-8 anni e ≥ 75 anni dove rispettivamente QIVe e MF59-TIV sono utilizzati in maniera preferenziale. In breve, il presente modello suggerisce che l’introduzione di QIVc in Italia è consigliabile.
Abstract
Il 14 agosto 2018 alle ore 11.36 la città metropolitana di Genova si è fermata dal boato che ha accompagnato il crollo del ponte Morandi che ha travolto 43 vite umane e generato una ferita che si sta rimarginando molto lentamente.
Oltre alla perdita delle vite umane, ha comportato il venir meno di un’arteria di traffico di fondamentale importanza e strategicità per la viabilità cittadina e per il regolare svolgimento della vita quotidiana del Paese: dal settore dei trasporti, al commercio e al turismo.
Nell’immediato soccorso vi è stata la collaborazione tra Vigili del Fuoco, 118, ANPAS, Forze dell’Ordine e gli Ospedali territoriali hanno messo in atto procedure di emergenza ad hoc per fronteggiare un evento drammatico che anche i media di tutto il mondo hanno descritto minuto dopo minuto.
L’Ospedale Policlinico San Martino ha attivato il Piano di Emergenza Intraospedaliera Massiccio Afflusso di Feriti (Peimaf), ha attivato l’ Unità di Crisi dove si è raccolta la Direzione Strategica dell’Ospedale, ha riorganizzato e predisposto i posti letto, ha bloccato in servizio tutti gli operatori e potenziato il triage di Pronto Soccorso e ha allestito un punto di accoglienza psicologica e supporto psichiatrico per i parenti delle vittime, per i feriti e per gli sfollati: la struttura ha accolto la maggior parte dei feriti.
L’Ospedale Villa Scassi (Ospedale ASL) ha accolto e preso in carico 3 feriti, di cui 2 in gravissime condizioni e ha attivato un servizio di consulenza psicologica e psichiatrica specialistica e l’ Ente Ospedaliero Ospedali Galliera ha gestito un ferito grave e ha offerto disponibilità e professionalità nel gestire l’emergenza.
Molto importante è stata la consulenza psicologica e psichiatrica sia nei Pronto Soccorso che in loco con personale dedicato e specialistico per le persone colpite e soprattutto per una consulenza e un supporto ai numerosi sfollati. Persone che abitavano a ridosso del Ponte che hanno perso la casa, che hanno vissuto minuto per minuto il crollo o che sono stati coinvolti personalmente nell’evento.
In seguito all’emergenza, ALISA (Agenzia Sanitaria Regionale) ha predisposto dieci azioni per rispondere in modo efficace ai bisogni dei cittadini e per colmare le difficoltà logistiche e organizzative dei servizi sanitari di base.
Dal potenziamento del trasporto dei malati in urgenza (ustionati, infettivi, intossicati, etc) alla presa in carico dei pazienti dializzati, dei malati oncologici e cronici nel polo più vicino alla zona di residenza, indipendentemente dalla ASL di residenza e dall’ospedale di riferimento limitando gli spostamenti. L’attivazione di servizi pediatrici (dalla diagnostica per immagini a consulenze specialistiche) con operatori dell’IRCSS Gaslini e l’attivazione del Diar (Dipartimento Interaziendale Regionale) materno infantile per tutti i bisogni della prima infanzia e delle donne; il potenziamento dei servizi di cure domiciliari e integrazioni di attività infermieristiche, riabilitative, sociosanitarie, ostetriche e gestione domiciliare delle patologie croniche; la richiesta la disponibilità e collaborazione da parte delle farmacie per la gestione dei presidi e quindi una riduzione degli accessi “fisici” nelle strutture sanitarie. Numeri telefonici dedicati all’utenza e agli operatori per le informazioni riguardanti apertura di ambulatori e/o riorganizzazione degli ambulatori e infine la ricollocazione e la logistica del personale del Sistema Sanitario Regionale.
La ASL 3 Sistema Sanitario Regione Liguria, sulla base delle azioni proposte a livello regionale, ha riorganizzato le risorse spostando e ampliando i servizi verso i tre distretti socio-sanitari collegati dal Ponte Morandi per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza e la tutela della salute quale diritto costituzionalmente riconosciuto e attivando numeri di telefono dedicati per andare incontro alle domande e bisogni dell’utenza.
Nel Distretto Socio-Sanitario 10, zona della Valpolcevera, sede del ponte Morandi, la ASL ha predisposto:
l’apertura di un ambulatorio vaccinale, più disponibilità per il punto prelievi, gli ambulatori infermieristici e specialistici (angiologico, cardiologico, dermatologico e oculistico);
l’ampliamento dell’offerta per l’attivazione delle cure domiciliari;
una sede del servizio di screening del colon retto,uno sportello per il gioco d’azzardo e la salute mentale;
primo contatto per la presa in carico di prestazioni pediatrico e delle disabilità;
l’estensione del servizio di radiodiagnostica per i piccoli segmenti.
Nel Distretto Socio-Sanitario 9, a sud del Ponte Morandi, la ASL ha predisposto:
l’ampliamento dell’offerta per l’attivazione delle cure domiciliari;
il servizio di salute mentale;
una maggiore offerta di visite cardiologiche ambulatoriali per più sedi.
Nel Distretto Socio-Sanitario 8, a Ponente rispetto al Ponte Morandi, la ASL ha predisposto:
l’aumento dell’offerta vaccinale in più sedi;
una maggiore possibilità di visite specialistiche (ginecologiche) per più sedi;
una maggiore offerta di visite radiologiche ed ecologiche in più sedi con collaborazione di specialisti;
delle visite specialistiche eseguite da Dirigenti Medici Specialistici dell’ IRCCS Gaslini.
Oltre a quanto offerto per i cittadini e per garantire l’assistenza sanitaria di base, la ASL ha predisposto bandi di mobilità interna per i dipendenti in modo tale da agevolare gli spostamenti e la qualità di vita e garantendo benessere sul posto di lavoro.
Il lavoro coordinato delle Autorità Sanitarie e non, ha permesso di fronteggiare l’emergenza con una presa in carico del cittadino, del paziente e del lavoratore.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi venti anni in Italia abbiamo assistito a diversi episodi di emergenze causate da incidenti, catastrofi naturali come terremoti e inondazioni, ed epidemie.
Ognuno di questi eventi porta con sé, oltre ai danni materiali e alle persone nell’immediato, anche una conseguente emergenza sanitaria in quanto si creano situazioni critiche che possono incidere sulla salute umana, anche a distanza di tempo dal momento dell’evento.
In Italia, la protezione civile, occupa un posto di primaria importanza per la gestione ed il coordinamento dei primi soccorsi e nella organizzazione delle risorse e del personale 1.
Tale organizzazione porta ad una conseguente necessità di personale specializzato ed addestrato ad agire velocemente nelle situazioni più critiche. Tenendo però conto del fatto che il personale allertato è per la maggior parte volontario, deve essere chiaro che anche all’interno del sistema sanitario è necessario che i professionisti siano comunque formati e preparati ad affrontare situazioni critiche, e siano preparati a coordinarsi con le forze esterne chiamate in causa nella gestione.
Considerando la difficoltà nel prevedere la maggior parte di questi eventi, è evidente che ci debba essere a monte una preparazione più o meno specifica del personale e che si debba agire in ambito preventivo, anche con una fase di preparazione e di pianificazione della risposta del sistema sanitario durante e dopo l’emergenza.
Il tipo di rischio a cui si è esposti sappiamo essere o di natura antropica, se provocato dalle attività umane come incidenti alle attività industriali e agricole, trasporti, rifiuti, o di tipo naturale se provocato da eventi naturali.
Il rischio derivante dalle attività umane può essere di natura biologica (batteri, virus, pollini, animali), chimica (amianto, benzene, metalli pesanti, diossine), fisica (radiazioni UV, radiazioni ionizzanti, rumori, temperature troppo basse o troppo alte).
Per affrontare tali rischi la protezione civile organizza, sia a livello nazionale che europeo delle esercitazioni al fine di preparare le strutture ad intervenire durante tali crisi.
Nel 2003 la protezione civile ha pubblicato il documento sui “Criteri di massima sulla dotazione dei farmaci e dei dispositivi medici per un Posto medico avanzato”, e nel 2007 la direttiva «Procedure e modulistica del triage sanitario”, con cui si delineano le procedure per la suddivisione dei pazienti per gravità e priorità di trattamento nel caso di una calamità
E come si legge dal sito della protezione civile “(…) Nel 2011, considerando l’evoluzione del Servizio sanitario nazionale verso un’organizzazione regionale, vengono pubblicati gli Indirizzi operativi per definire le linee generali per l’attivazione dei Moduli sanitari regionali. Per sopperire alle richieste di assistenza sanitaria di cui necessita la popolazione dall’evento calamitoso fino al ripristino dei servizi sanitari ordinari, esce nel 2013 la direttiva che istituisce strutture sanitarie campali Pass - Posto di Assistenza Socio Sanitaria. L’ultima tappa è nel 2016 con la pubblicazione della direttiva che individua la Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario - Cross e i Referenti Sanitari Regionali in caso di emergenza nazionale” 2.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA
A questo punto, la domanda che dobbiamo porci è: Il personale dei servizi sanitari è effettivamente preparato ad agire nell’immediato e, cosa importante sotto molti punti di vista, è preparato alla continuità assistenziale derivante nel post-emergenza?
Anche a livello internazionale è possibile reperire nei data base, ricerche e studi qualitativi sulle reazioni del personale sanitario in situazioni di emergenza, alle conseguenze che gli operatori sanitari subiscono nel dover agire in determinate situazioni, anche per lungo tempo e infine alle competenze che devono essere possedute dal personale sanitario 3-6.
Osservando però il panorama formativo Italiano, ci si accorge che all’interno dei corsi di laurea sia triennale che specialistica, tale situazione non viene nemmeno accennata e tutto si rimanda a master di primo o di secondo livello relativi alle gestioni immediate dell’emergenza e dedicati esclusivamente a medici, infermieri e psicologi.
Quello che non si ritrova, invece, è una formazione anche solo di base generale, di tutti gli altri professionisti sanitari.
In particolare i professionisti dell’area della prevenzione devono interagire con gli altri operatori, sia nell’immediato e sia devono poter adattare l’erogazione dei servizi a situazioni fluide nel post emergenza, garantendo l’eccesso ai servizi sanitari, alle cure e all’assistenza anche nel momento in cui la prima emergenza è terminata ma si è in una fase di precarietà, come può per esempio succedere dopo un terremoto in cui le strutture non siano utilizzabili.
Concentrando l’attenzione sulle classi di laurea della prevenzione (Tecnici della Prevenzione dei luoghi di lavoro e dell’ambiente, e Assistenti Sanitari) ci si accorge che nei programmi dei corsi di laurea triennali, non sono presenti insegnamenti, moduli o contenuti che facciano riferimento al funzionamento e all’organizzazione dei servizi sanitari in emergenza, a linee guida che dovrebbero essere conosciute a livello di base in modo da non creare ulteriori problemi alla popolazione colpita o ai volontari che sono coinvolti e alla normativa relativa alle gestioni dell’emergenza e della post emergenza.
Inoltre, analizzando i percorsi formativi, sarebbe necessario avere una conoscenza generale della epidemiologia delle conseguenze delle emergenze, ma questa di solito è presente solo per quanto riguarda i rischi epidemici (influenza o altre malattie trasmissibili) mentre è meno presente quella relativa alle conseguenze sulla popolazione e sugli operatori derivanti dalle catastrofi naturali o industriali.
Si dovrebbe considerare che il rischio per la popolazione esposta non scompare con il termine dell’emergenza, ma si può protrarre nel tempo: basti pensare all’effetto di una inondazione sulle abitazioni, all’esposizione prolungata a polveri, alla necessità di vaccinazioni e controlli per periodi di tempo più o meno lunghi. A questo aggiungiamo il disagio per le persone che devono praticare terapie croniche (dialisi, chemio, immunoterapie ecc…), ai bambini, alle donne in gravidanza, agli anziani e ai disabili o alle persone con altre fragilità.
Da questo si capisce che, terminata la prima emergenza, che giustamente è gestita da personale addetto al soccorso e alla cura immediata, sarebbe necessario ri-organizzare un sistema di assistenza che sia in grado di agire al di fuori dei soliti schemi organizzativi e che sia composto da personale preparato anche a relazionarsi con una popolazione traumatizzata, in situazioni precarie e in ambienti non sempre perfettamente adatti allo scopo.
PROPOSTE
Seguendo l’esempio di altre nazioni, si dovrebbero studiare delle competenze di base, da aggiungere a quelle già presenti a livello curriculare, del personale addetto alla prevenzione come assistenti sanitari e tecnici della prevenzione. Tali competenze dovrebbero preparare i professionisti ad adattarsi velocemente all’organizzazione e alla gestione dei servizi sanitari in situazioni di post emergenza.
Nonostante siano già parte della maggior parte dei corsi di laurea, servirebbe aumentare le competenze comunicative e quelle relative alla leadership all’interno dei servizi per la popolazione. La comunicazione di salute infatti riveste un ruolo cruciale per gestire le situazioni critiche ed evitare che si creino situazioni di ulteriore rischio sia per le comunità colpite, sia per i professionisti e i volontari impegnati nelle attività di soccorso 7,8.
Il personale deve essere in grado di fornire risposte a bisogni assistenziali e no più o meno complessi. Basti pensare alle difficoltà di poter rientrare in una abitazione danneggiata da acqua e fango, alla difficoltà a districarsi nella burocrazia per l’accesso a rimborsi o interventi di assistenza economica per chi ha subito tali danni. La necessità di far riprendere a lavorare le attività commerciali come quelle legate alla ristorazione che richiedono permessi e controlli da parte delle ASL. La necessità dei controlli relativi alla dispersione di amianto e così via.
Inoltre considerando che tali professionisti sono per lo più incardinate nelle strutture dei dipartimenti di prevenzione, sarebbe importante studiare e approntare dei programmi di prevenzione, primaria, secondaria e terziaria da attivare ad hoc, oltre tutte le attività di promozione della salute rivolte non solo ai singoli ma soprattutto alle comunità colpite, affinché possano riprendersi nel più breve tempo possibile e diminuiscano gli effetti negativi legati all’evento.
Quindi cosa si può effettivamente fare in concreto? Le soluzioni possibili sono diverse ma tutte richiedono uno sforzo organizzativo da parte soprattutto delle università e delle aziende sanitarie.
Sarebbe necessario stilare un elenco di competenze specifiche per i professionisti dell’area della prevenzione, sia in emergenza che in post- emergenza. Integrare a livello curriculare nella formazione universitaria queste competenze, attivare dei percorsi specialistici (master di primo e/o secondo livello) appositi per le professioni della prevenzione per il management sanitario delle post emergenze, che possano affiancarsi a quelli di medici e infermieri, in modo da rendere il sistema adatto alle necessità della popolazione.
Inoltre, all’interno dei dipartimenti di prevenzione sarebbe necessario organizzare eventi formativi ad hoc legati alle tecniche di promozione della salute in post emergenza.
CONCLUSIONI
Nel futuro i professionisti sanitari della prevenzione saranno sempre più chiamati in prima persona nella gestione di situazioni critiche e appare chiaro che oggi più che mai è necessario che assumano il ruolo previsto nei profili professionali, ma per farlo nel modo migliore dobbiamo pensare alla loro formazione in modo sempre più incisivo e collegato alle necessità reali.
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Abstract
Different strategies are available to fight cancer, as related to the natural history of the disease and to its stage. Primary prevention aims at avoiding cancer initiation and promotion both by minimizing exposures to carcinogenic agents and by favouring the intake of protective factors either with the diet and/or with pharmacological agents. Secondary prevention involves the early detection of the disease either by diagnosing cancer in selected individuals at an early stage or by implementing programs of oncological screenings in broad population strata. When a neoplastic disease becomes clinically manifest, the most suitable therapeutic protocols are followed by tertiary prevention measures in the framework of the management of cancer patients. Such a strategy is designed in order to prevent local relapses, invasion of the blood and lymph streams by malignant cells and metastasis in distant organs.
All the above strategies have the common goal to decrease cancer mortality. However, such a goal is pursued via differentiated tools that are intrinsic in the nature of the intervention approach. Thus, reduction of cancer mortality by primary prevention, which is the only strategy addressed to healthy (or apparently healthy) individuals, is achieved by lowering the incidence of the disease. An objective of this type has already been shown to be feasible on a large scale either through risk assessment and risk management approaches (e.g., in the case of lung cancer) or through unintentional measures (e.g., in the case of gastric cancer, whose decline has been defined as an “unplanned triumph of medicine”). Obviously, the decrease in cancer incidence will also result in a decrease of cancer prevalence with years. On the other hand, both therapy and tertiary prevention will attenuate cancer mortality by decreasing its fatality thereby improving survival, which will also result in a greater cancer prevalence.
As to oncological screenings, in principle these interventions tend to increase cancer incidence because they are designed in order to detect a greater number of cancer cases at an early stage, when they are more easily curable. This results in a greater survival and in an increased prevalence of the disease. For instance, extensive gastroscopy campaigns have been carried out in the Japanese and Korean populations for the detection of so-called “early gastric cancer”, which resulted in an increase in the number of the diagnosed cases but also in a lower mortality and in a greater prevalence of gastric cancer. In some cases, an oncological screening may result in an excessive detection of cancer cases that, besides the risk of false positives, may involve the application of distressing treatments of cancer cases that would never have been detected during lifetime. This overdiagnosis problem has been emphasized several times regarding the elevations in PSA levels in the blood for the diagnosis of prostate cancer.
In the case of breast cancer, during the 2003-2018 period there was in Italy a slight trend for an increase in the incidence, accompanied by a slight decrease in mortality. As to colorectal cancer, mortality was relatively stable during the same period, whereas an increase in cancer incidence until 2006 was followed by a more evident trend to a decrease. In any case, the fluctuations of cases of cancers subjected to oncological screenings is not a rule, also because secondary prevention interventions are often coupled with primary prevention measures, such as improvement in lifestyle and hygienic conditions, control of sexually transmitted diseases, etc. In the case of uterine cervix carcinoma, primary prevention by vaccination is predicted to further lower both incidence and mortality for that cancer and other HPV-related cancers as well. In fact, HPV is responsible for the 100% of uterine cervix cancers, notwithstanding the fact that other factors, such as hormonal stimuli, oral contraceptives and cigarette smoking, may represent concausal factors. For the moment, taking into account that progression to invasive cervical cancer requires several decades, HPV vaccination has been shown to be successful in decreasing the incidence of HPV-related cervical intraepithelial neoplasias (CIN).
The cancers that in Italy are subjected to oncological screenings as basic health care levels or LEA (essential levels of assistance), including breast cancer, colorectal cancer and uterine cervix cancer, bear a great epidemiological relevance worldwide. According to Globocan data, breast cancer causes the 11.6% of all cancer cases (2,088,849 new cases in 2018), a figure that is almost equivalent to that of lung cancer. Colorectal cancer ranks 3rd, with the 10.2% of all diagnosed cancers (1,849 518 new cases in 2018). Uterine cervix cancer ranks 8th, with the 3.2% of all cancers (569,847 new cases in 2018). Thus, these 3 cancers represent the 25% of all cancers worldwide.
According to AIOM/AIRTUM estimates, the same cancers represent collectively an even greater proportion of all incident cancers in Italy (28.6% of the estimated 373,000 new cases of all cancers). In particular, breast cancer represented in 2018 the 14.2% of all cancer cases (52,800 new cases), colorectal cancer the 13.8% of all diagnosed cancers (51 300 new cases), and uterine cervix cancer the 0.6% of all cancers (2 400 new cases). For the incidence period 2005-2009, survival after 5 years was 87%, 65% and 68%, respectively. The numbers of deaths in 2015 (ISTAT data) were 12 381, 18 935 and 435, respectively, which accounted for a total of 31 751 annual deaths, i.e., the 17.8% of the 178,232 deaths for all cancers in Italy. The high incidence of breast cancer and colorectal cancer, associated with a more than average survival, justifies the high prevalence of these cancers in the population. In fact, there are as many as 799 198 women who are still alive in 2018 after diagnosis of breast cancer, 470 697 people who are still alive after diagnosis of colorectal cancer, and 56,063 women who are still alive after diagnosis of uterine cervix cancer. Therefore, there is a huge number of people (1,326,000 individuals) who are surviving after the diagnosis of these 3 cancers in Italy.
These data provide evidence for the outstanding epidemiological importance of those cancers that are subjected to LEA measures in Italy. The strikingly lower incidence of uterine cervix cancer in Italy, as compared with the world situation, is a demonstration of the efficiency of cancer preventive measures.
Abstract
Come è noto un programma di screening non è l’esecuzione di un test ma piuttosto un percorso programmato e organizzato che si sviluppa dalla lettera di invito all’eventuale positività del test, e nel caso all’approfondimento diagnostico al trattamento chirurgico e alla sorveglianza successiva.
Questo percorso ha creato la necessità di un flusso informativo molto dettagliato : nel caso dei programmi di screening è stato creato ad hoc e permette il calcolo di numerosi indicatori di valutazione delle varie fasi del processo. Questi indicatori sono stati dettagliatamente definiti, sia nelle fonti necessarie sia nella modalità di calcolo. Inoltre sono stati individuati degli standard di riferimento (vedi i documenti ricavabili dal sito dell’ONS o del GISMA o del GISCOR).
Con questo tipo di indicatori siamo in grado di monitorare la qualità del processo che viene effettuata sia nel confronto con gli standard sia in una logica di benchmarking. Siamo in grado cioè di identificare le situazioni outlier (in bene e in male) nel confronto fra Regioni e all’interno della Regione. Questo flusso informativo subisce degli stringenti controlli logico formali ed epidemiologici La survey viene analizzata da parte dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS) sia livello regionale sia quantitativamente che qualitativamente r in questa nuova forma ritorna alle singole Regioni.
In alcuni casi (tasso dei cancri di intervallo, tasso di stadi precoci allo round successivo ecc.) siamo in grado di creare degli indicatori precoci o indicatori surrogato dell’impatto. Se però vogliamo misurare l’impatto dello screening sulla popolazione bersaglio non possiamo limitarci alla popolazione che si sottopone al test ma dobbiamo verificare l’impatto sull’intera popolazione target che dovrebbe essere stata tutta invitata allo screening.
Per fare questo è necessaria un’altra fonti informativa esterna al flusso screening che sono i vari flussi correnti (Schede di dimissioni ospedaliere, i flussi di Anatomia Patologica i certificati di morte) ma soprattutto il Registro Tumori. Per questo si è creato nel tempo un lavoro comune fra ONS e Associazione dei Registri Tumore (AIRTUM). In realtà l’interesse era reciproco in quanto almeno per le patologie oggetto di programma di screening non è possibile comprendere l’impatto senza l’ausilio del Registro Tumori ma al contempo non è possibile spiegare gli andamenti epidemiologici di alcune sedi tumorali senza prendere in considerazione l’attività dei programmi di screening. In altre parole :
ogni valutazione dell’andamento di una patologia oncologica deve tener conto dei mutamenti dell’attività diagnostica (dalla sua capacità di anticipazione e della sua frequenza);
ogni confronto fra due gruppi o aree dovrebbe essere standardizzato per attività diagnostica.
A questo punto è utile introdurre alcune note di metodo: nel mondo clinico vale il paradigma che la prova cruciale per valutare l’evidenza di efficacia (nel caso degli screening oncologici la riduzione dell’incidenza e/o della mortalità causa specifica) sia il trial clinico Randomizzato. Ma nel campo dei programmi di screening i trials randomizzati (o le tecniche di quasi randomization) sono sempre il metodo migliore per studiare l’impatto di una nuova procedura diagnostica? Studi Osservazionali ben condotti possono aggiungere informazioni fondamentali? Io credo che i trials randomizzati rimangono un metodo decisivo per studiare l’effetto sulla storia biologica della malattia. Ma quando si vogliono studiare gli effetti su popolazioni reali alcune variabili di contesto non randomizzabili assumono una importanza fondamentale. Prendiamo per esempio la partecipazione a un programma di screening ; Questa dipenderà anche da alcuni fattori circostanziali (l’informazione generalista l’atteggiamento della comunità sanitaria etc) fattori che non possono essere randomizzati. Un trial randomizzato per le sue rigide procedure crea un mondo un po’ segregato. Invece un programma di sanità pubblica per la sua riuscita ha bisogno di poter sviluppare tutte le possibili interazioni
Un approccio valutativo di tipo osservazionale ha bisogno di individuare la migliore popolazione confrontabile (non essendo possibile la randomizzazione). Si possono ipotizzare questi confronti:
confronto prima dell’intervento vs dopo l’intervento nella stessa popolazione;
confronto fra aree geografiche simili (ma variabili rispetto all’intensità dell’intervento );
confronto fra popolazioni partecipanti e popolazioni non partecipanti al programma di screening.
Ovviamente questi confronti pongono dei problemi di possibili distorsioni tipo:
problemi di comparabilità temporali;
problemi di comparabilità di popolazioni;
problemi di comparabilità geografica.
Questa collaborazione fra ONS e AIRTUM ha dato luogo a una vasta produzione scientifica di valutazione dell’impatto degli screening sulla popolazione elegibile in Italia.
Ricorderemo solo alcune delle pubblicazioni dividendole per tipologia di screening.
Nel campo dello screening mammografico è stata valutata:
riduzione di mortalità specifica;
l’over-diagnosi indotta dal programma di screening.
Di particolare interesse sono state le valutazioni condotte in Veneto dove lo screening era partito in diversi periodi temporali. In tal modo si è potuto valutare anche l’effetto migliorativo dei programmi organizzati rispetto a aree dove l’attività precoce spontanea era molto diffusa e svolta in centri di alta specializzazione 3.
Nel campo dello screening colorettale è stata valutata:
La valutazione dell’impatto degli screening cervicali si è rilevata particolarmente complessa in quanto bisognava valutare cosa aggiunge un programma organizzato rispetto a una pratica spontanea diffusa da molti anni. Con complessi metodi statistici che hanno studiato i lag temporali fra inizio del programma e andamento dell’incidenza siamo riusciti a evidenziare come i programmi organizzati sono risusciti ad accentuare il trend discendente di incidenza del cervico-carcinoma 7.
In conclusione l’esperienza della valutazione dei programmi di screening ha evidenziato:
necessità di tenere in considerazione l’attività diagnostica per la valutazione dell’occorrenza della patologia oncologica;
importante la valutazione di impatto dei programmi di sanità pubblica.
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Abstract
INTRODUZIONE
Il modello organizzativo degli screening oncologici dell’Azienda USL di Bologna è un sistema ben strutturato, in cui l’estensione della popolazione invitata ad eseguire i test si attesta intorno al 95%, con periodiche criticità rilevate nell’ambito dello screening mammografico; l’adesione ai tre test di screening, invece, si rivela meno virtuosa rispetto alla Regione Emilia Romagna, in particolare per lo screening del tumore della cervice uterina.
In questo contesto, i progetti volti al miglioramento dell’adesione dovrebbero coinvolgere più aspetti del rapporto struttura-cittadino, con l’obiettivo di accrescere la fiducia e la fidelizzazione nel programma. Rimangono, infatti, ampi spazi d’intervento per quanto riguarda la partecipazione di quelle fasce di popolazione che, per specifiche condizioni di fragilità sociale o di salute, hanno una scarsa percezione dell’importanza della prevenzione. Con l’obiettivo di raggiungere adeguatamente queste persone è, quindi, necessario progettare interventi specifici volti ad agire sui determinanti della salute, con adeguata attenzione rivolta alle problematiche di comunicazione; pertanto, si è ritenuto interessante mostrare le strategie di miglioramento messe in atto dal programma di screening dell’Azienda USL di Bologna.
MATERIALI E METODI
Dal 2015 ad oggi, la metodologia adottata ha previsto occasioni di incontro con cittadini, associazioni e operatori e momenti di valutazione della qualità percepita, attraverso la somministrazione di questionari rivolti agli utenti o l’analisi di segnalazioni pervenute all’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP); sono stati, inoltre, svolti percorsi di certificazione del PDTA mammella (CERMET) e della Breast Unit (European Society of Breast Cancer Specialists - EUSOMA). Tali azioni hanno individuato delle criticità e dato seguito ad interventi orientati al miglioramento di accessibilità, appropriatezza ed equità, caratteristiche che contribuiscono all’aumento della fiducia da parte del cittadino.
Relativamente all’accessibilità è emerso che numerose donne avevano difficoltà nel contattare il numero verde; è stato perciò creato il portale on line per lo screening mammografico che consente alla donna di modificare in autonomia luogo, data e ora dell’appuntamento; per lo screening della cervice l’accesso ai consultori è stato differenziato prevedendo alcune sedi a libero accesso ed altre con appuntamento; si sta sperimentando, inoltre, l’offerta congiunta della vaccinazione HPV e l’effettuazione del pap test di screening alle 25 enni. Per quanto riguarda, invece, lo screening del colon retto, in seguito alla valutazione della copertura dei punti di consegna del kit del sangue occulto fecale (FIT), si è deciso di incrementarne il numero nelle zone scoperte; la garanzia del rispetto dei tempi di chiamata a II livello (colonscopia), che influenza in maniera importante l’abbandono del percorso, è stata ottenuta tramite l’istituzione di una Colon Unit; inoltre, è stato sottoposto un questionario agli utenti che avevano ritirato il kit per l’esecuzione del FIT senza eseguirlo al fine di indagare i motivi di mancata adesione e sollecitare la partecipazione. Infine, è stata garantita la possibilità di esecuzione dei test di screening nella popolazione detenuta.
Per implementare l’appropriatezza, si è tentato di limitare i rischi di sovra o sottoutilizzo delle indagini costruendo report specifici per i medici di medicina generale riguardo la copertura in screening/extra screening dei loro assistiti e applicando le indicazioni regionali.
Per garantire equità, infine, è stato messo in atto un percorso di Health Equity Audit (HEA) sia sul PDTA della mammella, il quale in seguito al focus sulle caratteristiche socio-demografiche delle donne mai aderenti ha portato al mantenimento del mezzo mobile per garantire l’adeguata copertura del territorio, che sul PDTA del colon retto, che ha evidenziato una scarsa adesione negli uomini e nei cittadini stranieri, per cui sono stati implementati incontri di sensibilizzazione e informazione rivolti alla popolazione immigrata e sono stati distribuiti opuscoli in lingue diverse per incentivarla alla partecipazione. Sono stati infine elaborati ed offerti attivamente altri tipi di opuscoli informativi rivolti alle donne con neoplasie al seno, che illustrano il percorso di diagnosi e cura e che descrivono i diritti delle donne operate.
RISULTATI
In seguito alle azioni di miglioramento partite nel 2015, si attesta un trend in crescita dell’adesione ai test di screening. Relativamente allo screening dei tumori della cervice uterina, nel 2019 è stata raggiunta un’adesione del 50%, con un miglioramento del 7% rispetto al 2015, equivalente a 8.000 test di screening eseguiti in più all’anno (43%); nel 2019 l’adesione allo screening dei tumori del colon retto è stata del 54,5%, rispetto al 49% del 2015, si mantiene stabile con percentuali attorno al 68% l’adesione allo screening mammografico. Per quanto riguarda la progressione corretta delle chiamate allo screening mammografico delle donne tra i 50 ed i 69 anni, infine, si è verificato un incremento di quasi il 9%, passando dal 90% nel 2015 al 98,5% nel 2019, con il recupero di circa 26.000 donne mai aderenti che non erano state invitate negli ultimi 2 anni circa. In risposta al questionario per indagare i motivi di mancata adesione allo screening del colon retto, il 21,5% afferma di non aver eseguito il test per dimenticanza ed il 17,2% per pigrizia. Inoltre, solo l’11,8% dei 93 partecipanti ha eseguito il test in seguito al contatto telefonico, di questi, il 90,9% era di sesso femminile e la maggior parte (54,6%) provenivano dal distretto di Bologna città. Inoltre, solo il 15,9% degli utenti che avevano accettato di ricevere nuovamente l’invito ha poi eseguito il test.
CONCLUSIONI
Alla luce dei risultati ottenuti si ritiene utile agire su due livelli: organizzativo, mirato a rendere il percorso più snello, accessibile e tempestivo, e comunicativo, specifico per gruppi di popolazione. Incidere sui determinanti della salute pubblica richiede tempi lunghi e azioni coordinate a vari livelli; si ribadisce, pertanto, la necessità di indagare la qualità percepita dei servizi per capire le barriere organizzative all’adesione, e di intraprendere azioni di miglioramento per garantire equità di assistenza alla popolazione. Sono in corso ulteriori valutazioni riguardo interventi migliorativi iniziati di recente, come l’introduzione del “sollecitone” per lo screening della cervice, un secondo sollecito a 3 anni dal primo e che sarà valutato ad un anno dall’introduzione.
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Abstract
Il Nuovo Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale PNPV 2017-2019, sottolinea l’importanza di sviluppare una rete organizzativa in grado di rafforzare l’attività vaccinale gratuita e obbligatoria o raccomandata, per raggiungere gli obiettivi indicati dal Ministero della Salute.
Inoltre la Legge 31 luglio 2017, n. 119, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, rende cogenti gli aspetti della raccolta dati sulla situazione vaccinale degli operatori scolastici, sanitari e socio-sanitari.
L’implementazione dei Servizi vaccinali passa anche dall’introduzione di nuove modalità di offerta, con modalità e in luoghi sempre più adatti a promuovere e attuare la prevenzione immunologica.
Un luogo nel quale possiamo trovare più categorie di soggetti a rischio, e quindi per i quali è prioritaria una protezione vaccinale adeguata è l’Ospedale.
Un ambulatorio vaccinale Ospedaliero può intercettare in modo efficace operatori sanitari, pazienti/utenti e visitatori, anche in un’ottica di Medicina di opportunità e di iniziativa.
L’IDEA È DI POTER ACCREDITARE IL PRESIDIO OSPEDALIERO COME: “OSPEDALE CHE VACCINA”
Il primo progetto denominato “Ospivax” (inaugurato il 23 gennaio 2018) si è concretizzato nell’attivazione di un Ambulatorio Vaccinale all’interno del P.O. Villa Scassi della ASL3 (Genovese) Sistema Sanitario Regione Liguria, con accesso diretto martedì e mercoledì dalle 15.00 alle 17.00 rivolto:
agli Operatori Sanitari;
ai Pazienti (in particolare fragili);
ai contatti dei Pazienti (per protezione “Cocoon”).
Gli operatori dell’ambulatorio vaccinale “Ospivax” svolgono attività informativa e di consulenza sulle vaccinazioni raccomandate per i vari settings operativi, e pianificano (di concerto con il Medico Competente) giornate vaccinali nelle SS.CC. del Presidio Ospedaliero, possono ricevere richieste puntuali di protezione immunologica per singoli pazienti ricoverati o afferenti agli ambulatori, offrono inoltre alcune ore di accesso libero all’ambulatorio vaccinale per chiunque all’interno dell’Ospedale desideri informazioni o vaccinazioni specifiche.
La presenza dell’ambulatorio Ospivax, unitamente all’offerta di “pacchetti” personalizzati di prenotazioni vaccinali per i nuovi nati (i primi 4 appuntamenti vaccinali), presso la sede più consona ai bisogni della famiglia, e congiuntamente con la presenza di un ambulatorio (presso la Neonatologia) per Vaccinazioni in ambiente protetto, si configura come un offerta di promozione vaccinale estesa, in grado di raggiungere dove sono già, target specifici di popolazione da vaccinare.
La metodologia applicata deriva da un’integrazione di diverse esperienze e raccomandazioni per i rispettivi target obiettivi del Progetto Ospivax:
-
per gli Operatori Sanitari:
“HproImmune - Promozione dell’immunizzazione degli operatori sanitari in Europa” - Programma di Sanità Pubblica della DG SANCO 2008-2013 - Pianificare un intervento di vaccinazione in ambito ospedaliero,
-
la Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari
SIMPIOS, SITI, SIMLII, SIMET, SIP, FIMP, FIMMG
2017;
-
per i Pazienti:
Piano Nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 - Raccomandazioni di sinergie Ospedale-Territorio,
Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018 - Raccomandazioni di sinergie Ospedale-Territorio,
Vondracek TG, Pham TP, Huycke MM. A hospital-based pharmacy intervention program for pneumococcal vaccination. Arch Intern Med 1998;158:1543-7. doi:10.1001/archinte.158.14.1543;
-
per i contatti dei Pazienti:
vaccinazioni raccomandate per le donne in età fertile e in gravidanza - Ministero dela Salute Circ. 7/8/18,
Tozzi AE, Vitali Rosati G, Ciarrocchi G. Riduzione del rischio di pertosse nel neonate mediante la vaccinazione: la strategia cocoon in Italia. RIAP 2012;2(Suppl 3):1-14,
Munoz F, Englund J. Infant pertussis: is cocooning the answer? Clin Infect Dis 2011;53:893-6,
Cuccia M. La necessità di continuità vaccinale per la protezione dalla pertosse: il contagio dall’adolescente/adulto al neonato. J Prev Med Hyg 2004;45(Suppl 1):8-10.
I risultati incoraggianti di questa prima esperienza (progetto selezionato tra le 64 Buone pratiche Nazionali alla 1° Convention del Management della Sanità italiana - FIASO, Roma 2018) costituiscono le basi di un Programma di implementazione su scala nazionale, con la finalità di diffondere quanto più possibile la cultura vaccinale in ambito nosocomiale e i benefici che essa può portare a operatori sanitari e cittadini.
La semplificazione dell’accesso alla protezione vaccinale, con il raggiungimento di particolari popolazioni a rischio, quali operatori sanitari e pazienti, nel luogo in cui frequentemente si trovano è un’applicazione del principio di Medicina di opportunità. L’offerta vaccinale attraverso il Progetto Ospivax ha posto le basi di un percorso di Cultura vaccinale, anche nei luoghi di cura.
PROGRAMMA RETE NAZIONALE OSPIVAX
Obiettivo generale
Attivare Ambulatori Vaccinali universali all’interno di Aziende/Presidi/Stabilimenti Ospedalieri, rivolti agli operatori sanitari, ai pazienti/utenti (in particolare i soggetti fragili), ai contatti dei pazienti, nell’ambito di una rete di sviluppo nazionale per la diffusione della cultura vaccinale.
Obiettivi specifici
composizione di un Gruppo di Referenti Nazionali per l’attività di coordinamento progettuale;
realizzazione di una piattaforma informatica specifica di supporto allo sviluppo del programma;
attivazione di almeno 3 ambulatori Ospivax in ambito nazionale nel 2019;
realizzazione di Linee Guida alla realizzazione di ambulatori vaccinali ospedalieri.
Step attuativi
1 step: composizione del gruppo di Coordinamento Progettuale e condivisione del programma strategico, degli obiettivi, delle metodologie e di una piattaforma informatica di riferiment;
2 step: stesura dei documenti operativi, linee Guida, protocolli operativi, booster kit/tools kit di supporto, locandine/poster/spille;
3 step: presentazione del Programma Ospivax ai vari stakeholder (istituzioni, organismi del S.S.N., società scientifiche di riferimento, organizzazioni sociali) e attività di informazione-promozione mediatica;
4 step: consolidamento delle risorse coagulate intorno al Progetto, verifica delle progettualità realizzate, diffusione dei primi risultati nell’ambito di un evento/spazio specifico Congressuale dedicato.
ATTIVAZIONE DI UN AMBULATORIO OSPIVAX
Obiettivo specifico
Attivare un Ambulatorio Vaccinale universale (Ospivax) all’interno della struttura Ospedaliera identificata e con i pre-requisiti necessari, rivolto agli operatori sanitari, i pazienti/utenti (in particolare i soggetti fragili), i contatti dei pazienti.
PRINCIPALI BENEFICI DERIVANTI DALL’ATTIVAZIONE DI UN AMBULATORIO OSPIVAX
In base ai principi della Medicina d’iniziativa e di opportunità:
disponibilità vaccinale per i nuovi nati afferenti al Presidio Ospedaliero durante accertamenti-controlli di routine;
facilitazione dell’offerta vaccinale riservata agli operatori sanitari ospedalieri;
facilitazione dell’offerta vaccinale per pazienti/utenti che si recano negli ospedali;
promozione dell’offerta vaccinale per contatti/visitatori dei pazienti (metodologia “Cocoon”).
RESPONSABILITÀ ORGANIZZATIVA, RETE DI COLLABORAZIONI E SINERGIE INTRA-AZIENDALI LOCALI
-
responsabilità organizzativa:
Direzione Sanitaria Aziendale,
Dipartimento di Prevenzione - S.C. Igiene e Sanità Pubblica,
Direzione Sanitaria di Presidio Ospedaliero;
Collaborazione con Medici Competenti Servizio Medicina Preventiva.
PRE-REQUISITI DELLA STRUTTURA OSPEDALIERA NECESSARI ALL’ATTIVAZIONE DI UN AMBULATORIO OSPIVAX
-
struttura ospedaliera pubblica:
Azienda Ospedaliera – Ist. Carattere Scientifico,
Presidio o Stabilimento Ospedaliero ASL;
posti letto totali (deg. ordinaria - day hospital - riabilitazione) > 200;
disponibilità di un ambulatorio dedicato.
RISORSE PROFESSIONALI-STRUTTURALI-TECNICHE MINIME
medico referente di seduta vaccinale;
2 Assistenti Sanitari, specificamente dedicati all’attività vaccinale;
1 Ambulatorio attrezzato per la pratica vaccinale (work station - anagrafe vaccinale - lettino - frigorifero medicale).
PRINCIPALI MACRO ATTIVITÀ
gestione ambulatorio vaccinale ospedaliero;
promozione della profilassi vaccinale verso operatori sanitari, utenti, pazienti, familiari e contatti dei pazienti;
collaborazione con il medico competente in merito a coperture vaccinali negli operatori sanitari;
formazione/informazione specifica in tema di vaccinazioni ad operatori sanitari, gruppi di utenti, gruppi di pazienti e relativi contatti;
valutazione vaccine confidence in ambiente ospedaliero.
Bibliografia di riferimento
- D.G.R. n.981 del 19.7.2013. [Google Scholar]
- D.L. n. 81 del 2008. [Google Scholar]
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- Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019. [Google Scholar]
- Piano Regionale Prevenzione Vaccinale. [Google Scholar]
Abstract
Le vaccinazioni nell’infanzia possono contare su un’ampia offerta da parte sia dei servizi ambulatoriali attivati presso tutte le ASL che, in Toscana, da parte dei Pediatri di Libera Scelta (PLS) che sempre più attivamente partecipano ai programmi vaccinali sia a livello di singola ASL che regionali.
Grazie all’applicazione del nuovo Calendario Vaccinale per la Vita (4° edizione), al Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 e alla recente Legge 119 e successive integrazioni sull’obbligatorietà vaccinale nella fascia di età da 0 a 16 anni, le coperture vaccinali nell’infanzia e nell’adolescenza stanno progressivamente aumentando con un’inversione della tendenza a diminuire che si era registrata negli ultimi anni.
Molto più carente è l’offerta di servizi vaccinali per gli adulti e per gli anziani. Le problematiche sanitarie che ne derivano non sono trascurabili perché l’incidenza negli adulti e negli anziani di patologie infettive prevenibili con vaccino (tetano, influenza, polmonite pneumococcica, epatite A, morbillo, varicella, meningite di tipo C) è ancora elevata.
In questo panorama gli oltre 200 ambulatori di Medicina dei Viaggiatori, attivi in tutte le ASL italiane, possono rappresentare, se opportunamente potenziati e integrati nella rete dei servizi vaccinali, una concreta opportunità per offrire non solo una protezione contro i vari rischi infettivi correlati ai viaggi, ma anche l’occasione per poter effettuare un check-up vaccinale, controllando l’eventuale necessità di richiami delle vaccinazioni di routine o di nuovi cicli vaccinali.
Il PNPV 2017-19 contiene tra gli altri alcuni obiettivi per la cui realizzazione è indispensabile l’integrazione tra sistema vaccinale e Medicina dei Viaggiatori, tra questi ricordiamo:
mantenere lo stato polio-free del nostro paese;
raggiungere lo stato morbillo- e rosolia congenita-free;
garantire l’offerta attiva e gratuita alle popolazioni a rischio (viaggiatori, malati cronici ecc.);
contrastare le disuguaglianze promuovendo interventi vaccinali nelle popolazioni marginalizzate o particolarmente vulnerabili (tra le quali i Visiting Friends and Relatives-VFR);
aumentare l’adesione consapevole alle vaccinazioni nella popolazione generale.
In particolare la 4° edizione del Calendario Vaccinale per la Vita prevede per gli adulti le seguenti vaccinazioni:
Difterite-Tetano-Pertosse ogni 10 anni;
Morbillo-Parotite-Rosolia-Varicella;
Meningococco A, C, W, Y;
Meningococco B;
Pneumococco;
Papilloma virus;
Influenza;
Herpes Zoster (>50 anni);
Epatite A (indicazioni per aree geografiche ad elevata endemia).
Le vaccinazioni specifiche per il viaggiatore andranno poi scelte considerando le vaccinazioni di routine e quelle raccomandate/obbligatorie in rapporto all’area di destinazione, alla tipologia e alla durata del soggiorno. Tra queste ricordiamo:
Febbre gialla;
Febbre tifoide;
Colera;
Rabbia;
Encefalite giapponese;
Encefalite da zecche.
L’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori deve essere quindi visto ed utilizzato come punto di riferimento per tutte le vaccinazioni degli adulti; in particolare è necessario creare una fitta rete di collaborazioni in cui l’utente sia al centro di tale servizio. Arrivare al cittadino/viaggiatore è l’obiettivo della Medicina dei Viaggiatori, avvalendosi non soltanto di metodologie e strumenti provenienti da altri settori, ma cercando di coinvolgere tutti i soggetti che a vario titolo svolgono un ruolo nella gestione del viaggiatore, sia medici (inclusi infettivologi, MMG, PLS, medici del lavoro, e specialisti competenti), sia farmacisti e membri dell’industria dei viaggi (agenti di viaggio, compagnie assicurative e tour operator). È dunque fondamentale permettere la collaborazione tra i vari possibili partner dell’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori.
A tal fine risulta necessario:
aumentare le iniziative volte alla formazione di tutto il personale sanitario sulle vaccinazioni per gli adulti e sulla Medicina dei Viaggiatori;
innovare l’organizzazione, aprendo gli ambulatori in orari adatti ad una utenza adulta e di lavoratori (accesso libero, in orario pomeridiano o anche prefestivo);
dotare gli ambulatori di tutti i vaccini di routine;
rendere possibile l’accesso ad un’anagrafe vaccinale condivisa da altre figure professionali (MMG, PLS, medici competenti, medici specialisti).
ricercare alleanze con gli stakeholder (MMG, medici competenti, farmacisti, operatori turistici) ma anche con gli specialisti.
CONCLUSIONI
Per poter rispondere alla carenza di offerta vaccinale nei confronti delle fasce di età più adulte l’ambulatorio per la Medicina dei Viaggiatori, attivo in tutte le Asl, può rappresentare un primo importante punto di riferimento.
Un concreto passo per creare, in ogni ASL, una rete integrata di servizi vaccinali, non solo per l’infanzia, che può rappresentare un valido contributo per aumentare le coperture vaccinali nelle fasce di età nelle quali si manifesta il maggior numero di patologie infettive prevenibili con vaccino.
Bibliografia di riferimento
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Abstract
I vaccini hanno lo scopo di indurre l’immunizzazione attiva nei confronti degli antigeni in essi contenuti. Una reazione avversa è invece un effetto indesiderato che si manifesta dopo una vaccinazione.
Tutti i vaccini possono provocare delle reazioni avverse, le quali possono essere classificate in tre grandi categorie: locali, sistemiche e di tipo allergico. Le reazioni locali sono quelle generalmente più frequenti e sono le meno gravi. Le reazioni sistemiche (come ad es. la febbre) occorrono con minore frequenza rispetto alle reazioni locali. Le reazioni avverse gravi sono invece fortunatamente rare. Fra queste, le reazioni allergiche gravi (angioedema, orticaria generalizzata, fino allo shock) sono gli eventi più gravi ma fortunatamente anche i meno frequenti.
Il punto cruciale per evitare le reazioni avverse è il controllo prevaccinale: ogni medico che somministra dei vaccini deve sempre eseguire una valutazione preventiva del vaccinando alla ricerca di controindicazioni e precauzioni a quella vaccinazione prima della somministrazione, anche attraverso l’uso di apposite check-list 1.
Per quanto riguarda le reazioni allergiche, va sottolineato che l’anafilassi è un evento eccezionale dopo una vaccinazione. Il rischio di anafilassi varia da 1/1.000.00 a meno di 1/1.000.000 dosi di vaccino somministrate. La sua gravità è funzione inversa del tempo di insorgenza, con le reazioni più gravi, e potenzialmente letali in assenza di un adeguato intervento di rianimazione cardio polmonare, che insorgono pochi secondi dopo la somministrazione del vaccino. Sebbene l’anafilassi sia per quanto sopra detto eccezionale, la sorveglianza dopo una somministrazione di vaccino deve comunque essere condotta per almeno 15 minuti per poter rispondere prontamente ai primi sintomi e prevenire così la progressione della sintomatologia fino allo shock anafilattico.
Per tale motivo ogni ambulatorio vaccinale deve essere dotato di un kit minimo strumentale e farmacologico per l’emergenza sempre a portata di mano, controllato periodicamente per le scadenze dei farmaci (adrenalina da 1mg/1ml soluzione 1:1.000; siringhe da 10 ml; siringhe per tubercolina; aghi di varia lunghezza; soluzione fisiologica in fiale da 10 ml; siringhe da 2,5 ml e da 5 ml; trimeton fl 1 ml; idrocortisone fl 100 mg, fl 500 mg, fl 1 g; attrezzature di base per la rianimazione cardio-polmonare – pallone Ambu con Mascherine di diverse dimensioni, cannule oro faringee, sfigmomanometro, fonendoscopio ecc. –; dispositivo per l’erogazione di ossigeno) 2. È altresì necessario che le procedure di emergenza siano conosciute da tutto il personale che opera nel centro vaccinale, il quale deve periodicamente effettuare le esercitazioni sull’emergenza 3.
Appare evidente che sebbene ogni ambulatorio vaccinale debba essere equipaggiato con attrezzature e farmaci specifici e dotato di personale addestrato per far fronte all’anafilassi quando questa non sia prevedibile, ossia rientri nei range di rischio sopra descritti per tutte le vaccinazioni, allorquando sia noto un incremento del rischio di anafilassi rispetto all’atteso è invece d’obbligo ricorrere alla vaccinazione in “ambiente protetto”. Per vaccinazione in ambiente protetto si intende dunque l’esecuzione della vaccinazione in una struttura di tipo ospedaliero che sia attrezzata per le procedure rianimatorie. Tale pratica deve avvenire allorquando come possibile conseguenza di un vaccino somministrabile vi sia per il paziente la presunzione di un aumentato rischio di una reazione IgE mediata, nella fattispecie una razione anafilattica grave fino allo shock 2.
Tale rischio, non prevedibile a priori in assenza di rilievi anamnestici, è altresì ipotizzabile in conseguenza della conoscenza di uno stato allergico del soggetto per:
pregressa reazione anafilattica grave immediatamente conseguente alla somministrazione di un dato vaccino, sia esso singolo che combinato;
pregressa reazione anafilattica grave immediatamente conseguente ad altra causa (farmaci, alimenti, punture di insetto ecc.);
pregressa reazione anafilattica grave immediatamente conseguente alla somministrazione di un componente presente nel vaccino candidato per la vaccinazione;
asma bronchiale persistente e grave del soggetto da vaccinare;
angioedema, sintomi respiratori, vomito ripetuto o somministrazione di adrenalina o altro trattamento medico di emergenza dopo aver assunto uova, per quanto attiene la somministrazione di vaccini ottenuti da colture in uova embrionate.
È peraltro raccomandato procedere ad una vaccinazione in ambiente protetto anche in pazienti per i quali pur non essendo nota una situazione allergica siano ipotizzabili aumentati rischi per la salute in conseguenza del manifestarsi di reazioni allergiche come nel caso di:
neonati estremamente pretermine in caso di bradicardia, apnea e desaturazione dopo la prima dose;
neonati con malformazioni cardiache 2;
In considerazione del fatto che la gran parte delle vaccinazioni vengono eseguite nell’infanzia, l’ambiente protetto è in genere identificato e strutturato con apposite procedure organizzative nell’ambito di Strutture Ospedaliere di Neonatologia, Pediatria e, dove esistenti di Rianimazione pediatrica. Per contro, data la rarità dell’evento anafilassi post-vaccinale in età adulta, qualora ricorra la necessità per specifico rischio di anafilassi di effettuare vaccinazione dell’adulto in ambiente protetto, laddove non esistano specifici protocolli di interfaccia fra i Dipartimenti di Prevenzione e le Aziende/Presidi Ospedalieri, si fa solitamente richiesta specifica ai servizi di Rianimazione delle Strutture Ospedaliere.
Si tratta di vaccinazioni in elezione e pertanto è opportuno programmare con debito anticipo la seduta vaccinale. Infatti dovranno essere coinvolti un medico vaccinatore, un rianimatore e personale infermieristico.
Dal punto di vista operativo il Medico Vaccinatore dell’ambiente protetto ha il compito di:
raccogliere e verificare preliminarmente i dati anamnestici del potenziale evento avverso;
informare adeguatamente i familiari del bambino sulla procedura di vaccinazione e sulla possibile comparsa di reazioni avverse anche di grave entità;
richiedere la firma del Consenso informato alla vaccinazione in ambiente protetto;
eseguire una valutazione clinica globale del paziente;
controllare i farmaci dell’emergenza e tenere a disposizione sempre una fiala di adrenalina da diluire, se necessario in 100 ml di sol. fisiologica e due fiale di atropina da 0,5 mg (totale 1 mg) da diluire se necessario in siringa da 10 ml con sol. fisiologica;
preparare il vaccino ed eseguire la vaccinazion;
monitorare continuativamente il paziente per 30 minuti subito dopo la vaccinazione;
effettuare successive rivalutazioni del paziente ogni 15 minuti per una durata complessiva di 60 minuti (4 volte);
eseguire valutazione clinica globale conclusiva prima della dimissione del paziente;
rilasciare la certificazione di avvenuta vaccinazione da presentare al Distretto di competenza per la registrazione 5.
Il Medico Vaccinatore deve essere obbligatoriamente supportato da personale infermieristico che cura la tenuta dei farmaci e delle apparecchiature, predispone un accesso venoso per l’eventuale somministrazione di farmaci ed infusione di liquidi e monitora i parametri vitali del paziente (F.C. e saturazione) prima della vaccinazione; assiste il medico durante la vaccinazione e rivaluta il paziente assieme al medico dopo la vaccinazione e ne monitora i parametri vitali.
Il medico rianimatore interviene invece solo in caso di necessità.
Qualora si dovessero presentare reazioni avverse di lieve entità il medico vaccinatore deciderà sull’opportunità di prolungare l’osservazione con un ricovero in osservazione temporanea. Nel caso invece dovessero presentarsi reazioni più gravi con compromissione di uno dei parametri vitali (F.C. Sat.O2) il paziente dovrà essere gestito e adeguatamente trattato in una stanza delle emergenze dal Medico vaccinatore con l’ausilio del Medico anestesista-rianimatore preventivamente allertato.
La dimissione deve prevedere l’adeguata comunicazione al paziente o ai suoi tutori circa la possibilità di eventuali reazioni tardive descrivendone le caratteristiche e raccomandando, in caso di comparsa, un immediato controllo in Pronto Soccorso o presso il Medico curante.
Peraltro, il poter disporre di Strutture ospedaliere per l’esecuzione delle vaccinazioni in ambiente protetto, rappresenta un’opportunità per ampliare l’offerta vaccinale non solo a pazienti affetti da particolari patologie che necessitano di conoscenze specialistiche (emofilici, immunodepressi, malattie autoimmuni/reumatiche, metaboliche, cardiache, respiratorie, renali, di altri organi o apparati), ma rappresenta anche l’opportunità per la somministrazione di vaccini in off-label in pazienti particolari e, più in generale, un’occasione per ampliare l’offerta vaccinale a categorie difficili da raggiungere sul territorio, ma che trovano nell’ospedale un necessario punto di riferimento.
L’Ospedale che vaccina 6 rappresenta pertanto non solo una necessaria integrazione delle attività di prevenzione del territorio per quanto attiene alle vaccinazioni in presenza del rischio di una anafilassi, ma anche una importante opportunità di integrazione con i servizi vaccinali del territorio ed ampliare così, secondo quanto previsto dagli obiettivi dei diversi Piani di Prevenzione succedutisi, l’offerta vaccinale con il pieno rispetto delle buone pratiche vaccinali.
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Abstract
INTRODUZIONE
Le Malattie Cardiovascolari (MCV) rappresentano un problema di Sanità Pubblica, nella quasi totalità dei Paesi del Mondo, non solo in quelli industrializzati, ma anche in quelli definiti in via di sviluppo, sebbene, grazie anche a vari progetti che vanno ad agire sulla prevenzione, nei Paesi dell’area europea vi sia stata una diminuzione dei tassi di mortalità 1.
Nel corso degli anni, nel territorio italiano si sono sviluppati vari progetti per la prevenzione delle MCV, infatti l’Italia ha partecipato ad alcuni progetti Europei per la Prevenzione delle MCV, tra i quali si ricorda il progetto Euraction. Sulla scia di questo, nella Regione Veneto, nel 2006 è stato attivato, sul modello della strategia di popolazione, il “Progetto Cariverona-Regione Veneto: prevenzione cardiovascolare”, di durata triennale che ha coinvolto 5 aziende ULSS venete e l’azienda ospedaliera di Verona. Il progetto si articolava in due programmi: la valutazione del rischio cardiovascolare nella popolazione sana e la prevenzione delle recidive nei soggetti che hanno già avuto accidenti cardiovascolari.
A livello nazionale, probabilmente uno dei progetti che ha rivestito particolare rilevanza per i numeri raggiunti è il Progetto Cuore; da citare anche il progetto Michelangelo - PREVASC.
È da queste esperienze che a partire dal 2008 nel Veneto è partito il Programma Organizzato di Prevenzione Attiva Cardiovascolare (POPAC) sul modello degli screening oncologici. Tale modello prevedeva che il centro per gli screening del Dipartimento di Prevenzione, in collaborazione con il Distretto Sanitario e i Medici di Medicina Generale (MMG), contattasse attivamente tutti i soggetti sani tra i 45 e i 59 anni, di entrambi i sessi, proponendo a coloro che evidenziavano dei fattori di rischio interventi di counselling e l’offerta di programmi specifici.
I risultati preliminari sono stati molto incoraggianti e sulla base di questi dati, nel 2009, sempre nella Regione Veneto, grazie al supporto scientifico e tecnico del Coordinamento Regionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie del Veneto (CCMR - Veneto) si è sviluppato un secondo progetto finanziato dal Ministero della Salute che ha coinvolto 6 AULSS ed ha visto la chiamata attiva di oltre 17.000 persone, di età tra 45-59 anni. L’adesione alla convocazione è stata superiore al 60%. Il modello organizzativo utilizzato era sovrapponibile a quello proprio della prima ricerca.2
Successivamente nel 2013, alla luce dei risultati soddisfacenti di questo ultimo progetto, all’interno del bando CCM 2013, il CCMR ha presentato il progetto “Programma organizzato di screening del rischio cardiovascolare finalizzato alla prevenzione attiva nei soggetti cinquantenni (“Cardio 50”)”.
Questo progetto per la prevenzione del rischio cardiovascolare (Cardio 50), che ha visto il coinvolgimento di 22 Aziende Sanitarie Locali di 11 Regioni Italiane ha proposto, accanto all’analisi del rischio cardiovascolare (sul modello della “carta del rischio”), una valutazione degli stili di vita e di valori glicemici, colesterolemici e pressori, su popolazione sana nella coorte dei 50enni ai fini di indirizzare soggetti selezionati a percorsi di prevenzione e diagnostico-terapeutici appropriati.
Nel corso degli anni questo progetto è diventato in alcune Regioni italiane un Programma strutturato di prevenzione all’interno del Piano Regionale di Prevenzione e, grazie all’interesssamento del Ministero della Salute e ISS, è stato proposto a livello europeo come Best Practice e successivamente la Commisione Europea ha finanziato la sua diffusione in altri Paesi europei.
MATERIALE E METODI
In sintesi il programma di screening del rischio cardiovascolare è così suddiviso: 1. pre-valutazione con “pulizia delle liste” secondo criteri di esclusione (anamnesi positiva per eventi cardio-cerebrovascolari maggiori, malattia diabetica, ipertensione in terapia, patologie neoplastiche gravi in fase attiva, non autosufficienza, istituzionalizzazione); 2.chiamata attiva dei soggetti da parte del Centro Screening dell’Azienda USL; 3. visita di screening effettuata da un Operatore Sanitario debitamente formato, presso una sede localizzata all’interno del Dipartimento di Prevenzione o in altre sedi territoriali; 4. classificazione del soggetto visitato in un gruppo (di rischio); 5. proposta di percorsi specifici per gruppo di rischio.
La visita di screening (visita di primo livello) prevede: la rilevazione di alcuni parametri antropometrici (peso, altezza, circonferenza vita); la misurazione della pressione arteriosa; l’esecuzione di uno stick glicemico e per la colesterolemia (qualora non fossero disponibili esami recenti e, comunque non anteriori a 3/6 mesi).
Inoltre attraverso la somministrazione di un questionario standardizzato viene fatto uno studio sugli stili di vita (fumo, alimentazione, attività fisica).
I dati rilevati vengono raccolti in una scheda valutativa (“bilancio di salute preventivo”).
Sulla base della valutazione effettuata, i soggetti arruolati vengono suddivisi nei seguenti gruppi: GRUPPO A - parametri antropometrici, laboratoristici e pressione arteriosa nella norma; GRUPPO B - presenza di fattori di rischio comportamentali; GRUPPO C - nuovi ipertesi, iperglicemici, ipercolesterolemici (indipendentemente dai fattori di rischio comportamentali); GRUPPO D - soggetti considerati non eleggibili dai criteri di esclusione (“sfuggiti” alla pulizia delle liste).
Per ciascun gruppo è stato individuato uno standard di intervento: l’invito ai soggetti di gruppo A a fungere da “collaboratori attivi” del progetto presso la comunità locale, rafforzando l’attuale buon stile di vita; per i soggetti di gruppo B, la fornitura di materiali informativi, un intervento di counselling individuale specifico, la facilitazione a sfruttare “le occasioni di salute” disponibili nella comunità attività fisica e tabagismo; per gli utenti del gruppo C è previsto l’invio al proprio MMG, il quale proporrà la normalizzazione dei valori alterati privilegiando l’intervento sugli stili di vita. Solo in caso di non risposta, da dichiarare tale non prima di 3-6 mesi dall’approccio preventivo, sarà considerata l’opportunità di un appropriato approccio farmacologico.
I soggetti di classe B sono stati rivalutati a 6 mesi/1 anno dalla 1 visita di screening.
RISULTATI
In questi 10 anni di attività, si può stimare che lo screening cardiovascolare abbia permesso l’arruolamento di circa 70.000 soggetti (tra 1 visita e follow-up).
Attualmente, risulta che a continuare il “Cardio 50” in modo più strutturato, all’interno di alcune AULSS, è la Regione Veneto, mentre altre Regioni lo fanno solo in piccole realtà locali e quelle che si sono dimostrate interessate, per motivi di tipo logistico-amministrativo non sono ancora partite con la chiamata attiva.
Ad oggi il IV screening (che si affianca ai tre “classici” oncologici) ha dimostrato di essere accattivante per la popolazione, infatti il tasso di adesione che in alcune AULSS arriva anche al 70%, in media supera abbondantemente il 60%.
Gli ultimi risultati nelle coorti di nascita dal 1964 al 1967 hanno dimostrato che circa il 20% dei soggetti valutati rientra in classe A il 22%, in classe B il 33%, in classe C 29%, in C1 il 7% e il rimanente 8% in classe D.
Per quanto riguarda la misurazione dei parametri quali la glicemia ed ipertensione, risulta che meno del 10% è iperglicemico e circa il 26% è iperteso.
Inoltre il 47% dei soggetti risulta avere un BMI ≥ 25 e il 20% è fumatore.
DISCUSSIONE
Lo screening cardiovascolare partito nel 2008, in due AULSS del Veneto, ha dimostrato da subito, di avere una buona adesione da parte della popolazione (più del 55%) e tale valore è andato via via ad aumentare nel corso degli anni, infatti non solo si è incrementato il numero di aderenti alla chiamata attiva, ma sono aumentate anche le ASL del Veneto e di altre Regioni che hanno attivato questo progetto e lo hanno inserito nei propri PRP.
I risultati positivi hanno indotto il Ministero della Salute e ISS a presentarlo a livello Europeo e dopo essere stato definito dalla Commissione Europea come Best Practice il “Cardio 50” è stato inserito nel terzo programma annuale di “Implementazione delle azioni dell’Unione nel campo della salute 2014-2020” (3rdProgramme of the Union’s action in the field of health 2014-2020) e grazie ad un finanziamento europeo è stato esteso anche in altre Nazioni.
Anche la politica italiana, ha investito nel progetto e la senetrice Sonia Fregolent con il Testo DDL 869- XVIII Leg., lo ha presentato alla Commissione permanente (Igiene e Sanità) con lo scopo di estenderlo in tutto il territorio nazionale.
Le attività dello screening, almeno per quanto riguarda la Regione del Veneto si sono mantenute più o meno costanti nel corso di questo decennio, coinvolgendo in modo attivo la figura degli Assistenti Sanitari che hanno dimostrato di avere un ruolo chiave nello screening stesso. Purtroppo, per problemi di tipo organizzativo, dopo l’introduzione della legge Lorenzin, per quanto riguarda l’obbligatorietà vaccinale, parte del personale dedicato allo screening si è dovuto impegnare nel recupero dei non vaccinati e per un certo periodo, anche le attività dello screening cardiovascolare hanno avuto dei rallentamenti.
Mentre in alcune Regioni, una volta terminato l’innesco finanziario del progetto CCM, il “Cardio 50” non è stato implementato, in altre si è manifestato l’interesse, anche senza fianziamenti aggiuntivi, di avviarlo.
Dalla sua attivazione, dapprima in forma di progetto pilota e successivamente con finanziamento CCM-Ministero della Salute, lo screning cardiovascolare ha permesso, nei Dipartimenti di Prevenzione, in cui si è sviluppato, di creare o ravvivare i percorsi di salute riguardante i tre principali fattori di rischio: tabagismo, inattività fisica, alimentazione scorretta. Inoltre, in alcuni casi ha portato all’apertura di collaborazioni con Società, Enti, Associazioni presenti nel territorio che talvolta erano sconosciute anche alla popolazione generale. Da una stima conclusiva del progetto però, alcuni percorsi di salute non hanno riscontrato una buona adesione da parte dei soggetti screenati, sopratttutto per quanto riguarda la disassuefazione dal fumo di sigaretta, infatti molti dei fumatori che erano intenzionati a smettere hanno deciso di farlo autonomamente, invece i corsi per l’alimentazione e per l’attività fisica hanno riscontrato un discreto sucesso.
I dati rilevati nel corso degli anni, hanno dimostrato che mentre per alcuni parametri i valori si sono mantenuti più o meno costanti (es. sospetti “nuovi iperglicemici” o soggetti in sovrappeso), per altri sono migliorati (riduzione del numero di soggetti dediti al tabagismo) o peggiorati, come ad esempio gli ipertesi. Questo dato che è praticamente raddoppiato nel corso di questo decennio, deve farci riflettere sulle azioni da intraprendere anche a partire dall’età più precoci, in quanto gli ipertesi cinquatenni sono una quota ragguardevole.
Sebbene lo screening abbia dimostrato con l’elevato numero di arruolati ed adesioni (in alcune AULSS si è sfiorato anche il 70% di adesione), e successivamente con le visite di follow-up, che nel breve termine, vi sia stato un miglioramento degli stili di vita alterati e/o dei parametri (glicemia, ipertensione, ipercolesterolemia) non nella norma, manca ancora un’analisi di esito sul lungo periodo. Questa criticità, non ancora risolta, per la mancanza di una partership con le Università Italiane, è sicuramente necessaria per avere una maggiore robustezza dei risultati ottenuti, infatti lo screening cardiovascolare risulta essere uno dei più grandi e longevi programmi di prevenzione cardiovascolare.
Alla fine di questo decennio di attività, le criticità più importanti che si sono rilevate, sono legate più a problemi di tipo amministrativo e di riorganizzazione interna alle ASL che non nello svolgimento dello screening stesso, che ha dimostrato essere uno strumento valido per la prevenzione delle MCV, riconosciuto ormai anche a livello internazionale. Lo scopo quindi del prossimo futuro è di far diventare il “Cardio 50” un’attività di “sistema” all’interno dei Dipartimenti di Prevenzione, andando ad affiancare gli altri 3 screening oncologici.
Bibliografia di riferimento
- CCMR Regione del Veneto. Progetto CCM 2009: “Attivazione di un progetto di prevenzione cardiovascolare primaria sul modello dei programmi di screening oncologico (“IV screening”)”. [Google Scholar]
Abstract
La relazione fra ambiente e malattie cardiovascolari è stata messa più in evidenza da numerosi studi nell’ultimo decennio. Fra i determinanti della patologia cardiovascolare importanti fattori modificabili sono gli stili di vita (fumo, dieta, alcool, movimento, stress ecc…) e l’inquinamento ambientale 1. Sebbene l’aria pulita sia considerata un requisito fondamentale per il mantenimento della salute umana, l’inquinamento atmosferico continua a rappresentare una grave minaccia per la salute sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo.
Lo sviluppo delle conoscenze epigenetiche ha permesso di rilevare come la metilazione del DNA, le modifiche degli istoni e l’espressione dei microRNA, possano cambiare le funzioni dei geni sotto influenza di fattori esogeni. Studi recenti mostrano che le alterazioni epigenetiche mediano la tossicità da sostanze chimiche ambientali e sono ereditabili. In particolare i metalli pesanti come cadmio, arsenico, nichel, cromo, mercurio e piombo, i composti organici clorurati come i pesticidi clorurati, il tricloroetilene, gli acidi cloroacetici proliferatori di perossisomi, gli inquinanti atmosferici (particolato, black carbon, benzene, ossidi di zolfo e di azoto, ecc…) e gli interferenti endocrini (bisfenolo A, inquinanti organici persistenti, diossina, composti estrogeno simili, ecc…) 2.
È stato dimostrato che gli inquinanti chimici possono procurare alterazioni epigenetiche uguali o simili a quelle che si rilevano in pazienti o in tessuti malati. Sono necessarie ulteriori indagini per determinare se gli individui esposti sviluppino alterazioni epigenetiche nel tempo, quali alterazioni aumentino il rischio di malattia e se tali alterazioni vengano trasmesse a livello transgenerazionale 2.
Tra i fattori ambientali indagati per la relazione con le malattie cardiovascolari quelli legati all’inquinamento dell’aria indoor e outdoor sembrano avere un ruolo maggiore. Le variazioni della temperatura dell’aria hanno una forte influenza sull’aumento della mortalità cardiovascolare caratterizzata da una relazione simil-V guidata da un aumento del tono simpatico. Inoltre, i cambiamenti dinamici della temperatura sono probabilmente più importanti del livello assoluto di temperatura 3. I principali inquinanti indoor associati con l’aumento della mortalità e morbosità cardiovascolare. sono il fumo proveniente dalle combustioni da riscaldamento e da cottura e il fumo di tabacco ambientale (ETS). L’ETS non ha dose soglia e mostra una relazione dose-effetto curvilinea con effetti significativi anche a basse dosi sia mediante stimolo nicotinico sul sistema simpatico che mediante stress ossidativo vascolare. Si è osservato che vietando il fumo in ambienti indoor si riscontrava una diminuzione degli eventi cardiovascolari 3.
Riguardo all’inquinamento outdoor l’inalazione è la principale via di esposizione a breve termine all’anidride solforosa (SO2) che influisce negativamente sulla salute umana. Un nostro studio ha stimato gli effetti sulla salute dell’esposizione a breve termine alla SO2 a Khorramabad, in Iran, utilizzando il software AirQ sviluppato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Le concentrazioni medie giornaliere di SO2 sono state utilizzate come stime dell’esposizione umana a breve termine e consentono il calcolo del rischio relativo in eccesso attribuibile all’infarto miocardico acuto (IM) e ai ricoveri ospedalieri dovuti a broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Per un aumento di 10 µg/m3 di SO2 abbiamo rilevato un rischio del 2,7% in più per IM e del 2,0% in più di BPCO. Poiché le caratteristiche geografiche, demografiche e climatiche in Europa sono diverse dalle aree in cui le relazioni di rischio sono state sviluppate saranno necessarie ulteriori indagini per quantificare completamente gli altri impatti sulla salute dell’SO2. Un rischio ridotto di MI e BPCO attribuibile a SO2 potrebbe essere raggiunto se fossero implementate strategie e misure di mitigazione per ridurre l’esposizione 4.
Un altro nostro studio insieme ai colleghi iraniani ha cercato di valutare, sempre usando AirQ, i possibili effetti del particolato PM10 proveniente dagli eventi di polvere mediorientale (MED) nell’aria a Khorramabad (Iran) sulla salute umana. In particolare sono stati stimati i ricoveri ospedalieri per le malattie cardiovascolari e per le malattie respiratorie nel periodo 2015-2016. Il numero di casi in eccesso di malattia cardiovascolare era 20, 72 e 20 nei giorni di evento normale, polveroso e MED, rispettivamente. Il numero più alto di ricoveri ospedalieri è stato stimato per concentrazioni di PM10 nell’intervallo da 40 a 49 μg/m3, ovvero inferiore al valore limite giornaliero (50 μg/m3) stabilito dall’OMS. Il 4,7% di malattie cardiovascolari, sono stati attribuiti a concentrazioni di PM10 superiori a 10 μg/m3. Lo studio dimostra un impatto significativo dell’inquinamento atmosferico sulle persone. L’impiego di barriere di verde e l’irrigazione di aree asciutte permetterebbe di controllare gli impatti delle tempeste di polvere sulla salute dei residenti.5
Recentemente è stato molto valutato l’aumento della mortalità per patologie cardiovascolari in seguito all’esposizione a lungo termine all’inquinamento da particolato atmosferico e l’aumento del rischio di infarto, ictus e insufficienza cardiaca per aumento a breve termine dell’inquinamento atmosferico. Tali effetti pare siano mediati da una reazione sistemica allo stress ossidativo vascolare seguita da disfunzione endoteliale, attivazione dei monociti e da alcuni cambiamenti proaterogenici delle lipoproteine. Inoltre, l’inquinamento atmosferico favorisce la formazione di trombi a causa dell’aumento dei fattori di coagulazione e dell’attivazione piastrinica aumentado così il rischio di tromboembolia venosa. Gli effetti negativi sulla salute sembrano derivare dai metalli trasportati dal sangue e dai metalli derivanti dall’esposizione al particolato che, attraverso i polmoni, passano nel cuore e nel flusso sanguigno. I metalli possono avere un effetto dannoso sia sulle cellule del sangue, in particolare le piastrine, che sulla circolazione. Alcune evidenze dimostrano le conseguenze aterotrombotiche dell’esposizione acuta e cronica all’inquinamento atmosferico, ma pochi studi hanno esaminato gli effetti dell’esposizione sui biomarcatori protrombotici che portano alla tromboembolia venosa. Una nostra revisione sistematica degli ultimi dodici anni, mirata a verificare la relazione tra esposizione ai metalli inalabili e i disturbi di biomarcatori coagulativi che portano alle tromboembolie venose degli arti inferiori, ad esempio, trombosi venosa profonda, supportano l’ipotesi che l’esposizione ai metalli inalabili, come composti elementali nel materiale particolato, causi cambiamenti o attivazione di numerosi biomarcatori emostatici protrombotici umani 1.
Il tromboembolismo venoso primario (TEV) è meno frequente di altri eventi trombotici, tuttavia sia l’embolia polmonare (EP) che la trombosi venosa profonda (TVP) sono sempre pìù frequenti. Molti fattori di rischio possono determinare il TEV in particolare il particolato fine e ultrafine (PM) dell’aria atmosferica come PM 10, PM 2,5, PM 0,1 e il tempo di esposizione. Diversi studi epidemiologici l’hanno evidenziato senza essere ancora riusciti a dimostrare il peso effettivo dell’associazione e i reali meccanismi. Bisogna, inoltre, sottolineare che le variazioni climatiche stagionali costituiscono un fattore di rischio efficace per la comparsa di TEV o TVP 6.
Per identificare il rischio di trombosi venosa profonda (TVP) abbiamo effettuato uno su 295 pazienti allo scopo di valutare il potenziale degli esami del sangue di routine. I test inclusi in un sistema modello di stratificazione del rischio di TVP sono stati il tasso di sedimentazione eritrocitaria, l’antitrombina III, la proteina C-reattiva, il dimero D e il peptide natriuretico pro-cervello N-terminale. Il sistema di stratificazione del rischio TVP è risultato moderatamente prognostico 7.
In un altro studio abbiamo misurato il rame (Cu), lo zinco (Zn) e il manganese (Mn), cruciali per il normale mantenimento della fisiologia umana e i livelli di piombo (Pb), rappresentativi del livello di inquinamento ambientale, in soggetti che soffrono di trombosi venosa profonda degli arti inferiori (TVP) vs. soggetti sani. Inoltre, si è determinato lo stress ossidativo dosando le sostanze reattive dell’acido tiobarbiturico (TBARS) e la somma di malondialdeide o 1,1,3,3-tetraetossipropano (MDA) e 4-idrossinonenale (4-HNE) e la concentrazione di superossido dismutasi (Cu / Zn -SOD) in entrambi i gruppi. Sono state rilevate basse concentrazioni di Zn, Mn e Cu rispetto ad alte concentrazioni di Pb nei soggetti con TVP. I TBARS sono stati trovati più alti nel gruppo dei casi, al contrario, le concentrazioni di SOD sono state trovate più basse nei casi rispetto ai controlli. Inoltre, abbiamo trovato la dieta dei soggetti patologici significativamente carente nell’introduzione di verdure. Questi risultati sono indicativi di una minore attività enzimatica nei pazienti, correlata a bassi livelli di metalli di transizione nei TVP e alti livelli di Pb, associati a una dieta squilibrata 8.
La malattia tromboembolica è un disturbo complesso con un’eziologia multifattoriale che colpisce gravemente, sebbene in maniera diversa, anche i neonati e i bambini dove, spesso viene diagnosticata in ritardo, peggiorando la prognosi. Sulla malattia neonatale sono disponibili scarsi dati epidemiologici e pochi studi clinici randomizzati su pazienti pediatrici e le raccomandazioni terapeutiche si basano in gran parte su linee guida per adulti. Pertanto tali pazienti soffriranno per diversi decenni delle complicanze della trombosi e del rischio di un nuovo episodio trombotico. In una nostra review sulla malattia tromboembolica neonatale e sulla sua prevenzione abbiamo valutato i fattori che influiscono sulla madre, sul feto e sul neonato, considerando gli aspetti farmacologici, l’ambiente, lo stile di vita e il lavoro. La revisione ha evidenziato un urgente necessità di migliorare le strategie preventive, diagnostiche e terapeutiche per una diminuzione degli esiti sui pazienti 9.
Bibliografia
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Abstract
Ancora oggi, nonostante qualche esempio in direzione contraria, i sistemi sanitari pagano per volume di attività piuttosto che per valore. E noi otteniamo quello per cui paghiamo: più esami, più procedure interventistiche, più visite. Tuttavia gli elementi che caratterizzano il valore nell’assistenza sanitaria sono: il disegno organizzativo, il processo, il costo del processo nel tempo.
Nel settore della produzione industriale e della business intelligence, gli elementi che hanno consentito di operare il cambiamento, dal volume di prestazioni al valore, sono stati: Standardizzazione; Misurazione; Reporting. Il riportare pubblicamente dei dati sulla performance e sugli esiti standardizzati di processi non indebolisce il sistema, ma agevola la trasformazione della realtà aziendale in una comunità alla ricerca del miglioramento continuo. Migliorare la performance e accountability (essere responsabili e rispondere direttamente) dipende dall’avere degli obiettivi condivisi che uniscono gli interessi e le attività di tutti i soggetti interessati (stakeholders).
Assicurare che i cittadini siano sani e raggiungano il loro pieno potenziale presuppone la prevenzione delle malattie e dei traumi, la promozione della salute e del benessere, la capacità di garantire condizioni di vita che favoriscano le scelte salutari, la capacità di comunicare tempestivamente, la capacità di fornire le prestazioni correlate a questi obiettivi in maniera efficace e coordinata.
In una pubblicazione, Marshall e Ovretveit affermano che l’integrazione tra le articolazioni di una azienda sanitaria (Cure Primarie, Dipartimento di Prevenzione, Ospedale) è ormai un elemento irrinunciabile per il sistema sanitario. Soprattutto nel tentativo di garantire assistenza di qualità contenendo i costi. L’integrazione fra le articolazioni del sistema sanitario potrebbe migliorarne la capacità di svolgere la loro missione e di relazionarsi agli altri stakeholder per catalizzare la collaborazione favorendo un movimento intersettoriale verso il miglioramento della salute della popolazione. Gli autori identificano alcuni elementi critici capaci di ostacolare il processo di integrazione fra gli effettori del sistema assistenziale:
separazione delle strutture operative;
conseguente separazione delle responsabilità e degli obiettivi da conseguire;
disomogeneità negli approcci culturali dei professionisti;
piani di intervento paralleli con pochi punti di contatto e con scarsa convergenza;
assenza di strategie per aumentare le competenze che i professionisti nei diversi ambiti professionali dovrebbero avere in comune, per valorizzare la loro complementarietà.
In una valutazione condotta da Lydia Lebrun e coll. vengono indicati come bisogni specifici per favorire l’integrazione tra cure primarie e sanità pubblica:
investire risorse per collaborare e per affrontare i determinanti sociali di salute;
esercitare una forte leadership per premiare le collaborazioni;
creare fiducia tra i partner con chiare attese e chiare responsabilità;
allineamento e standardizzazione della raccolta, analisi e scambio di dati.
Secondo questi principi, il Dipartimento di Prevenzione di Trento ha interpretato il proprio ruolo di coordinamento garantendo ai tre percorsi di screening oncologico la definizione di standard di riferimento per i segmenti di percorso e strumenti per la misurazione e il reporting in un contesto di responsabili e referenti ben identificati per i segmenti dei tre livelli della prevenzione secondaria oncologica. Il contesto della Provincia Autonoma di Trento fino all’inizio del 2018 vedeva una responsabilità sui tre percorsi della sola componente clinica: Anatomia Patologica per il tumore al collo dell’utero, Gastroenterologia per il tumore del colon-retto e Radiologia senologica per il tumore della mammella. Il Dipartimento di Prevenzione, tutt’al più, aveva il ruolo di garanzia sul solo primo livello, limitandosi a convocare tre tavoli tecnici per ogni percorso di screening, senza agire sul processo di condivisione degli obiettivi e di allineamento al processo di budget aziendale.
Dopo un percorso iniziato nel marzo del 2017, attualmente i tre percorsi di screening hanno un responsabile clinico per il percorso e un responsabile per il coordinamento, identificato nel Dipartimento di Prevenzione. Il Coordinamento Screening, in collaborazione con il responsabile clinico e con i referenti per ciascun segmento dei tre livelli degli screening, ha il compito di:
garantire standard minimi;
tarare il programma sulla velocità del segmento più fragile;
garantire standardizzazione-misurazione-reporting;
garantire la trasparenza (pubblicare le attività e i risultati raggiunti);
coinvolgere diffusamente professionisti, operatori, utenti, pazienti ecc.;
generare cooperazione e mutuo supporto all’interno del percorso;
agire in collaborazione tra programmi;
agevolare reti di “esperti”;
confrontare le performance con il contesto nazionale e internazionale.
Ogni percorso di screening è dotato di un comitato tecnico scientifico con una rappresentanza di professionisti per ciascuno dei tre segmenti, un referente informatico e un referente epidemiologo. Il ruolo del comitato è quello di identificare gli scostamenti tra la performance osservata in ciascun livello e il livello atteso secondo quanto stabilito dall’Osservatorio Nazionale Screening dalle tre società scientifiche di riferimento (GISCOR, GISMA e GISCI) e, basandosi sulle evidenzi scientifiche disponibili e sull’analisi del contesto di riferimento, proporre azioni sostenibili per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del gap tra osservato e atteso. I fabbisogni e le proposte, emersi dai tre comitati, vengono discussi annualmente all’interno di un comitato interscreening presieduto dalla Direzione Sanitaria. Gli obiettivi di miglioramento proposti nel comitato interscreening, se giudicati congruenti con gli obiettivi aziendali, si traducono nelle schede di budget per le singole Unità Operative o Servizi che costituiscono il percorso di screening.
Bibliografia di riferimento
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Abstract
INTRODUZIONE ED OBIETTIVI
Il Patto per la Salute 2014-2016 e le Leggi di Stabilità per il 2015 ed il 2016 hanno delineato un nuovo modello istituzionale di cooperazione tra livello centrale e livello regionale per la ricerca di comportamenti atti a conseguire obiettivi di efficacia clinica, efficienza gestionale e sostenibilità dell’innovazione.
Nel settembre 2017, grazie ad una intesa Stato-Regioni è stato dato il via allo sviluppo di un Programma Nazionale di HTA dei dispositivi medici, che vede nella Cabina di Regia lo strumento istituzionale in grado di garantire gli apporti del Ministero, delle Agenzie nazionali (AGENAS e AIFA) e delle Regioni al fine di realizzare il coordinamento delle attività di Health Technology Assessment sviluppate a livello nazionale e locale, dando attuazione a un Programma Nazionale.
La Cabina di Regia ha il compito di:
individuare le priorità valutative di interesse nazionale, in coerenza con le linee guida europee;
promuovere e coordinare attività di valutazione coerenti e non sovrapposte;
validare indirizzi metodologici condivisi tra tutti gli attori;
promuovere l’utilizzo e la diffusione delle valutazioni, verificando che ne derivino comportamenti virtuosi nelle politiche di investimento e disinvestimento.
La costruzione del Programma Nazionale di HTA, e la stessa attività della Cabina di Regia, ha beneficiato di una attenta analisi dell’attività di HTA svolta nelle Regioni italiane pre-programma nazionale.
Questa analisi è stata svolta da Agenas nel periodo 2015-2016 in collaborazione con la Società Italiana di Health Technology Assessment.
Nel corso del primo semestre 2015, è stata avviata una collaborazione tra Agenas e SIHTA (Società Italiana di Health Technology Assessment) finalizzata al monitoraggio delle attività di HTA esistenti in Italia. In tale ambito Agenas e SIHTA hanno definito un protocollo di ricerca in cui sono state pianificate le fasi e le modalità di conduzione dell’indagine conoscitiva.
L’indagine conoscitiva ha avuto come obiettivo la raccolta di informazioni sulla diffusione dell’HTA nelle Regioni e Province Autonome (PA) italiane e si è articolata in due fasi. La prima fase, svolta nel 2015, si è basata sulla compilazione di un questionario on-line da parte dei referenti regionali, indicati dalle Regioni e PA, e sulla raccolta di una serie di informazioni standardizzate.
La seconda fase è stata effettuata nel 2016 ed è consistita in un esame dei singoli casi regionali, dei bisogni, delle criticità espressi da Regioni e PA in ambiti di particolare interesse emersi dalla prima fase dell’indagine e, infine, in una valutazione dei documenti HTA prodotti e della qualità di un campione di essi. Si articola quindi in tre output principali: schede monografiche per ognuna delle Regioni e PA, basate sulle risposte date al questionario e aggiornamento della normativa relativa all’HTA; interviste semistrutturate e frontali con i referenti regionali HTA; raccolta e valutazione dei prodotti HTA.
METODI
L’indagine si è svolta in due fasi successive.
Nella prima fase un gruppo multidisciplinare di esperti HTA Agenas e Sihta ha redatto il questionario, rivolto alle Regioni e PA, compilato a cura di un referente individuato dalle stesse. Il questionario è articolato in otto Aree, di seguito riportate:
area introduttiva;
area regolatoria;
tecnologie e processo di HTA;
caratteristiche dei prodotti di HTA realizzati;
utilizzo dell’HTA;
meccanismi di coinvolgimento degli stakeholder;
area assenza regolamentazione;
collaborazioni.
Sono stati previsti due percorsi di compilazione differenziati in relazione alla situazione normativa in materia di HTA di ciascuna Regione/PA. L’“Area introduttiva” costituisce la sezione iniziale, riservata alle caratteristiche identificative del rispondente, contenente il quesito che permette di indirizzare l’utente nella compilazione dei due differenti percorsi.
Il primo percorso, riservato alle Regioni/PA che non hanno regolamentato in materia di HTA, si compone di due aree con un set minimo di domande:
area assenza regolamentazione;
collaborazioni.
Il secondo percorso è riservato alle Regioni/PA che hanno regolamentato in materia di HTA e si compone delle seguenti aree:
area regolatoria;
tecnologie e processo di HTA;
caratteristiche dei prodotti di HTA realizzati;
utilizzo dell’HTA;
meccanismi di coinvolgimento degli stakeholder;
collaborazioni.
Il questionario è stato poi trasposto in formato web da esperti informatici Agenas per renderlo compilabile on-line. Al fine di garantire una migliore qualità di compilazione delle risposte, tutte le domande, nella versione on-line, sono state programmate prevedendo una risposta obbligatoria, anche negativa. L’invio del questionario era consentito solo qualora lo stato di compilazione fosse stato pari al 100%, ovvero compilato in tutte le sue parti. La versione web definitiva è stata testata, in una fase pilota, da due Regioni individuate dal gruppo di lavoro.
L’indagine è stata avviata con richiesta formale della Direzione Generale Agenas, per il tramite della Commissione Salute della Conferenza Stato Regioni, ai Direttori Generali degli Assessorati Sanità della nomina formale di un referente esperto di HTA, per la compilazione del questionario.
Ad ogni referente, così individuato, sono state trasmesse, via e-mail, le credenziali personalizzate di accesso al software (username e password) e l’url al questionario (http://htasurvey.agenas.it) per la rilevazione on-line avvenuta nel periodo giugno-settembre 2015.
Nella seconda fase dell’indagine è stato effettuato un approfondimento qualitativo che si è articolato in tre linee di attività, l’effettuazione di interviste con i referenti regionali HTA, la preparazione di schede monografiche regionali e una raccolta e valutazione di prodotti HTA segnalati e inviati dalle Regioni e PA.
L’approfondimento è avvenuto tramite interviste frontali semistrutturate a risposta aperta poiché questo metodo qualitativo permette la raccolta di informazioni ed aspetti potenzialmente nuovi e non conosciuti, oltre a una conoscenza diretta dei referenti e delle realtà regionali. Per le interviste sono stati approfonditi bisogni e criticità relativi all’HTA in relazione ai tre momenti fondamentali di questo processo valutativo, segnalazione e prioritizzazione, impatto, coinvolgimento degli Stakeholder. La caratterizzazione di questi aspetti permette di comprendere se e quanto il sistema di adozione delle tecnologie sia governato attraverso l’HTA, il suo impatto effettivo e il livello di apertura ai vari attori del sistema, quale indicatore di trasparenza.
Il percorso preparatorio per le interviste con i regionali ha richiesto un prioritario e dettagliato lavoro di analisi delle singole realtà regionali sulla base delle informazioni estratte dal questionario. Sono state quindi elaborate delle schede monografiche per ogni Regione e PA, basate sulle risposte date al questionario compilato nella prima fase dell’indagine e nelle quali, oltre a riportare una serie di informazioni relative alle varie fasi della valutazione delle tecnologie, si è provveduto all’aggiornamento della normativa regionale relativa all’HTA.
Infine per avere un quadro chiaro ed esplicito della produzione HTA, evidenziata anche nella compilazione del questionario on-line, alle Regioni e PA è stato richiesto di compilare una Scheda ad hoc sui documenti HTA regionali, riportandone titolo, argomento, tipologia e altre informazioni e, inoltre, di inviare un documento HTA per ogni tipologia (mini, full, etc.) tra quelli ritenuti migliori. Obiettivo di questa raccolta è stato di valutare in modo strutturato la qualità e le caratteristiche dei documenti inviati attraverso l’utilizzo di check-list, validate a livello internazionale, per la valutazione dei prodotti HTA.
RISULTATI
In estrema sintesi l’indagine ha mostrato come solo una Regione su due prevedeva una regolamentazione relativa all’attività di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). Nel biennio 2014-2015 sono stati prodotti 102 report Regionali di HTA, di cui il 44% dei casi relativo ai dispositivi medici e il 22% ai farmaci.
Nello specifico, dalla survey, cui hanno aderito 17 Regioni su 21, è emerso che 11 Regioni hanno adottato leggi e regolamenti in materia: Basilicata, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo. Non hanno legiferato: Valle D’Aosta, Marche, Umbria e Trento, Bolzano e Calabria, pur svolgendo attività di valutazione delle tecnologie sanitarie. Infine: Campania, Molise, Friuli Venezia Giulia e Sardegna non hanno risposto al questionario.
L’indagine ha, inoltre, messo in evidenza che solo 5 Regioni: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia, tutte appartenenti al gruppo delle realtà che hanno regolamentato le attività di HTA, hanno adottato disposizioni relative al conflitto di interesse. Mentre riguardo all’impatto regionale delle valutazioni di HTA, soltanto in Veneto i risultati dei report erano “sempre vincolanti”.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati dell’indagine conoscitiva evidenziano uno scenario variegato che testimonia lo sviluppo delle attività di Health Technology Assessment in Italia, seppure in forme eterogenee. Questo patrimonio informativo conforta la scelta del Legislatore di istituire una Cabina di Regia presso il Ministero della Salute (L. 23 dicembre 2014 n. 190) per assicurare uniformità nella governance del settore, in particolare dei dispositivi medici. Inoltre, costituisce la nuova base per un impianto del Programma Nazionale di HTA che tenga conto di quanto realizzato sinora e delle realtà più avanzate e promuova il progresso delle altre, ponendo al centro l’interesse del cittadino in quanto paziente e contribuente ad accedere alle tecnologie sanitarie di maggior valore rispetto ai propri bisogni.
L’HTA è l’unica risposta strutturale in grado di garantire innovazione e sostenibilità al Servizio sanitario nazionale assicurando, allo stesso tempo, equo accesso alle tecnologie sanitarie di valore per i cittadini. L’indagine mostra come molta strada sia stata fatta dalle Regioni in termini di produzione di report, ma che c’è ancora molto da fare in termini di qualità delle valutazioni e per garantire un impatto sistematico degli esiti delle valutazioni stesse sulle decisioni a livello regionale e aziendale. Il nuovo Programma nazionale di HTA promette di mettere a sistema tutte le competenze a livello nazionale, regionale e aziendale sviluppate in questi anni e garantire un reale impatto dell’HTA sulle decisioni politiche e manageriali nel sistema. Importante è fare presto e renderlo operativo senza indugi.
Allo stato attuale il Programma Nazionale sta concludendo la sua fase pilota e si auspica possa divenire operativo con i primi giorni del prossimo anno.
Abstract
INTRODUZIONE
In Italia con la Legge190 del 2014, in attuazione alle direttive europee del 2011, il Ministero della Salute ha formalizzato l’istituzione di una rete nazionale di collaborazione fra le Regioni per il governo dei Dispositivi Medici (DM) e per l’HTA e, con la Legge 208 del 2015, ha istituito una Cabina di Regia, specificando i criteri per la valutazione tecnica multidimensionale dei Dispositivi Medici. In ottemperanza alla normativa europea e nazionale, il Programma Regionale di Health Technology Assessment (HTA) - Dispositivi Medici lombardo fonda la sua attività sulla promozione del processo di valutazione dell’appropriatezza d’uso di tecnologie diagnostico-terapeutiche e Dispositivi Medici innovativi, basato su dati clinici e sulle evidenze disponibili in letteratura a supporto delle decisioni nell’ambito del servizio socio sanitario lombardo.
MATERIALI E METODI
La realizzazione dell’ambizioso obiettivo internazionale nel contesto regionale ha previsto il coinvolgimento diretto di rappresentanti delle aziende sanitarie lombarde attraverso l’istituzione di una Commissione per le Tecnologie Emergenti (CTE) e di una Commissione per le Tecnologie in Diffusione diffuse ed obsolete (CTD), con attività distinte per le segnalazioni di tecnologie sanitarie, con la produzione di un Giudizio di Priorità tramite analisi decisionale a criteri multipli (multi-criteria decision analysis-MCDA), e per i dossier informativi di valutazione di tecnologie sanitarie, con l’identificazione di referenti per l’assessment tecnico e di un’ASST o IRCCS lombardo cui affidare la realizzazione di un rapporto di HTA, e con la realizzazione di un Giudizio di Appropriatezza d’uso per la definizione delle migliori condizioni di utilizzo della tecnologia sanitaria rispettivamente emergente, in diffusione, diffusa o obsoleta. Regione Lombardia ha altresì definito e formalizzato l’istituzione di una rete regionale di referenti aziendali per la valutazione tecnica di tecnologie sanitarie (Rete Assessment), i cui componenti svolgono funzioni di raccolta e valutazione critica di evidenze documentali e fattuali, relativamente all’utilizzo appropriato dei dispositivi biomedici e delle tecnologie diagnostico-terapeutiche e riabilitative, e di redazione di rapporti tecnici di valutazione HTA, in coordinamento con la Direzione Generale Welfare.
Inoltre, nel 2017, con la presentazione del Progetto KEL (Key Evidence Leaders), finalizzato ad identificare e quindi soddisfare i fabbisogni informativi e formativi di professionisti sanitari operanti nelle aziende sociosanitarie lombarde sul tema dell’HTA, Regione Lombardia è risultata Ente aggiudicatario di un bando indetto dal Ministero della Salute con il decreto dirigenziale del 31.08.2016.
Per l’anno in corso, Regione Lombardia richiede alle ASST e IRCCS lombardi la stesura di un rapporto tecnico (Alert HTA) su un dispositivo medico o altra apparecchiatura ad alta tecnologia che sia di interesse per l’azienda stessa, secondo le indicazioni ed il modello proposto nel sub-allegato G alla DGR 1046 del 17.12.2018, elaborato in adesione all’HTA core model di EUnetHTA, la progettazione e la realizzazione di un evento formativo aziendale e la comunicazione delle proposte di acquisto dei dispositivi medici e delle apparecchiature tecnologiche di qualsiasi classe, esclusi i farmaci, e delle schede di valutazione in risposta alle proposte di acquisto.
RISULTATI
Tra i risultati raggiunti si annovera la progressiva e graduale diffusione della cultura e il crescente interesse sul tema dell’HTA in Lombardia, consolidata dalla nascita della sezione regionale della Società italiana di HTA (SIHTA). Attraverso il Progetto KEL, attualmente primo ed unico corso di formazione sviluppato per gli stakeholder aziendali sul tema dell’HTA in Italia, si è raggiunta la formazione a distanza di 823 persone, di cui 477 (58%) lombarde, 283 (34%) da altre Regioni, in particolare Piemonte, Sicilia ed Emilia Romagna, e la formazione sul campo di 25 aziende sanitarie, anche attraverso la realizzazione di 19 Alert HTA.
L’anno in corso ha visto la realizzazione di corsi residenziali, seminari, formazione a distanza (FAD) da parte delle singole aziende o in collaborazione, il cui elenco dettagliato e completo di programma scientifico è disponibile sul sito del Programma Regionale HTA-DM di Regione Lombardia, e si attende altresì l’elaborazione da parte delle aziende sanitarie lombarde di 39 Alert HTA.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La valutazione di tecnologie sanitarie si rende necessaria nel mercato sanitario, a fronte del crescente sviluppo tecnologico e una forte spinta all’innovatività nel contesto di una limitata disponibilità di risorse economiche. La rigorosa valutazione critica delle evidenze scientifiche a supporto delle nuove tecnologie è lo strumento guida fondamentale per le decisioni in merito all’acquisto. Da questo presupposto si radica l’esigenza di diffondere la cultura dell’HTA, intesa come capacità di assessment multidimensionale e multidisciplinare, basata sulla letteratura scientifica di alto profilo e sui dati derivanti dalla pratica clinica, al fine di orientare le decisioni dell’acquisto delle tecnologie. Regione Lombardia, con la nascita del Programma Regionale HTA-DM, ha contribuito ad incrementare nelle aziende sanitarie regionali la consapevolezza della necessità di un supporto scientifico alla base delle richieste avanzate, e la capacità di svolgimento di una valutazione antecedente l’acquisto, che tenga in considerazione ogni possibile implicazione legata all’introduzione della tecnologia (economica, organizzativa, etica, legale, sociale ecc.) nel contesto locale e regionale. L’impegno futuro consisterà nel rafforzare e consolidare gli obiettivi raggiunti, capillarizzare la formazione al fine di rendere l’HTA una solida base per le decisioni in merito all’acquisto delle tecnologie ad ogni livello (aziendale, regionale e nazionale) e fornire alle aziende strumenti per la valutazione critica delle evidenze scientifiche al fine di realizzare rapporti tecnici consultabili e fruibili.
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- Programma Regionale HTA Dispositivi Medici (https://htadm-lombardia.ats-pavia.it/index.php).
Abstract
INTRODUCTION
The Italian National Health System presents several critical issues such as the complex patients’ needs, the overlapping healthcare offer, the frequent recourse to hospitalization, the difficult choice between proximity or high volumes structures, the efficiency improvement and the remuneration methods 1.
The harmonization of patients’ pathways is one of the aims of the National Health Service and takes place in two different ways: overcoming the fragmentation of the care pathway, by promoting functional operative integration between health and social care providers, and the availability of solid organization and technology for managing chronic conditions, according to the “population health management approach”. In particular, the new organizational models tend to overcome the healthcare fragmentation, uniformly applying evidence-based pathways and system governance.
The Liguria Region’s response to the constant increase in health needs, which depends from the demographic and epidemiological characteristics of the Ligurian population (the oldest European administrative region), and to the critical issues related to system sustainability resulted in a substantial social and health reform based on the principles of equity, effectiveness, appropriateness and efficiency of health services 2. These objectives can be achieved by improving efficiency and efficiency that can only be obtained by implementing a solid governance.
A.Li.Sa., the new Liguria Health Authority, has the mandate to improve efficiency of Local Health Agencies, as well as for other regional Authorities, through governance and healthcare. It therefore, assumes a strategic role for the management of the accredited public and private healthcare offer, centralizing on itself the moment of health needs and demand assessment, the programming function and performance monitoring 3.
A.Li.Sa., starting from the analysis of health needs and demand, guarantees an appropriate and adequate provision of the essential levels of care and the efficient use of resources, also through the development of models of taking charge of the person throughout the network of health and social- health providers. In particular, regarding the function of governing the offer, A.Li.Sa. supervises and regulates the authorization, accreditation and negotiation processes, the agreements and the contracts with the departments responsible for providing the health services.
Furthermore, the reform of the Regional Social and Health System foresee among its instruments of clinical governance for the integration and standardization processes, the improvement of quality, the efficiency of activities and the appropriateness of services, the establishment of regional inter-company departments (D.I.A.R.). 6 D.I.A.R. were created: Emergency; Cardiovascular; Neuroscience; Oncohematologic; Surgery; Transfusion, Laboratories, Clinical Diagnostics and Imaging and the D.I.A.R. Paediatrics is in phase of constitution 4.
The process of strengthening horizontal structures does not end with the creation of D.I.A.R., but requires a series of interventions supporting pathology networks.
Liguria is among the first regions that formed and institutionalized Breast Units, organizational centres specialized in the prevention, diagnosis and care of breast tumour with an approached based on the “disease management” aimed at improving clinical and quality of health services as recommended by the European Surgery legislation 5. Specifically, Breast Units are a model of assistance where the management of the patient is entrusted to a multidisciplinary group.
The establishment of such network has the objective of improving management, providing a centralized and homogeneous response throughout the entire region and reducing mobility to extra-regional providers. Passive mobility is a relevant criticism for the Regional Health Service and has relevant implications regarding the equity of access and financial sustainability of the regional health system due to the consequent shifting of financial resources.
In this contest, the evaluation of the new model using data obtained from regional routine flows is the basis for strategic choices in healthcare.
METHODS
The analysis used administrative data, obtained from regional routine flows, such as hospital discharge records related to 2013-2018 period.
The data were extracted from administrative healthcare data routinely collect data about ED accesses, hospitalizations, outpatient visits, diagnostic tests, treatments and medical fee exemptions financed by public health funding. They are transmitted by the Ligurian Local Health Agencies (LHAs) and hospitals to A.Li.Sa, where the completeness and quality of data is verified, and then sent to the national Ministry of Health. Healthcare data routinely collected by the public funded LHAs and hospitals were used to assess the impact, in terms of health demand, production and passive mobility, for the pre and post institution period of the Breast Unit. An ad hoc analysis was carried out in order to assess if the adoption of a centralized model leads to significant improvements for the regional health system.
RESULTS
We recovered data form Hospital Demission Sheet, regarding the 2014-2018 period, of all patients with a primary or secondary diagnosis for breast cancer (diagnosis codes 174*, 19881 or 2330) and who underwent to the relative specific surgery (intervention codes 852*, 8533, 8534, 8535, 8536 or 854*). Overall, 8,509 Ligurian patients underwent to 9,078 surgeries in regional or extra-regional hospitals. Patients were mostly female (9 males and 8,500 females) and had a median age of 65 (IQR: 53-75; min 16; max 99). Distribution of Ligurian patients operated in Liguria per LHA of residence and years of intervention was analyzed. The higher number of surgery for breast cancer was detected in 2016 and from the following years the number ranged between 1,435-1,484. Breast Units were constituted in 2016 2.
The number of surgery per hospital characteristics in terms of Breast Units and caseload was evaluated and a progressive centralization of cases operated in Breast Units was observed; it was particularly evident in the last years (2017 and 2018).
The percentage of surgery underwent in centers with caseload equal or higher than 135 per year increased constantly from 2014 to 2018 varying from 64% in 2014 to 92% in 2018.
The centralization model resulted optimal outcomes reaching the goal of 100% for San Martino hospital and LHA 2, 99% for LHA 3 and LHA 5 and 95% for LHA 1 respectively in the period 2015 versus 2018. About San Martino hospital, the proportion of interventions for malignant breast cancer performed in wards with volume more than 135 interventions per year increased from 35.8% to 98%.
Analyzing the differences of percentages of new resection operations breast cancer excision within 120 days from conservative surgery for breast carcinoma between 2017 versus 2018, San Martino hospital, LHA 1, LHA 3, and LHA 5 revealed good performance (data not shown).
One of the main consequence of operating in a center with a low caseload is the high probability of a secondary intervention within 120 days 6, therefore we evaluated the cases of re-intervention in regional centers; in the period 2014-2015 (before the Breast Unit institution) re-intervention rates was 5.12% while in 2017-2018 was 4.97%.
Overall passive mobility (as percentage of surgery that took place in other regions/total number of surgery) varied from 18.0% in 2014, had a peak in 2015 with 21.3% and decreased to 17.6% in 2018. LHA5 had the higher passive mobility with an overall score of 33.5% and a peak in 2015 with 43.4%.
DISCUSSION
Liguria is the region with the highest aging index in Italy and has a steadily increasing burden of chronic patients; for these characteristics, it could be considered the reference of other Italian regions 7. The reform has taken into account these aspects planning strategic actions by A.Li.Sa. including a support of the network model and implementation of governance by sharing objectives, indicators and targets on a regional level. The recent reform has, therefore, addressed the coordination on a dual level: at the strategic level, through the establishment of A.Li.Sa., intermediate between the Region and the others health authorities (LHAs, hospitals etc.) 2, and welfare and socio-assistance level, through the establishment of a new organizational tool, the D.I.A.R. which are based on the network, like some pre-existing organizational forms, but structured and inserted transversally with respect to the pre-existing authorities, whose maintenance was deemed necessary for respond locally to the specific needs of the population 4. D.I.A.R.s were established as an organizational tool to promote quality, appropriateness of care, homogenous and evidence-based healthcare pathways in the regional area, and clinical efficacy with consequent optimization of resources.
Focusing on the results of the implemented model of Breast Unit, an improvement in terms of satisfaction of the healthcare need and a decrease of passive mobility for surgical treatment of breast cancer were obtained. Therefore, the Breast Unit model represents an organizational response able of overcoming the fragmentation of care in favour of a global patient management, the continuity of care pathways and the uniform application of shared evidence-based pathways that allowed containing the patient passive mobility. Indeed, Breast Units have a well-defined pathway that foresees diagnosis, reception, multidisciplinary examination, surgical procedure, rehabilitation program, medical and radio therapeutic course, examinations and exam planning, psychological support, genetic counselling and fertility preservation. Furthermore, very recently a new regional organizational and healthcare pathway (P.D.T.A) on breast cancer was approved and will lead to further improvement in patient management.
In conclusion, the analysis of regional data is crucially in the supporting strategic decisions and in the assessment of new organizational model and when organisational changed are introduced there is a need of rules, tools, incentives and cultural and motivational aspects.
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Abstract
Il mutato contesto epidemiologico, l’evoluzione dell’organizzazione dei servizi e l’avvento delle nuove tecnologie sono solo alcune delle sfide che obbligano le nuove generazioni di professionisti a confrontarsi con una società complessa e a riflettere sulla necessità di interpretare un nuovo ruolo del medico di Sanità Pubblica.
È il neo-specialista di Sanità Pubblica in grado di affrontare le nuove esigenze di un Sistema Salute che evolve? La scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva è il “luogo” capace di stimolare la crescita del Medico in formazione specialistica offrendogli metodologie e strumenti che lo rendano in grado di rispondere a queste nuove sfide? Il giovane Medico di Sanità Pubblica è disposto a mettere in discussione la propria professione?
In questo workshop, come Consulta dei Medici in Formazione Specialistica, ci proponiamo di analizzare le prospettive delle discipline della Sanità Pubblica, confrontandole con le abilità acquisite durante l’attuale formazione specialistica e individuando le possibili core competences che dovremmo sviluppare per interpretare le sfide future in un mondo che corre oltre il domani. In quest’ottica abbiamo, pertanto, deciso di sviluppare e proporre le quattro relazioni seguenti, tra loro logicamente e trasversalmente legate:
Dal bisogno di salute alla risposta della sanità: come chiudere il cerchio? Le trasformazioni sociali, demografiche ed epidemiologiche avvenute negli ultimi decenni hanno portato ad un progressivo mutamento dei bisogni di salute della popolazione e rischiano di minare la sostenibilità e i principi di universalismo del sistema sanitario. Infatti, l’invecchiamento della popolazione e l’epidemia di malattie croniche sono alla base dell’aumentata complessità dei bisogni assistenziali, e l’allargamento della forbice delle disuguaglianze sociali è esitato in nuove forme di marginalità e povertà, non solo materiale ma anche relazionale e culturale. A ciò si associa una società che diventa progressivamente sempre più multietnica e multiculturale, frutto di un processo migratorio costante e strutturale di questo tempo. In tale scenario, la risolutività dei servizi nei confronti dei bisogni di salute richiede la centralità della promozione di salute attraverso un approccio proattivo e partecipato, multidisciplinare e intersettoriale che tenga conto della matrice sociale e relazionale dei processi di salute e malattia e il superamento della medicina di attesa verso quella di iniziativa. A più di 40 anni dalla dichiarazione di Alma Ata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ne ha confermato i valori e i principi, affermando che la Primary Health Care (PHC) rappresenta l’approccio necessario per ridurre le disuguaglianze in salute e per favorire l’accesso universale a un’assistenza centrata sulla persona e sulla popolazione e la costruzione di Comunità sane, ovvero la prevenzione primaria. Anche in Italia, la riorganizzazione delle Cure Primarie rappresenta un elemento inderogabile. A riguardo, diverse sono le esperienze positive, dai modelli di micro-aree, alle Case della Salute, e Ospedali di Comunità.
La formazione in sanità pubblica: cosa insegnare in un mondo che cambia? La sanità pubblica, avendo come proprio scopo quello di individuare e rispondere ai molteplici e variabili bisogni di salute della società in cui opera, ha visto nel tempo un continuo rinnovamento dei suoi temi e strumenti. Di conseguenza anche i curriculum formativi necessitano di un regolare aggiornamento nei metodi e nei contenuti. Le società scientifiche, di concerto con le Università, possono essere un luogo importante di scambio interprofessionale e intergenerazionale per portare avanti l’innovazione in ambito formativo. Con questo intervento proveremo a riflettere, alla luce di esperienze nazionali ed europee, su quali azioni la Consulta degli Specializzandi e gli altri organi societari potranno intraprendere nel prossimo anno per potenziare il suo ruolo nella formazione degli specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva.
Verso nuove frontiere: una carriera di ricerca in sanità pubblica oggi. Nella sessione dedicata alla ricerca scientifica, ci si propone di delineare una guida al percorso di carriera accademica e una descrizione del panorama della ricerca italiana in Sanità Pubblica, individuando strumenti pratici per affrontare le sfide legate alla competitività del mondo scientifico, alla necessità di adottare un approccio trasversale a diverse discipline per rispondere a bisogni di salute in continuo cambiamento e alla valutazione critica di aspetti quali la valutazione della qualità della ricerca.
La professione igienistica e la sfida del task shifting: la prospettiva dei giovani medici in sanità pubblica. Il raggiungimento degli obiettivi di salute tramite un utilizzo più efficiente delle (scarse) risorse disponibili è oggigiorno sempre più correlato alla valorizzazione e razionalizzazione delle diverse competenze tecniche che si interfacciano all’interno di gruppi di lavoro multidisciplinari e multiprofessionali, da realizzarsi anche attraverso una chiara definizione di ruoli e responsabilità dei differenti attori coinvolti, superando logiche gerarchiche.
In questa congiuntura, in cui è sempre più evidente la necessità di una riorganizzazione dei servizi sulla base dei nuovi bisogni socio-assistenziali e di salute emersi, occorre, pertanto, fare di necessità virtù e scorgere nuove opportunità laddove gli altri vedano problemi: la multiprofessionalità intesa come risorsa e il task shifting come utile strumento per migliorare la qualità del Sistema.
Con questo workshop noi medici in formazione specialistica ci siamo messi in gioco, ampliando l’orizzonte della formazione verso una Sanità Pubblica in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini e garantire la sostenibilità del Servizio sanitario Nazionale.
Abstract
L’approvvigionamento idropotabile della Sardegna mostra, da tempo, alcune criticità: carenza di disponibilità di acque profonde, conseguente maggiore impiego di acque superficiali (85%), condizione di eutrofia più evidente in alcuni laghi, elevata percentuale di acque potabilizzate, difficoltà di potabilizzazione, la più elevata percentuale tra le regioni italiane in merito alla dispersione di acqua in rete e sfiducia nel bere acqua di rubinetto. Inoltre, non è infrequente il riscontro di Disinfection By Products (DBPs) potenzialmente dannosi per la salute. Al fine di ridurre la presenza di tali composti, nell’arco degli anni, in vari impianti sono state adottate differenti metodiche di disinfezione passando dall’ipoclorito di sodio al biossido di cloro come disinfettante primario da solo, o successivamente, associato alla monocloramina come disinfettante secondario.
In tale articolato contesto, anche sulla base degli esiti di ricerche condotte in altri ambiti geografici che hanno evidenziato la presenza di sostanze mutageno/cancerogene provenienti sia dal corpo idrico di attingimento sia dagli stessi sistemi di disinfezione nonché per il passaggio dell’acqua potabile nella rete idrica, lo scopo dello studio è stato quello di valutare la presenza e la formazione di sostanze genotossiche in acque provenienti da 4 acquedotti della Sardegna centro-settentrionale in tre successive tappe della potabilizzazione anche per poter fornire al gestore idrico informazioni utili per migliorare la qualità dell’acqua.
Pertanto, acque grezze, disinfettate e distribuite in rete a circa 550.000 abitanti, dopo una preliminare caratterizzazione chimica e microbiologica, sono state sottoposte a differenti test: su acqua tal quale, test dei micronuclei e delle aberrazioni cromosomiche in radici di Allium cepa e, su acqua concentrata mediante adsorbimento in fase solida con cartucce di silice C18, test della microgelelettroforesi a singola cellula (test della cometa), test dei micronuclei su cellule HepG2 di epatocarcinoma umano in vitro e test di Ames su ceppi TA98 e TA100 di Salmonella typhimurium.
I risultati ottenuti attraverso i test di genotossicità / mutagenicità hanno evidenziato presenza di xenobiotici nelle acque grezze, disinfettate e distribuite in rete provenienti dai quattro laghi oggetto di indagine. Il Comet test ha mostrato il maggior numero di risultati positivi in accordo con il test di Ames e/o con il test in Allium. L’uso di cloramine associate ad altri disinfettanti non ha eliminato la mutagenicità riscontrata nell’acqua grezza e quando l’acqua grezza non era mutagena ha introdotto sostanze mutagene/genotossiche.
Si evidenzia, pertanto, la necessità di effettuare ulteriori indagini di valutazione del rischio e di adottare interventi di prevenzione finalizzati a migliorare la qualità dell’acqua di questi bacini per ridurre i rischi per la salute associati alla mutagenicità dell’acqua potabile.
Abstract
Legionella è un microrganismo idrofilo, Gram-negativo intracellulare facoltativo, responsabile di una malattia infettiva comunemente chiamata legionellosi, solitamente acquisita per inalazione o aspirazione di aerosol proveniente da fonti d’acqua contaminata. Le manifestazioni cliniche comprendono una forma di polmonite grave, nota come Malattia dei Legionari, la febbre di Pontiac (una malattia simil-influenzale) e forme extrapolmonari.
Il microrganismo è ubiquitario nei sistemi idrici naturali e artificiali, nei sedimenti e terreni sia in forma di singole cellule, sia all’interno di amebe o di biofilm. Cresce tra 25°C e 50°C, ma può sopravvivere anche a temperature tra 5,7°C e 63°C, soprattutto se l’acqua è stagnante. La suscettibilità degli individui alla stessa fonte di infezione dipende da singoli fattori di rischio dell’ospite e da malattie concomitanti.
Ad oggi, sono state segnalate 61 specie e più di 70 sierogruppi di Legionella. Legionella pneumophila è la specie più frequentemente associata a malattie umane e comprende 16 sierogruppi. Sebbene studi precedenti abbiano dimostrato che i ceppi di L. pneumophila sg 1 siano la maggior causa di malattia nell’uomo, un numero crescente di casi è attribuito ad altre specie e sierogruppi.
La sorveglianza della legionellosi in Europa è coordinata dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità, dove è sottoposta a notifica obbligatoria e a un sistema di sorveglianza speciale che consente di raccogliere numerose informazioni sul paziente (età, sesso, presenza di malattie, attività lavorativa, ricovero ospedaliero, abitudini sociali, etc.). Secondo i dati nazionali, nel 2017 sono stati segnalati in Italia 2.014 casi (1.981 confermati e 33 probabili) di legionellosi (33,2 casi/1 milione di abitanti), in leggero aumento rispetto all’anno precedente (28,2/1.000.000). Dopo i casi associati alla comunità (n = 1.580, 78,5%), il maggior numero di casi è stato associato ai viaggi (n = 239, 11,9%), seguito da casi associati alle strutture sanitarie (n = 124, 6,2%) e altro (n = 71, 3,5%). Il test dell’antigene urinario rappresenta lo strumento diagnostico più utilizzato (97,0%). Complessivamente, il tasso di mortalità in Italia varia dal 10,1% per i casi comunitari al 51,1% per i casi nosocomiali.
Nel 2015, tutte le linee guida nazionali per la prevenzione e il controllo della legionellosi, sono state incorporate in un unico documento aggiornato, consultabile sul sito istituzionale del Ministero (www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2362_allegato.pdf) rivolto alle strutture turistico-ricettive, sanitarie e termali. Le Linee guida riportano la valutazione del rischio come una delle misure di prevenzione più efficaci per la gestione della contaminazione da Legionella nei sistemi idrici. Secondo l’articolazione delle competenze sancita a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, si ritiene che le Linee guida nazionali debbano contenere indirizzi, criteri e indicazioni generali, che compete alle regioni tradurre in specifiche linee di intervento in ambito territoriale. Le regioni, dunque, recepiscono le Linee guida nazionali (es. Toscana, Veneto, Sicilia) integrandole e aggiornandole con Linee guida regionali (es. Puglia). Le Linee guida regionali pongono in rilievo che la prevenzione delle infezioni da Legionella è basata essenzialmente sull’attivo controllo e sulla corretta manutenzione degli impianti che possono essere più frequentemente sede di contaminazione da parte del microrganismo. I controlli effettuati dalle Aziende Sanitarie Locali su strutture sanitarie e sociosanitarie prevedono verifiche scadenzate e, in base agli esiti riscontrati, si adottano i provvedimenti previsti dalla normativa regionale.
La Regione Puglia, con la DGR n. 2261 del 13 novembre 2012 - B.U. n. 175 del 5 maggio 2012, ha attivato un Sistema per la sorveglianza e il controllo della legionellosi che nell’arco di 5 anni ha prodotto la stesura di Indirizzi operativi sia per “la prevenzione e il controllo della legionellosi nelle strutture turistico-ricettive e ad uso collettivo” (B.U. n.79 del 9 giugno 2015) sia per “la sorveglianza clinica e ambientale della legionellosi nelle strutture sanitarie ed assistenziali” (B.U. n.114 del 31 agosto 2018), comprese attività di formazione, informazione e comunicazione del rischio.
Il 1° febbraio 2018 alla luce di quanto ritenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – per cui tra tutti i patogeni presenti nell’acqua, Legionella causa il maggiore onere sotto il profilo sanitario nell’Unione Europea – la Commissione Europea a Bruxelles ha adottato la proposta di rifusione della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano. La proposta di rifusione si prefigge di: 1) aggiornare gli standards qualitativi dell’acqua includendo Legionella tra i microrganismi da ricercare; 2) introdurre un approccio basato sul rischio per il controllo dell’acqua; 3) migliorare le informazioni sulla qualità dell’acqua e sui servizi idrici per i consumatori; 4) armonizzare le norme relative ai prodotti a contatto con l’acqua potabile e 5) migliorare l’accesso all’acqua. Successivamente, tale proposta ha subito alcuni aggiornamenti (27 febbraio 2019, Bruxelles) che hanno riguardato, tra le diverse modifiche alla Direttiva Europea, anche il valore di parametro di Legionella pari a 1.000 ufc/L. Tale valore non è definito come obiettivo in termini di salute, ma come valore soglia che può far scattare una valutazione del rischio e provvedimenti correttivi. Tali azioni potrebbero essere prese in considerazione anche al di sotto del valore di parametro, ad esempio in caso di infezioni e focolai. In questi casi va confermata la fonte dell’infezione e identificata la specie a cui appartiene.
La proposta di rifusione riprende il concetto del Piano di Sicurezza dell’Acqua (Water Safety Plan, WSP), un sistema globale di valutazione e gestione del rischio esteso a ciascuna fase della filiera idrica per garantire la protezione delle risorse idriche e la riduzione di potenziali pericoli per la salute umana. Tale modello, introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004, nasce principalmente come nuovo approccio (definito risk-based) per il controllo delle acque destinate al consumo umano, consentendo una flessibilità del sistema di gestione rispetto a contaminanti emergenti trasmessi per via aerea, tra cui Legionella.
Nel 2007 il WHO ha pubblicato un documento sulla prevenzione della legionellosi attraverso il nuovo approccio del WSP volto a valutare il rischio di esposizione e a ridurre la proliferazione di Legionella.
Gli impianti oggetto di valutazione devono essere studiati per identificarne i punti critici e le relative procedure di controllo, tenendo conto delle caratteristiche dell’acqua di approvvigionamento (presenza di fonti di nutrimento per Legionella, concentrazione di cloro), delle possibilità di contaminazione nell’impianto, delle eventuali condizioni di flusso minimo o assente, della vetustà dell’impianto, dei lavori di ampiamento e ristrutturazione, dei periodi di interruzione del funzionamento.
I componenti fondamentali del WSP sono così riportati nei Rapporti ISTISAN 14/21 dell’Istituto Superiore di Sanità: 1) analisi del sistema idrico, dalla captazione al rubinetto; 2) monitoraggio operativo; 3) documentazione del processo di valutazione e di controllo del sistema idrico.
Nella prima fase sono identificati tutti i potenziali pericoli relativi ad ogni segmento della filiera idrica (captazione, trattamenti, distribuzione), è definito il livello di rischio associabile a ciascun pericolo identificato e sono stabilite le misure di controllo secondo un ordine di priorità.
La seconda fase considera la natura e frequenza per ogni punto di campionamento e per ogni misura di controllo e mira ad assicurare che ogni deviazione dalla prestazione richiesta sia rapidamente rilevata e affrontata.
La terza fase comprende la documentazione esaustiva del processo di valutazione del sistema, la validazione del monitoraggio operativo e del controllo del sistema. La documentazione dovrebbe includere anche una descrizione delle azioni da intraprendere in condizioni operative normali e in condizioni di emergenza.
A supporto delle diverse fasi di un WSP, può essere utilizzata la valutazione quantitativa del rischio microbiologico (QMRA: Quantitative Microbial Risk Assessment) che rappresenta la stima del rischio di infezione/malattia basata sulla concentrazione di microrganismi patogeni in matrici ambientali o alimentari.
Modelli di QMRA per Legionella sono stati formulati per diversi contesti (impianti idrici domestici o ospedalieri, torri di raffreddamento, irrigazione, recupero e riuso di acque ecc.). Sebbene l’applicazione di tali modelli sia affetta da limitazioni derivanti soprattutto dall’incertezza nelle stime delle curve dose-risposta e dalla scarsità di dati di monitoraggio, essa può essere di grande utilità nei WSP per definire limiti critici e livelli di efficacia richiesta dai trattamenti, in relazione alla qualità dell’acqua in entrata, alle condizioni ambientali, alle modalità di esposizione e alle caratteristiche dei soggetti esposti.
In quest’ottica, i trattamenti di disinfezione si pongono a supporto delle azioni previste dalle cosiddette “misure di controllo” individuate dai protocolli operativi specificatamente elaborati per l’impianto considerato.
In conclusione un corretto approccio metodologico per valutare il rischio di esposizione a Legionella è un’esigenza ormai inderogabile per tutelare adeguatamente i lavoratori e tutti coloro che a vario titolo frequentano il luogo. In considerazione della classificazione di Legionella spp. nel 2°gruppo di rischio, ai sensi del DLgs 81/2008 e ss.mm.ii. in materia di salute e sicurezza, il riscontro di tale microrganismo nel contesto di indagini igienico-ambientali comporta la messa in atto di interventi di bonifica ambientale finalizzati al ripristino di condizioni igieniche accettabili. Pertanto, anche se le Linee Guida non hanno valore di Legge, la loro osservanza rientra negli obblighi di diligenza (cura, cautela, perizia e legalità) richiesti a chi svolge attività professionale o imprenditoriale. La mancata o carente applicazione delle Linee Guida ministeriali espone l’Azienda non solo ad azioni dirette da parte del leso ma anche da parte dei NAS, della ASL che interessano sia gli aspetti civilistici e più squisitamente risarcitori sia quelli penalistici.
Ai fini della tutela della salute occupazionale, è indispensabile quindi valutare il potenziale rischio di esposizione a Legionella spp in tutti gli ambienti lavorativi e individuare misure di prevenzione e contaminazione microbiologica ambientale. Attualmente, nonostante i numerosi vantaggi, l’applicazione del WSP non è ancora del tutto estesa a livello nazionale, anche se disposizioni in tal senso risultano già presenti in alcuni regolamenti regionali come nella Regione Puglia (RR n.1 del 9 gennaio 2014).
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Abstract
Lo scetticismo nei confronti delle vaccinazioni è un fenomeno in crescita che ha compromesso le coperture vaccinali in molti Paesi ad alto reddito, inclusa l’Italia, registrato negli anni successivi al 2010, con differente tempistica nei diversi territori italiani, in grado di coinvolgere inizialmente alcune regioni e di diffondersi successivamente come una vera e propria ondata epidemica. Questo fenomeno, ampiamente studiato dalla stessa OMS, è stato denominato “esitazione vaccinale” (Vaccine Hesitancy) ed è stato definito come il “ritardo nella accettazione o il rifiuto delle vaccinazioni, nonostante la disponibilità di servizi vaccinali. La Vaccine Hesitancy è un fenomeno complesso e contesto-specifico, che varia nel tempo, nel luogo e per tipologia di vaccino. È influenzata da fattori quali la compiacenza, la convenienza e la fiducia” 1. L’OMS ha inoltre studiato i fattori in grado di determinare la scelta di vaccinare e le strategie percorribili per ottenere un miglioramento dell’accettazione delle vaccinazioni e un relativo aumento delle coperture vaccinali. Tra questi spiccano alcuni determinanti che riguardano il contesto comunicativo: la copertura massmediatica di certe notizie collegate ai vaccini, l’attitudine giornalistica con cui tali notizie sono presentate, il ruolo degli operatori sanitari nel raccomandare le vaccinazioni in modo corretto e la coerenza delle raccomandazioni, le esperienze personali e la conoscenza di amici e familiari che raccontano storie di verosimili danni da vaccino. Questi elementi vanno ad incidere in maniera impattante ma non definitiva sui processi mentali e decisionali di ciascun genitore. In ultima analisi le convinzioni e le attitudini verso la salute e la prevenzione, la percezione soggettiva dei rischi e dei benefici, lo spazio alle teorie cospirazioniste, la percezione negativa relativa al ruolo delle industrie farmaceutiche e molti altri determinanti di contesto ed individuali sono condizionati dalle euristiche e dai bias cognitivi che “cablano” il cervello di ciascun genitore e le neuroscienze cognitive sono sempre più in grado di offrire strumenti potenti e predittivi per spiegare i meccanismi mentali che impediscono di fare scelte razionali.
Di fronte a questo scenario comprendiamo la complessità del fenomeno “esitazione vaccinale” che può essere letto dal punto di vista epidemiologico con dei semplici indicatori di sintesi, quali le stesse coperture vaccinali, ma che dovrebbe essere affrontato centralmente e localmente con percorsi ed approcci multipli, differenziati, continuativi e rispettosi delle svariate forme di esitazione che caratterizzano i genitori italiani.
COSA È STATO GIÀ FATTO IN ITALIA?
Quando, sul finire del 2014, tre morti risultarono associate temporalmente alla somministrazione dello stesso vaccino antinfluenzale, AIFA dispose cautelativamente il divieto di utilizzo di due lotti di vaccino, ma al contempo pubblicò un comunicato stampa in cui riportava la notizia che venne ripresa da tutte le testate giornalistiche italiane. Al tempo la predominanza delle informazioni collegate ai vaccini era di segno negativo; l’argomento vaccinale veniva affrontato non senza commettere marcati errori giornalistici, come il reiterato errore di falce balance o errata par condicio. Negli anni compresi tra il 2013 e il 2015 si sono intensificati sul territorio italiano incontri pubblici promossi da organizzazioni contrarie alla pratica vaccinale I risultati delle indagini biennali condotte da Censis-Ucsi sulla comunicazione in Italia hanno messo in evidenziano un sempre più marcato utilizzo di internet nella ricerca di informazioni, attraverso motori di ricerca, siti web, testate giornalistiche e i principali social network; Facebook tra tutti si conferma una delle principali fonti informative, specialmente tra i più giovani 2. La qualità delle informazioni presenti sul web non è sempre garantita e da molti anni a questa parte i movimenti oppositori alle vaccinazioni sfruttano la rete per diffondere disinformazione. Un’indagine riporta che il 7,8 % dei genitori “decide di non vaccinare i propri figli sulla base delle informazioni reperite su internet” 3. Ulteriori indagini hanno messo in evidenza l’incremento esponenziale del numero degli articoli pubblicati sulla tematica vaccinale (Secondo dati Observa relativi alle principali testate giornalistiche nazionali si è passati da 7 articoli nel 2008 a 173 nel 2015). Nel frattempo Influencer e opinion leader si sono affermati sulla scena nazionale e hanno avuto il merito di dare rilevanza ad una corretta informazione in ambito vaccinale. Tra i più appassionati sostenitori della scienza e delle vaccinazioni è emerso il Prof. Roberto Burioni, Professore Ordinario all’Università San Raffaele di Milano e noto per i suoi interventi sui social media contro la disinformazione in ambito vaccinale. La sua pagina Facebook ha oltre 450.000 followers e la sua opera di divulgazione si è rafforzata con la pubblicazione di libri dall’indiscusso successo. Ma il cambio di passo nei confronti delle vaccinazioni è stato generale e nel biennio 2015-2016 molte situazioni sono cambiate in maniera radicale. Le principali organizzazioni e società scientifiche, tra le quali la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), hanno sollevato le proprie voci, spesso con comunicati congiunti, per affermare il primato delle vaccinazioni e difendere la pratica vaccinale in ogni occasione necessaria. Gli Ordini dei Medici hanno preso una ferma posizione nei confronti di medici che hanno fatto del proprio scetticismo sui vaccini una bandiera. Alcuni di questi medici sono stati radiati o sospesi dal proprio Ordine di appartenenza. Il giornalismo italiano è lo stesso identico giornalismo sensazionalista di sempre, ma nel giro di pochi anni le prime pagine dei nostri quotidiani hanno visto la transizione dei messaggi comunicativi: si è passati dal “vaccino killer” alla “meningite killer” con le stesse modalità giornalistiche e con gli stessi risultati: nel 2016 le notizie sui casi di meningite in Toscana hanno spaventato e ingenerato un’impropria richiesta di vaccinazioni. Sul versante dei siti web degno di nota è l’impegno della SItI attraverso il portale “VaccinarSì”, nato nel 2013 allo scopo di contrastare la disinformazione imperante nel web in materia di vaccinazioni. Grazie all’apporto specialistico della SItI in pochi anni VaccinarSì è diventato il punto di riferimento di migliaia di operatori sanitari e di famiglie, raggiungendo 3 milioni di utenti unici e ponendo le basi per avere sempre maggiore visibilità, vista la recente messa in rete di 9 nuovi portali vaccinali regionali, accomunati dal nome “Vaccinarsi”. Lo scenario comunicativo è completamente cambiato, anche nei principali social network. Nel 2014 nasce RIV – Rete Informazione Vaccini, principalmente come pagina Facebook; RIV ha quasi 25.000 followers e si occupa esclusivamente di informazione vaccinale. Nel 2015 nasce “Io Vaccino” e nel 2018 rappresenta la pagina Facebook interamente dedicata alla promozione delle vaccinazioni di più grande successo, con oltre 70.000 followers. Nel frattempo cambia radicalmente lo scenario politico, il Governo nazionale, nel maggio 2017, ha pubblicato il Decreto Legge 73/2017, convertito successivamente in Legge (Legge 119/2017), ampliando così il numero delle vaccinazioni obbligatorie da 4 a 10 e sanzionando le mancate vaccinazioni con multe per la fascia d’età 0-16 anni e sospensioni scolastiche per i bambini di età inferiore ai 6 anni. Questo repentino e sostanziale cambiamento del contesto politico ha generato un articolato dibattito, con ampia copertura mediatica, il recupero di un gran numero di inadempienze vaccinali e la radicalizzazione di posizioni estreme con genitori precedentemente esitanti che hanno risolto o consolidato i propri dubbi e le proprie perplessità sulle vaccinazioni.
COSA PUÒ ANCORA ESSERE FATTO?
Ad ogni livello, nazionale, regionale e locale, possono essere messe in campo azioni finalizzate a contrastare l’esitazione vaccinale, dapprima studiandone le peculiarità, le caratteristiche che la distinguono da territorio a territorio e da vaccino a vaccino. L’approccio OMS è stato teorizzato attraverso la cosiddetta Guida “TIP” (Tailoring Immunization Programmes), con l’obiettivo di facilitare la definizione e l’adozione di interventi strategici per la programmazione e la comunicazione sulle vaccinazioni 4. L’obiettivo generale della Guida alla realizzazione di programmi di immunizzazione “su misura” è quello di fornire validi metodi e strumenti che possano aiutare i programmi nazionali di immunizzazione ad elaborare strategie specifiche per incrementare l’adesione alle vaccinazioni di neonati e bambini, aumentando così le coperture vaccinali. La Guida TIP utilizza un metodo di segmentazione che aiuta ad individuare i gruppi di popolazione suscettibili a cui rivolgere prioritariamente i propri sforzi. La Guida utilizza percorsi e mappe concettuali per conoscere nel dettaglio da che cosa sono guidate le decisioni dei genitori ed esplorare il ruolo degli operatori delle vaccinazioni nell’influenzare le scelte e le azioni degli stessi genitori sull’immunizzazione. Fornisce inoltre assistenza per definire, implementare, monitorare e valutare interventi basati sui risultati del processo di segmentazione e di analisi dei profili e un repertorio di buone pratiche dei programmi di immunizzazione, a cui possono attingere gli estensori dei programmi di immunizzazione.
Ma se questo approccio sistematico è lontano dall’essere applicato in Italia è allora opportuno che gli sforzi vengano attuati a livello locale. In questo senso le Asl e in particolare i Servizi vaccinali locali possono adottare strategie applicabili e percorribili, così da partecipare in senso positivo al miglioramento dello scenario comunicativo complessivo.
Di seguito si riportano 4 obiettivi perseguibili a livello locale.
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Attenzione al fenomeno “esitazione vaccinale”
Alla base di ogni approccio di risposta al fenomeno “hesitancy” deve esserci una attenta valutazione epidemiologica che potrà fare tesoro di indagini specifiche, dalle survey all’analisi dettagliata delle coperture vaccinali. Necessario, a questo proposito, potersi affidare ad un livello di informatizzazione tale da rendere semplice e non time-consuming l’analisi delle coperture, con approfondimenti e analisi specifiche per luogo, tipologia di vaccino, sede vaccinale d’erogazione e pediatra di riferimento.
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Attenzione all’approccio comunicativo degli operatori dedicati alle attività vaccinali
Gli operatori dedicati alle vaccinazioni o quelli coinvolti, come gli stessi Pediatri di Libera Scelta o i Medici di Medicina Generale, hanno la responsabilità di gestire le attività comunicative con l’utenza nel miglior modo possibile. Sempre più solide sono le evidenze di efficacia di approcci comunicativi differenziati che possono essere utili nel colloquio prevaccinale, quando i genitori aderiscono alle attività vaccinali presentandosi nei nostri ambulatori, nel colloquio informativo con i genitori esitanti, peraltro previsto dalla stessa Legge 119/2017, così come in ogni altra situazione che generi un’interazione comunicativa.
Revisionare l’organizzazione delle attività vaccinali facilitando l’adozione di un approccio comunicativo “presuntivo” o “direttivo” rispetto al poco efficace, ma spesso troppo utilizzato, approccio “partecipativo” può determinare un miglioramento dell’adesione all’offerta vaccinale 5.
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Gestire in modo standardizzato la comunicazione degli eventi vaccino correlati
Con frequente periodicità i Sistemi vaccinali si ritrovano ad affrontare eventi che hanno ricadute comunicative talvolta non indifferenti sulla pratica vaccinale. Con la Guida “Vaccine Safety Events: managing the communications reponse” 6 l’OMS ha definito le modalità di risposta ai cosiddetti “Eventi Vaccino Correlati (VRE), come un evento avverso che segua una vaccinazione, un nuovo studio o risultati sperimentali, notizie dai media o un “rumour” locale su una vaccinazione o un vaccino, la temporanea sospensione, il ritiro o la sostituzione di un vaccino. Un VRE ha la potenzialità di causare perdita di fiducia nelle istituzioni sanitarie, un rafforzamento di certi bias cognitivi che contribuiscono alla distorsione nella percezione del rischio della popolazione generale e in ultima analisi una potenziale crescente esitazione vaccinale. Siano d’esempio per tutti gli eventi collegati alle attività vaccinali in corso di pandemia influenzale nel 2009-2010 e il già citato “caso Fluad” del 2014. La Guida OMS alla gestione comunicativa dei VRE spiega come sfruttare al meglio il nuovo scenario comunicativo, definisce i criteri per stabilire se e come rispondere ad un VRE, quali canali comunicativi possano essere usati e come debba essere elaborato il messaggio comunicativo. Affrontare in maniera sistematica i VRE a tutti i livelli è certamente una sfida da affrontare nell’immediato futuro.
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Formazione e diffusione della cultura vaccinale tra tutti gli operatori sanitari
Non è accettabile che vi siano genitori italiani sottoposti a opinioni discordanti da parte di operatori sanitari su un quesito vaccinale di qualsiasi natura. Eppure questa evenienza è tanto frequente da essere un fattore di rischio noto per esitazione vaccinale in Italia 7. È sempre più necessario facilitare la diffusione di una cultura vaccinale diffusa che renda ogni operatore sanitario (non solo gli operatori dedicati) portatore di conoscenze e informazioni appropriate, aggiornate, scientificamente corrette, utili nelle dinamiche comunicative in ambito vaccinale.
È verso questi quattro obiettivi che il Gruppo di Lavoro Comunicazione per la Sanità Pubblica della SItI volgerà parte delle sue attenzioni nel prossimo biennio, con l’obiettivo di rafforzare le azioni societarie che possano contribuire al contenimento dell’esitazione in Italia.
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Abstract
La ricerca accademica e gli interventi normativi in ambito di emergenze per la salute pubblica hanno avuto un notevole impulso nell’ultimo decennio.
La prima e più completa concettualizzazione di preparazione alle emergenze per la salute pubblica o “public health emergency preparedness” (PHEP), si deve al lavoro di Christoper Nelson et al, che nel 2007 l’hanno definita come “l’abilità dei Sistemi Sanitari e di Salute Pubblica, delle comunità e degli individui di prevenire, proteggersi, rispondere velocemente e ristabilirsi in caso di emergenze sanitarie, in particolare in quelle in cui la scala, le tempistiche o l’imprevedibilità minacciano di sopraffare le normali abilità di risposta del Sistema. La PHEP richiede un continuo e coordinato processo di pianificazione e implementazione che si focalizza sulla misurazione delle performance e sull’avviare eventuali azioni correttive” 1.
Questa definizione fa leva sul concetto di sistema e sulla necessità di sinergia tra la complessa rete di individui e organizzazioni che svolgono ruoli critici nella creazione delle condizioni per il mantenimento e il ripristino della salute: non solo istituzioni centrali e locali rivolte all’assistenza sanitaria, ma anche agenzie di protezione e sicurezza civile, amministrazioni cittadine, accademia, imprese, media e tutte le altre organizzazioni pubbliche e private che, pur essendo entità separate, in caso di eventi critici per una comunità devono coordinarsi integrando le proprie competenze.
Nel 2013, l’Unione Europa (UE) si è formalmente impegnata per uniformare i livelli di PHEP all’interno e tra gli Stati Membri, adottando la Decisione numero 1082 sulle “minacce transfrontaliere per la salute”, indicate come qualsiasi evento capace di costituire un’emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale, in linea con quanto definito dalle International Health Regulations (IHR) 2.
Sotto la supervisione del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (European Centre for Disease Prevention and Control - ECDC) e sulla base di precedenti esperienze realizzate negli Stati Uniti, sono state conseguentemente avviate iniziative mirate a identificare i gap specific di PHEP all’interno dell’UE. Un primo risultato è stato lo sviluppo di un Logic Model europeo, ovvero un quadro di riferimento concettuale contenente le aree prioritarie su cui intervenire per potenziare i livelli organizzativi e di risposta alle emergenze dei vari Paesi Membri 3.
Il framework adottato effettua una distinzione tra capacities e capabilities: le prime costruiscono le risorse infrastrutturali, politiche, di personale a disposizione di un sistema sanitario; le seconde, strettamente dipendenti dalle prime, rappresentano invece le “funzioni” essenziali di sistema che devono essere garantite in caso di risposta a un’emergenza e che devono essere definite in modo coerente per tutti i Paesi Membri.
Il Logic Model è stato successivamente tradotto in un Competency Model, documento che descrive nel dettaglio l’insieme strutturato delle competenze, delle conoscenze e delle abilità necessarie per gli esperti che si occupano di PHEP a livello locale, nazionale ed Europeo 4.
Nel 2017, infine, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization - WHO) ha realizzato uno strategic framework sulla PHEP, mettendo ulteriormente in risalto la necessità di un linguaggio e un approccio internazionale condiviso per la gestione delle emergenze sanitarie 5.
Nel Logic Model dell’UE le capabilities sono raggruppate in 5 macro-aree: individuazione e valutazione dell’emergenza; sviluppo, adattamento e implementazione di politiche; servizi sanitari; comunicazione e coordinamento tra gli attori coinvolti nella risposta; comunicazione del rischio rivolto alla popolazione (emergency risk communication - ERC).
Con due aree focalizzate sul tema, la comunicazione, pur declinata in modo differente, assume un ruolo centrale nelle risposte alle emergenze.
In particolare, la comunicazione del rischio rivolto alla popolazione (emergency risk communication - ERC) costituisce l’area più delicata e di difficile gestione, essendo cruciale nel rispondere alle preoccupazioni, alle paure e ai bisogni della popolazione.
Più nello specifico, secondo la definizione adottata dalla WHO, l’ERC consiste nello scambio in tempo reale di informazioni, consigli e opinioni tra gli esperti o funzionari responsabili della gestione dell’emergenza e le persone che si ritrovano ad affrontare un pericolo per la loro sopravvivenza, salute o benessere economico-sociale.
All’interno di quest’area, il Logic Model dell’UE identifica 4 capabilities chiave che ogni sistema deve garantire affinché tutti i soggetti a rischio siano in grado di prendere decisioni informate per mitigare gli effetti del pericolo e intraprendere azioni protettive e preventive.
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Affrontare le disuguaglianze nella comunicazione, ovvero riconoscere e gestire le differenze riguardo al modo in cui un messaggio viene ricevuto, elaborato e attuato a causa delle diverse caratteristiche demografiche, socioeconomiche e culturali della popolazione colpita dall’emergenza. Queste disuguaglianze possono comportare alterazioni nel livello di percezione del rischio e nell’acquisizione di conoscenze durante le fasi più critiche dell’emergenza, influenzando potenzialmente il rispetto dei comportamenti raccomandati e di conseguenza gli esiti di salute sugli individui.
Il sistema deve essere pertanto preparato ad utilizzare contenuti appropriati, linguaggi semplici, e canali di comunicazione affidabili tra i gruppi di popolazione, predisponendo strategie per superare le barriere linguistiche, culturali e sociali quando necessario.
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Utilizzare l’ascolto dinamico, raccogliere attivamente informazioni attendibili e gestire le voci e le notizie non confermate. Si tratta di sapere preparare e diffondere messaggi affidabili, collaborando con più realtà e utilizzando canali e messaggistica appropriati.
Come sottolineato nel Logic Model, la comunicazione è un processo a due vie costituito, da un lato, da annunci alla popolazione, dall’altro dal monitoraggio delle informazioni diffuse dai media tradizionali, dai social media e altri canali e dalla valutazione su come queste vengono recepite.
L’ascolto dinamico è pertanto quell’insieme di processi relativi alla comprensione delle reazioni e delle preoccupazioni della popolazione essenziali per adattare i messaggi in funzione delle necessità specifiche.
Durante la pandemia di H1N1 del 2009, ad esempio, gli Stati Membri hanno compreso che la popolazione, oltre che per i possibili effetti della malattia, era preoccupata per le scorte insufficienti di antivirali e vaccini. Ciò ha portato i responsabili della sanità pubblica a diffondere rassicurazioni sulla disponibilità delle forniture.
Comunicare il rischio in modo accurato, trasparente e tempestivo, tenendo conto dell’incertezza e delle percezioni del rischio delle popolazioni. Per riuscirvi, è necessario trovare un compromesso tra accuratezza e tempestività. Coloro che hanno un ruolo attivo nella gestione delle emergenze spesso sentono l’esigenza di rispondere rapidamente ai timori della popolazione, per evitare che si crei panico e confusione. Ciò avviene soprattutto in situazioni in cui la preoccupazione pubblica è elevata ma il rischio effettivo è basso, come è accaduto negli Stati Uniti e in Europa durante l’epidemia di Ebola. Tuttavia, comunicare troppo rapidamente in assenza di informazioni complete può creare confusione nella popolazione in un secondo momento se il messaggio originale deve essere successivamente adattato a causa della modifica dello scenario emergenziale. Occorre dunque evitare ritardi nel rilascio di informazioni, ma al contempo bisogna saper riconoscere le area di incertezza limitandosi a fornire notizie verificate e a basso grado di variabilità. In caso contrario, potrebbe verificarsi una repentina perdita di credibilità nei confronti delle istituzioni, con un conseguente aumento di complessità nelle operazioni di risposta.
Promuovere e mantenere la fiducia, inviando con regolarità messaggi che mettano in evidenza l’affidabilità nel modo in cui i responsabili dei servizi gestiscono l’emergenza. Si tratta di una funzione strategica, tanto che diverse evidenze hanno dimostrato come alti livelli di fiducia nel governo siano stati associate ad un maggiore rispetto dei comportamenti raccomandati, come osservato nei Paesi Bassi durante la pandemia di H1N1. Oltre ad identificare le fonti di informazione ritenute affidabili dal pubblico (media, funzionari pubblici, leader della comunità), alti livelli di fiducia possono essere costruiti nelle fasi inter-emergenziali fornendo informazioni sui ruoli e le responsabilità delle varie organizzazioni coinvolte nelle risposte.
Gli aspetti essenziali della ERC identificati dalle capabilities dal Logic Model coincidono, seppur con una diversa organizzazione, con quelli presenti nelle guidelines della WHO pubblicati nel 2018 6.
Queste ultime pongono un accento specifico sulla necessità di coinvolgere il numero maggiore possibile di stakeholders sia per costruire appositi piani di comunicazione in fase pre-emergenziale, sia per identificare nelle prime fasi delle emergenze le figure di cui la comunità locali possono fidarsi in modo da costruire relazioni con loro e coinvolgerli nel processo decisionale per garantire che gli interventi siano collaborativi e contestualmente appropriati.
In un contesto sociale sempre più connesso, la capacità comunicativa di un sistema costituisce in ultima analisi un elemento di importanza pari alle sue risorse strutturali. Gli attori coinvolti nelle emergenze devono essere consapevoli dell’importanza di una comunicazione regolare, chiara e affidabile che tenga in considerazione le esigenze della popolazione e le barriere che possono presentarsi.
Nei prossimi anni sarà fondamentale insegnare competenze di base in ambito di ERC ai professionisti della salute, in modo che a livello locale, nazionale e internazionale si consolidino pratiche standardizzate e condivise capaci di mettere i sistemi impegnati nella PHEP nelle condizioni di rispondere con efficienza ed efficacia alle principali emergenze per la salute pubblica.
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Abstract
L’uso sempre più crescente dei mass-media come televisione, radio, ma anche e soprattutto del web, hanno permesso una enorme disponibilità di notizie e contenuti anche di carattere sanitario. Pur riconoscendo gli indubbi vantaggi che lo sviluppo di internet ha addotto all’intera società, la larga e rapida diffusione, insieme al facile e incontrollato accesso ha determinato anche un grave e importante rischio di disinformazione. In ambito sanitario, una delle tematiche che probabilmente più hanno risentito di tale negativo effetto sono state le vaccinazioni, con il movimento no-vax sviluppatosi prevalentemente nel web. Tuttavia, il web è stato per lungo tempo uno strumento poco o per niente utilizzato dalle organizzazioni sanitarie o dalle Istituzioni pubbliche, concorrendo così alla diffusione di informazioni incomplete o volutamente scorrette. Al contrario, il web ed in particolar modo i social media, grazie all’ampia diffusione e al largo utilizzo da parte della cittadinanza, (si pensi che il solo Facebook registra 1.49 miliardi di utenti attivi) possono – e sempre più dovrebbero – rappresentare un valido strumento di comunicazione, e di contrasto alla disinformazione, da parte delle organizzazioni sanitarie 1. Queste ultime, infatti, dovrebbero utilizzare i mezzi di comunicazione on-line per gestire, sviluppare e migliorare la relazione con i cittadini. L’uso di internet, permette di raggiungere in brevissimo tempo un ampio numero di cittadini – utenti, di rilevare facilmente i loro bisogni oltre a intercettare i rumors e le fake news in tempo reale. È da tenere inoltre presente che, attraverso il web ed i social media, le informazioni riescono ad essere diffuse velocemente, a bassi costi e con un’alta interattività. I social media sono diventati parte integrante della vita quotidiana, e “luoghi” dove gli utenti si scambiano e cercano informazioni relative alla salute. Inoltre, internet rappresenta un’importante risorsa per le organizzazioni sanitarie anche perché permette di identificare influencer credibili da utilizzare per sviluppare campagne informative e divulgative.
La comunicazione attraverso i social media, oltre ad avere delle peculiarità proprie, risponde, in parte, a quelle che sono le caratteristiche intrinseche della comunicazione classica. In particolare, la comunicazione deve essere un processo bidirezionale in cui la fase di passaggio di informazioni si intercala all’ascolto. Inoltre, per essere efficace deve essere accessibile al ricevente, deve cioè condividere i costrutti logici, culturali e linguistici; il messaggio deve essere chiaro e adattato al ricevente. La comunicazione, inoltre, dovrebbe essere completa ed esaustiva oltre che tempestiva, soprattutto nel caso di emergenze sanitarie. Nel caso specifico, anche i social media possono essere adoperati non solo per veicolare informazioni all’utente, ma anche per acquisire informazioni sia in merito ad argomenti prettamente di carattere sanitario (timori relativi ai vaccini, o malattie infettive), che relativi all’opinione che l’utenza ha circa le organizzazioni sanitarie stesse. Ciò implica però un monitoraggio continuo dei social e un’analisi dei contenuti, azioni che indubbiamente richiedono esperienza e tempo e potrebbero quindi costituire una sfida e un impegno di risorse notevoli da parte delle organizzazioni stesse. Tuttavia, esistono strumenti automatici che possono fornire un valido supporto (https://www.wikihow.com/Select-a-Social-Media-Monitoring-Tool). Un problema di primaria importanza che si pone, nell’elaborazione del programma di comunicazione è quello di assicurare l’esistenza di una coerenza tra i vari messaggi inviati, in modo che essi siano inseriti in un unico disegno strategico che assicuri lo sviluppo di un legame di fiducia, consenso e fedeltà con i propri fruitori ed, in generale, con i vari interlocutori. In altri termini è necessario pianificare e identificare degli obiettivi comunicativi. L’European Centre for Disease Prevention and Control, nel documento Social media strategy development, suggerisce di identificare obiettivi attuabili mediante la strategia SMART (Specific, Measurable, Achievable, Realistic, Time-based) 2. Una volta definiti gli obiettivi comunicativi è altrettanto necessario identificare personale e risorse dedicate e fare in modo che il personale preposto, preventivamente formato a tale mansione, sia ben consapevole di quali sono i messaggi da condividere e con quali tempistiche, quest’ultimo aspetto risulta fondamentale in caso di emergenze sanitarie. Il contenuto del messaggio è, infatti, il centro del processo comunicativo e deve essere ampiamente studiato e pianificato affinché risponda ai bisogni informativi dell’utente, oltre a possedere una forma grafica accattivante. Relativamente alla forma grafica, un aspetto importante è l’utilizzo del logo dell’organizzazione, che permette il riconoscimento dell’istituzione. Questo permetterebbe sia di promuovere una identificazione dell’organizzazione, sia di aumentare la fiducia che il cittadino ripone nel contenuto informativo, migliorando di conseguenza la credibilità della fonte. Tuttavia, secondo un revisione della letteratura, l’utilizzo del logo istituzionale nell’ambito delle malattie infettive, sembrerebbe avere poco impatto 3. Inoltre, le informazioni devono poter essere reperite in modo intuitivo, scegliendo il canale social che più si adatta rispetto al tipo di mittente a cui il messaggio è indirizzato. Sfruttare eventi mediatici, come ad esempio la immunization week, è un altro aspetto importante, che come i precedenti richiede pianificazione, oltre che dei contenuti, anche delle tempistiche da rispettare. In aggiunta, subito prima o nel momento in cui si intraprende una campagna comunicativa è necessario rendere partecipi, tutti i componenti dell’organizzazione, circa obiettivi e policies, al fine di aumentare la partecipazione e raggiungere un’ampia adesione. Non meno importante è, infine, la valutazione e la misurazione dei risultati raggiunti, che permette un confronto con gli obiettivi prefissati. Inoltre, la valutazione continua aiuta a identificare ciò che dovrebbe essere migliorato, e ciò che ha riscontrato maggiore successo.
In conclusione, la strategia comunicativa attraverso l’utilizzo dei social media deve rientrare nel contesto di una strategia comunicativa più ampia, della quale dovrà far parte la comunicazione aziendale, l’analisi dei rischi o la pianificazione e l’implementazione delle risposte alle emergenze. Infatti, la comunicazione in ambito sanitario è un processo trasversale che può essere considerato una vera leva strategica a disposizione del management. A tal proposito, è da considerare che la comunicazione agisce su molteplici livelli: direttamente sugli utenti, tra operatori, o su altre istituzioni locali (e non) promuovendo la realizzazione di sinergie inter-istituzionali; divenendo così il centro dell’agire amministrativo, e strumento di governo della complessità sociale e organizzativa.
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Abstract
INTRODUZIONE
Le malattie croniche rappresentano una delle principali sfide della sanità pubblica. Patologie cardiovascolari, polmonari, oncologiche sono, infatti, in continua evoluzione in tutta Europa, con rilevanti ripercussioni sul contesto sociale ed economico dei singoli Paesi. Tuttavia, le evidenze epidemiologiche raccolte negli ultimi 30 anni mostrano una stretta correlazione tra l’attuale burden of disease e molti fattori di rischio prevenibili associati agli stili di vita, in primis fumo di sigaretta, scorrette abitudini alimentari, inattività fisica e l’abuso di alcol.
La promozione di stili di vita salutari è diventata, pertanto, una priorità nelle strategie internazionali per migliorare la salute. I “best buys” indicati dall’OMS, ovvero specifiche e costo efficaci policy finalizzate alla riduzione del carico di malattia legato alle malattie croniche, rappresentano il punto di svolta per il raggiungimento dell’obiettivo 3.4 dei “Sustainable Development Goals” attraverso il quale i governi di tutto il mondo si sono impegnati per ridurre la mortalità prematura per malattie croniche di un terzo nel 2030.
Per essere efficaci queste politiche di sanità pubblica hanno bisogno di adeguate azioni comunicative che siano in grado di raggiungere efficacemente il target, aumentandone le conoscenze e competenze sugli argomenti di salute, ma soprattutto determinando un cambiamento comportamentale in grado di impattare significativamente sugli esiti di salute.
Varie strategie sono state utilizzate come strumenti delle campagne di promozione della salute per migliorare gli esiti di salute in specifici target: dai più tradizionali mass-media, come Tv, Radio, giornali, pubblicità, ai più recenti strumenti come i social network, le app e i dispositivi messi a disposizione dell’evoluzione tecnologica.
Eppure, nonostante il considerevole impegno in termini di risorse, umane e finanziare, necessarie per mettere in atto le azioni comunicative, la loro efficacia e, soprattutto, costo efficacia, varia notevolmente ed è difficile da misurare. Infatti le analisi di costo-efficacia, non frequenti negli studi scientifici sono spesso gravate da una profonda variabilità nei metodi utilizzati, con conseguenti problemi in termini di trasparenza, comparabilità e generalizzabilità.
Considerando l’esistenza di due recenti revisioni sistematiche sul tema (che coprono 63 studi condotti tra il 1966 ed il 2012), questa revisione di letteratura, frutto del lavoro del GdL della SItI “Comunicazione per la Sanità Pubblica”, si propone di fornire una quadro aggiornato nell’ambito della valutazione di efficacia delle azioni comunicative di sanità pubblica.
METODI
Il GdL ristretto della SItI “Comunicazione per la Sanità Pubblica” ha lavorato in remoto effettuando una revisione della letteratura scientifica e grigia, internazionale e nazionale, e valorizzando l’expertise presente nel GdL per sintetizzare le evidenze in merito alla valutazione di efficacia delle azioni comunicative di sanità pubblica.
La strategia di ricerca elaborata ha incluso una revisione condotta attraverso Medline e Google (limitando la ricerca ai primi 50 risultati visualizzati), utilizzando una combinazione di parole chiave/termini Mesh identificate secondo il modello PICO: “comunicazione sulla salute” “campagna di sanità pubblica”, “valutazione / efficacia”. Inoltre, è stata effettuata una ricerca manuale della bibliografia e della sezione “related articles” per identificare ulteriori studi pertinenti.
L’analisi è stata condotta ad agosto 2019, selezionando preliminarmente gli articoli dal titolo e/o abstract e, successivamente, analizzando il testo completo degli articoli potenzialmente idonei. Per essere inclusi nella revisione, gli articoli dovevano essere stati pubblicati su riviste indicizzate, essere stati scritti in lingua inglese o italiana e pubblicati successivamente al 2012. Due revisori hanno eseguito indipendentemente questo processo e eventuali discrepanze sono state risolte attraverso la discussione.
La ricerca su Medline ha fornito inizialmente 68 risultati, dai quali, applicando i criteri di inclusione, sono stati selezionati 9 articoli. A questi sono stati aggiunti 3 documenti tecnici istituzionali (Lozare B.V, Storey D, Bailey M. Leadership in strategic health communication: making a difference in infectious diseases and reproductive health. Johns Hopkins University. 2013; Sixsmith J, Fox K-A, Doyle P, Barry MM. A literature review on health communication campaign evaluation with regard to the prevention and control of communicable diseases in Europe. Stockholm: ECDC 2014; WHO Regional Office for Europe. Vaccine Safety Events: managing the communications response. A Guide for Ministry of Health EPI Managers and Health Promotion Units. WHO. Copenhagen 2013).
RISULTATI
Le azioni comunicative per la salute pubblica variano notevolmente per disegno dello studio, argomento di interesse, attività condotte, progettazione e modalità di esecuzione.
Il disegno dello studio varia ampiamente comprendendo: revisioni sistematiche e narrative, studi sperimentali randomizzati e non, serie temporali, metodi misti, studi longitudinali, pre-post, trasversali, analisi dei contenuti ed analisi economiche.
La revisione sistematica di Robinson et al. del 2014 mostra come i principali target delle campagne oggetto di valutazione nei 22 studi descritti nel loro studio riguardino: l’utilizzo di seggiolini auto per bambini, del casco per le attività ricreative, del preservativo, dei prodotti per la protezione solare, l’aumento dell’attività fisica o la riduzione del fumo. L’aggiornamento effettuato con la nostra revisione aggiunge i temi relativi alla promozione di una corretta nutrizione infantile, della sicurezza alla guida, all’aumento della consapevolezza del danno da alcol, della prevenzione delle malattie trasmesse da vettori o degli effetti negativi degli insetticidi.
La maggior parte degli studi inclusi nella revisione di Robinson et al evidenzia effetti positivi nei comportamenti, con un aumento medio di 8.4 punti percentuali dell’utilizzo degli strumenti offerti con la campagna per migliorare gli outcome di salute, variabile tra il 4% dell’utilizzo del preservativo al 10% dell’adesione alle campagne per smettere di fumare.
La metanalisi dei 63 studi inclusi nel lavoro di Anker et al del 2016 dimostra che le campagne di comunicazione di massa producono effetti positivi in termini di cambiamento dei comportamenti (r = 0,05; k = 61) e conoscenze (r = 0,10; k = 26), ma non producono un significativo aumento della self-efficacy (r = 0,02; k = 14).
Per quanto riguarda nello specifico la valutazione delle azioni comunicative in sanità pubblica, la letteratura propone una serie di principi, framework e linee guida tra i quali:
Bauman A. Precepts and principles of mass media campaign evaluation in Australia. Health Promotion Journal of Australia 2000;10:89-92;
Centers for Disease Control and Prevention. Framework for Program Evaluation in Public Health. Morbidity and Mortality Weekly Report 1999;48:1-40;
Noar SM. An Audience-Channel-Message-Evaluation (ACME). Framework for Health Communication Campaigns. Health promotion practice 2011.
National Cancer Institute. Making health communication programs work. U.S. Department of Health & Human Services 2009.
Glasgow RE, Klesges LM, Dzewaltowski DA, et al. Evaluating the impact of health promotion programs: using the RE-AIM framework to form summary measures for decision making involving complex issues. Health Educ Res 2006;21:688-94.
Nella scelta degli indicatori di efficacia ed efficienza per la valutazione delle campagne di comunicazione in sanità pubblica, la letteratura suggerisce di essere chiari su ciò che viene valutato, realistici ed espliciti sugli effetti diretti e indiretti previsti, considerando anche potenziali effetti indesiderati.
In questo senso appare utile riportare alcuni dei consigli pratici presenti nell’allegato 8 “Evaluate how you are doing” della guida ECDC “Vaccine Safety Events: managing the communications response”.
Gli autori, ricordano come sia importante monitorare e valutare la comunicazione sia durante che dopo un evento vaccino collegato (VRE) al fine di adattare la strategia comunicativa alle diverse circostanze, affinando le azioni alle esigenze future. Durante le prime 72 ore dall’annuncio di un VRE è essenziale tenere attivamente sotto controllo i mezzi di comunicazione per valutare la necessità di una variazione nelle tattiche di comunicazione, al fine, ad esempio, di mitigare le preoccupazioni della popolazione oppure di assicurare che i media diffondano adeguatamente i messaggi chiave che si ritiene essenziale veicolare.
Quando l’evento è risolto è fondamentale “chiudere il cerchio” informando gli alti dirigenti in modo da prepararli qualora siano chiamati ad esprimere un parere o a fornire informazioni. Inoltre è utile pubblicare o rilasciare una dichiarazione in cui sia sintetizzata la conclusione della ricerca fatta sull’evento avverso per rafforzare la fiducia con il pubblico e i partner coinvolti.
Inoltre è fondamentale documentare le lezioni apprese, riassumendo le strategie e tattiche comunicative efficaci e l’impatto dell’evento sul programma di vaccinazione per modulare la strategia comunicativa globale e rafforzare la risposta agli eventi futuri.
Tra i criteri pratici di valutazione (semplici, realistici, credibili e sintetici) la guida suggerisce di raccogliere i ritagli di giornale e la copertura radiotelevisiva per misurare la risposta alla “chiamata all’azione” valutando l’impatto in termini di:
numero di articoli, spot radiofonici/televisivi, notizie o citazioni contenenti le proprie informazioni;
rilievo (posizione sul giornale o momento di trasmissione in relazione ai picchi di ascolto) e successo dei “motti”;
correttezza del messaggio;
rapporti positivi con influencer (ad esempio un giornalista di rilievo con cui rafforzare i legami);
risposta del pubblico (valutare tramite un semplice questionario o anche solamente ottenere un’impressione informale e approssimativa se le persone in strada hanno ascoltato il messaggio, tramite quale mezzo di comunicazione, e se lo hanno compreso).
La guida suggerisce anche una Check-list per una rapida valutazione della propria campagna comunicativa che prevede 6 semplici domande:
sono soddisfatto della risposta?;
ho bisogno di cambiare il messaggio?;
ho bisogno di migliorare il modo in cui trasmetto il messaggio?;
quale mezzo di comunicazione ha riportato la storia?;
dovrei utilizzare altre modalità di feedback, ad esempio gruppi di discussione, questionari?;
quante domande sono state rivolte a me o all’organizzazione come risultato del mio lavoro sulla comunicazione?
Tra i limiti evidenziabili in letteratura agli studi che riguardano la valutazione dell’efficacia delle azioni comunicative per la salute pubblica ci sono: la debolezza dei disegni di studio, la limitatezza del campione, il setting di studio (la maggior parte degli studi che aggiornano questa revisione sono condotti in paesi in via di sviluppo), la mancanza di controllo o di gruppi di confronto, di basi teoriche, il sottoutilizzo della valutazione di processo, l’utilizzo di obiettivi di valutazione e misure di risultato che non corrispondono ai reali obiettivi della campagna e, per contro, la mancanza di riferimenti per valutare potenziali effetti indesiderati delle azioni comunicative.
CONCLUSIONI
Le azioni comunicative per la salute pubblica variano notevolmente per argomento di interesse, attività condotte, progettazione e modalità di esecuzione, così come variano ampiamente le modalità di studio condotte per valutarne l’efficacia e la costo efficacia. I limiti evidenziati sono ampiamenti diffusi e rappresentano la prossima sfida per rafforzare le attività di valutazione delle azioni di comunicazione, che dovrebbe comprendere quando possibile le analisi di costo efficacia ed essere integrata in tutte le fasi della campagna, dalla programmazione alla sua implementazione.
Lo sviluppo di evidenza di alto livello in questo campo è essenziale per guidare la scelta di politiche e azioni efficaci ed efficienti, evitando la dispersione di risorse umane ed economiche, nonché potenziali ricadute negative in termini di outcome di salute. La sfida successiva sarà poi quella di sviluppare adeguate capacità per mettere in piedi programmi di valutazione nazionali in grado di applicare le migliori evidenze alla valutazione delle azioni di comunicazione in sanità pubblica
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Abstract
INTRODUCTION
Despite the increase in the vaccination coverage (VC) for one and two doses of MMR (measles-mumps-rubella) combined vaccines, measles continues to circulate in Italy and outbreaks occur (over 8,000 cases reported between January 2017 and March 2019).
In Apulia region, where two-dose measles VC has progressively increased, from 65.1% in the birth cohort 1996 to 91.5% in the birth cohort 2011, the number of cases has been consistently low and mostly attributable to small clusters. However, cases in fully immunized individuals are still observed.
By analysing the recent measles outbreaks, we aimed at estimating two-dose measles vaccine effectiveness (VE) in Apulia.
METHODS
VE was estimated using the Maximum Likelihood framework and the Bayesian approach. VC in Apulia was estimated from the 16 birth-cohorts targeted by the two-dose vaccination programme (age group 7-22 years in 2018). Confirmed cases derived from measles outbreaks occurred from October 2018 to March 2019.
RESULTS
In Apulia region, VC estimated from 16 birth cohorts included 657,978 individuals aged 7-22 years in 2018: 537,737 have received two doses of measles vaccine and 120,241 were still unvaccinated. From October 2018 to March 2019, at least two outbreaks have occurred in Apulia, counting 10 confirmed cases of measles in the age group studied.
By assuming unvaccinated individuals (n = 7), as a control of measuring background infectivity, and 2-dose vaccinated individuals (n = 3), the VE was estimated to be about 90%. For the median of the Bayesian posterior distribution we obtained VE = 0.9013 close to the maximum likelihood estimator of 90.4% and as upper 95%-CI boundary VE = 0.977. The lower boundary was 0.659.
CONCLUSIONS
The numbers alone, three measles cases in individuals with 2-dose vaccine versus the “only” 7 cases reported in unvaccinated individuals in the studied age group population, could eventually mislead to conclude that vaccine effectiveness is decreasing. However, the results show that VE is very high, over 90%. In a population where the majority of the individuals are vaccinated but vaccine coverage is still below the recommended threshold, some cases in the vaccinated group are to be expected as no vaccine can be assumed to be 100% efficacious. Therefore, only by increasing the vaccination level even further, the force of infection can be decreased due to the herd immunity and hence reducing the risk and size of sporadic measles outbreaks.
Abstract
INTRODUZIONE
Uno studio randomizzato (NCT00226499) ha dimostrato che il vaccino combinato GSK contro morbillo-parotite-rosolia-varicella (MMRV), somministrato in due dosi durante il secondo anno di vita, protegge efficacemente contro la varicella durante i 10 anni post-vaccinazione. Presentiamo i dati relativi al mantenimento della efficacia vaccinale (VE) e della immunogenicità a 10 anni post-vaccinazione nei bambini arruolati in Italia, confrontati ai dati generali dello studio.
MATERIALI E METODI
Questo studio di follow-up a lungo termine fase IIIb è stato condotto su bambini arruolati in Italia, Repubblica Ceca, Lituania, Norvegia, Polonia, Romania, Russia, Repubblica Slovacca e Svezia, di età compresa tra 12-22 mesi, che sono stati randomizzati 3:3:1 a ricevere due dosi di MMRV (gruppo MMRV), o una dose di vaccino monovalente per la varicella dopo una dose di vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia MMR (gruppo MMR + V), o due dosi di MMR (gruppo controllo attivo), con intervallo interdose di 42 giorni. La VE contro tutti i casi di varicella è stata valutata da 6 settimane a 10 anni post-vaccinazione (gruppi MMRV e MMR + V). La persistenza degli anticorpi antivirus della varicella zoster (antiVZV) è stata misurata tramite ELISA nei bambini che hanno effettuato i prelievi regolarmente fino a 10 anni (coorte adattata per la persistenza). Inoltre in un gruppo di bambini è stata valutata l’incidenza di reazioni avverse (sollecitate/spontanee) fino a 43 giorni post-vaccinazione.
RISULTATI
Su 5803 bambini vaccinati (età media = 14,2 mesi), 5289 sono stati inclusi nella valutazione della VE (Italia: MMRV = 106, MMR + V = 109, controlli = 35; studio generale: MMRV = 2.279, MMR + V = 2.266, controlli = 744). La VE è risultata 95,3% (95% CI: 78,3-99,0%) nel gruppo MMRV e 61,0% (13,7-82,4%) nel gruppo MMR + V per l’Italia, e 95,4% (94,0-96,4%) e 67,2% (62,3-71,5%) rispettivamente nello studio generale. Gli anticorpi antiVZV erano presenti fino a 10 anni post-vaccinazione e le concentrazioni geometriche medie (GMC) erano simili tra gruppi dopo una o due dosi di vaccino antivaricella, con valori > 14 volte più elevati della soglia di seropositività di 25 mIU/mL (Italia: MMRV = 14, GMC = 353,9 [194,7-643,3] e MMR + V = 12, GMC = 412,3 [231,4-734,4]; studio generale: MMRV = 1169, GMC = 471,3 [443,2-501,2] e MMR + V = 831, GMC = 404,6 [373,0-438,8]). L’incidenza di reazioni avverse qualsiasi/locali/generali era simile tra gruppi ed i risultati per l’Italia comparabili a quelli dello studio generale.
CONCLUSIONI
Analogamente allo studio generale, per l’Italia è stato dimostrato che due dosi di vaccino MMRV somministrate durante il secondo anno di vita proteggono nel lungo termine contro tutti i casi di varicella ed inducono una risposta anticorpale antiVZV che persiste 10 anni post-vaccinazione.
(Finanziamento: GlaxoSmithKline Biologicals SA).
Abstract
INTRODUZIONE
L’infezione da HPV è ampiamente riconosciuta come responsabile dello sviluppo di numerose patologie tra cui il cancro della cervice uterina. Nonostante la disponibilità della vaccinazione contro diversi sierotipi di HPV renda possibile attuare una efficace prevenzione primaria di tali patologie, questa dipende certamente dai livelli di aderenza della popolazione target. L’obiettivo di questo lavoro ha riguardato, pertanto, l’identificazione e valutazione di strategie volte ad aumentare le coperture vaccinali tra gli adolescenti, che rappresentano il target primario della campagna vaccinale in Italia.
MATERIALI E METODI
È stata condotta una revisione sistematica della letteratura, aggiornata a 17 luglio 2018 attraverso la ricerca per parole chiave e operatori booleani sui database elettronici Pubmed, Scopus, e Web of Science, completata attraverso una ricerca manuale. Sono stati considerati ai fini dell’inclusione gli studi condotti in paesi ad alto reddito che hanno valutato l’impatto strategie singole o multiple sulle coperture vaccinali negli adolescenti.
RISULTATI
La ricerca ha prodotto un totale iniziale di 3.571 citazioni. Al termine del processo di selezione, 42 articoli, pubblicati tra il 2011 e il 2018, sono stati inclusi nella sintesi finale. La dimensione campionaria degli studi varia considerevolmente da 50 a 325.229 individui. La maggior parte degli studi è stata condotta negli Stati Uniti (n = 35; 83,3%) e con un disegno di studio sperimentale (17; 40,5%). Gli outcome valutati includono la copertura per prima dose vaccinale, il completamento delle dosi previste e il numero di dosi somministrate. Le strategie valutate prevedono l’invio di remind (n = 9; 21,4%), interventi di informazione/comunicazione (n = 9; 21,4%) e interventi multicomponente (n = 22;52,4%). Due ulteriori studi analizzano l’offerta di vaccini in “bundle” o nel corso di una qualsiasi visita medica (4,8%). Le strategie sono rivolte agli adolescenti/genitori (n = 23; 54,8%), ai provider (n = 9; 21,4%) o entrambi (n = 10; 23,8%). Risultati positivi significativi sono emersi in sette studi per l’invio di remind (77,8%), quattro studi su strategie di informazione e comunicazione (44,4%), ed in 12 studi su strategie multicomponente (54,5%). Evidenze significative sono emerse anche in favore dell’offerta della vaccinazione in “bundle” o nel corso di una visita medica.
CONCLUSIONI
Potenziare la prevenzione primaria delle patologie causate da HPV è essenziale ed è strettamente dipendente dalle coperture vaccinali raggiunte. Diversi tipi di strategie hanno mostrato un potenziale impatto positivo sull’uptake della vaccinazione, in particolar modo attraverso interventi di remind. Gli interventi e i contesti in cui essi venivano sperimentati sono risultati, tuttavia, molto eterogenei suggerendo l’importanza di adattare tali iniziative allo specifico contesto al fine di massimizzarne l’impatto.
Abstract
INTRODUZIONE
I virus influenzali A(H3N2) sono caratterizzati da un marcato dinamismo evolutivo e da un rapido turn-over della popolazione virale, con importanti conseguenze sull’efficacia del vaccino. L’obiettivo di questo studio è stato quello di analizzare filogeneticamente i ceppi A(H3N2) identificati in Lombardia nella stagione 2018/2019 e stimare l’efficacia vaccinale (EV) nei confronti di A(H3N2) mediante l’applicazione di un modello predittivo sequence-based.
MATERIALI E METODI
Sono state analizzate 106 sequenze di emoagglutinina (HA) di lunghezza completa (1778 nt) ottenute direttamente da campioni respiratori raccolti da individui con malattia influenzale in Lombardia nell’ambito della rete italiana di sorveglianza dell’influenza durante la stagione 2018/2019. Le sequenze sono state analizzate filogeneticamente e confrontate con la sequenza HA del ceppo vaccinale cresciuto in uovo (CVuovo) [A/Singapore/INFIMH-16-0019/2016(H3N2)] e quello propagato in colture cellulari (CVcc) [A/North Carolina/04/2016(H3N2)]. L’EV nei confronti dei ceppi A(H3N2) circolanti è stata stimata attraverso il modello del pepitope basato sulla misura delle distanze antigeniche (Bonomo&Deem, CID2018:67).
RISULTATI
Tutti i ceppi A(H3N2) identificati nella stagione 2018/2019 appartenevano al gruppo genetico 3C ed erano distribuiti in due sottogruppi: 55,7% nel 3C.2a e 44,3% nel 3C.3a. Le sequenze nel sottogruppo 3C.2a (che include sia CVuovo sia CVcc) mostravano un range di similarità nucleotidica del 97,8-98,7% con il CVuovo e del 98,4-99,0% con il CVcc. Questi virus hanno circolato in tutta la stagione. I ceppi A(H3N2) del sottogruppo 3C.3a, emersi nella seconda metà della stagione, erano, invece, varianti HA driftate poiché presentavano 2 sostituzioni aminoacidiche (Y159S e F193S) in siti antigenici maggiori.
Considerate le differenze nucleotidiche e aminoacidiche tra i due sottogruppi, l’EV è stata misurata per sottogruppi e non complessivamente, confrontando le sequenze aminoacidiche di HA di ciascun CV con i ceppi circolanti appartenenti a ciascun sottogruppo. L’EV nei confronti dei ceppi A(H3N2) del sottogruppo 3C.2a era del 50% considerando il CVuovo e del 75% considerando il CVcc, invece l’EV stimata nei confronti dei ceppi driftati 3C.3a era – 1% per entrambi i CV.
CONCLUSIONI
Oltre la metà dei virus A(H3N2) identificati in Lombardia nella stagione 2018/2019 apparteneva al gruppo genetico 3C.2a e mostrava una maggiore similarità genetica con il CVcc rispetto al CVuovo. L’EV stimata nei confronti degli A(H3N2) appartenenti al gruppo genetico 3C.2a, circolati in tutta la stagione, è risultata più elevata per il CVcc rispetto al CVuovo. La circolazione di varianti virali driftate (sottogruppo 3C.3a) nella seconda metà della stagione ha influito negativamente sull’EV contro A(H3N2).
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione degli operatori sanitari (OS) è considerata la principale misura per prevenire l’influenza in ambito nosocomiale. La copertura vaccinale (CV) rimane tuttavia bassa per diversi motivi, tra cui la mancanza di tempo per presentarsi all’ambulatorio vaccinale. Dal 2016 l’A.O.U. Policlinico Bari offre ai 3.916 OS dipendenti (50 UU.OO.CC.) la vaccinazione antinfluenzale allestendo un ambulatorio dedicato nel periodo ottobre-dicembre. Le UU.OO.CC. Igiene e Medicina del Lavoro hanno sperimentato, per la stagione 2018/2019, una procedura di offerta attiva della vaccinazione antinfluenzale direttamente nel reparto di degenza (on-site).
MATERIALI E METODI
È stata analizzata la CV tra gli OS dell’AOU Policlinico nella stagione 2018/2019, dove la vaccinazione è stata offerta attivamente in 44 UU.OO.CC. (88%, 3.044 OS), comparandola con quelle ottenute nelle stagioni 2016/17 e 2017/18.
RISULTATI
Nella stagione 2018/19 è stata raggiunta una CV del 20,4% (n = 799), maggiore rispetto al 14,2% della stagione 2017/18 (+ 6,2%) e all’8,7% della stagione 2016/17 (+ 11,7%). Le CV maggiori sono state riscontrate tra gli specializzandi (34,1%; n = 335/982), seguiti dai Dirigenti Medici (32,5%; n = 228/701), da altro personale sanitario (23,8%; n = 100/421), dagli OSS (8,6%; n = 36/417) e dagli infermieri (7,2%; n = 100/1.395). Gli OS dell’area Medica risultano maggiormente vaccinati (CV: 23,8%; n = 392/1.650), seguiti dall’area Servizi (CV: 21,4%; n = 241/1.125) e Chirurgica (CV: 14,5%; n = 166/1.140).
Nelle UU.OO.CC target dell’offerta attiva è stata registrata una CV del 20,7% (n = 630), con il 44,6% degli OS (n = 281) vaccinati nel contesto dell’on-site.
L’analisi logistica multivariata mostra che l’avvenuta vaccinazione nella stagione 2018/19 (SI/NO) risulta associata all’essere maschi (aOR = 1,36; 95%CI = 1,15-1,61; p < 0,0001) e al lavorare in un reparto target dell’offerta attiva (aOR = 1,39; 95%CI = 1,05-1,84; p = 0,021), mentre deterrenti risultino l’essere Infermieri (aOR = 0,17; 95%CI = 0,13-0,21; p < 0,0001) e OSS (aOR = 0,20; 95%CI = 0,14-0,29; p < 0,0001) in confronto ai Medici e il lavorare nell’area Chirurgica in confronto all’area Medica (aOR = 0,57; 95%CI = 0,46-0,71; p < 0,0001); l’età, il confronto tra OS dell’area Medica e quelli di area Servizi e il confronto tra Medici e altre figure professionali sembrerebbero non essere associati all’outcome (p > 0,05) (goodness-of-fit del modello: X2 = 858,8; p = 0,926).
CONCLUSIONI
L’offerta attiva della vaccinazione on-site è risultata determinante ai fini della compliance vaccinale, con un incremento del 6% rispetto alla stagione precedente; quasi la metà degli operatori ha optato per l’offerta on-site rispetto all’ambulatorio vaccinale. Gli OS non sembrerebbero essere refrattari al vaccino antinfluenzale, sebbene coloro che svolgono mansioni meno specializzate (infermieri e OSS) e le donne mostrino minore adesione all’offerta.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli anni recenti il mercato italiano dei vaccini antinfluenzali ha subito notevoli cambiamenti, ad esempio dalla stagione 2018/19 il vaccino trivalente a somministrazione intradermica non è più disponibile e i vaccini trivalenti non adiuvati prodotti su uova (TIVe) non sono più utilizzati dal mercato pubblico. Nella stagione 2018/19 erano disponibili il vaccino trivalente adiuvato con MF59 (MF59-TIV) e i vaccini quadrivalenti prodotti su uova (QIVe). Dalla prossima stagione 2019/20 sarà disponibile un nuovo vaccino quadrivalente prodotto su coltura cellulare (QIVc). Alla luce di questi cambiamenti abbiamo condotto una revisione sistematica e meta-analisi al fine di avere dati aggiornati di immunogenicità, efficacia e sicurezza sui vaccini influenzali attualmente disponibili in Italia.
MATERIALI E METODI
Sono state seguite le linee guida PRISMA e la metodologia di ricerca sistematica è stata concepita utilizzando il modello PICOS. La ricerca sistematica è stata eseguita per MF59-TIV e QIVe separatamente e effettuata in OVID. Alla ricerca automatica è seguita la ricerca manuale.
RISULTATI
Relativamente a MF59-TIV sono stati inclusi 50 manoscritti e dalla nostra analisi risulta che MF59-TIV è significativamente più immunogeno rispetto ai vaccini non adiuvati sia verso i ceppi omologhi che quelli eterovarianti. È generalmente più efficace sul campo rispetto alle formulazioni non adiuvate nel prevenire l’influenza confermata in laboratorio (63% più efficace rispetto a TIVe) e altri outcome riconducibili all’influenza (sindrome simil-influenzale e ospedalizzazione per influenza/polmonite). Un recente studio statunitense (stagione 2017/18) ha stabilito che MF59-TIV è significativamente più efficace nel prevenire l’ospedalizzazione per influenza del 3,9% rispetto a QIVe e del 3,6% rispetto TIVe.
Relativamente ai QIVe sono stati inclusi 56 studi e dalla nostra analisi risulta che i QIVe sono altamente immunogeni nei bambini, adulti e anziani ed efficaci nella popolazione pediatrica. Non sono disponibili studi di efficacia negli adulti e negli anziani.
Tutti i vaccini analizzati sono risultati sicuri e ben tollerati.
CONCLUSIONI
La presente revisione sistematica e meta-analisi è la prima ad esaminare l’intero panorama dei vaccini antinfluenzali attualmente disponibili in Italia (stagione 2018/19). I risultati evidenziano l’importanza della vaccinazione con MF59-TIV nella popolazione anziana italiana confermando che MF59-TIV è significativamente più efficace rispetto ai vaccini non adiuvati di qualsiasi valenza (i.e. TIVe e QIVe). D’altra parte, le formulazioni QIVe possono offrire dei vantaggi significativi (rispetto a TIVe) nelle popolazioni più giovani.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione rappresenta ad oggi uno degli strumenti di prevenzione primaria utilizzato per la lotta delle malattie infettive prevenibili da vaccino. Durante lo svolgimento della seduta vaccinale, il personale sanitario addetto ha il compito di informare l’utenza sulle possibili vaccinazioni indicate da calendario vaccinale e proporre eventuali vaccinazioni a seconda delle esigenze dell’utente e del suo stato di salute.
L’esperienza lavorativa del personale sanitario che ha come mission la prevenzione e il controllo della diffusione di malattie infettive tramite vaccinazione, ha permesso di rilevare una criticità legata alla mancanza di uno strumento valido e aggiornato che possa essere da guida allo stesso sulla co-somministrazione di più vaccinazioni nella stessa giornata.
MATERIALI E METODI
La stesura della “guida alle co-somministrazioni” di più vaccini è stata condotta a partire da ottobre 2018 a maggio 2019. L’elaborazione del lavoro svolto è avvenuta tramite consultazione di schede tecniche, il contatto diretto con le case farmaceutiche e la revisione della lettura scientifica. Lo strumento utilizzato per condurre tale studio è stato principalmente la ricerca in PubMed.
RISULTATI
L’elaborato finale è rappresentato da un foglio excel con nomi specifici commerciali, nell’asse delle ascisse, dei vaccini maggiormente utilizzati dalle Aziende Sanitarie, e nomi generici nell’asse delle ordinate. Il format utilizzato permette di capire in modo rapido e comprensibile i vaccini che potrebbero essere co-somministrati nella stessa seduta e tuttavia garantire omogeneità del lavoro tra il personale sanitario addetto. La ricerca degli studi condotti sulla co-somministrazione ha portato alla luce la possibilità di eseguire diversi vaccini vivi attenuati contemporaneamente, del vaccino anti-meningococco acwy e anti-meningococco b e del vaccino Zostavax con il vaccino antipneumococcico 23valente. Ancora, la somministrazione del vaccino adiuvato antiepatite b come dose booster in soggetti non risponder epatite b e 8 ore di intervallo tra Dukoral e Vivotif orale.
La co-somministrazione deve essere evitata quando controindicata dall’anamnesi pre-vaccinale e in soggetti a rischio per immunodeficienza/deficit anatomici o funzionali soggetti ad una specifica procedura vaccinale.
CONCLUSIONI
Risulta interessante l’utilizzo di tale “guida alle co-somministrazioni” per lo svolgimento della seduta vaccinale e per l’utente stesso in quanto si riducono gli accessi ambulatoriali degli utenti e gli overbooking. Inoltre, si tutela il personale sanitario nella sua attività garantendo omogeneità e autonomia professionale e infine si permette di proteggere in tempi rapidi utenti che per motivi particolari necessitano di eseguire le vaccinazioni.
Abstract
INTRODUZIONE
Globalmente, ogni anno, la patologia influenzale colpisce tra il 5% e il 15% della popolazione adulta (20-30% nei bambini), e i casi più gravi (tra i 3 e i 5 milioni di casi) possono arrivare al decesso nel 10% dei casi, soprattutto nei soggetti più fragili, come i bambini di età inferiore ai 5 anni, gli anziani e i malati cronici). In questo contesto diventa cruciale il ruolo giocato dai Professionisti Sanitari (PS), che rappresentano anche un modello di comportamento per pazienti e cittadini. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare, attraverso una analisi quantitativa della letteratura disponibile, le attitudini dei PS nei confronti di politiche obbligatorie di vaccinazione antinfluenzale.
MATERIALI E METODI
È stata realizzata, impiegando la metodologia standardizzata delle Linee Guida PRISMA, una revisione sistematica della letteratura, con successiva meta-analisi di prevalenza e di Odds Ratio (OR) di prevalenza, raccogliendo i dati di tutti gli studi trasversali pubblicati nella letteratura mondiale sull’argomento. La prima ricerca sui database scientifici Pubmed e Scopus ha dato come risultato 4198 item, successivamente tramite l’analisi di titolo/abstract e poi dei full text, sono stati inclusi nello studio 23 articoli per la revisione e, di questi, 13 per la meta-analisi.
RISULTATI
Per quanto riguarda gli studi inclusi, 13 sono stati condotti in Nord America, 4 in Europa, 3 in Asia e 2 in Australia, più uno studio in collaborazione tra Europa e Asia.
In totale, coloro che si sono dichiarati a favore di programmi obbligatori sono compresi in un range compreso tra il 44% e il 95% nei diversi studi. Combinando matematicamente i dati dei 13 studi includibili nella meta-analisi, si ottiene una prevalenza pari al 59.8% (IC95% 50.1-68.8). Inoltre, coloro che si erano vaccinati in precedenza contro l’influenza erano significativamente più propensi a rispondere di essere a favore della vaccinazione obbligatoria rispetto a chi non fosse stato vaccinato (OR 4.1; IC 95% 2.8-6.1).
CONCLUSIONI
In generale, possiamo dire che i PS sostengono in maniera positiva l’adozione di programmi di vaccinazione antiinfluenzale obbligatoria, in particolare se si sono già sottoposti a tale pratica. Visti i non elevati tassi di copertura vaccinali registrati fino ad oggi, è da valutare l’adozione di politiche che contribuiscano a migliorare l’adesione al tale pratica vaccinale nel periodo invernale.
Abstract
INTRODUZIONE
La ASL Roma 4 da più di 10 anni utilizza un’anagrafe vaccinale informatizzata (AV), ARVA TARGET, la cui parte anagrafica è alimentata dai dati inviati dalle anagrafi dei 28 Comuni che insistono nel territorio aziendale, e nella quale vengono registrate tutte le vaccinazioni erogate ai residenti e non. L’Anagrafe Vaccinale della Regione Lazio (AVR) e la costituenda Anagrafe Vaccinale Nazionale (AVN) hanno imposto dei cambiamenti strutturali dell’AV per adeguarsi agli standard richiesti.
MATERIALI E METODI
Il Decreto del Ministero della Salute 17 settembre 2018 (G.U. 257/2018), ha disciplinato l’AVN, già prevista dagli ultimi Piani Nazionali Vaccinali. Le puntuali indicazioni ivi contenute hanno imposto all’AVR e conseguentemente alle AV che la alimentano, di dotarsi di tutti i campi richiesti a livello nazionale. La ASL Roma 4, oltre a effettuare tale attività di implementazione del software gestionale, che già presentava circa l’80% del data set previsto dal Ministero della Salute, ha associato un’attività di dematerializzazione delle schede vaccinali, di controlli automatici dei Codici Fiscali e dei Codici AIC dei Vaccini tramite barcode e di recall automatico agli utenti dei richiami vaccinali.
RISULTATI
Per quanto riguarda le schede vaccinali cartacee, utilizzate finora per l’anamnesi, il consenso e la registrazione delle vaccinazioni, si sta procedendo alla loro dematerializzazione all’interno di ARVA TARGET, per conservare il pregresso, a cui si è aggiunto l’inserimento dell’anamnesi, tratta dalla Guida alle Controindicazioni, consultabile direttamente in caso di dubbi, e della scheda del consenso, revisionata alla luce della nuova normative sulla privacy, firmabili tramite apposite pad e obbligatorie e propedeutiche alla registrazione della vaccinazione. Inoltre, si è aggiunto alla possibilità, già da tempo fornita all’utente di registrarsi su un portale aziendale collegato all’AV e scaricare il certificato vaccinale contenente, nel caso dei minori, anche l’indicazione della situazione relativa all’obbligo vaccinale, la possibilità, previo consenso, di inviare sms di ricordo delle scadenze vaccinali.
CONCLUSIONI
Quest’attività di implementazione dell’AV si inserisce in un processo sistemico di revisione del Servizio Vaccinazioni della ASL Roma 4 orientato all’efficientamento delle attività e all’attenzione alle esigenze degli utenti e degli operatori. La dematerializzazione della modulistica permette una maggiore attenzione al rispetto della privacy, lo snellimento delle sedute vaccinali e il maggiore controllo sul rispetto delle procedure. La possibilità di recall telefonici è un importante strumento di compliance dell’utenza e di miglioramento delle coperture vaccinali.
Abstract
INTRODUCTION
Since their approval in mid-2000, the combined measles-mumps-rubella-varicella (MMRV) vaccines have represented a decisive challenge for countries that recommended universal varicella vaccination in their childhood immunization schedule. However, poor evidences are currently available on the protection attributable to these vaccines administered in real-world settings. To address the gap, we estimated the vaccine effectiveness (VE) after a single dose or two doses of MMRV vaccine against varicella in children < 10 years of age in Apulia region, Italy. We also estimated VE after a single dose or two doses of monovalent varicella (V) vaccine.
METHODS
We conducted a matched case-control study in Apulia region (about 397,000 children < 10 years of age), where since 2009 MMRV replaced MMR and monovalent varicella vaccines in toddlers, with a second dose given at 5-6 years and a catch-up dose at 11-12 years of age. Vaccination coverage for varicella progressively increased up to 91.7% for one dose and to 85.9% for two doses of MMRV/monovalent-V vaccine in the birth cohorts 2015 and 2010, respectively.
Cases of varicella were obtained from the notifiable diseases surveillance system and the hospital discharge registry. Three controls were randomly selected from the population registration system database and matched to cases on the basis of date of birth and residence. Cases and controls vaccination status was retrieved from the Apulian Immunization Information System. Odds Ratios (ORs) with 95% confidence intervals (95% CIs) were calculated by conditional logistic regression. VE was calculated as (1-OR) x100.
RESULTS
In the period 2013-2017, a total of 854 (58.1% males) varicella cases were reported among children < 10 years of age (birth cohorts 2008-2016). A total of 2,562 controls were matched to cases. Excluding children who had received a second dose of MMRV or monovalent-V vaccine, VE for a single dose of MMRV was 89,4% (95% CI: 85,3-92,3%) and for two doses was 99,4% (95% CI: 98,1-99,8%). VE for a single dose of monovalent-V was 98,5% (95% CI: 88-100%); no cases had received two monovalent-V doses. Effectiveness after a single dose of any varicella containing vaccine (MMRV or monovalent-V) was 88,5% (95% CI: 84,6-91,4%) and for two doses was 99,5% (95% CI: 98,6-99,9%).
CONCLUSIONS
MMRV vaccine significantly protects against varicella. Our findings are among the first ever shown on vaccine effectiveness under field conditions and strongly support the use of the combination product in the immunization schedules.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è registrata una crescente attenzione sul tema della safety dei vaccini e in Puglia sono state avviate attività di rafforzamento della vaccino-vigilanza. Lo studio descrive l’andamento delle segnalazioni di evento avverso a vaccino (AEFI) in Puglia nell’anno 2018 per la coorte di soggetti fino ai 13 anni di età, target del calendario vaccinale dell’infanzia e dell’adolescente.
METODI
La fonte dei dati utilizzata è l’archivio della Rete Nazionale di Farmacovigilanza.
La valutazione delle AEFIs gravi è stata effettuata utilizzando l’Algoritmo WHO del “Causality Assessment”.
Ai fini dell’analisi sono stati considerati: tasso di segnalazione (reporting rate), proporzione di AEFIs gravi sul totale delle AEFIs segnalate, distribuzione per fascia d’età, valutazione del causality assessment ed esito delle AEFIs gravi.
RISULTATI
Nel periodo esaminato sono state segnalate 718 AEFIs (reporting rate: 16,1x10.000 dosi) di cui 597 non gravi (reporting rate: 13,4 x 10.000 dosi), 115 gravi (reporting rate: 2,6 x 10.000 dosi). Tra le 115 AEFIs gravi, 35 (30,4%) hanno richiesto l’ospedalizzazione.
Tra le 115 AEFIs gravi la distribuzione per fascia di età risulta: 21/115 (18,3%) tra 0 e 12 mesi, 84/115 (73,0%) tra 13 e 72 mesi e 10/115 (8,7%) tra 73 e 156 mesi.
Usando l’algoritmo WHO del causality assessment 73 (63,5%) AEFIs gravi sono risultate correlabili, 34 (29,5%) non correlabili, 5 (4,4%) indeterminati e 3 (2,6%) inclassificabili. Il sintomo/segno riportato con maggiore frequenza nelle AEFIs gravi correlabili è risultato la febbre/iperpiressia (83,5%; n = 61), seguito da sintomi neurologici (52,9%; n = 39) e gastrointestinali (32,9%; n = 24). Il follow-up ha consentito di verificare: la completa risoluzione dei sintomi/segni nel 75,3% dei casi gravi (n = 55/73), “in miglioramento” nel 11,0% (n = 8/73), “non ancora guariti” nel 6,9% (n = 5/73), “risoluzione con postumi” nell’1,4% (n = 1/73). Nel 5,5% dei casi (n = 4/73) il dato non risultava disponibile.
CONCLUSIONI
L’analisi dei dati nella fascia di popolazione esaminata ha evidenziato come gli AEFIs gravi abbiano interessato maggiormente soggetti di età compresa tra 13-72 mesi, con comparsa di febbre/iperpiressia e successiva completa risoluzione dei sintomi. Non sono emersi segnali nuovi. Il continuo monitoraggio degli AEFIs risulta essere un indispensabile strumento per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei vaccini.
Abstract
INTRODUZIONE
Nonostante la prematurità sia una condizione ad alto rischio per le malattie infettive e l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandi le vaccinazioni per i neonati prematuri secondo le stesse modalità per i neonati a termine, la copertura vaccinale e la tempestività delle vaccinazioni in questa popolazione è ancora inferiore rispetto alla popolazione generale (PG).
METODI
Dal 2016, nell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico di Bari, è stato implementato un programma specifico volto a migliorare la conoscenza in ambito vaccinale dei genitori di neonati pretermine. Il programma comprende la somministrazione di vaccini durante la degenza in ospedale, il counseling vaccinale pre e post-dimissione, l’utilizzo dei social media per divulgare informazioni relative ai vaccini.
Abbiamo valutato l’efficacia di questi interventi, analizzando la copertura e la tempestività di somministrazione delle prime due dosi di vaccino (esavalente e PCV13) tra i pazienti (coorte di nascita 2016/17) e la popolazione generale della stessa coorte di nascita.
I dati sono stati estratti dal Registro dell’anagrafe vaccinale regionale informatizzata (GIAVA) nel 2019.
RISULTATI
Il campione esaminato comprende 70 neonati pretermine (coorte 2017).
Alla nascita, l’età gestazionale media e il peso dei soggetti arruolati erano, rispettivamente, 30.1 ± 2.9 settimane e 1.456.0 ± 504.9 grammi. Non si evincono differenze significative fra nati pretermine e PG nella copertura vaccinale per la prima dose di esavalente (rispettivamente 99,4% vs 99,0%; p = 0,601), per la seconda dose di esavalente (96,5% vs 94,8%%; p = 0,319), per la prima dose di PCV13 (98,2% vs 98,4%; p = 0,836) e per la seconda dose di PCV13 (94,7% vs 94,1%; p = 0,740).
Nei neonati pretermine, inoltre, si evidenzia un ritardo importante nelle tempistiche di somministrazione dei vaccini studiati. L’analisi di regressione lineare non ha mostrato alcuna associazione tra il ritardo e il peso alla nascita e/o l’età gestazionale (p > 0,05).
Questi risultati evidenziano come i nostri interventi siano utili per superare l’esitazione vaccinale, specialmente nei genitori di bambini pretermine e come l’offerta attiva di vaccinazioni durante l’ospedalizzazione sia uno strumento utile per migliorare la copertura.
CONCLUSIONI
Gli interventi semplici, poco costosi e altamente riproducibili sembrano aumentare la copertura vaccinale nei neonati pretermine. Tuttavia la copertura vaccinale ed in particolar modo le tempistiche di somministrazione vaccinale risultano ancora inadeguate tra i nati pretermine, categoria ad alto rischio di complicanze correlate alle malattie infettive.
In futuro, l’uso del social network dovrebbe essere implementato dal personale medico per influenzare positivamente il processo decisionale dei genitori e arginare l’esitazione vaccinale.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione contro la pertosse in gravidanza (VPG) con il vaccino a contenuto antigenico ridotto difterite-tetano-pertosse acellulare (dTpa) riduce il rischio di malattia nei neonati. Sono stati condotti due studi clinici collegati con l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’immunogenicità della VPG, misurare il trasferimento degli anticorpi al neonato e l’effetto sulla risposta del neonato alla propria vaccinazione.
MATERIALI E METODI
Nello studio randomizzato, controllato con placebo, con valutazione in cieco (NCT02377349), le donne hanno ricevuto il vaccino dTpa o placebo nella 270/7-366/7 settimana di gestazione, seguita da vaccinazione crossover post-partum. Successivamente, in uno studio in aperto, (NCT02422264), i loro neonati hanno ricevuto un ciclo primario (2 o 3 dosi) del vaccino esavalente difterite-tetano-pertosse acellulare-poliovirus-Haemophilus influenzae tipo b-epatite B (DTPa-HBV-IPV/Hib) secondo i rispettivi calendari nazionali. Le risposte immunitarie sono state valutate nelle donne prima e 1 mese dopo la vaccinazione e nei neonati alla nascita (sangue del cordone), prima della prima e 1 mese dopo l’ultima dose. La superiorità dei valori anticorpali (GMC) della vaccinazione materna è stata definita come il rapporto ± 1,5 del limite inferiore dell’intervallo di confidenza al 95% delle GMC nel sangue cordonale. Nei neonati, l’obiettivo primario era la valutazione dei tassi di sieroprotezione/sieropositività per ciascun antigene del vaccino DTPa-HBV-IPV/Hib dopo un mese dalla fine del ciclo primario. Era prevista la registrazione di tutti gli eventi avversi sollecitati e indesiderati (AEs), gravi AEs (SAEs), e comunque AEs rilevanti per la gravidanza e il neonato.
RISULTATI
Sono stati vaccinate 687 donne (dTpa: 341; controllo: 346) e 601 neonati (dTpa: 296; controllo: 305). La superiorità nel sangue cordonale per dTpa è stata dimostrata per tutti gli antigeni della pertosse (rapporti GMC: 8.5-20.7). Dopo il ciclo primario, il 100% dei neonati erano sieroprotetti per D e T e > 95% per la polio, > 98% per HepB, e > 94% per Hib in entrambi i gruppi. Per gli antigeni della pertosse, il tasso di risposta è stato del 37,5-77.1% nel dTpa e del 90-99.2% nel gruppo di controllo. I tassi di AEs e SAEs erano simili in entrambi i gruppi nei due studi.
CONCLUSIONI
La VPG con dTap evoca alti livelli anticorpali nei neonati, pur determinando nei bambini una riduzione della risposta alla pertosse, ma non agli altri antigeni del vaccino DTPa-HBV-IPV/Hib. Il significato clinico di tale riduzione è ancora sconosciuto. I vaccini somministrati sono stati ben tollerati e non sono stati riscontrati problema di sicurezza.
Abstract
INTRODUZIONE
Con il Piano Regionale di Prevenzione Vaccinale 2017 è stata introdotta in Emilia-Romagna, a partire dalla coorte dei nati del 2017, la vaccinazione attiva e gratuita contro il Meningococco B. La schedula vaccinale prevedeva la somministrazione di quattro dosi nel primo anno di vita (tre dosi a partire dal 3° mese di vita, a distanza di non meno di un mese, e un richiamo intorno al 13° mese di vita). Era inoltre possibile aderire ad un ciclo a tre dosi a partire dal 7° mese di vita. Questo studio ha lo scopo di analizzare le percentuali di coperture ottenute nella Provincia di Modena per i nati nel 2017 e nel primo trimestre del 2018.
MATERIALI E METODI
Per i nati residenti del 2017 si è considerato come vaccinato contro il Meningococco B chi ha completato il ciclo a quattro dosi. Per i nati nel primo trimestre del 2018, per avere una prima stima dell’adesione alla vaccinazione, si è considerato chi ha completato il ciclo a quattro dosi e chi ha già effettuato le prime tre. I dati sono ottenuti dall’anagrafe vaccinale mediante il programma aziendale.
RISULTATI
Nella Provincia di Modena la copertura dei residenti nati nel 2017 si attesa al 73,08% e risulta essere leggermente più bassa nel Distretto di Modena (70,55%) rispetto al resto della Provincia (73,99%).
Il 9,66 % ha aderito al ciclo a quattro dosi ma deve ancora effettuare l’ultima dose, il 5,41% ha preferito rimandare la vaccinazione dopo il 7° mese di vita, il 7% non ha aderito. Il 3,69% non ha completato il ciclo e l’1,19% l’ha completato con ritardo. Nel primo trimestre del 2018 l’85,01% dei nati residenti ha aderito alla vaccinazione contro il Meningococco B.
CONCLUSIONI
Per la coorte del 2017 si è già raggiunto e superato l’obiettivo di coperture del 60% previsto dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV); per la coorte del 2018 si stima un’adesione attorno all’85%, quindi si prevede verrà raggiunto l’obiettivo di copertura del 75% prefissato nel PNPV.
A partire dai nati negli ultimi mesi del 2018 è possibile applicare la nuova schedula vaccinale a tre dosi già dal 3° mese di vita (Circolare RER n1 del 2019). Interessante sarà la valutazione dell’adesione vaccinale dei nuovi nati già dal 3° mese di vita grazie alla riduzione a tre soli accessi rispetto ai quattro dello schema precedente.
Abstract
INTRODUCTION
Recommendations in many countries, such as the United Kingdom, United States, Australia and Italy state that infants with a history of prematurity should receive routine immunization according to the same schedule used for full-term infants, based on their chronological age rather than corrected gestational age and regardless of their birth weight. While several studies are available in term-born infants, data regarding vaccine safety and tolerability in preterm infants are limited, particularly after the schedule 2 + 1 for the hexavalent vaccines. After more than two years’ use, we conducted a post-marketing surveillance of the DTaP2-IPV-HB-Hib vaccine safety in infants born with a history of prematurity in Apulia in 2017.
Methods
To identify preterm infants, we extracted the hospital discharge records of infants born between January-June 2017, using the ICD-9-CM codes. We included in the study all preterm infants with a positive cross-matching with records included in the Apulian Immunization Information System. To investigate adverse events (AEs) after the first dose, we interviewed via phone the parents of preterm infants vaccinated with at least one dose of the DTaP2-IPV-HB-Hib vaccine. AEs frequencies with 95% confidence intervals (95% CI) were calculated and compared to those reported for term-born infants in the Summary of Product Characteristics.
Results
In Apulia, a total of 866 preterm infants out of 936 (92.5%) received the first dose of hexavalent vaccine and 57.6% were vaccinated by the 3rd month of age as recommended. Out of 866, 80.8% received the DTaP2-IPV-HB-Hib vaccine. We interviewed the parents of 339 preterm infants vaccinated with the DTaP2-IPV-HB-Hib vaccine, 97.8% of whom received co-administration with PCV13 and 72.5% also with anti-rotavirus. The most common local reactions were: pain (35.7%, 95%CI: 30.7-41%), redness (27.1%, 95%CI: 22.6-32.1%) and swelling (26.5%, 95%CI: 22.1-31.5). As for systemic AEs: irritability (27.4%, 95%CI: 22.9-32.4%), fever (22.4%, 95%CI:18.3-27.2%) and somnolence (16.2%, 95%CI: 12.6-20.6%). No serious AEs were reported. Compared to the expected frequency of AEs in term-born infants, in our preterm population the injection site induration, nodule and the rash were more frequent, while loss of appetite, vomiting and persistent crying were less frequent.
Conclusions
Our surveillance study showed that over 40% of infants with a history of prematurity received delayed hexavalent vaccination. The AEs to the DTaP2-IPV-HB-Hib vaccine were mainly local or mild. Preliminary results confirm the safety of this hexavalent vaccine also in preterm population. Further studies are needed in this respect, especially regarding the 2 + 1 schedule.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Rotavirus è la principale causa di gastroenterite nei bambini tra 0 e 59 mesi a livello globale. I neonati prematuri sono tra quelli a maggiore rischio di contrarre la patologia rotavirale e le sue complicanze. Nel 2013, la Regione Sicilia, per prima in Italia, ha introdotto la vaccinazione universale anti-Rotavirus che ha dimostrato ampiamente la sua efficacia sul campo in termini di riduzione delle ospedalizzazioni e dei costi sanitari associati. Il PNPV 2017-2019 ha successivamente esteso tale raccomandazione alle altre Regioni Italiane.
Il presente progetto ha l’obiettivo di valutare la sicurezza della vaccinazione anti-Rotavirus nei neonati pretermine ricoverati e vaccinati nelle principali Unità di terapia Intensiva Neonatale della Regione Sicilia.
MATERIALI E METODI
A partire dal 1° marzo 2018 e per i successivi tre anni, sotto il coordinamento scientifico della Sezione di Igiene del Dipartimento PROMISE dell’Università di Palermo, e con l’approvazione del Tavolo Tecnico Vaccini della Regione Sicilia, è iniziata la somministrazione in regime di ricovero o ambulatoriale della vaccinazione anti-Rotavirus nei neonati pretermine di età gestazionale ± 28 settimane delle maggiori sei Unità di Terapia Intensiva Neonatale Siciliane. La vaccinazione è stata eseguita, a partire dalla 6° settimana di vita, a tutti i bambini nati pretermine che non presentavano controindicazioni alla stessa, in accordo con la scheda tecnica del vaccino. Dopo il primo anno di attività è stato valutato il volume di attività e la sicurezza della vaccinazione attraverso una sorveglianza attiva di eventuali eventi avversi.
RISULTATI
Dopo il primo anno, sono stati vaccinati contro il Rotavirus con ciclo completo 195 nati pretermine. L’età media alla nascita dei vaccinati è pari a 32,6 settimane (DS ± 2,4). La vaccinazione è stata eseguita in media alla 6° settimana di vita (6,4 ± 0,3). Il peso medio dei neonati al momento della vaccinazione era di 2.890 grammi (DS ± 0,456gr). Nei 15 gg dopo la vaccinazione sono state osservate coliche addominali nell’8% dei vaccinati ed un lieve rialzo febbrile nel 2% degli stessi. Dopo 30 gg dalla vaccinazione non è stato segnalato alcun evento avverso di rilievo nei vaccinati.
CONCLUSIONI
Dopo il primo anno di attività, i dati ottenuti confermano la sicurezza della vaccinazione effettuata dalla sesta settimana in poi, nei nati pretermine a partire dalla 28 settimana di vita. I risultati al termine del triennio di attività permetteranno in futuro di migliorare la fiducia degli operatori sanitari sull’efficacia e sicurezza della vaccinazione anti-RV, con l’obiettivo di migliorare le coperture vaccinali anti-Rotavirus.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione di pazienti affetti da patologie rare ha sempre destato particolare preoccupazione negli operatori preposti in particolare per la mancanza di linee guida specifiche. Al fine di supportare i Servizi di Igiene e Sanità Pubblica, i medici di Medicina Generale e i pediatri di Libera Scelta, l’UOC Igiene dell’AOU Policlinico di Bari ha attivato un ambulatorio per la valutazione dei soggetti affetti da patologie che potrebbero controindicare temporaneamente o permanentemente alle vaccinazioni.
Lo stesso ambulatorio, inoltre, valuta i pazienti che riferiscono un evento avverso grave a vaccino, anche al fine di formulare un giudizio di nesso causale.
METODOLOGIA
L’analisi ha incluso i pazienti affetti da patologie rare/croniche o che hanno riferito precedenti eventi avversi gravi a vaccino, afferiti presso l’ambulatorio dedicato nel periodo compreso tra settembre 2018 e maggio 2019.
Per ciascuno dei pazienti afferiti, è stata valutata la reale adesione alle indicazioni formulate in materia di programma vaccinale attraverso il Sistema per la Gestione Informatizzata delle Anagrafi Vaccinali (GIAVA).
RISULTATI
Nel periodo esaminato sono afferiti presso l’ambulatorio 42 pazienti. Il 54,8% sono di genere maschile con un’età media di 8,4 ± 6,6 anni.
Le richieste di consulenza sono state formulate con motivazioni per:
patologia genetica 23,8%;
precedente evento avverso a vaccinazione 21,4%;
familiarità per malattie autoimmuni 14,3%;
malattie metaboliche 9,5%;
encefalopatie 7,1%;
disturbo o familiarità per disturbo dello spettro autistico 4,8%;
familiarità per malattie genetiche 2,4%;
allergie 2,4%;
patologie varie 14,3%.
In nessun caso è stato formulato un giudizio di controindicazione assoluta alla vaccinazione.
Da GIAVA è emerso che il 54,8% dei pazienti, dopo valutazione dello specialista, ha proseguito le vaccinazioni come riportato nelle raccomandazioni formulate.
CONCLUSIONI
Le malattie rare hanno rappresentato per molto tempo una falsa controindicazione alla vaccinazione, soprattutto per la mancanza di raccomandazioni sulle eventuali precauzioni da adottare prima della somministrazione dei vaccini.
L’attivazione di un ambulatorio specialistico ha fornito chiare indicazioni agli operatori che hanno preso in carico questi pazienti “fragili” e ha consentito di rassicurare i futuri genitori sulla sicurezza delle vaccinazioni migliorandone la compliance. Questi pazienti infatti, rappresentano spesso un sottogruppo di popolazione a cui le vaccinazioni dovrebbero essere offerte prioritariamente.
Abstract
INTRODUZIONE
In Italia, la vaccinazione antinfluenzale nella popolazione pediatrica, non è stata fino ad oggi attivamente proposta. Almeno fino alla stagione 2018/2019, il vaccino, benché indicato a partire dai 6 mesi di vita, è erogabile, nei bambini sani, solo a pagamento, nonostante questa fascia di età sia la più importante, dal punto di vista epidemiologico nella trasmissione dell’infezione.
Obiettivo dello studio è stimare, in una coorte di bambini non ospedalizzati, nel corso di 8 stagioni influenzali post-pandemiche, l’efficacia della vaccinazione antinfluenzale in relazione ai ceppi circolanti.
MATERIALI E METODI
Per lo studio, osservazionale di tipo caso-controllo negativo, condotto a Parma dal 2010 al 2018, un pediatra di libera scelta della rete Influnet con numero medio di 1149 assistiti/anno ha eseguito un tampone faringeo in ogni assistito che, dal 1° novembre al 30 marzo di ogni stagione si presentava con ILI (Influenza-like illness) entro 4 giorni dall’inizio dei sintomi, ad almeno 14 giorni dall’ eventuale vaccinazione (vaccino trivalente). I campioni sono stati analizzati con Real time RT-PCR (protocolli CDC e WHO). L’efficacia della vaccinazione aggiustata per sesso, età e periodo epidemico, è stata stimata come VE = (1-OR)*100 con i relativi intervalli di confidenza (IC95%).
RISULTATI
Sono stati analizzati complessivamente 2480 tamponi faringei, il 57,6% dei quali positivi alla ricerca di virus influenzali. I bambini vaccinati sono stati 494 (19,9%), con percentuali più elevate nella fascia di età ≥ 5 anni (30,5%). Nel periodo considerato hanno co-circolato virus di tipo A e tipo B, in particolare: 19,40% sottotipo A(H1N1)pdm09, 37,11% sottotipo A(H3N2) e 43,07% tipo B. È stata osservata la frequente co-circolazione del sottotipo A(H1N1)pdm09 con il tipo B, mentre, in 3 delle 4 stagioni dominate dal sottotipo A(H3N2), la circolazione degli altri ceppi è risultata scarsa. In 5 delle 8 stagioni considerate l’efficacia generale ha oscillato dal 56% (IC95% 21%-75%) della stagione 2011/2012 al 68% (IC95% 21%-87%) della stagione 2016/2017. Nelle 3 stagioni dal 2013 al 2016 invece l’efficacia è risultata scarsa. L’efficacia verso A(H1N1)pdm09 è risultata complessivamente del 63% (IC95% 44%-76%), verso A(H3N2) del – 20% (IC95%-51%-5%) e verso B del 3% (IC95%-22%-23%).
CONCLUSIONI
Anche nella popolazione pediatrica, l’efficacia vaccinale risulta condizionata dalla variabilità genetica dei virus circolanti. Nelle stagioni in cui l’omologia genetica tra virus e vaccini si è conservata, l’efficacia è risultata elevata; ciò potrebbe giustificare, l’estensione della proposta attiva della vaccinazione nei bambini sani, con l’intento di proteggere questa fascia di età e tutti i loro contatti.
Abstract
INTRODUZIONE
Le microplastiche hanno assunto una notevole importanza come contaminanti e, data la loro presenza ubiquitaria, esse rappresentano una minaccia sia per l’ambiente che per la salute umana. Ortaggi e frutta non sono mai stati studiati a tal riguardo poiché non esisteva un metodo analitico che ne permetteva la corretta determinazione numerica nelle frazioni più piccole (< 10 µm) e dunque suscettibili di compartimentalizzazione tissutale.
Scopo del nostro studio era indagare attraverso un nuovo metodo brevettato la presenza di microplastiche in ortaggi e frutta acquistate da tre siti: grande distribuzione, prodotti a Km zero e mercatini rionali.
MATERIALI E METODI
Il metodo applicato è stato brevettato a livello nazionale e internazionale. Il codice della richiesta presentata di estensione del brevetto internazionale in diversi paesi del mondo è PCT/IB2019/051838 del 7/03/2019, abbinato al brevetto italiano numero 102018000003337 del 7 marzo 2018. Brevemente, il campione essiccato (9 campioni di mele e 9 di broccoli) è stato mineralizzato, poi è seguita la sedimentazione delle particelle (ρ > 1) e la loro dispersione su stub. Infine, l’identificazione, il conteggio e misurazione dei diametri delle particelle è stata effettuata mediante SEM-EDX.
RISULTATI
Microplastiche sono state rilevate per la prima volta in assoluto in tutti i campioni vegetali. Nelle mele e nelle lattughe della grande distribuzione erano presenti 1,20E + 06 e 1,17E + 06 microplastiche (diametri medi di 2,14 μm e 2,2 μm) rispettivamente. Nelle mele e lattughe dei campioni a Km zero, le microplastiche erano rispettivamente 1,97E + 05 e 5,02E + 05 (diametri medi di 3,62 μm e 2,6 μm). Nelle mele e lattughe dei mercatini rionali, infine, sono state quantificate 4,09E + 05 e 1,62E + 06 (diametri medi di 3,04 μm e 2,1μm) rispettivamente.
CONCLUSIONI
Le microplastiche (p/g) rilevate nei vegetali si attestano molto elevate. I campioni a km zero hanno mostrato una minore contaminazione (p/g) da microplastiche caratterizzate da diametri maggiori rispetto agli altri campioni. Le lattughe appaiono più contaminate rispetto alle mele. Tale dato può essere spiegato dalla maggiore difficoltà di traslocazione delle microplastiche nelle parti aeree delle piante o dalla compartimentalizzazione delle stesse nelle parti ipogee. Necessiterà verificare tale ipotesi con analisi più dettagliate in radici, culmo, foglie e frutti. Tale evidenza chiarisce che è possibile realizzare un metodo di fitoestrazione per la bonifica dei suoli da microplastiche (< 10 µm). Per la prima volta è quantificata la microplastica in alimenti di origine vegetale aprendo scenari fino adesso non contemplati in sanità pubblica.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli ftalati, potenziali endocrine disruptors comunemente addizionati alle materie plastiche, si ritrovano in numerosi prodotti di largo consumo quali involucri alimentari, giochi, cosmetici e prodotti per l’igiene personale. Le conoscenze sui livelli di esposizione prenatale e, soprattutto, postnatale a ftalati dei neonati sono tuttavia molto limitate.
Questo studio ha l’obiettivo di valutare, attraverso il biomonitoraggio urinario, l’esposizione prenatale e postnatale a ftalati in neonati della provincia di Modena e di indagare il ruolo/effetto di questa esposizione sull’accrescimento corporeo, sui livelli ormonali e sullo sviluppo neuro-cognitivo nei primi due anni di vita.
MATERIALI E METODI
Si tratta di uno studio di coorte che prevede l’arruolamento, subito dopo il parto, di donne e dei loro bambini, nati a termine e normopeso, presso l’AOU di Modena.
L’esposizione prenatale verrà valutata tramite il dosaggio di ftalati nelle urine (materne e neonatali) raccolte all’arruolamento e la somministrazione di un questionario che indaga le fonti espositive durante la gravidanza. L’esposizione postnatale verrà valutata raccogliendo le urine dei bambini a 6 mesi e la somministrazione di un secondo questionario espositivo.
Alla nascita e durante i primi due anni di vita, mediante visite periodiche, verranno misurati accrescimento corporeo, livelli ormonali urinari (LH, FSH, testosterone/estradiolo), sviluppo neuro-motorio (metodo di Prechtl ed esame obiettivo neurologico) e sviluppo neuro-cognitivo (Scala di Griffiths).
La determinazione analitica dei 6 diesteri più diffusi e dei relativi metaboliti verrà effettuata tramite cromatografia liquida e spettrometria di massa.
RISULTATI
Le analisi dei campioni di urine raccolti dai neonati in diversi momenti permetteranno di quantificare sia l’esposizione prenatale che quella postnatale agli specifici ftalati e ai loro principali metaboliti, valutandone anche i trend temporali, di individuare le principali fonti espositive, sia durante la gravidanza che durante i primi 6 mesi di vita, e di indagare le correlazioni tra tali esposizioni e le caratteristiche antropometriche, i livelli ormonali del sistema riproduttivo e lo sviluppo neuro-motorio e neuro-cognitivo nei primi due anni di vita dei bambini.
CONCLUSIONI
Grazie al coinvolgimento dei neonati nel monitoraggio biologico, questa indagine migliorerà le conoscenze dirette sui livelli di esposizione prenatale e, soprattutto, postnatale a ftalati dei neonati, e apporterà contributi su possibili effetti sul loro accrescimento corporeo e sviluppo neuro-cognitivo.
Inoltre, le informazioni ottenute potranno essere utilizzate per la pianificazione di strategie di prevenzione e promozione della salute della popolazione femminile in età fertile al fine di ridurre l’esposizione a queste sostanze in gravidanza e nei primi mesi di vita neonatale.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Laboratorio B + LabNet è una struttura operativa che supporta e integra le attività di ricerca sui temi dell’ambiente, della salute e della sostenibilità svolte da diversi gruppi dell’Ateneo di Brescia. Gli scopi del Laboratorio sono favorire lo studio dei temi ambientali, promuovere l’interdisciplinarietà della ricerca e rafforzare le interazioni con il territorio.
MATERIALI E METODI
I progetti di ricerca sono costruiti secondo criteri di inclusività, integrazione di competenze, supporto al decisore, capacità di promozione culturale. Tutti adottano lo schema metodologico DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte) che definisce e organizza dati, modelli, metodologie e conoscenza per supportare il decisore a formalizzare e implementare politiche di risanamento e valorizzazione ambientale.
RISULTATI
Sono attivi cinque progetti interdisciplinari, uno sulla matrice aria, due sull’acqua e due sul tema dell’economia circolare. “BRAVE”, prevede attività finalizzate alla formalizzazione e implementazione di modelli e tecnologie innovative per la valutazione, il monitoraggio e la riduzione degli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico e acustico sulla salute e benessere dei cittadini e degli ecosistemi. “LAKES” punta a studiare e ridurre le pressioni sulla realtà del lago di Iseo al fine di porre le basi per uno sviluppo economico e culturale sostenibile del territorio. “SMART-WAT”, si propone di studiare il ciclo idrico integrato valutando piani di sicurezza delle acque potabili e degli impianti di trattamento delle acque reflue al fine di preservare quantità e qualità dell’acqua nel pieno rispetto dell’ambiente e garantendo la sicurezza per i cittadini. “ECO-HEALTH WASTE MANAGEMENT”, valuta il tema del recupero di rifiuti speciali nel settore delle costruzioni. L’attenzione è focalizzata sulle scorie di acciaieria per l’importanza del tema nel territorio bresciano. “RESTART”, si occupa del recupero e del trattamento di scarti ed eccedenze alimentari per la realizzazione di membrane per l’abbattimento di metalli pesanti e microinquinanti da acque per uso agricolo e domestico e produzione di gel per uso alimentare, utilizzando agenti addensanti ottenuti da parte degli scarti della produzione.
CONCLUSIONI
L’approccio interdisciplinare scelto per i progetti permette di creare proficue collaborazioni tra ricercatori di aree diverse. Ciò, mediante il confronto e l’integrazione di metodi di lavoro e competenze, porta a risultati sfaccettati e innovativi.
Abstract
INTRODUZIONE
I contesti urbani possono influenzare i comportamenti delle persone (es. attività fisica) con implicazioni sugli esiti di salute e le disuguaglianze, soprattutto per gli anziani. L’osteoporosi e le fratture patologiche sono tra le condizioni di salute che hanno il maggiore impatto sulla qualità di vita degli ultrasessantacinquenni, specialmente per le donne.
L’obiettivo dello studio è valutare l’associazione tra walkability (camminabilità del contesto) e fratture osteoporotiche negli anziani torinesi.
MATERIALI E METODI
La fonte dei dati è lo Studio Longitudinale Torinese (SLT) che integra esiti sanitari, indicatori di posizione socioeconomica e di caratteristiche del contesto urbano. La popolazione in studio è costituita da ultrasessantenni stabilmente residenti nella stessa zona statistica tra il 2002 e il 2006 che non avevano mai avuto una frattura osteoporotica nei 5 anni precedenti. Sono state escluse persone affette da condizioni ad alto rischio di caduta o di frattura (disabilità motoria, Parkinson, demenza, depressione, epilessia, alcolismo, disturbi visivi e uso di oppioidi). Le fratture osteoporotiche sono state individuate dall’archivio dei ricoveri ospedalieri.
Per walkability si intende un sistema di misura utile a descrivere quanto una via, una zona o un quartiere è a misura di pedone. L’indice è stato calcolato a partire dalle caratteristiche strutturali e dalla disponibilità di servizi di prima necessità e destinazioni di interesse entro 400 m da ogni indirizzo.
Sono stati adottati modelli multilevel stratificati per genere e uso di bifosfonati. I modelli sono controllati per età, stato civile, istruzione e densità di reclami per zona statistica.
RISULTATI
La popolazione in studio è composta da 107,730 persone (56% donne).
Nel periodo in studio si sono osservate 1,849 fratture con un rischio che aumenta esponenzialmente con l’età.
Nelle donne ogni aumento di un punto nella camminabilità dell’area statistica si associa a una protezione nei confronti del rischio di fratture osteoporotiche, soprattutto tra chi assume bifosfonati (OR 0.98; 95% CI 0.97-1.00). Gli uomini che vivono soli e usano bifosfonati sono più a rischio di fratture osteoporotiche rispetto agli uomini sposati, mentre tra le donne la bassa istruzione sembra essere protettiva.
CONCLUSIONI
Ogni incremento di punto nella walkability urbana si associa a una protezione dell’1-2% nel rischio di fratture osteoporotiche, soprattutto nelle donne che già assumono farmaci per questa condizione.
La pianificazione urbanistica dovrebbe tenere conto dei fattori che possono incoraggiare l’invecchiamento attivo oltre che prevedere misure dirette a favorire il supporto sociale e le ottimali condizioni fisiche della casa.
Abstract
INTRODUZIONE
La rilevazione di biomarcatori di effetto biologico precoce potrebbe essere utile ad identificare i rischi derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche e gestire l’inquinamento atmosferico preventivamente rispetto ai danni potenziali sulla salute umana. L’obiettivo dello studio è stato quello di determinare la frequenza di micronuclei (MN) nelle cellule della mucosa buccale di bambini residenti nelle città di Brindisi e Torchiarolo associata all’esposizione ad inquinanti atmosferici ed a fattori individuali e comportamentali. Queste città sono localizzate in un’area ad alto livello di inquinamento atmosferico causato da impianti industriali ad alto impatto ambientale (area impattata). I risultati sono stati comparati con quelli riscontrati in un’area del Salento senza evidenti impatti ambientali (area controllo).
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 466 bambini di 6-8 anni (208 residenti nell’area impattata, 258 residenti nell’area controllo) frequentanti le scuole primarie delle città oggetto di studio per valutare la frequenza di MN nelle cellule esfoliate della mucosa buccale. Ai genitori dei bambini che hanno accettato di partecipare allo studio è stato somministrato un questionario per ottenere informazioni sullo stato di salute, le abitudini alimentari e lo stile di vita dei bambini. Successivamente, sono stati raccolti i campioni biologici strofinando delicatamente l’interno delle guance dei bambini con uno spazzolino a setole morbide. Contemporaneamente, è stato effettuato il campionamento dell’aria mediante campionatore ad alto volume installato nei cortili delle scuole interessate, al fine di rilevare la concentrazione di PM10 nel periodo in cui veniva svolto il monitoraggio biologico. Eventuali associazioni tra la frequenza dei MN e gli inquinanti ambientali sono state rilevate mediante un’analisi multivariata.
RISULTATI
Nell’area impattata la presenza dei MN è stata individuata nel 68,4% dei bambini campionati, con una frequenza media di 0,66 MN/1000 cellule. Mentre, nell’area controllo la percentuale dei bambini positivi è risultata pari a 37,1% con una media di 0,27 MN/1000 cellule. Il monitoraggio ambientale ha evidenziato una concentrazione di PM10 pari a 22,2 ± 7,0 µg/m3 nell’area impattata e 12,6 ± 4,9 µg/m3 nell’area controllo. L’analisi multivariata ha individuato un’associazione positiva tra frequenza dei MN vs PM10 ed esposizione a traffico veicolare ed una relazione negativa fra MN vs attività sportiva.
CONCLUSIONI
Lo studio ha dimostrato che le cellule esfoliate della mucosa buccale di bambini residenti in aree ad elevato impatto industriale presentano danni genotossici maggiori rispetto ai bambini che vivono in aree non impattate. Tra le variabili indagate, l’esposizione ambientale sembra essere la principale causa di tale effetto.
Abstract
INTRODUZIONE
Le macroalghe sono una fonte importante di metaboliti secondari con proprietà antibatteriche, antifungine, antitumorali e antinfiammatorie. Nel progetto REMEDIA Life, finanziato dalla comunità europea, si sta utilizzando, per la prima volta in Europa, la modalità di acquacoltura multitrofica integrata (IMTA) nella quale accanto all’allevamento dei pesci vi è l’allevamento/coltivazione di biorimediatori come policheti, poriferi, mitili e macroalghe. L’obiettivo che il progetto intende raggiungere è ottenere sia il miglioramento delle condizioni ambientali, sia biomassa disponibile per ulteriori possibili usi, in vari settori incluso quello della farmaceutica. In particolare, la biomassa di macroalghe prodotta potrebbe essere usata per l’estrazione di sostanze ad azione antibatterica. Nel presente lavoro si evidenzia la capacità antibatterica dell’estratto lipidico di alcune alghe (Hypnea cornuta, Cystoseira barbata e Cladophora rupestris), presenti lungo le coste pugliesi, selezionate per la coltivazione in impianto.
MATERIALI E METODI
L’estratto algale è stato ottenuto mediante un estrattore soxhlet usando una soluzione 2:1 cloroformio/metanolo a 55 °C per 24 ore; dopo essiccazione è stato risospeso in etanolo ad una concentrazione di 5mg/mL. L’estratto è stato quindi utilizzato per valutare l’azione antimicrobica nei confronti di Enterococcus spp., Pseudomonas spp., Staphylococcus spp., Streptococcus agalactiae coltivati su Nutrient Broth, Candida glabrata, Candida famata e Candida albicans cresciute su Sabouraud Broth. L’attività antimicrobica è stata saggiata usando il metodo di Kirby Bauer: 100 μL di ciascuna sospensione microbica sono stati seminati per spread su piastre di Plate Count Agar, per i batteri, e Sabouraud Agar per i miceti lievitiformi. Su ogni piastra è stato posto un dischetto in carta sterile Whatman N° 1 imbevuto con 30 μL di ciascun estratto algale, e uno per il bianco imbevuto con 30 μL del solo solvente.
RISULTATI
L’estratto lipidico di C. rupestris ha inibito la crescita di Enterococcus spp. e Streptococcus agalactiae; H. cornuta è stata efficace nei confronti di Enterococcus spp.; C. barbata nei confronti di Pseudomonas spp. Nessuna alga testata è stata efficace contro le specie di Candida saggiate e Staphylococcus spp.
CONCLUSIONI
Le attività antibatteriche evidenziate da questo studio mostrano che gli estratti lipidici di alcune macroalghe sono capaci di agire contro diversi patogeni umani, tra cui lo Streptococcus agalactiae che è responsabile di meningiti infantili. I risultati ottenuti aprono delle prospettive sul possibile uso biotecnologico delle alghe esaminate. Nelle prossime fasi progettuali si valuteranno le rese dei composti bioattivi in relazione alla biomassa algale prodotta per comprendere la possibilità di realizzazione di prototipi farmaceutici.
Abstract
INTRODUZIONE
Le attività delle acciaierie portano alla produzione di un residuo che può essere riutilizzato nel settore delle costruzioni, come aggregato per calcestruzzo e per sottofondi stradali, trasformando un rifiuto in risorsa e riducendone così lo smaltimento in discarica.
Scopo di questo progetto è la valutazione della tossicità e genotossicità di scorie di acciaieria, potenzialmente recuperabili, mediante una batteria di test in vivo e in vitro in organismi diversi (batteri, crostacei, vegetali, cellule umane).
MATERIALI E METODI
L’eluato di 5 campioni di scorie provenienti da diverse acciaierie sottoposti a test di cessione sul materiale granulare (UNI 12457-2) è stato analizzato per la tossicità mediante test in Allium cepa e Daphnia magna e per la genotossicità mediante test di Ames in Salmonella typhimurium (mutazioni puntiformi), test dell’Allium cepa (aberrazioni cromosomiche e micronuclei), test di mutazione cromosomica e danno al DNA in cellule umane (micronuclei in fibroblasti e leucociti, e test della cometa in leucociti).
Analogamente sono stati analizzati 5 campioni di aggregato di cava, materiale che viene normalmente utilizzato per conglomerati cementizi e sottofondi stradali.
RISULTATI
Le analisi chimiche indicano che gli eluati sia delle scorie che degli aggregati di cava rispettano i limiti imposti dal DM 186/2006.
I test di tossicità in D. magna hanno mostrato in generale l’assenza di effetti tossici, ad eccezione di un campione di scorie. Il test in radici di A. cepa ha evidenziato per tutti i campioni l’assenza di tossicità (lunghezza delle radici e caratteristiche macroscopiche come forma, consistenza e colore), ma per quanto riguarda la genotossicità si è osservato che tutti i campioni sono in grado di indurre aberrazioni cromosomiche. Anche i test condotti su cellule umane (leucociti e fibroblasti) hanno mostrato in tutti i campioni, sia di scorie che di aggregati di cava, la presenza di sostanze in grado di danneggiare il DNA, spesso con un chiaro andamento dose-risposta. Lo studio della mutagenicità mediante test di Ames in S.typhimurium ha invece evidenziato l’assenza di attività mutagena nell’eluato di tutte le scorie, al contrario di quanto osservato per gli aggregati di cava, risultati in grado di indurre mutazioni geniche nei batteri.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti, in considerazione delle differenze non particolarmente significative tra scorie e aggregati di cava, sono di estremo interesse per il possibile riutilizzo delle scorie di acciaieria in un’ottica di economia circolare.
Abstract
INTRODUZIONE
L’esercizio fisico e l’attività motoria sono essenziali per un corretto stile vita e il nuoto rappresenta uno degli sport più diffusi nella popolazione. Le indicazioni per l’igiene e la sorveglianza nelle piscine sono stabilite dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e da riferimenti normativi nazionali, che individuano, anche, gli indicatori per la sorveglianza e i trattamenti raccomandati per contenere i rischi biologici. Tra i disinfettanti, il cloro rappresenta il più diffuso, seppur determina una possibile formazione di sottoprodotti della disinfezione (DBP) nocivi per l’uomo. Allo scopo di ridurre la concentrazione dei DBP, il settore sta evolvendo con l’Introduzione di nuovi sistemi e procedure di disinfezione alternative. Tra le nuove strategie per il contenimento dei microrganismi in piscina emergono materiali e prodotti nanotecnologici, come superfici auto-disinfettanti basate su metalli pesanti o su sostanze attivate dalla luce, come l’ossido di zinco (ZnO) e il biossido di titanio (TiO2). In questo lavoro, l’applicazione di sistemi fotocatalitici basati su TiO2 è stata valutata sia su superfici che in diverse acque di approvvigionamento incluse quelle minerali e termali.
MATERIALI E METODI
Test di laboratorio, “in vitro” e utilizzando il prototipo “CavyPool” sono stati eseguiti a diversi tempi (entro le 2-5 ore) e condizioni sperimentali di esposizione alla luce. Tecnologie alternative per la disinfezione basate sul TiO2 sono state applicate ad acque di rete, sorgenti minerali e termali, artificialmente contaminate con ceppi batterici standard (Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa e Enteroccoccus faecalis). La loro efficacia è stata valutata con tecniche microbiologiche tradizionali (UFC) o metodi molecolari utilizzando Real Time-PCR (ΔCT).
RISULTATI
Nei campioni di acque rete esaminati è stata riscontrata una riduzione di oltre il 90% della carica microbica entro le 2 ore di trattamento con prodotti a base di TiO2. Dati in linea sono stati raccolti anche nei campioni di acque termali, dove si è rilevata una riduzione del 80% entro le 5 ore. Superfici rivestite con TiO2 svolgono un ruolo nella riduzione della formazione di biofilm mostrando un’elevata resistenza all’adesione batterica (P. aeruginosa ΔCT > 20 e E. faecalis ΔCT > 10).
CONCLUSIONI
L’azione fotocatalitica del TiO2 risulta efficace per il trattamento sia in sospensione che su superfici. L’ottimizzazione di queste promettenti tecnologie può contribuire a ridurre i rischi associati ai classici metodi di disinfezione, gestendo l’igiene delle piscine con approcci personalizzati che tengano conto delle caratteristiche dell’acqua, delle specifiche necessità dell’impianto idrico e delle diverse tipologie di piscine e relative utenze.
Abstract
INTRODUZIONE
L’urban sprawl è un fenomeno che si ritrova in alcuni centri urbani caratterizzati da una bassa densità di popolazione e dalla dipendenza dall’automobile. È stato dimostrato che l’urban sprawl può avere impatti negativi sull’ambiente, sull’economia e sulla salute umana. La formulazione di un indice che misuri il livello di sprawl è spesso legata alle caratteristiche del territorio interessato. In Italia non è ancora stato validato alcun indice che consenta la rilevazione del livello di sprawl nelle aree urbane. L’obiettivo dello studio è di formulare e validare un indice di sprawl/compattezza per i comuni siciliani e valutare la sua associazione con la mortalità per tutte le cause e specifica.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio ecologico nei 110 comuni siciliani. Al fine di formulare un indice di sprawl/compattezza è stata utilizzata la principal component analysis considerando le variabili di 4 domini: attività lavorativa, densità abitativa, superficie coperta, uso misto del territorio (censimento 2011, ISTAT). La validazione dell’indice è stata realizzata tramite una correlazione tra le modalità di trasporto urbano (pubblico e privato) e l’indice di sprawl/compattezza. Un’analisi di regressione lineare è stata condotta per valutare l’associazione tra lo sprawl/compattezza, gli outcomes di mortalità e la deprivazione socio-economica.
RISULTATI
L’attività lavorativa supporta il 31% della varianza dell’indice di sprawl/compattezza, seguito da densità abitativa (25%), superficie coperta (12%) ed uso misto del territorio (9%). Nel processo di validazione dell’indice, il trasporto pubblico ha una relazione inversa con lo sprawl (p < 0,001) mentre il trasporto privato una relazione diretta con lo sprawl (p < 0,001). All’analisi multivariata, dopo aver controllato per la deprivazione socio-economica e la mortalità generale, la mortalità cardiovascolare è stato l’unico outcome direttamente associato con l’incremento dell’indice di sprawl nei comuni siciliani (OR = 0,0068, < 0,001).
CONCLUSIONI
Questo studio, condotto su tutti i Comuni della regione Sicilia, sottolinea la necessità di un continuo monitoraggio dell’urban sprawl al fine di valutarne l’evoluzione nel tempo e la relazione con un importante outcome di salute come la mortalità cardiovascolare. Le nostre analisi evidenziano una importante associazione con la mortalità cardiovascolare anche se sarebbe necessario correggere per fattori legati allo stile di vita che non sono disponibili a livello dei comuni siciliani. L’individuazione di un indice di sprawl è utile nel fornire un’evidenza ai policymakers per individuare e supportare le strategie e le azioni da implementare per migliorare la qualità della vita nelle aree urbane con un approccio multisettoriale.
Abstract
INTRODUCTION
The Veneto Region has been invested with an environmental pollution resulting in a large and heavy episode of human exposure. The paper proposes a method for measuring the health benefits expected from reducing the contamination of drinking water and food matrices.
MATERIALS AND METHODS
An explanatory serum PFOA concentration of 30 ng/mL was chosen as reference, corresponding to a 7% increase in total cholesterol and a consequent increase in cardiovascular risk in adults over 40 years (EFSA December 2018 Scientific Opinion:BMDL5: 9.4 ng/mL).
A baseline serum PFOA concentration of 46 ng/mL was considered (taking the median value measured among the participants to the Regional Health Surveillance Plan) to describe the substance clearance in response to different realistic scenarios of contamination of drinking water and raw food. A simplified one-compartment pharmacokinetic model, was used (half-life 2.3 years, distribution volume 0.17 ml/kg body weight, lactating women), according to USEPA 2016.
RESULTS
An individual with a serum PFOA concentration of 46 ng/mL reaches the reference level of 30 ng/mL after 1.8 years if he drinks water with PFOA 10 ng/mL and after 2.8 years if he drinks water with PFOA 40 ng/L. The PFOA concentrations measured in some private wells used for drinking water are in the order of magnitude of hundreds/thousands ng/L.
As for raw food consumption, the reference PFOA serum level of 30 ng/mL is reached after about 1.8 and 3.3 years, when the corresponding food daily intake is 0.35 and 2.30 ng/kg-day ng/Kg body weight-day (lower and upper bound estimates of mean intake among adults, Italy 2005-2006), In a high-exposure scenario the latter intake may be reached and exceeded.
CONCLUSIONS
The outlined scenarios can be of help to esteem the health benefits resulting from the installation of activate carbon drinking water filtering systems (2013) and to identify situations of possible interest for further actions of environmental,agri-food, dietary and drinking water supply mitigation. A more accurate esteem requires accurate, detailed and updated local exposure data; for example; the robustness and reliability of the measurement of the daily PFOA food intake largely depends on the study design (market basket, duplicate diet), the sampling representativity and the analytic threshold.
Finally, the decay curves are critically influenced by the baseline level, the target serum PFOA concentration of interest for human health and the pharmacokinetic model considered: for example, in a recent case study from Sweden, the PFOA half-life is longer.
Abstract
INTRODUZIONE
L’esitazione vaccinale è un fenomeno in crescita tra i genitori. Il ruolo degli operatori sanitari riveste un’importanza non trascurabile nell’accettazione dei vaccini. Il presente studio indaga il ruolo degli operatori sotto la duplice veste di genitori e professionisti sanitari. L’obiettivo dello studio è evidenziare le posizioni assunte in tema di vaccinazioni dai genitori che lavorano in ambito sanitario ed analizzare come genitori vaccinatori, esitanti e non vaccinatori ricorrono alle figure sanitarie quali fonti di informazione riguardo ai vaccini.
MATERIALI E METODI
I dati sono stati raccolti tramite un questionario online che ha coinvolto tutte le regioni italiane nel 2017, rivolto a genitori con almeno un figlio di età compresa tra 3 e 84 mesi. Sono state studiate le caratteristiche socio-demografiche, le opinioni riguardo ai vaccini e lo status vaccinale dei figli. Sulla base di quest’ultimo, insieme alle intenzioni vaccinali dichiarate, i genitori sono stati suddivisi in: vaccinatori, esitanti, non vaccinatori. Per il confronto delle distribuzioni fra i gruppi sono stati eseguiti test χ2 (livello di significatività 0.05).
RISULTATI
Sono stati valutati 3865 questionari; nel 20.2% (n = 774) delle famiglie intervistate era presente almeno un genitore impiegato in una professione sanitaria. Tale prevalenza è costante nei tre gruppi di vaccinatori, esitanti e non vaccinatori senza differenze significative (p = 0.86). Le opinioni degli operatori sanitari nel gruppo dei vaccinatori sono più positive rispetto a sicurezza, modalità di somministrazione, fiducia negli operatori sanitari (p < 0.05); nel gruppo degli esitanti si differenziano per una maggiore fiducia negli operatori (p < 0.05), mentre nel gruppo di non vaccinatori per una maggiore sfiducia (p < 0.05). Il ricorso ad un medico esterno al SSN è doppio negli esitanti (49.5%) e circa il triplo nei non-vaccinatori (72.9%) rispetto ai vaccinatori; l’ostetrica rappresenta una fonte informativa per il 20% circa di non vaccinatori ed esitanti, per il 10.3% di vaccinatori.
CONCLUSIONI
Nel campione studiato l’occupazione in ambito sanitario non influisce sulla scelta di vaccinare i propri figli. La presenza di operatori sanitari nel gruppo degli esitanti e nel gruppo dei non vaccinatori rappresenta un forte ostacolo alla diffusione di una corretta cultura vaccinale, in quanto sostiene e rafforza la scelta di questi genitori. Gli esitanti e, in misura maggiore, i non vaccinatori cercano supporto in personale sanitario, per lo più esterno al SSN. Appare utile uno studio mirato ad approfondire opinioni ed atteggiamenti, rispetto alla pratica vaccinale, degli operatori sanitari che operano in diversi contesti, che permetta interventi specificatamente indirizzati alla categoria.
Abstract
INTRODUZIONE
Ogni anno, nel mondo, la gastroenterite da rotavirus causa circa mezzo milione di decessi nei bambini sotto i 5 anni. Negli Stati Uniti, contesto assimilabile a quello italiano, le morti associate a rotavirus colpiscono soprattutto i bambini tra 4 e 23 mesi d’età: allo stato attuale, tuttavia, si stima che la vaccinazione potrebbe prevenire 8 decessi su 10 e ridurre la severità della malattia.
MATERIALI E METODI
Nel comune di Cerignola (Asl Foggia) tale vaccinazione è stata per lungo tempo poco accettata o addirittura evitata dai genitori sebbene numerosi fossero i ricoveri a seguito di GE da rotavirus registrati.
A partire da Gennaio 2019 è stata istituita una rete con l’obbiettivo di aumentare l’adesione a tale vaccinazione; tale rete ha visto coinvolti i pediatri di libera scelta locali, il reparto di Pediatria del Presidio Ospedaliero territoriale e l’ambulatorio di vaccinazioni del Servizio Igiene Pubblica - sede Cerignola.
Presso il PO territoriale, nell’unità neonatale della Pediatria, al momento di dimissione del neonato, si è provveduto alla consegna di una lettera informativa relativa a tale vaccinazione; i PLS e l’ambulatorio vaccinale si sono occupati invece di un counseling mirato a illustrare i benefici della vaccinazione anti-rotavirus.
L’anagrafe vaccinale regionale su piattaforma Giava ha permesso di monitorare l’adesione alla vaccinazione e di analizzare le relative coperture vaccinali.
RISULTATI
Analizzando i dati Giava, per la coorte di nascita 2018, anno in cui non era ancora attiva la rete suddetta, è risultato una copertura pari al 14,35% per la prima dose e al 1,7% per la seconda dose (intervallo somministrazione 2/03/2018 al 31/01/2019).
Con l’avvio di tale rete su 129 nuovi nati (trimestre novembre 2018-gennaio 2019) risultavano 109 i vaccinati con prima dose (intervallo somministrazioni: 01/02/2019 al 24/05/2019) con una percentuale di copertura pari al 84.5% e 52 i vaccinati con seconda (40,3%).
CONCLUSIONI
A conclusione, sembra doveroso ribadire quanto la collaborazione tra tutti gli autori coinvolti abbia rappresentato una strategia utile ad affrontare la Vaccine Hesitancy in un determinato contesto sociale, culturale ed economico.
Abstract
INTRODUZIONE
Vaccine hesitancy has been traditionally gauged using vaccine uptake and its timeliness and it has been traditionally predicted using socio-demographic variables. While uptake is of paramount importance, vaccine hesitancy is more nuanced, encompassing various levels of doubts about vaccines that parents may have even if they fully vaccinate. Study 1 aims at assessing the relationship between hesitant behaviour and attitudes.
Additionally, previous studies have rarely considered psychological characteristics of parents that can affect decision-making. Study 2 aims at filling this gap, exploring the relationship between parents’ emotional competence and attitude towards vaccines.
MATERIALI E METODI
In Study 1, predictors of hesitant behaviour (having voluntarily postponed/forgone some/all vaccines) were examined in 2,778 parents from the ULSS 6 of the Veneto Region. Predictors included: socio-demographic characteristics and attitudes towards vaccines (measured with a 26-items survey).
In Study 2, psychological predictors of the attitude towards vaccine were examined in 593 parents recruited in nurseries and kindergartens in Padova, using the Profile of Emotional Competence, as well as mental images spontaneously associated with the term “vaccine”. All data were collected between December 2016 and May 2017.
RISULTATI
Study 1: Hesitant behaviour was predicted by: younger age of the child; higher education level of parents; the mother being Italian and employed, especially in the health domain; and the father having completed the questionnaire. Attitudes were characterized on three independent factors (extracted through factor analysis) focusing on: 1) concerns for possible side effects of vaccines; 2) concerns for negative effects of illnesses prevented by vaccines; and 3) beliefs in natural protection against illnesses. All three factors independently predicted hesitant behaviour.
Study 2: A significant mediational analysis showed that parents with higher emotional competences concerning their own emotions, through more positive mental images associated with the word “vaccine”, were more likely to have positive attitudes towards vaccines (lower concerns about side effects, higher concerns about the illnesses prevented by vaccines, and lower beliefs in natural protection against illnesses).
CONCLUSIONI
Our results confirm that hesitant behavior is only the tip of the iceberg. Attitudes towards vaccines can be characterized on three correlated but independent dimensions that are highly predictive of hesitant behaviour.
Our findings also indicate that parents’ intrapersonal emotional competences affect all dimensions of attitudes towards vaccines. Since emotional competences can be taught and learned, future studies could leverage our findings to test the impact of increasing parents’ emotional competences.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso l’esitazione vaccinale tra le minacce alla salute globale nel 2019. Le donne in gravidanza rappresentano una popolazione rilevante per lo sviluppo di strategie di comunicazione e informazione poiché atteggiamenti e credenze sulle vaccinazioni spesso non sono ancora pienamente strutturati. L’ostetrica, operatore sanitario centrale dell’intero percorso nascita, dovrebbe ricoprire un ruolo chiave nel promuovere momenti di riflessione, discussione e corretta informazione sulle vaccinazioni. Scopo di questo studio trasversale è quello di analizzare le conoscenze e le attitudini delle ostetriche sul tema delle vaccinazioni.
MATERIALI E METODI
È stato costruito un questionario ad hoc volto a valutare: esperienze personali sull’utilizzo dei vaccini, conoscenze e attitudini sulle vaccinazioni, informazioni personali e professionali. Un link d’accesso al questionario, compilabile on-line, è stato inviato via e-mail a tutte le Ostetriche iscritte all’Ordine Provinciale di Roma.
RISULTATI
I Risultati preliminari dello studio (140 ostetriche; età 37.32, DS ± 11.61; anzianità di servizio 11.94 DS ± 12.78) mostrano un livello eterogeneo di conoscenze: il 50% del campione ha correttamente individuato il valore del 95% come soglia per l’immunità di gregge; la co-somministrazione di diverse preparazioni e gli additivi contenuti nei vaccini sono stati giudicati sicuri rispettivamente dal 61% e 31% delle intervistate. Solo il 41% delle ostetriche ha identificato il vaccino contro la pertosse come una delle vaccinazioni raccomandate durante la gravidanza. L’80% del campione ha dichiarato di non aver seguito specifici corsi sulle vaccinazioni durante la formazione di base. Le attitudini emerse sono generalmente positive: i vaccini sono stati riconosciuti come efficaci e come uno degli interventi medici più sicuri dall’84% e 86% del campione. Tuttavia, solo il 66% e il 45% delle ostetriche sarebbe completamente d’accordo nel consigliare ai genitori le vaccinazioni contro MPR e Varicella. Complessivamente, il 79% del campione sarebbe favorevole all’Introduzione dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari del comparto maternità.
CONCLUSIONI
I risultati, benché preliminari, evidenziano un gap di conoscenze tra le ostetriche. I risultati finali dello studio e dell’analisi multivariata saranno utilizzati per costruire specifici percorsi formativi, base e post-base, finalizzati a rafforzare ed uniformare conoscenze e competenze delle ostetriche sul tema delle vaccinazioni. Scopo finale di questo progetto è quello di favorire il passaggio di informazioni corrette e attendibili a partire dalla gravidanza al fine di aumentare Health e Vaccine Literacy delle neomamme e ridurre, di conseguenza, l’esitazione vaccinale.
Abstract
INTRODUZIONE
La diagnosi di comunità condotta nel 2017 nei quartieri della città di Taranto caratterizzati da bassi livelli di coperture vaccinali, e finalizzata alla comprensione dei determinanti di scarsa adesione ai programmi vaccinali, ha evidenziato notevoli disuguaglianze in termini di accessibilità e informazione vaccinale.
Pertanto, è stato necessario un “riorientamento” dell’offerta di salute: l’organizzazione di specifiche campagne di promozione della salute e l’apertura di un ambulatorio vaccinale nel quartiere con maggiori criticità.
L’obiettivo dello studio è valutare se le azioni adottate in tali contesti abbiano determinato un abbattimento delle barriere infrastrutturali e comunicative, con raggiungimento di livelli di coperture vaccinali più alti, rispetto a quelli fino ad allora rilevati.
MATERIALI E METODI
È stato somministrato un questionario anonimo ai genitori dei bambini afferiti presso l’ambulatorio vaccinale, al fine di rilevare il grado di soddisfazione rispetto ai servizi offerti, nonché eventuali esigenze e aspettative. Sono state georeferenziate le coperture vaccinali, nei nati della coorte 2013, per ciascun quartiere cittadino, e confrontate con quelle in precedenza rilevate per la stessa coorte di nascita.
RISULTATI
Hanno aderito all’indagine 426 genitori. Il 33% vaccina il proprio figlio per obbligo vaccinale. Il 91% di questi ultimi ritiene che l’apertura dell’ambulatorio vaccinale in loco possa agevolare il rispetto del calendario vaccinale.
Le qualità del personale, quali accoglienza e competenza, influenzano positivamente il grado di soddisfazione dell’utenza, e costituiscono il motivo principale per cui il 66% dei genitori consiglierebbe ad altri di rivolgersi alla struttura. Gli aspetti da migliorare riguardano: gli orari di apertura, che andrebbero ampliati per il 21%, e i tempi di attesa, eccessivi per il 13%.
Le coperture vaccinali georeferenziate mostrano un generale aumento rispetto ai dati pregressi, visibilmente marcato nell’area oggetto di studio: + 3% anti-PCV, + 15% anti-DTaP-HBV-IPV-Hib, + 22% anti-HAV, + 19% anti-MenACWY e + 25% anti-Varicella e anti-MPR.
CONCLUSIONI
L’implementazione dei servizi preventivi, unitamente a strategie comunicative improntate a una maggiore attenzione nel colloquio tra operatore sanitario-genitore, si sono dimostrate azioni efficaci nella promozione dell’attività vaccinale nelle aree oggetto di studio.
Tuttavia, le indicazioni raccolte, suggeriscono l’effettiva necessità di una rivisitazione dei modelli organizzativi, che devono rispondere meglio alle esigenze del pubblico. Inoltre, i livelli di copertura vaccinale non raggiungono del tutto gli standard previsti dal PNPV. Pertanto, è fondamentale garantire la continuità delle attività poste in essere, purché siano oggetto di costante monitoraggio e revisione, soprattutto in funzione della domanda di salute della popolazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Internet e i social media, tra cui Twitter, hanno fornito nuove piattaforme di diffusione rapida di informazioni, non sempre adeguatamente supportate da evidenze scientifiche. Questo propone nuove sfide per la Sanità Pubblica. Studiare il funzionamento dei social network per imparare a comunicare efficacemente grazie alle piattaforme digitali potrebbe forse aiutare a risolvere problemi di salute pubblica come l’attuale esitazione vaccinale.
L’obiettivo dello studio è analizzare i tweet sui vaccini pubblicati in lingua italiana nel periodo delle elezioni politiche (gennaio 2018 - aprile 2018) per tracciarne l’andamento temporale in relazione a fatti di cronaca significativi, valutarne la provenienza geografica e identificare le tematiche più “virali”.
MATERIALI E METODI
I tweet contenenti la parola vaccino e simili sono stati raccolti tramite Twitter API con una apposita stringa di ricerca (circa 300.000 tweets nel periodo gennaio 2018 - aprile 2018). La stratificazione dei tweet in base al sentiment (pro-neutro-contro) sarà effettuata tramite una codifica iniziale manuale di un campione casuale del 3% (escludendo i retweet). Tale codifica sarà estesa agli altri tweet tramite un algoritmo di machine learning. Stratificando per sentiment, si condurrà un’analisi temporale del numero dei tweet in relazione a eventi significativi e un’analisi di distribuzione geografica dei tweet, per identificare periodi o aree a maggior prevalenza di tweet pro o contro i vaccini. I tweet più virali saranno analizzati con tecniche di text analysis.
RISULTATI
Dalle prime analisi condotte sui tweet di gennaio 2018 emerge come il numero di tweet presenti picchi in seguito a eventi politici, interviste a esponenti di partiti o fatti di cronaca su tematiche vaccinali. Solo il 5% dei tweet è stato retwittato e solo l’1% ha ottenuto più di 100 retweet. È in corso la codifica manuale del campione di tweet per la sentiment analysis. L’analisi testuale dei tweet mostra come le parole più frequenti siano nomi di esponenti o partiti politici, parole connesse alle radici obblig-, aboli-, togli- e, infine, riferimenti a provvedimenti del governo allora in carica.
CONCLUSIONI
I risultati dello studio dimostrano che l’analisi delle informazioni diffuse sui nuovi mezzi di comunicazione diventa oggi di fondamentale importanza per comprendere più a fondo gli atteggiamenti e le convinzioni degli utenti nei confronti dei vaccini e quanto questi possano essere influenzati da eventi significativi esterni al mondo scientifico, come le elezioni politiche.
Abstract
INTRODUZIONE
Il calo delle coperture vaccinali e la riemergenza di malattie infettive prevenibili pongono l’attenzione sul problema dell’esitazione vaccinale (Vaccine Hesitancy - VH). Il presente ha come obiettivo analizzare alcuni determinanti della VH con particolare riferimento all’Health Literacy e l’errata percezione del rischio di malattie prevenibili da vaccino.
MATERIALI E METODI
Lo studio, condotto attraverso un questionario ad hoc, analizza: 1) le variabili demografiche; 2) principali fonti d’informazione sul tema; 2) l’attitudine alla vaccinazione attraverso il Vaccine Confidence Index (VCI), calcolato su sei quesiti ispirati all’indagine internazionale di Larson HJ 2016; 3) l’Health Literacy (HL), rielaborazione di IMETER (test di riconoscimento del termine medico italiano); 4) la percezione del rischio relativo a difterite, tetano e morbillo attraverso domande aperte sulla conoscenza di segni e sintomi delle rispettive malattie. L’indagine è stata condotta nel periodo Febbraio-Novembre 2018 presso la sala d’attesa di un poliambulatorio pediatrico su una popolazione di genitori con almeno un figlio in età pediatrica.
RISULTATI
La popolazione studiata comprende 772 genitori di cui 620 donne (età media 39 anni). Il titolo di studio più rappresentato è il diploma (48,2%), la principale fonte di informazione sul tema è rappresentato dal medico (85,5%) seguito da internet (24,2%). La popolazione ha vaccinato i figli nell’91% dei casi per tutte le vaccinazioni proposte dal medico. Il VCI e la HL sono stati valutati su sottogruppi di popolazione. Il VCI medio è risultato 3.78 (in un intervallo tra 0,1 e 10) con valori più bassi per coloro che si informano su internet e social network (2,05-2,78). Analizzando il test IMETER, il 90% degli intervistati ha un livello di alfabetizzazione sanitaria buono o accettabile. Non è emersa alcuna correlazione significativa fra valori di VCI e livelli di HL. La media di VCI di chi ha individuato almeno 3 elementi identificativi di difterite, tetano e morbillo è risultata significativamente più elevata rispetto alla popolazione generale (Morbillo 4,32, Tetano 4,64, Difterite 5,84).
CONCLUSIONI
Nella popolazione esaminata, che dimostrava un basso livello generale di esitazione vaccinale, il livello di HL non ha correlato con i valori misurati di VCI. D’altro canto, un basso VCI è stato associato a scarsa conoscenza dei segni e sintomi di malattie gravi come tetano, difterite e morbillo, sottolineando quindi la necessità di proporre una maggiore e corretta informazione sulle malattie prevenibili da vaccino in modo da determinare una più corretta percezione del rischio.
Abstract
INTRODUCTION
Reminder and recall interventions have been proven to be effective in increasing vaccination coverage.
Emails are a popular method of communication, but their use for health communication is still sporadic. The use of email as a reminder method has many potential benefits: the cost is low, the delivery is timely and there is no restriction of content. Nevertheless, there is limited evidence on the advantages of using emails for reminders with respect to other methods, on which extensive literature is already present, to increase the uptake of vaccination. In this review we collected all available evidence on this tool, in order to prioritize future actions.
METHODS
We conducted a systematic review following the PRISMA guidelines to analyze the available evidence from peer-reviewed studies on the effect of email-based interventions applied to immunization programs. We included any measure of vaccine uptake or immunization coverage, in any target population and settings.
RESULTS
We included 11 studies in the final analysis, of which 9 were RCTs, 1 was a controlled trial and 1 a before and after study. Most studies were conducted in the US (81.9%). Six studies had data on the uptake of influenza vaccination, three on HPV series completion, 1 on PPSV23, and 1 on vaccines recommended for adolescents.
In 4 studies email reminders proved to be more effective in increasing vaccination uptake than no reminders. In other four studies, email reminders were compared to reminders delivered via traditional methods (phone call, mail, paper card) and they all failed to prove the superiority of email reminders. On the other hand, four studies compared the effectiveness of email reminders with reminders delivered via other communication technologies, also failing to prove their superiority.
In one study a significantly higher increase in uptake was achieved when combining emails with Interactive Voice Response phone calls. Finally, we included four studies that analyzed the content of the email.
CONCLUSIONS
In conclusion, this review outlined that not enough evidence is available regarding the use of email reminders to increase vaccination uptake. Our findings suggest that the choice of reminder method should depend on the population and future studies should analyze its cost-effectiveness and convenience in respect to other methods, and aim at improving the content of emails to increase their efficacy as a reminder method.
Abstract
INTRODUCTION
In response to the low rate of vaccination coverage and the concerns around vaccine hesitancy and refusal, in 2017 Italy introduced ten mandatory vaccinations for preschool and school-age children. The debate over mandatory vaccination is still on and involves citizens as well as politicians and health professionals. Within this context, we designed a survey to assess Italian public health professionals’ attitudes and beliefs towards mandatory vaccination.
MATERIALS AND METHODS
The survey was piloted on a sample of 73 public health professionals belonging to the Italian Society of Hygiene (SItI). The on-line questionnaire consists of five sections: socio-demographic information; political and health system attitudes; personal and professional experience with vaccinations; attitudes and beliefs towards mandatory vaccination; perception of the epidemiologic, social and economic impact of mandatory vaccination.
RESULTS
Fifty-two people completed the questionnaire, a response rate of 71%. They are mostly medical doctors (86 %) working in Universities (56%) or Prevention departments (21%) and directly involved in vaccinations (71%). The vast majority of respondents is in favor of the Italian mandatory vaccine Law (85%) and 65% believes that it should not be removed. Moreover, 83% or respondents is against the recent Government's proposal of introducing a “flexible” obligation. Among the alternative strategies to mandatory vaccinations, the favorite are vaccination promotion and information campaigns for the general population and organizational interventions to strengthen vaccination services. Nevertheless, 67% of respondents consider their implementation to be very difficult. Concerning the epidemiologic impact of mandatory vaccination, the majority or respondents agree that mandatory vaccination is able to increase vaccination coverage and reduce morbidity from vaccine-preventable infectious diseases. Concerning the social impact, the majority of respondents believes that mandatory vaccination encourages hesitant parents to vaccinate their children but exacerbate the quarrel with no vax movements. Finally, regarding the economic impact, the majority of respondents agree that mandatory vaccination will overall save health and social costs for the National Health System.
CONCLUSIONS
The pilot study showed positive attitudes and believes towards mandatory vaccination among Italian public health professionals. Moreover, it confirmed the usability of the questionnaire and provided important input for the main survey, which will be soon circulated to all the members of the SItI.
Abstract
INTRODUZIONE
La comunicazione del rischio è un campo di studio che trova ampio impiego nella gestione di eventi epidemici, nei quali l’informazione è diretta a una collettività.
La percezione del rischio coinvolge diverse dimensioni sia su un piano razionale ed oggettivo che su un piano emozionale e soggettivo. In molti casi esiste una discrepanza tra la percezione soggettiva del pericolo e la valutazione oggettiva: capita, in poche parole, che le persone temano eventi che non sono in realtà pericolosi, sottostimando invece situazioni che potrebbero avere conseguenze drammatiche. In un articolo del 2003 D.Ropeik e P.Slovic hanno delineato alcuni fattori che influenzano il modo in cui persone non esperte valutano un rischio come ad esempio la paura legata alla risonanza sociale del tipo di evento, la possibilità di controllo e di scelta, il coinvolgimento di bambini, la memoria dell’evento, la consapevolezza del fenomeno e la possibilità di essere coinvolti
MATERIALI E METODI
La gestione dell’outrage dell’evento epidemico avvenuto nella scuola primaria di Motta di Livenza (TV) con dieci casi di Tubercolosi attiva, 42 LTBI e oltre 700 persone testate ha messo in evidenza fin dal primo caso accertato l’importanza di una comunicazione rapida, precisa e trasparente, che considerasse il rischio percepito dalle persone. Conseguentemente ad una revisione bibliografica sul tema dell’outbreak communication, è stato predisposto un questionario cartaceo di 12 domande da sottoporre a entrambi i genitori dei bambini della scuola (798 questionari) e al personale scolastico coinvolto (71 questionari), per indagare il rischio percepito prima e dopo l’intervento dell’Aulss in occasione del secondo test mantoux, con consegna prevista entro le 48 ore, prima delle letture.
RISULTATI
L’aderenza alla compilazione del test da parte dei genitori dei bambini è stata dell’89,8% e del 90% da parte degli insegnanti e personale ATA. Il confronto fra i valori di rischio percepito nei due gruppi pre e post intervento mostrano una riduzione significativa del rischio (p< 0,05; Wilcoxon signed ranks test). Un’ulteriore valutazione tramite regressione logistica multinomiale ha permesso di identificare gli incontri con il pubblico come fattore positivo nella riduzione del rischio moderato e elevato (p< 0,05). Gli insegnanti e ATA con percezione del rischio lieve post intervento, considerano inoltre gli operatori Aulss tra le fonti di informazione prioritarie (p< 0.05).
CONCLUSIONI
La valutazione dei fattori condizionanti l’outrage in un outbreak epidemico è fondamentale per gestire future strategie di informazione con la finalità di ottimizzare gestione e comunicazione del rischio.
Abstract
INTRODUZIONE
La fragilità è una condizione dinamica di aumentata vulnerabilità e si associa al rischio di peggiori outcomes di salute. La fragilità nel paziente anziano è legata sia al declino funzionale che al fisiologico declino psico-fisico. Tale condizione richiede continuità dell’assistenza e integrazione dei servizi sanitari e sociali e notevole impegno di risorse.
L’obiettivo dello studio è valutare la fragilità, monitorare le condizioni di salute, i bisogni assistenziali degli anziani colpiti dagli eventi sismici del 2016 in Valnerina.
MATERIALI E METODI
Dalle liste dell’anagrafe sanitaria anno 2017 dei 9 Comuni della Valnerina interessati dal terremoto, escludendo gli istituzionalizzati ed i non-autosufficienti precedentemente al sisma, sono stati selezionati con metodo casuale semplice 215 individui di età superiore ai 65 anni. Per individuare precocemente la fragilità è stato somministrato telefonicamente il questionario Sherbrooke Postal Questionnaire modificato (SPQm), composto da sei domande rilevanti la condizione dell’anziano e i fattori predittivi per disabilità e da una domanda di controllo per la disabilità. I soggetti con punteggio suggestivo per fragilità (≥6,5) sono stati indirizzati a valutazione multidimensionale (VMD) e interventi specifici di prevenzione secondaria di disabilità.
RISULTATI
Della popolazione target (n.215), 92 persone (46,0%) non sono state rintracciate e 12 (5,6%) hanno rifiutato l’intervista. Tra i rispondenti (n. 112), il 50,5% è femmina e il 54,1% ha età ≥75 anni. Il SPQm ha individuato 12 soggetti disabili (10,8%) e 33 (33,0%) soggetti fragili da sottoporre a VMD e interventi di prevenzione secondaria della disabilità. I soggetti fragili rappresentano il 21,6% nella fascia 65-74 anni, il 40,5% nella fascia 75-84 anni e il 58,3% nella fascia ≥ 85 anni. La percentuale di soggetti fragili è 40,0% nei Comuni minori e 28,3% dei Comuni maggiori (Norcia e Cascia) Il rischio di fragilità è maggiore nel sesso femminile (OR 2,78; IC 95% 1,16-6,66) e la difficoltà a camminare è predittiva di fragilità (OR 85,5; IC 95% 19,8-368,0).
CONCLUSIONI
Lo SPQm si è dimostrato uno strumento utile nell’identificazione precoce della fragilità. La sorveglianza attiva ha permesso di individuare anziani ad alto rischio di disabilità ed il bisogno di salute inespresso in Valnerina. Gli interventi di prevenzione secondaria, la promozione della sanità di iniziativa e l’integrazione di servizi sanitari e socio-assistenziali rivestono un ruolo cruciale nel preservare lo stato di salute degli anziani residenti nelle aree terremotate.
La metodologia adottata potrebbe essere un modello di valutazione fragilità nelle “aree interne” con elevata età media associata a bassa densità di popolazione.
Abstract
INTRODUZIONE
La risposta all’emergenza della Sanità Pubblica è il complesso delle attività che le Aziende Sanitarie devono adottare per tutelare l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dalle conseguenze o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, catastrofi o altri eventi straordinari. L’Igienista rappresenta il naturale protagonista di questo complesso processo ed è quindi opportuno prevedere una formazione adeguata in tal senso all’interno delle Scuole di Specializzazione (SS) del nostro Paese.
Il Gruppo di Lavoro (GdL) della Consulta dei Medici in Formazione Specialistica (MFS) SItI “Gestione delle Emergenze in Sanità Pubblica” ha tra i suoi obiettivi quello di indagare la presenza di tale insegnamento nei piani didattici delle diverse SS in Igiene e Medicina Preventiva e di promuoverne la diffusione.
MATERIALI E METODI
È stato formulato e diffuso con Moduli Google un questionario anonimo per valutare, nelle varie SS in Igiene, la presenza di corsi inerenti questa tematica nonché l’interesse dei MFS per la materia. Si presentano i risultati preliminari.
RISULTATI
Hanno risposto 90 MFS appartenenti a 26 SS differenti. Dall’analisi delle risposte si evince che il 94% dei rispondenti ritiene che non ci sia una rete formativa adeguata; l’87% circa dei MFS partecipanti ritiene importante la presenza di un corso sul tema nelle SS ed il 73% ritiene che la tematica abbia un interesse rilevante. A fronte di questo interesse, il 74% ha dichiarato di non aver mai frequentato corsi sul tema e che nella propria SS non sono previsti all’interno dei piani didattici tali insegnamenti. Inoltre, l’85% ha dichiarato che nella propria Università non sono attivi master sulla tematica.
Tale gap tra richiesta ed offerta formativa sfocia in un ricorso ad alternative di formazione autonoma. Infatti, dall’analisi dei risultati, si evince che il 60% dei partecipanti ha cercato informazioni sulla tematica nell’ambito di corsi e congressi. In particolare, il 77% dei MFS rispondenti ha manifestato un forte interesse alla partecipazione a workshop, simulazioni o eventi formativi. Infine, circa l’81,1% ha evidenziato l’assenza di condivisione di esperienze e conoscenze tra le varie SS sulla tematica.
CONCLUSIONI
I risultati evidenziano un forte interesse da parte dei MFS verso la tematica, che non trova adeguata risposta negli attuali piani di studi delle SS in Igiene. Rispondere a tale esigenza è oggi necessario e fondamentale in un’ottica di implementazione della sicurezza dei cittadini e di miglioramento dei livelli di competenze dei MFS.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Italia ha una bassa incidenza di tubercolosi (6,5/100.000 nel 2017). In ambito scolastico vengono occasionalmente descritti outbreak: a Milano in una scuola primaria nel 2010 con 15 casi di TB attiva e 173 casi di infezione latente (ITBL) o quello verificatosi in due asili e in una scuola elementare delle Marche nel 2008 con 19 casi di TB e 43 casi di ITBL.
MATERIALI E METODI
Il 5 marzo 2019, un caso di TB polmonare in un bambino di 10 anni è stato riferito alle autorità sanitarie locali (caso 1) in una piccola città del Veneto (popolazione 10.975, incidenza locale TB 6,2/100.000).
L’indagine sul possibile caso sorgente è stata avviata immediatamente, utilizzando l’approccio per cerchi concentrici, mediante screening dei contatti stretti, compagni di classe e insegnanti.
I casi di TB segnalati alle autorità sanitarie locali tra gen. 2017 e dic. 2018, inoltre, sono stati controllati per identificare possibili casi epidemiologicamente correlati. Lo screening è stato eseguito secondo le linee guida nazionali.
RISULTATI
Un totale di 35 contatti stretti del caso 1, sono stati identificati e testati. Nessuna TB attiva è stata diagnosticata nelle 8 persone del nucleo familiare. 21 su 22 compagni di classe e uno dei 5 insegnati invece sono risultati TST + .
Alla valutazione radiologica dei TST +, 6 su 22 compagni di classe avevano risultati compatibili con possibile diagnosi di TB con successiva conferma per 3 casi (definiti casi 3,4 e 9). Nessuno dei bambini era sintomatico o positivo al gastroaspirato. L’insegnante con TST + è stata diagnosticata con TB polmonare (caso 2): 50 anni, tosse non produttiva nell’ultimo mese senza ulteriore sintomatologia.
Una donna fra i 4 insegnati rimanenti, seppur con TST-, aveva un quadro clinico fortemente suggestivo per patologia tubercolare. Nell’ipotesi di soggetto “anergico” è quindi stata sottoposta a ulteriore valutazione con riscontro radiologico di estesa TB cavitaria, segno dell’albero in fiore alla TAC e espettorato fortemente positivo per BK. È stata perciò considerata il caso 0 del focolaio. Dal caso 0 sono derivati complessivamente 10 TB e 41 ITBL su 781 soggetti testati, con un tasso di attacco stimato di 1,46% per TB e 5,98% per ITBL.
CONCLUSIONI
Questo è uno dei più grandi focolai scolastici di TB rilevati in Italia negli ultimi anni e ribadisce la necessità di migliorare la tempestività nell’identificazione di potenziali situazioni di rischio, con possibili spunti per una revisione delle correnti linee guida.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni è sempre più frequente la denuncia di casi di malattia infettiva da Legionellosi e questo comporta la necessità da parte dei Dipartimenti di Prevenzione di attivarsi in tempi brevissimi al fine di contrastare l’eventualità di focolai epidemici.
METODI
Il Dipartimento di Prevenzione di Taranto S.C. SISP ha redatto una “procedura operativa” affinché le azioni consequenziali alla denuncia, giunta a seguito di segnalazione (Circolare 400.2/9/5708 del 29/12/93 e ss. ii.), siano ben definite e abbiano immediata esecutività, vista la multidisciplinarità delle figure sanitarie coinvolte. Presso la S.C. SISP si è costituito il Nucleo Operativo Territoriale (NOT) per il Sistema di Sorveglianza e il Controllo delle Infezioni da Legionella in Puglia del quale fanno parte il Direttore della S.C. SISP, n.2 Medici Igienisti, n.6 Tecnici della Prevenzione e n.2 Assistenti Sanitari. La procedura prevede che il Direttore della S.C., attivi per le vie brevi il Medico Igienista ed il Coordinatore dei Tecnici della Prevenzione convocando una riunione dei referenti. Il Medico, coadiuvato dall’Assistente Sanitario, dà seguito all’indagine epidemiologica al fine di determinare i possibili ambiti dove il caso indice abbia potuto contrarre la malattia. Si redige il modello specifico di cui alle linee guida nonché ulteriore scheda interna che dettaglia le possibili fonti di esposizione. Il tutto viene trasmesso immediatamente via mail al Coord. dei Tecnici della Prevenzione, il quale attraverso un profilo di gruppo WhatsApp e mail, investe gli operatori che si occuperanno delle indagini ambientali. Al termine delle stesse tutta la documentazione viene collezionata dal TPAC. Il Direttore della S.C. SISP, il referente Medico ed il TPAC completano l’attività riunendosi in forma collegiale.
RISULTATI
Nell’anno 2016 i casi sono stati 3, nell’anno 2017 n. 11 e nell’anno 2018 n.10. La procedura ha permesso di rispondere nel tempo massimo di 24/48h all’indagine completa. Inoltre, il Dipartimento di Prevenzione nell’ambito dell’attività di monitoraggio ha espletato per il triennio 2016-2018 n.648 campioni di cui il 45% ha riscontrato valori < 100 il 25% valori tra ≥ 100 ≤ 1.000 il 22% valori ≥1.000 ≤ 10.000 l’8% > 10.000. L’attività di Prevenzione ha visto altresì l’attuazione di 3 corsi rivolti agli operatori del settore turistico, ottenendo un riscontro importante in termini di partecipazione.
CONCLUSIONI
L’attività svolta ha sicuramente inciso sulla nuova consapevolezza da parte degli operatori interessati relativamente alla problematica legionella, per cui l’impegno profuso dovrà sempre più essere proiettato verso risultati che portino il rischio verso lo zero, attesa l’impossibilità di poterlo considerare uguale a zero.
Abstract
INTRODUZIONE
L’ultimo decennio in Abruzzo è stato caratterizzato da una serie di eventi catastrofici che hanno inciso profondamente nel tessuto sociale ed economico dell’intera regione: il terremoto dell’Aquila (2009), il terremoto di Amatrice e Camposto (2017) e la tragedia di Rigopiano (2017). Lo scopo dello studio è di mostrare i cambiamenti, grazie all’analisi dei punti di forza e di debolezza, nella gestione degli eventi catastrofici sopra citati.
MATERIALI E METODI
È stata svolta un’analisi retrospettiva sulla gestione delle tre emergenze attraverso un’intervista ai Disaster Manager abruzzesi ed agli operatori sanitari coinvolti negli eventi citati ponendo un focus sulle problematiche e sui punti di forza del management in emergenza. È stata elaborata un’analisi documentale per la valutazione e l’adesione a:
Disaster Management Cycle (fase 1: Prevenzione; fase 2: Preparazione; fase 3: Risposta; fase 4: Recupero);
linee guida MIMMS (Major incident Medical Management and Support), con la valutazione delle priorità: A (allarme e conferma), C (comando e controllo), S sicurezza, C comunicazione, V valutazione, T triage, T trattamento e T trasporto;
PEIMAF (Piano Emergenza Interno per Massiccio Afflusso Feriti delle strutture sanitarie).
RISULTATI
Dall’analisi sono emerse criticità legate ad aspetti di “comunicazione” e “tempo”: le comunicazioni sono “saltate” (L’Aquila e Rigopiano) provocando un ritardo nella Fase 3 di attivazione del Disaster Management Cycle aggravato dalla mancanza di un piano di maxi-emergenza regionale condiviso (L’Aquila) e causando di conseguenza ritardi nel coordinamento (Amatrice e Campotosto).
La fase di Allarme e Conferma, insieme al coordinamento e alla catena di Comando, si sono rivelate critiche a differenza della fase di Trattamento e Trasporto in cui nessun operatore intervistato evidenzia difficoltà di tipo clinico.
Un punto di forza sono state le risorse ingenti utilizzate grazie all’elevato numero di sanitari volontari accorsi sui luoghi dell’evento nonostante un’iniziale confusione nella gestione delle risorse umane a causa della mancata efficienza della catena di comando.
La mancanza di un Triage unico e tracciato è un’importante criticità espressa poiché ha esposto il sistema a rischi legati alla continuità clinica e contenziosi legali. Ciò nonostante, nella successione dei tre eventi si rileva negli intervistati e dall’analisi dei risultati un miglioramento generale nella gestione delle emergenze.
CONCLUSIONI
Dall’analisi effettuata emerge l’efficacia del disaster management e che dovrà essere rivalutato dopo un addestramento mirato all’uso degli strumenti richiamati (PEIMAF, linee guida MIMMS, Disaster Management Cycle) senza escludere una partecipazione integrata tra politiche territoriali adeguate ad una regione ad alto rischio sismico/idrogeologico.
Abstract
INTRODUZIONE
La rintracciabilità (art. 18, Reg. CE 178/2002) indica la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di sostanze destinate ad entrare a far parte di alimenti attraverso tutte le fasi della filiera alimentare, nonché dei prodotti finiti, rappresentando un prerequisito imprescindibile per l’attivazione di uno stato di allerta alimentare (SA). Il Rapid Alert System for Food and Feed (RASFF) rappresenta una procedura codificata che garantisce il rapido flusso delle informazioni ed i provvedimenti sanitari da adottare tramite i punti di contatto (PC) degli Stati Membri. Con l’attivazione di uno SA, i PC delle ASL intervengono per verificare l’avvio immediato delle procedure di ritiro e/o richiamo da parte degli Operatori del Settore Alimentare (OSA).
MATERIALI E METODI
Nel corso dell’anno 2018, il PC del SIAN della ASL BT ha gestito 54 SA, coinvolgendo 136 attività di impresa alimentare. Le schede di controllo ufficiale ed un apposito modello utile a rilevare le evidenze sono stati compilati ad ogni accesso ispettivo.
RISULTATI
Tra le imprese alimentari coinvolte sussistono le attività di vendita al dettaglio nel 49% dei casi, la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) nel 21% ed i minimarket nel 9%. Seguono gli stabilimenti di produzione con il 7%, il commercio all’ingrosso e l’e-commerce rispettivamente al 6% ed al 4%. Sono stati inoltre attivati SA successivi a verifiche condotte a seguito di segnalazioni effettuate da privati cittadini nel 4% dei casi.
I motivi di attivazione del RASFF risultano legati al rischio riconducibile alla presenza di allergeni non dichiarati in etichetta nel 36% dei casi e di agenti chimici oltre i tenori massimi ammissibili nel 30%; il 20% dei casi ha riguardato la presenza di agenti biologici patogeni, l’11% la presenza di contaminanti fisici ed il 3% le sostanze il cui utilizzo alimentare non è consentito.
CONCLUSIONI
Il 98% delle imprese alimentari assoggettate a controllo ufficiale a seguito di SA ha adottato procedure di gestione conformi; in 3 controlli ufficiali su 136 sono state contestate violazioni amministrative.
In una percentuale esigua (3%) sono state evidenziate lievi imperizie da parte dell’OSA poiché le informazioni sul ritiro non sono risultate aderenti alla modulistica che avrebbe dovuto essere utilizzata ed esposta in punti ben visibili del punto vendita. In tali realtà d’impresa l’OSA, pur avendo dimostrato la conoscenza delle corrette procedure, talvolta non dispone di adeguati strumenti per la relativa corretta attuazione. Le GDO sono risultate meglio strutturate per la gestione degli SA.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Azienda Usl della Romagna dal 2000 ha istituito ambulatori dedicati all’assistenza sanitaria dei cittadini stranieri non possessori di TEAM. Dall’Operazione Mare Nostrum, presso tali ambulatori, si svolge anche l’accoglienza e la prima valutazione sanitaria per i migranti che attraversano il Mediterraneo, secondo le procedure indicate dalla Regione Emilia Romagna. Scopo dello studio, è descrivere la gestione sanitaria durante l’accoglienza di un corridoio umanitario di 30 Richiedenti Protezione Internazionale (RPI) presso l’ambulatorio del Distretto di Ravenna.
MATERIALI E METODI
L’organizzazione assistenziale ha previsto una prima fase di analisi delle caratteristiche degli RPI attraverso gli elenchi nominali trasmessi dalle autorità competenti e una seconda fase di bilancio della gestione assistenziale attraverso le “Check list Accoglienza migranti”, schede in formato elettronico utili per una prima valutazione clinica di ciascun migrante. Sono state prese in considerazione le variabili genere, età, nazionalità, lingua parlata, necessità di un mediatore, anamnesi patologica remota e prossima, stato di gravidanza, screening infettivologico.
RISULTATI
Il 30 maggio 2019 è stato attivato un percorso di assistenza per 30 RPI provenienti dalla Libia, 13 maschi (43.3%) e 17 femmine (56.6%), di cui 6 in stato di gravidanza (35,29%). L’età media della popolazione è stata di 19.38 anni (mediana 22 anni). Il numero di minori è stato di 5 (16.6%), 2 di età <1 anno di vita e 3 di età ≥1 anno. Il 90% dei RPI era eritreo, la restante percentuale era di nazionalità sudanese e libica. Nel 100% dei casi è stato necessario l’intervento di un mediatore culturale dato che l’86.6% dei RPI parlava tigrino e il 13.3% arabo. L’anamnesi patologica remota e prossima non hanno rivelato informazioni significative, rispettivamente nel 76.6% e nel 60% dei casi. È stato effettuato lo screening tubercolare previsto.
CONCLUSIONI
L’accoglienza sanitaria è stata effettuata nel rispetto dell’art. 32 della Costituzione italiana e delle indicazioni regionali di tutela della salute pubblica. È stato costruito un percorso di gestione assistenziale integrato che ha coinvolto figure sanitarie (pediatria territoriale, sanità pubblica, radiologia, medico di organizzazione), istituzionali e il volontariato. L’esperienza descritta, ha dimostrato che multi professionalità, dialogo e coinvolgimento partecipato di tutti gli attori, sanitari e non, sono requisiti fondamentali e garanzia di efficacia dei percorsi assistenziali.
Abstract
INTRODUCTION
The new EU joint action “Preparedness and action at points of entry” acronym HEALTHY GATEWAYS (started May 2018: duration 36 months) consists of 37 authorities (including Italian Ministry of Health and Istituto Superiore di Sanità) from 29 European countries and Taiwan. The Advisory Board includes representatives from DG SANTE, CHAFEA, ECDC, WHO, CAPSCA. This action builds on the previous EU SHIPSAN ACT joint action (2013-2016) and AIRSAN project.
AIM
The aim is to support cooperation and coordinated action of EUMS to improve their capacities at points of entry (airports, ports, ground-crossings) in preventing and combating cross-border health threats from the transport sector. The action activities include the following: a) facilitating EU MS evaluating and monitoring of core capacities at PoE; b) strengthening inter sectoral and cross sectoral collaboration through a communication network; c) producing catalogues of tested best practices, guidelines and validated action plans; d) providing capacity building/training on tested best practices, guidelines, validated action plans; e) facilitating EU MSs coordinating and executing hygiene inspections on conveyances; f) combatting all types of health threats focusing on infectious disease and vectors; g) supporting response to possible future public health emergencies of international concern.
In future public health emergencies, the action will move from interepidemic mode to emergency mode, supporting coherent response as per Decision n°1082/2013/EU, International Health Regulations and WHO temporary recommendations.
RESULTS
EU SHIPSAN ACT and HEALTHY GATEWAYS results in regard to the maritime transport sector are illustrated: 1) literature review identified 196 ship-associated infectious diseases outbreaks with > 24,000 cases and 19 deaths (1990-2013); 2) information system used by MS to follow-up 61 events (including gastroenteritis, legionellosis, varicella, measles, dengue, tuberculosis, meningitis, TBC) onboard 54 ships; 3) training provided (on-line, face-to-face, on-the-job) for hygiene standards and preparedness/response to public health events at ports, 4) a total of 347 hygiene inspections conducted according to the European Manual for Health and Hygiene Standards; 4) guidance developed (Ebola, Zika virus, plague) and guidelines for risk assessment of chemical/radiological events.
CONCLUSIONS
A strong focus shall be given to the experience gained in the field with inspections carried out on ships in Italian ports during the period of the EU SHIPSAN ACT.
Abstract
INTRODUZIONE
Una pletora di studi sta documentando l’onnipresenza in molte matrici ambientali di diversi e relativamente nuovi polimeri plastici, attualmente riconosciuti come uno dei più diffusi contaminanti di origine antropica. La maggior parte delle ricerche sull’inquinamento da plastiche si è concentrata sugli oceani, tuttavia una grande quantità di rifiuti proviene da spiagge e attività terrestri. La pesca e, più in generale, le attività marittime contribuiscono ulteriormente alla produzione di questi rifiuti sia lungo le coste che in mare aperto, così come nelle profondità e nelle aree polari. Oltre a danni meccanici, dovuti alla sua struttura fisica, la plastica può assorbire composti organici idrofobi altamente tossici (POP, IPA, PCB, ftalati, pesticidi, metalli pesanti, droghe ecc). Questi detriti forniscono una superficie adatta alla colonizzazione biologica, infatti idroidi e diatomee sono stati ritrovati adesi a pezzi di plastica, con conseguente formazione di biofilm da parte di batteri. La formazione di biofilm su superfici sommerse è un passo preliminare per l’insediamento di organismi sessili. Nell’ambito del progetto PLANET (PLastics in ANtarctic EnvironmenT, PNRA 2015) sono stati studiati presenza, abbondanza, metabolismo, antibioticoresistenza e capacità di formare biofilm da parte della flora batterica adesa a microplastiche provenienti dall’Antartide. L’ipotesi testata nello studio presentato è quella che la macro/micro/nano-plastica possa fungere da habitat e veicolare specie batteriche che esprimono fattori di virulenza tra i quali l’antibioticoresistenza.
MATERIALI E METODI
Le attività di campionamento sono state condotte a febbraio 2016 a King George Island, nell’arcipelago delle Shetland Meridionali (Antartide), regione fortemente influenzata dall’impatto antropico dovuto alle varie stazioni di ricerca presenti e, di conseguenza, alla potenziale dispersione incontrollata di rifiuti e plastica nell’ambiente. Indagini chimiche, fisiche e microbiologiche sono state condotte su un macro frammento di polistirene ricoperto da microalghe, muschi e licheni, conservato a -20 ° C e + 4 ° C e spedito in Italia. Su un totale di 27 ceppi batterici isolati è stato effettuato un sequenziamento del gene rRNA molecolare 16s, valutata la capacità di produrre biofilm e delineato il profilo di antibioticoresistenza.
RISULTATI
I ceppi testati hanno mostrato resistenze multiple soprattutto verso cefalosporine, chinoloni e beta-lattamici Tutti gli isolati batterici erano in grado di produrre biofilm.
CONCLUSIONI
Concordemente con altri studi sull’argomento, i risultati ottenuti rafforzano l’idea che la plastica possa fungere da habitat e veicolare specie batteriche che esprimono fattori di virulenza quale l’antibioticoresistenza e la capacità di formare biofilm, anche in condizioni ambientali estreme come quelle dell’Antartide.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli impianti di depurazione delle acque reflue possono svolgere il ruolo importante di serbatoio e sorgente di rilascio in ambiente di batteri resistenti agli antibiotici. Infatti, in diversi studi, viene sottolineato come il trattamento di depurazione possa, in alcuni casi, promuovere la selezione di batteri resistenti agli antibiotici (ARB) e/o geni di resistenza (ARG) e, evidenziando un possibile rischio per la salute umana.
Lo scopo del presente lavoro è di rilevare la presenza di batteri antibiotico resistenti (ARB) in diversi impianti di trattamento dei reflui urbani.
MATERIALI E METODI
Sono state inizialmente effettuate prove su campioni di ingresso ed uscita di un impianto di depurazione di grandi dimensioni (impianto A) impiegando diverse concentrazioni di 4 antibiotici (ampicillina, tetraciclina, cloramfenicolo e solfametossazolo) selezionati perchè rappresentativi di diverse categorie farmacologiche. Successivamente, grazie alle informazioni ottenute nelle prove preliminari, sono stati analizzati campioni in ingresso ed in uscita di 3 differenti impianti di depurazione medio-grandi (A, B e C) in due mensilità (Marzo e Maggio 2019). Tutti i campioni sono stati diluiti e seminati su terreno agarizzato per la ricerca di batteri eterotrofi (HPC) addizionato e non, con i 4 differenti antibiotici. I risultati ottenuti sono stati impiegati per valutare il tasso percentuale di antibiotico resistenza nonché il tasso di rimozione percentuale degli impianti di depurazione monitorati.
RISULTATI
I risultati delle prove preliminari hanno consentito di scegliere le dosi dei 4 antibiotici da testare (ampicillina 32 mg/L; tetraciclina 16 mg/L; cloramfenicolo 32 mg/L; solfametossazolo 50,4 mg/L). Batteri antibiotico resistenti sono stati rilevati in tutti i campioni in ingresso ed in uscita dei 3 impianti di depurazione per tutti e 4 gli antibiotici testati. I tassi di antibiotico resistenza più elevati, sia nei campioni di ingresso che in quelli di uscita, sono stati rilevati negli impianti di medie dimensioni (B e C). In particolare, valori più elevati sono stati osservati per il solfametossazolo nell’uscita dell’impianto B (22,4% della popolazione batterica presente) e nell’ingresso dell’impianto C (21,7%) e per l’Ampicillina nell’uscita dell’impianto C (21,8%). Il tasso di rimozione percentuale più basso è stato rilevato nell’impianto B per i batteri resistenti alle tetracicline (96,5% di abbattimento).
CONCLUSIONI
I risultati preliminari ottenuti evidenziano un possibile ruolo attivo dei depuratori monitorati nella diffusione di batteri antibiotico resistenti in ambiente, sottolineando la necessità di monitorare con attenzione questi hot spot critici.
Abstract
INTRODUCTION
Healthcare-associated infections (HAI) point prevalence surveys (PPS), repeated periodically, provide an effective epidemiological tool for evaluations of preventive and control strategies. Objectives of the present work are: (I) to estimate HAI prevalence and antimicrobial use prevalence; (II) to describe the characteristics of patients and HAIs, (III) to evaluate for HAI risk of factors
MATERIALS AND METHODS
During February-April of 6 consecutive years (2014-2019), and in November 2016, we conducted 7 PPS adopting the “Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals” protocol by European Center for Disease Prevention and Control, Versions 4.3-5.3, at the 1300 acute-care beds San Martino Policlinic Hospital, a teaching hospital located in Genoa, North-West Italy. Chi square for linear trend was used to describe the prevalence trends and multivariate linear regression was used to assess risk of factor for HAI insurgence.
RESULTS
Overall, 6499 patients were enrolled, with a median age of 72 years (IQR: 57-81), a male:female ratio = 0.99:1 and a median HAI onset time of 15 days (IQR: 7-29). 50.0% of the patient had a Non-fatal McCabe score; 31.2% had an ultimately-fatal, 17.1% had a rapidly-fatal and 2.7% had an Unknown score.
HAI prevalence resulted 15.5% in 2014, 16.27% in 2015, 13.24% in 2016 (I),13.73% in 2016 (II), 14.12% in 2018 and 11.22% in 2019 with a decreasing trend (p < 0.01).
Despise antibiotic therapy prevalence varied very little over the years, resulting 46.2% overall the study period, the prevalence of use of carbapenems (J01DH) and fluoroquinolones (J01MA) decerased while penicillins plus beta-lactamase inhibitors (J01CR) increased (p < 0.01).
Overall, bloodstream and low-respiratory tract infections were the most frequent HAI with a prevalence of 22.4% and 19.3% respectively. Staphylococcus aureus (12.4%) Staphylococcus epidermidis (12.0%) and Klebsiella pneumoniae (10.0%) were the most frequent microorganisms isolated in bloodstream infections.
In the multivariate logistic regression analysis, ultimately or rapid McCabe score, surgery, hospitalization in intensive care unit, central line catheter use and urinary catheter use were associated with a higher risk of developing an HAI (p < 0.01).
CONCLUSIONS
The repeated use over time of the PPS protocol has allowed us to promote greater attention in the matters to the staff of all departments subject of the study, to assess both the effects of the different strategies adopted to control HAI onset and the improved appropriateness of antibiotic prescription.
Abstract
INTRODUZIONE
Il presente lavoro si inserisce in un ambito di ricerca di grande attualità, quale quello delle antibiotico-resistenze, e contemporaneamente su un altro tema altrettanto dibattuto relativo alla qualità delle acque in uscita dai riuniti odontoiatrici. Lo scopo del lavoro è, quindi, duplice e consiste nel verificare la presenza di un microrganismo ambientale, noto patogeno opportunista, quale Pseudomonas aeruginosa nelle acque dei riuniti (nell’acqua destinata al consumo umano deve essere assente) e contemporaneamente verificarne le caratteristiche di antibiotico resistenza verso antibiotici, già noti per le resistenze in campo clinico.
METODI
Tra febbraio e marzo 2019 sono stati effettuati campionamenti di acqua in uscita da micromotori, fontanelle, ablatori e siringa acqua-aria da tutti i riuniti della clinica odontoiatrica di un grande ospedale milanese, al lunedì mattina prima dell’inizio dell’attività settimanale, dopo il fermo del fine settimana, e al giovedì/venerdì pomeriggio al termine dell’attività settimanale. I campioni sono stati processati secondo la norma UNI EN 12780:2002, i ceppi isolati identificati con PCR con primer specifico. Sono state fatte prove di antibiotico resistenza verso gli antibiotici battericidi Piperacillina, Levofloxacina, Netilmicina, Ceftazidime, Colistina e Meropenem con il metodo E-test e valori di riferimento EUCAST 2019.
RISULTATI
Sono state analizzate le acque da 48 riuniti per un totale di 96 campionamenti. 9/48 (18%) riuniti risultano contaminati da Pseudomonas aeruginosa, le positività sono soprattutto nei riuniti dislocati al piano terreno e primo piano dell’edificio ospitante la clinica odontoiatrica e la contaminazione ha range 1-120UFC/100 mL. Sono stati effettuati 286 isolamenti di cui 14 eliminati per contaminazione e 272 testati con la PCR. 71/272 (26,1%) ceppi sono positivi per Pseudomonas aeruginosa. Finora sono state eseguite 30 serie di test di antibiotico resistenza (1 eliminato per contaminazione) e individuate resistenze rispettivamente nelle letture a 24 ore e 48 ore: 0/29 e 25/29 a Piperacillina, 2/29 e 5/29 a Levofloxacina, 1/29 e 5/29 a Netilmicina, 0/29 e 1/29 a Ceftazidime, 2/29 e 4/29 a Colistina e 4/29 e 9/29 a Meropenem.
CONCLUSIONI
I risultati evidenziano la presenza di Pseudomonas aeruginosa, con cariche talvolta elevate, nei riuniti e su questi è indispensabile intervenire in tempi brevi con trattamenti specifici. I test finora effettuati rivelano un fenomeno finora sottovalutato nelle acque del riunito e cioè l’antibiotico resistenza in microrganismi ambientali a diretto contatto con la bocca del paziente durante la pratica odontoiatrica. Sugli stipiti resistenti verranno effettuate indagini molecolari più approfondite per individuare le mutazioni.
Abstract
BACKGROUND
Secondo l’ECDC, le Infezioni del Sito Chirugico (ISC) sono al secondo posto tra le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) in Europa e negli USA, e il 9.5% delle procedure chirurgiche del colon sviluppano una ISC.Le ISC sono associate a ospedalizzazione prolungata, a maggiori costi e a maggiore morbosità e mortalità attribuibile.
Diversi programmi di intervento possono ridurre il rischio di ISC.
I bundle di cura sono un complesso di interventi EBM-based su una specifica popolazione e setting terapeutico, con lo scopo di migliorare gli outcome clinici. Un Bundle è efficace solamente se tutti i suoi componenti sono propriamente applicati, attraverso il metodo del “Tutto o nulla”. L’adozione di un bundle non esclude l’applicazione di altre buone pratiche cliniche.
METODI
Dati provenienti da 37 ospedali partecipanti alla Sorveglianza regionale delle ISC in Piemonte (IT) sono stati raccolti dal 2012 al 2017. Negli ospedali che adottavano il bundle, questo prevedeva 4 interventi da applicare nelle procedure chirurgiche sorvegliate: controllo della temperatura, doccia preoperatoria, tricotomia, antibiotico-profilassi. 6.951 pazienti sottoposti a chirurgia del colon sono stati seguiti per 30 giorni post-operazione per individuare l’insorgenza di una ISC (seguendo il protocollo ECDC 2016).
RISULTATI
Sono state esaminate 6951 procedure : 3.674 senza applicazione del Bundle, 3277 con applicazione del bundle; in particolare, 974 avevano tutti i componenti del bundle propriamente applicati (100%), mentre 2303 avevano 3 componenti o meno propriamente applicati (≤ 75%). Abbiamo individuato un rischio del 10,13% per le procedure effettuate senza applicazione del bundle; questo rischio scende a 5.34% (OR: 0.50, 95% CI: 0,37-0,67; p < 0.001) quando l’appropriatezza dell’applicazione di tutti i componenti del bundle è del 100%. Quando tale appropriatezza è ≤ 75% il rischio di ISC è risultato significativamente maggiore rispetto all’appropriatezza del 100% (7,81%, OR: 1.50, 95% CI: 1.09-2.07; p = 0.001).
CONCLUSIONI
Il bundle di cura, se propriamente applicato, per le procedure chirurgiche sul colon è associato ad una riduzione statisticamente significativa del tasso di insorgenza di ISC (50%). L’utilizzo dei bundle di cura dovrebbe essere incoraggiato e migliorato negli ospedali per ridurre i costi e il carico delle Infezioni correlate all’assistenza, soprattutto su interventi ad alto rischio di infezione.
Abstract
INTRODUCTION
Antibiotic resistance is an international problem in Public Health. Main purpose of this study is taking over Multi-drug-resistant bacteria diffusion pattern among General Surgery patients at San Matteo Hospital.
Second aim is identification of microorganism’s virulence factors and patient’s features that correlate with risk of colonization.
MATERIAL AND METHODS
This study includes the recruitment of 858 hospitalized patients at General Surgery Departments in two different phases (A and B). Screening for MDR provides rectal swap (at the time of patient’s admission, every 7 days and at the time of discharge) for gram negative bacteria research and nasal swap at the patient’s admission for Staphylococcus Aureus Meticillino-resistant (MRSA).
During phase A of 4 months all patients over 18 years are recruited. During the phase B of 12 months, the screening is performed only for groups of patients with infection Risk Factors. Patient’s intrinsic features are analyzed using descriptive statistic methods. Parametric or not parametric tests, Chi Square or Fisher test are used to evaluate increased risk of colonization. Phylogenetic analysis for isolated strains are performed using genomic epidemiology methods. Isolated strains’ virulence and antibiotic resistance are analyzed by Kleborate software.
RESULTS
During Period A, 184 patients (38%) among 487 patients, have almost one infection risk factor. 22 swabs are positive for MDR (4,5%), which 16 nasal swabs positive for MRSA and 6 rectal positive swabs. During period B, 371 patients are recruited and positive swabs result 39 (10,5%) 24 nasal swabs for MRSA and 15 positive rectal swabs for gram negative MDR, 4 patients are positive for both swabs. Rectal swabs, during both periods, are positive for Klebsiella KPC in most cases.
Patient’s BMI values and diabetes diagnosis correlate with an increased risk of colonization (p<0,05). In colonized patients undergoing to ERCP procedure, we found a 5 time risk of sepsis than in not colonized ones.
Microorganisms strains isolated during both periods, belong at GC258 cluster that is associated with the presence of plasmid with blacKPC gene that encodes for KPC enzyme, in ST258 or ST512. Virulence and Resistance result low, only one isolated strain is colistin resistant.
CONCLUSIONS
With a targeted screening, we can improve infection control measures and health care based both on patient and epidemiological factors. ERCP procedure is an important risk factor for sepsis in MDR colonized patients and further study will be conducted in this patient setting of care.
Abstract
INTRODUZIONE
I microrganismi presenti nell’aria rappresentano un pericolo, con possibili danni per la salute dell’uomo. Il campionamento dell’aria e la conseguente analisi microbiologica rivestono un ruolo fondamentale nella gestione del rischio. Il campionamento dell’aria può essere effettuato mediante metodo attivo, per la misura della concentrazione microbica nell’aria, e metodo passivo, per la misura del tasso di sedimentazione dei microorganismi. Quest’ultimo è stato standardizzato mediante l’Indice Microbico Aria (IMA), che corrisponde al numero di unità formanti colonia che si contano su una piastra Petri di 9 cm di diametro contenente terreno nutriente, lasciata aperta per un’ora, a un metro da terra e a circa un metro da ogni ostacolo. Classi di contaminazione e massimi livelli accettabili sono stati proposti per diversi ambienti. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare, attraverso una ricerca bibliografica, l’utilizzo dell’IMA nei diversi ambienti a rischio.
MATERIALI E METODI
Consultando le banche dati Scopus e PubMed, è stata effettuata la revisione degli studi che hanno citato la pubblicazione: “Pasquarella et al. The Index of microbial air contamination. J Hosp Infect 2000;46:241-56” entro maggio 2019. Sono stati presi in considerazione solo gli studi originali in cui è stato effettuato il campionamento passivo, analizzati in riferimento a rivista, nazione, sede dello studio, obiettivo dello studio, tipo e numero di ambienti monitorati, risultati ottenuti e principali conclusioni.
RISULTATI
La pubblicazione “The Index of microbial air contamination” è stata citata in 138 articoli, di cui 76 lavori originali: il 44,7% effettuati in Italia, il 14,5% nel resto d’Europa, il 10,5% in Africa, il 23,7% in Asia e il 6,6% nelle Americhe. La maggior parte degli studi riguarda il settore sanitario (59,2%), principalmente sale operatorie, ambulatori odontoiatrici, unità di terapia intensiva; il 40,8% riguarda altri ambienti di vita e di lavoro (scuole, università, biblioteche, musei, falegnamerie).
CONCLUSIONI
Lo studio ha evidenziato un ampio utilizzo dell’IMA in diversi ambienti a rischio di infezione/contaminazione aerogena. In un contesto in cui non vi sono protocolli generalmente accettati per la valutazione della contaminazione microbica dell’aria, la determinazione dell’IMA, per la rilevanza del dato fornito, come stima del rischio di contaminazione per le superfici critiche, e per le sue caratteristiche di economicità e semplicità di esecuzione, rappresenta un valido strumento nella identificazione di situazioni a rischio e nella valutazione dell’efficacia degli interventi di prevenzione. L’analisi dei risultati ottenuti nei diversi ambienti fornirà un utile contributo verso la definizione di valori soglia di riferimento.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Clostridium difficile (Cd) è un batterio Gram-positivo, anaerobico, formante spore nonché uno dei principali patogeni nosocomiali associati all’esposizione ad antibiotici. L’incidenza delle infezioni da Cd è cresciuta notevolmente nell’ultimo ventennio, insieme alla gravità dei casi, alle ricadute e alla mortalità.
Obiettivo di questo lavoro è misurare la validità della scheda di dimissione ospedaliera (SDO) nella stima del numero di pazienti ricoverati in ospedale per acuti con diagnosi di infezione da Cd. Inoltre, per tali casi verrà valutata la durata della degenza, le diagnosi principali e gli esiti in termini di riammissioni e mortalità.
MATERIALI E METODI
I dati relativi a ceppi tossinogenici isolati nel 2017 e nel 2018 in pazienti ricoverati presso 29 ospedali pubblici della Toscana sono stati collegati alle relative SDO attraverso informazioni relative a sesso, data di nascita, ospedale di ricovero e data del prelievo. Per ogni scheda di dimissione ospedaliera è stata verificata la presenza di una diagnosi di infezione da Cd. L’attendibilità dei dati riportati in SDO è stata verificata attraverso l’informazione derivata dagli esami di laboratorio.
RISULTATI
Il numero complessivo di ricoveri in cui è stato isolato almeno un ceppo tossinogenico da Cd è pari a 1.657 per un totale di 1804 isolamenti. Nei ricoveri in regime ordinario, la sensibilità della codifica in SDO è pari al 57,5% e il valore predittivo positivo è pari al 80,4%. L’incidenza dell’infezione da Cd in ospedale è pari a 2,16 per 1.000 ricoveri, mentre aggiungendo i casi evidenziati dal laboratorio ma senza codifica l’incidenza sale a 3,44 per 1.000. Questo dato varia tra gli ospedali in studio passando da 1,39 a 9,91 per 1.000 ricoveri. In riferimento ai casi di infezione di CD ricoverati in ospedale in regime ordinario, il 55,3% sono femmine, l’età media è pari a 74,8 anni (IC 95% 73,9-75,6) e l’indice di Charlson è pari a 2,78 (IC 95% 2,67-2,90). La percentuale di persone dimesse in vita che ritorna in ospedale entro 30 giorni è del 24%, la mortalità a 30 giorni dal ricovero è pari al 19% ed è massima tra i ricoverati in area intensiva (29%).
CONCLUSIONI
I dati riportati evidenziano il peso che deve sostenere il Sistema sanitario per la gestione delle infezioni da Cd. Nell’ottica di ottimizzazione delle risorse, emerge quindi la necessità di adottare efficaci programmi congiunti di sorveglianza, di controllo dei fattori di rischio e di antimicrobial stewardship.
Abstract
INTRODUZIONE
Lo scopo di questo studio è stato valutare l’intensità di utilizzo degli antibiotici e l’epidemiologia dell’antibioticoresistenza in un’Unità di Terapia Intensiva (UTI).
MATERIALI E METODI
Nell’ambito di un sistema di sorveglianza condotto con riferimento alla metodologia del National Healthcare Safety Network, sono stati raccolti i dati relativi all’utilizzo degli antibiotici (molecola, dosaggio e durata) e gli isolamenti microbiologici (microrganismo e relativo antibiogramma) nel periodo dicembre 2017 - gennaio 2019 presso la Clinica di Anestesia e Rianimazione dell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona
Il consumo totale e per classi d’interesse degli antibiotici sono stati valutati utilizzando la metodologia Defined Daily Dose (DDD) per 100 giornate di degenza (HD). Per l’analisi del trend è stato utilizzato il test di Cochran Armitage valutando i dati su base trimestrale.
La densità d’incidenza degli isolamenti per ogni microrganismo è stata espressa come tasso d’isolamento per 100 HD.
RISULTATI
Sono stati sorvegliati 279 pazienti, di cui l’87,5% (n = 244) è stato sottoposto a terapia antibiotica, per un consumo totale di antibiotici di 200 DDD/100 HD (IC 95% 195-204).
Le classi più utilizzate sono state: penicilline (54,5 DDD/100 HD; IC 95% 52,8-56,1), chinoloni (24,2 DDD/100 HD; IC 95% 22,8-25,6), carbapenemi (21,9 DDD/100 HD; IC 95% 20,5-23,3), cefalosporine di prima, seconda e quarta generazione (13,4 DDD/100 HD; IC 95% 12,3-14,6) e di terza generazione (11,4 DDD/100HD; IC 95% 10,4-12,5). Nel periodo in studio è stato rilevato un trend di utilizzo in diminuzione (p < 0,05).
I batteri isolati più frequentemente sono stati: Staphylococcus aureus, di cui il 9% (IC 95% 3,0-20,0) meticillino-resistente (MRSA); Escherichia coli, di cui il 5% (IC 95% 0,6-17,3) resistente ai carbapenemi e il 18% (IC 95% 7,5-33,5) produttore di Extended Spectrum Beta Lactamase (ESBL); Klebsiella pneumoniae, di cui il 28% (IC 95% 9,7-53,4) resistente ai carbapenemi e il 17% (IC 95% 3,6-41,4) produttore di ESBL; Pseudomonas aeruginosa, di cui il 15% resistente ai carbapenemi (IC 95% 3,2-37,9) e il 20% resistente ai fluorochinoloni(IC 95% 5,7-43,66 e Acinetobacter baumannii, di cui il 60% (IC 95% 14,7-94,7) resistente ai carbapenemi.
CONCLUSIONI
Nonostante il rilievo di un utilizzo elevato di farmaci antibiotici, è stato osservato trend in diminuzione rispetto all’inizio della rilevazione. L’incidenza di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi e di MRSA risulta relativamente contenuta, da rilevare l’emergenza della resistenza ai carbapenemi in Escherichia coli. I dati suggeriscono come sia necessaria un’attenta politica di stewardship antibiotica, associata a sistemi di sorveglianza per il controllo dell’antibiotico-resistenza in UTI.
Abstract
INTRODUZIONE
Le infezioni del sito chirurgico (SSI) sono tra le più comuni infezioni correlate all’assistenza e si associano ad un aumento significativo dei costi e della mortalità attribuibile. L’aria della sala operatoria, costituisce un importante veicolo di microrganismi responsabili di infezioni chirurgiche e per tale motivo deve rispondere a requisiti di qualità che, in Italia sono indicati dalle L.G. ISPESL.
Dal 2002 il Laboratorio di Igiene Ospedaliera e Ambientale del DISSAL (UniGe) nel quadro più ampio della valutazione di qualità dei reparti operatori, effettua in modo sistematico il monitoraggio delle caratteristiche microbiologiche dell’aria delle sale operatorie di diversi ospedali liguri.
Obiettivo dello studio è la valutazione nel tempo della carica microbica dell’aria delle sale operatorie e l’identificazione di nuovi valori obiettivo in condizioni at rest e operational nelle sale operatorie a flusso turbolento.
MATERIALI E METODI
Dal 2002 al 2016 sono stati effettuati in condizione “at rest” e “operational” rispettivamente 2206 e 1863 campionamenti di aria in sale operatorie di chirurgia generale e specialistica dotate di impianto aeraulico a flusso turbolento, appartenenti a diversi ospedali liguri.
I campionamenti sono stati eseguiti mediante campionatore attivo, secondo le modalità indicate nelle Linee Guida ISPESL. È stata quindi effettuata l’analisi descrittiva dei dati e i valori di carica microbica (CFU/mc) sono stati confrontati con i parametri di riferimento delle LG ISPESL pari a 180 CFU/mc (operational) e 35 CFU/mc (at rest).
RISULTATI
Sia per la carica batterica rilevata in condizioni at rest, sia per quella rilevata in condizioni operational la percentuale di valori non conformi è scesa progressivamente nel tempo, passando rispettivamente da 30,8 % (2002) a 0,73 % (2016) e da 19, 6 % (2002) a 0 % (2016).
È stato quindi utilizzato il valore mediano della distribuzione dei dati come nuovo valore obiettivo, pari a 8 CFU/mc (at rest) e 65 CFU/mc (operational).
Poiché infine dal 2013 al 2016 i valori mediani sono risultati al di sotto dei summenzionati valori standard è stato possibile elaborare due ulteriori parametri di qualità corrispondenti al 75° percentile della distribuzione dei dati, pari a 3 CFU/mc (at rest) e 30 CFU/mc (operational).
CONCLUSIONI
I risultati hanno evidenziato che in un’ottica di miglioramento continuo della qualità, le sale operatorie dotate di impianti di ventilazione a flusso turbolento possono raggiungere, per quanto riguarda le caratteristiche microbiologiche dell’aria, standard di elevata qualità decisamente più bassi rispetto a quelli delle linee guida nazionali.
Abstract
INTRODUZIONE
L’età è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di carcinoma della mammella. Le linee guida suggeriscono di trattare la paziente anziana con tumore della mammella in buono stato funzionale analogamente alla paziente giovane.
Lo scopo dello studio è stimare la sopravvivenza relativa a 5 anni (5y-RS) e il relative excess risk di morte (RER-m) nella paziente anziana con carcinoma primario invasivo non metastatico della mammella incidente dal 2001 al 2014 in relazione all’aderenza alle linee guida nei trattamenti adiuvanti.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati i dati ad alta risoluzione raccolti nel Registro Tumori Umbro di Popolazione sui carcinomi primitivi della mammella incidenti in donne di 50-79 anni nel periodo 2001-2014 in Umbria. È stata valutata l’eleggibilità a: radioterapia post-operatoria (trattamento chirurgico conservativo; mastectomia in caso di pT ≥ 3, pN ≥ 2), ormonoterapia adiuvante (espressione di recettori per estrogeni/progesterone) e chemioterapia adiuvante (tripli negativi, espressione di Her2, pN ≥ 2). È stata stimata la 5y-RS con metodo Pohar-Perme e il RER-m in pazienti che hanno ricevuto trattamenti adenti alle linee guida e pazienti trattate in maniera inappropriata per classe d’età (50-59, 60-69, 70-79).
RISULTATI
L’analisi della sopravvivenza ha mostrato una ridotta 5y-RS nelle pazienti non trattate secondo linee guida rispetto alle pazienti trattate in aderenza alle linee guida per ciascuna classe d’età per ogni trattamento considerato. La 5y-RS nelle pazienti di 70-79 anni che non hanno ricevuto trattamento aderente alle linee guida è 77.46 (95% IC 69.73-83.44) per la radioterapia post-operatoria (vs 96.60, 95% IC 92.75-98.42 delle pazienti trattate secondo linee guida), 77.70 (95% IC 67.64-84.97) per l’ormonoterapia adiuvante (vs 96.81, 95% IC 93.46-98.46 delle pazienti trattate secondo linee guida) e 70.26 (95% IC 60.15-78.26) per la chemioterapia adiuvante (vs 83.81, 95% IC 75.99-89.27 delle pazienti trattate secondo linee guida). La stima del RER-m ha mostrato una differenza significativa tra pazienti trattate in aderenza alle linee guida delle classi d’età più anziane per radioterapia post-operatoria (60-69: 4.55, p < 0.001; 70-79: 6.14, p < 0.001) e in tutte le classi d’età per l’ormonoterapia adiuvante. Non si osservano differenze significative del RER-m per la chemioterapia adiuvante.
CONCLUSIONI
L’analisi di sopravvivenza conferma l’importanza dell’aderenza alle linee guida nella paziente anziana. Sulla base delle caratteristiche bio-patologiche del tumore e di una valutazione dello stato cognitivo e funzionale, anche la paziente anziana può beneficiare dei trattamenti raccomandati per la paziente più giovane. L’età avanzata non deve rappresentare una barriera all’appropriatezza delle terapie.
Abstract
INTRODUZIONE
La formazione del personale sanitario relativamente a qualità e sicurezza delle cure così come l’implementazione di adeguati sistemi di monitoraggio rappresentano entrambi strumenti utili a migliorare l’adesione del personale sanitario alle buone pratiche così come la qualità dell’assistenza: a tale scopo, da luglio 2017, nei reparti di degenza dell’Istituto di Medicina Fisica e Riabilitativa “Gervasutta” di Udine è stato avviato un percorso di formazione e monitoraggio periodico relativo ai requisiti di sicurezza e qualità per la corretta gestione dei farmaci ad alto rischio.
MATERIALI E METODI
Sono stati organizzati incontri formativi rivolti al personale dei tre reparti di degenza dell’Istituto relativi al management dei farmaci ad alto livello di sorveglianza, ovvero ad alto rischio e “Look-Alike/Sound-Alike” (LASA), in riferimento alla procedura aziendale, in ciascuna delle fasi (approvvigionamento, dispensazione, stoccaggio, conservazione, prescrizione, allestimento, somministrazione, monitoraggio clinico). A seguito, con cadenza trimestrale, è stata valutata la conformità ad undici requisiti di sicurezza e qualità sulla loro gestione con apposita check list. È stato utilizzato il test esatto di Fisher per effettuare un confronto su base trimestrale, semestrale ed annuale. La significatività statistica è stata stabilita per valori di p < 0.05.
RISULTATI
È stato effettuato un totale di 107 valutazioni a termine del monitoraggio. L’adesione complessiva ai requisiti è incrementata dal primo al secondo trimestre di monitoraggio (primo trimestre: 37%; secondo: 68%) con significatività statistica (p = 0,05) così come dal secondo al terzo trimestre (84%); nei trimestri seguenti le performance complessive dei reparti si sono invece stabilizzate, raggiungendo il 100%. Si registra infine una variazione statisticamente significativa confrontando il primo semestre 2018 con l’ultimo semestre 2017 (p = 0,0003).
CONCLUSIONI
Gli incontri formativi dedicati al personale d’Istituto e la cadenza trimestrale del monitoraggio si sono rivelati uno strumento efficace: la maggiore conoscenza, sensibilità e attenzione sul tema hanno di conseguenza determinato un miglioramento nella gestione in reparto dei farmaci ad alto rischio.
Abstract
INTRODUCTION
The anti-epidermal growth factor receptor (EGFR) monoclonal antibodies, as monotherapy or in combination with chemotherapy, are effective in the treatment of metastatic colorectal cancer (mCRC). Current international guidelines recommend RAS (NRAS, KRAS) genetic testing as predictive biomarkers for response to anti-EGFR therapy. Only RAS wild-type tumors should be treated with anti-EGFR agents, as tumors with RAS mutations are unlikely to benefit. We aimed to review the cost-effectiveness of RAS testing in mCRC patients prior to anti-EGFR therapy and to assess how well economic evaluations adhere to clinical practice guidelines.
MATERIALS AND METHODS
A systematic review of full economic evaluations comparing RAS testing vs. no-testing was performed for articles published in English between 2000 and 2018. Study quality was assessed using the QHES scale and the BMJ checklist. Risk of bias in individual studies was evaluated with the Philips checklist for economic modelling studies.
RESULTS
Six economic evaluations (two cost-effectiveness analyses; two cost-utility analyses; two combined cost-effectiveness and cost utility analyses) were included. All studies were of good quality and adopted the perspective of the healthcare system/payer; accordingly, only direct medical costs were considered. Of particular concern were the use of not recommended genes (i.e. BRAF, PTEN, ERBB2) as predictive biomarkers for response to anti-EGFR therapy, the lack of consideration of NRAS mutation status and of key parameters related to genetic tests and biological agents. Two studies were funded by Roche, a leading provider of genetic tests, and the source of funding was not declared in one study. Four studies presented testing strategies with a favorable ICER under the National Institute for Clinical Excellence (£20,000-30,000/QALY) and the US ($50,000–100,000/QALY) thresholds.
CONCLUSIONS
Testing mCRC patients for RAS status and administering anti-EGFR therapy only to patients with RAS wild-type tumors is a more cost-effective strategy than treating all patients without testing. The treatment of mCRC is becoming more personalized, which is essential to avoid inappropriate therapy and unnecessary high healthcare costs. The economic evaluations, although of good quality, do not fully adhere to international recommendations regarding the assessment of mutational status prior to therapy with biological agents. Future economic assessments should take into account NRAS mutation status and other parameters that reflect the real world, such as toxicity of biological agents, genetic test sensitivity and specificity. The impact of industry sponsorship of economic evaluations on pharmacogenetic tests needs further investigation.
Abstract
INTRODUZIONE
Il cancro del colon-retto in Umbria è una priorità di sanità pubblica. La sorveglianza in sanità pubblica che utilizza dati provenienti da registri tumori di popolazione è una componente chiave nel controllo del cancro e le analisi dei dati di esito sono il presupposto fondamentale per migliorare la qualità. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di identificare e valutare, mediante il calcolo di alcuni indicatori di qualità (IQ), i livelli di assistenza per il cancro del colon retto (CCR) in Umbria.
MATERIALI E METODI
Abbiamo estratto dal Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP) i casi di CCR che hanno effettuato un intervento con intento curativo nel triennio 2012 – 2014. Dopo un’analisi della letteratura, tenendo in considerazione le più recenti linee guida nazionali ed europee, abbiamo selezionato 19 IQ che coinvolgono tutte le specialità impegnate nell’assistenza. Gli indicatori selezionati hanno coperto i passaggi chiave del PDTA per la gestione del paziente affetto da CCR. I dati sono stati elaborati con STATA\IC 15.1.
RISULTATI
Sono stati identificati 1666 casi di CRC (297, 17,85% retto). I dati del RTUP hanno consentito il calcolo di 11 QI (10 di processo e 1 di esito). I QI selezionati hanno permesso la valutazione del PDTA del CRC secondo le linee guida. Tre QI riguardavano la fase diagnostica (colonscopia completa, TAC o RMN preoperatoria per CRC- ex.74,4% (95%CI 72.1-76.7%)-e RMN per il cancro del retto); tre QI riguardavano l’appropriatezza della chirurgia (≥ 12 linfonodi regionali prelevati-ex. 74,2% (95%CI 71.9-76.4%)-, margine circonferenziale e conservazione dello sfintere nel cancro del retto). Quattro QI valutavano la terapia (chemioterapia nello stadio III-ex. 51,0% (95%CI 46.2-55.8%)-e stadio II ad alto rischio, intervallo tra chirurgia e chemioterapia adiuvante < 8 settimane; radioterapia neoadiuvante nel cancro del retto in stadio II o III); un indicatore di esito valutava la mortalità grezza post-operatoria a 30 giorni-ex. 4,0% (95%CI 3,1-5,1%). I risultati verranno analizzati per altre variabili inclusa la struttura erogatrice.
CONCLUSIONI
La disponibilità di QI è fondamentale per la valutazione della qualità dell’assistenza sanitaria e la selezione di interventi efficaci. I registri tumori di popolazione, utilizzando diversi flussi di dati sanitari, si stanno trasformando in strumenti di valutazione sempre più sofisticati ed efficaci. L’interpretazione dei dati relativi ai PDTA, insieme ai dati epidemiologici basati sulla popolazione nel contesto del registro tumori, fornisce un potente ausilio alla rete oncologica regionale per migliorare il controllo del cancro.
Abstract
INTRODUZIONE
La ricerca quali-quantitativa, nata in campo psico-sociale e diffusasi presto ai settori giuridico, ambientale e tecnologico, fatica ancora a trovare un suo precipuo campo di applicazione in medicina.
In una recente lettera, pubblicata nel 2016 su BMJ a firma di ricercatori provenienti da 11 Paesi, si sottolinea l’importanza dell’analisi quali-quantitativa come componente imprescindibile della ricerca medica, sia a supporto del dato quantitativo, sia come fonte di nuove e fondamentali informazioni.
Scopo dello studio, nato nell’ambito del gruppo di lavoro S.It.I. Lazio sugli accorpamenti delle Aziende Sanitarie Locali, è stato quello di valutare il processo di riorganizzazione delle ASL dell’Italia centrale, attraverso l’applicazione di metodiche di analisi quali-quantitativa.
MATERIALI E METODI
È stata condotta una valutazione comparativa dei documenti relativi agli accorpamenti delle ASL di tre regioni italiane (Lazio, Toscana e Sardegna), tramite il software T-LAB plus 2016 per l’analisi quali-quantitativa dei testi. Tra i 150 lemmi che presentavano maggiore frequenza all’interno del testo, sono stati individuati i proxy dei principi ispiratori e degli obiettivi dell’accorpamento, attraverso analisi di contesto, analisi delle co-occorrenze e analisi delle corrispondenze per contesti elementari.
RISULTATI
L’applicazione dell’approccio quali-quantitativo nell’ambito della riorganizzazione sanitaria ha consentito di portare alla luce un corpus di “parole dell’accorpamento”, comune a tutti i documenti: centralità della persona, salute, appropriatezza e integrazione ospedale-territorio. È stato, però, nella valutazione delle relazioni tra i lemmi che sono emerse significative differenze. Nei documenti della Sardegna e della Toscana si evidenziano cluster tematici simili: centralità della persona e dei suoi bisogni di salute, integrazione ospedale-territorio e organizzazione dell’assistenza. Nel Lazio sembrano invece prevalere i versanti gestionale ed amministrativo-burocratico.
CONCLUSIONI
L’applicazione del metodo quali-quantitativo in ambito medico rappresenta un approccio pioneristico per la valutazione di qualità del pensiero organizzativo. Ha consentito, ad esempio, di portare alla luce l’esistenza di un gradiente di ricchezza e di densità lessicale - elevata in Sardegna, intermedia in Toscana e bassa nel Lazio - che ben si accorda con le differenze di complessità della documentazione in termini di principi ispiratori ed obiettivi programmatici. Questo lavoro potrebbe, pertanto, aprire la strada a linee di ricerca innovative in campo di organizzazione sanitaria, come la valutazione di qualità della documentazione clinica, l’interazione tra il sistema sanitario e il contesto sociopolitico, la valutazione del benessere organizzativo.
Abstract
INTRODUZIONE
Per Antimicrobial Stewarship si intende “un programma o una serie di interventi diretti al monitoraggio e all’orientamento dell’utilizzo degli antimicrobici in ospedale, attraverso un approccio standardizzato che sia supportato dall’evidenza al fine di ottenere un uso giudizioso dei farmaci”.
L’Ente Ecclesiastico Ospedale Regionale Generale “F. Miulli” si è posto l’obiettivo di correggere l’uso improprio di antibiotici, minimizzare la variabilità dei comportamenti nella pratica clinica, diminuire le infezioni del sito chirurgico e ridurre la spesa farmaceutica.
MATERIALI E METODI
La Direzione Sanitaria/C.I.O. e la U.O.C. Farmacia Ospedaliera da aprile 2017 ad aprile 2018 hanno programmato incontri per il controllo e la gestione della profilassi antibiotica peri-operatoria con le principali UU.OO. chirurgiche dell’ospedale.
Il primo incontro ha interessato la Chirurgia Ortopedica e ha portato alla stesura di Istruzioni Operative condivise, nate dall’integrazione dell’esperienza degli operatori con le Linee Guida ministeriali SNLG (Sistema Nazionale Linee Guida) aggiornate al 2011 e le linee guida della SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) 2016.
Sono stati esaminati interventi di chirurgia protesica di anca e ginocchio per i quali, prima del 2017, oltre alla cefazolina, era prevista la somministrazione di teicoplanina (emivita 48-72 ore) per 4 giorni a partire dal giorno dell’intervento.
Secondo le Istruzioni Operative, l’utilizzo di teicoplanina è circoscritto al solo giorno dell’operazione: sono somministrati 6-8 mg/kg (circa 400-800 mg), 30-60 minuti prima dell’intervento, direttamente in sala operatoria.
RISULTATI
Gli interventi eseguiti (primi interventi e revisioni) sono stati 535 nel 2016, 678 nel 2017 e 800 nel 2018.
Il consumo di teicoplanina è diminuito da 3041 DDD (Defined Daily Dose) nel 2016, a 1948 DDD nel 2017, a 1643 DDD nel 2018 (-46% rispetto al 2016), con una spesa di 114.995 € nel 2016, 73.645 € nel 2017 e 62.065 € nel 2018.
Nel 2016 il 2,6% dei pazienti (n = 14) ha sviluppato un’infezione del sito chirurgico, di cui 4 causate da MDRO (2 MRSA e 2 Proteus mirabilis ESBL), nel 2017 l’1,9% (n = 13) di cui 3 da MDRO (MRSA, Escherichia coli ESBL e Acinetobacter baumanii), nel 2018 l’1,5% (n = 12) di cui 2 da MRSA.
CONCLUSIONI
I programmi di ottimizzazione della profilassi antibiotica hanno fornito un contributo importante in termini di appropriatezza prescrittiva; pur aumentando il numero di interventi sono stati contenuti sia i costi sia le infezioni, riducendo lo sviluppo di resistenze batteriche.
Abstract
INTRODUZIONE
I programmi regionali organizzati di screening oncologico rappresentano un importante intervento in sanità pubblica. Fondamentale per la loro riuscita è raggiungere un’adesione elevata, che dipende anche dalla percezione che le persone hanno dell’utilità e dell’organizzazione degli screening e può essere aumentata attraverso interventi (remind e recall) di dimostrata efficacia.
Per aumentare l’adesione a pap-test e mammografia (obiettivo Piano Regionale Prevenzione 2014-2019 = 70%) l’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine (ASUIUD) ha condotto uno studio, indagando l’attitudine delle donne verso pap-test e mammografia di screening e valutando se un intervento di remind telefonico per il Pap-test e l’organizzazione di una seconda chiamata straordinaria per lo screening mammografico (recall delle non aderenti) potessero incrementare l’adesione.
MATERIALI E METODI
Le indagini svoltesi negli anni 2017-2018 hanno coinvolto 286 donne aderenti al pap-test del Distretto di Udine a cui è stato somministrato un questionario. Contemporaneamente sono state contattate telefonicamente 51 donne, non aderenti al pap-test, a cui è stato somministrato un questionario simile in forma ridotta. Per la mammografia sono state intervistate 85 donne non aderenti nel corso della prima giornata di recall. Infine sono stati effettuati un remind telefonico per le utenti (n = 128) che avevano un appuntamento per il pap-test e una prima giornata di recall (maggio 2017) per la mammografia invitando 1440 donne non aderenti per testare l’organizzazione, seguita da altre tre giornate (ulteriori 4.762 inviti) per raggiungere il resto delle non aderenti dell’ASUIUD del primo semestre 2017.
RISULTATI
Dai questionari è risultata una buona percezione degli screening e dell’organizzazione da parte della maggioranza delle donne intervistate (> 95%). Sono emersi l’importanza del ruolo del medico di medicina generale (MMG) e del ginecologo quali possibili promotori dell’adesione e fattori ostacolanti l’adesione: paura, mancanza di tempo, problemi ad effettuare i test negli orari/sedi proposti e una scarsa conoscenza dei test di screening.
Il remind telefonico per il pap-test ha portato ad un incremento dell’adesione (11,5%) e le giornate di recall per la mammografia ad un recupero dell’8,7% (n = 541) delle non aderenti.
CONCLUSIONI
La seconda chiamata per il programma di screening mammografico è stata estesa stabilmente a tutta la Regione. Il remind telefonico sarà proposto per tutte le donne alla prima chiamata per lo screening cervicale in tutta la Regione. L’organizzazione di incontri nell’ambito delle Aggregazioni Funzionali Territoriali è stata scelta come strumento di consolidamento dell’importante ruolo che le donne riconoscono ai MMG anche nei programmi regionali di screening oncologico.
Abstract
INTRODUZIONE
L’isolamento sociale assume crescente importanza quale rischio di eventi negativi in una popolazione invecchiata in conseguenza della transizione demografica. Obiettivo del presente lavoro è descrivere le caratteristiche di un campione di anziani ultrasettantacinquenni arruolati in uno studio di comparazione degli effetti di un intervento mirato a contrastare l’isolamento sociale
MATERIALI E METODI
Un campione di 1185 anziani è stato arruolato nelle città di Roma e Napoli nel quadro di uno studio di coorte prospettico quasi-sperimentale: 578 di loro (i casi) sono coinvolti in un programma di lotta all’isolamento sociale chiamato “Viva gli Anziani!” condotto dalla Comunità di Sant’Egidio, una organizzazione non-profit. Lo studio prevede la somministrazione di un questionario per la valutazione della fragilità all’arruolamento (questionario di Valutazione Funzionale Geriatrica) e la rilevazione di eventi negativi durante il follow up (decesso, istituzionalizzazione, ospedalizzazione) attraverso flussi di dati standard raccolti a livello regionale.
RISULTATI
Il campione è composto da 578 casi e 607 controlli. L’età media è pari ad 84,8 anni per i casi (DS ± 5,7) e 83,7 per i controlli (DS ± 4,8). Le donne sono più rappresentate tra i casi che tra i controlli (69,7% vs 58,5%, p < 0,001). La prevalenza di fragilità è pari al 42,5%, suddivisi in “molto fragili” (19,9%) e “fragiIi” (22,6%). I non fragili si suddividono in “pre-fragili” (31,7%) e “robusti” (25,8%). I casi mostrano un maggiore tasso di fragilità (47,2% vs 38,1%, p = 0.005). L’analisi dei punteggi medi conseguiti nelle 5 aree che compongono il questionario mostra come i casi abbiano una condizione peggiore dei controlli nelle aree della salute fisica (p < 0,001), e delle condizioni economiche (p < 0,001) mentre godano di un maggior supporto sociale (p < 0,001). Le aree della salute mentale e delle capacità funzionali non evidenziano differenze statisticamente significative.
CONCLUSIONI
La prevalenza di fragilità nella popolazione studiata è alta, come atteso in considerazione dell’età di inclusione nello studio. I due campioni sono comparabili per età e mostrano alcune differenze nella distribuzione di genere e nella fragilità all’arruolamento che dovranno essere tenute in considerazione in sede di analisi dei risultati. le differenze nelle aree del questionario sembrano suggerire un’associazione tra peggiori condizioni di salute e di risorse socio-economiche con una maggiore disponibilità di risorse sociali. Questo elemento, in parte atteso in quanto i casi sono oggetto di un intervento squisitamente sociale, costituisce una prima indicazione da verificare nel corso del follow up.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità identifica la demenza, la cui forma più frequente è rappresentata dalla Malattia di Alzheimer (MA), come una priorità mondiale in termini di Sanità Pubblica. Molti malati di MA risiedono in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e generalmente sono anziani sottoposti a terapie polifarmacologiche, supportate da rimedi non-farmacologici efficaci. In questo contesto la Biodanza rappresenta una tecnica che utilizza musica e movimento per generare uno stato di gioia ed appagamento in chi la pratica. Non prevede abilità particolari ed è adatta a soggetti fragili. Lo scopo dello studio è verificare l’eventuale riduzione di sintomi neuropsichiatrici in pazienti anziani, affetti da MA e residenti in RSA utilizzando la biodanza come strumento di benessere.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha coinvolto 2 RSA toscane comprensive di “Nucleo Alzheimer”. Sono stati coinvolti su base volontaria anziani affetti da MA con punteggio complessivo di Mini-Mental State Examination (MMSE) pre-intervento≤ 24, test ripetuto anche nel post-intervento. I sintomi neuropsichiatrici sono stati valutati prima e dopo l’intervento; durante un periodo di sei mesi sono state svolte 12 sedute formative per gli operatori sanitari e successivamente 12 sessioni di biodanza con anziani ed operatori formati (rapporto 1:1). Per valutare lo stato depressivo dei soggetti è stato utilizzato il Corner Scale of Depression in Dementia (CSDD), per misurare l’agitazione psico-motoria, suddivisa in fisica/aggressiva, fisica/non aggressiva e verbale, è stato somministrato il Cohen-Mansfield Agitation Inventory (CMAI), per quantificare i sintomi neuropsichiatrici è stato usato il NeuroPsychiatric Inventory (NPI).
RISULTATI
Sono stati arruolati 16 soggetti. I risultati del MMSE non sono variati nell’arco dei sei mesi, mostrando quindi una stabilità delle funzioni cognitive nel tempo. Le medie pre- e post-intervento dello score del CMAI, suddivise per categorie, sono tutte diminuite significativamente: 17,88 vs 14,69 per l’agitazione fisica/aggressiva; 23,31 vs 20,31 per quella fisica/non aggressiva, 17,75 vs 14,56 per la verbale. Una riduzione statisticamente significativa ha riguardato anche il punteggio totale al NPI (media pre 17,06 vs media post 11,94). I risultati al CSDD risultano stabili nel tempo.
CONCLUSIONI
Con un intervento di soli tre mesi la Biodanza è stata capace di apportare, nei soggetti arruolati, una riduzione significativa dei comportamenti agitati e dei sintomi neuropsichiatrici. La Biodanza può quindi essere considerata una valida integrazione alle classiche terapie farmacologiche per il benessere dei pazienti residenti in RSA affetti da MA.
Abstract
INTRODUCTION
Parkinson’s disease (PD) is a neurodegenerative illness recognised as the most common neurological disorder after Alzheimer’s dementia. Whereas the exact PD etiology remains unknown, risk of developing PD seems to be related to an interrelation of genetic and environmental factors, including also altered exposure to trace elements. In this systematic review and meta-analysis, we updated and summarized the results of epidemiologic case-control studies comparing levels of selenium, copper, iron and zinc in PD patients with healthy subjects in either blood (as whole blood, serum or plasma) and cerebrospinal fluid (CSF).
MATERIALS AND METHODS
We performed a systematic PubMed search and we included in our assessment only studies reporting demographic and disease-related characteristics, as well as trace element levels in different specimens (whole blood, serum/plasma and CSF). We then performed a meta-analysis of mean differences of trace element levels between cases and controls, using a random-effect model computing the weighted mean differences (WMD) and corresponding 95% confidence intervals (CI) to assess the association between serum/plasma, whole blood, CSF and selenium, copper, iron and zinc with Parkinson’s disease.
RESULTS
We retrieved 55 papers reporting data for selenium (588 cases and 721 controls), copper (2190 and 2522), iron (2843 and 3434), and zinc (1798 and 1913). Cases showed higher levels of selenium in CSF compared with controls (WMD = 5.49; 95%CI 2.82 to 8.15), while levels in serum were similar (WMD = -0.22; -8.05 to 7.62). For copper cases showed higher levels in CSF and lower in serum compared to controls (WMD = 1.87; -3.59 to 7.33, and -42.79, -134.35 to 48.76 respectively). Same results were found for iron in CSF (WMD = 6.54; -1.97 to 15.04) and in serum/plasma (WMD = -58.19; -106.49 to -9.89 and whole blood (WMD = -95.69; 157.73 to -33.65). On the converse, cases had lower levels of zinc both in CSF (WMD = -7.34; -14.82 to 0.14) and serum/plasma (WMD = -79.93; -143.80 to -16.06).
CONCLUSIONS
Results of this systematic review and meta-analysis suggests that overexposure to environmental selenium, copper and iron may be risk factors for PD onset or progression. Alternatively, some variation in levels of these trace elements may occur as a consequence of the disease. Considering the burden of PD in the world population, further investigation of trace element exposure in this disease is therefore warranted, especially to plan possible prevention measures.
Abstract
BACKGROUND AND AIM
Cadmium is a toxic heavy metal for humans, and its environmental exposure has been linked to many adverse health effects, including cancer, atherosclerosis and diabetes. In particular, recent findings suggest that cadmium may increase risk of cutaneous melanoma, possibly through the promotion of the malignant transformation of melanoma cells through aberrant DNA methylation and by inducing gene expression dysregulation. Since in non-occupational exposed and non-smoking subjects dietary exposure is the major source of cadmium exposure, we aimed to assess melanoma risk in relation to dietary cadmium intake.
METHODS
We recruited 380 newly-diagnosed incident cases of cutaneous melanoma and 719 sex- and age-matched population controls in four North Italian provinces (Parma, Reggio Emilia, Modena, and Bologna) of Emilia-Romagna Region. We estimated their dietary habits using a semi-quantitative food frequency questionnaire and we evaluated melanoma risk by computing the odds ratio (OR) and its 95% confidence interval (CI) according to quintile distribution of cadmium intake. We used a conditional logistic regression model to compute ORs, matching by sex, age and province of residence, and adjusting also for phototype, non-alcoholic energy intake, body mass index, and Italian Mediterranean Diet Index. Also a spline regression model was used in order to evaluated possible dose-response relation.
RESULTS
Median cadmium intake was 5.81 µg/day (interquartile range 4.46-7.59) in cases, and 5.63 µg/day (4.46-7.34) in controls. OR of melanoma associated with 1-unit increase in cadmium intake was 1.11 (95% CI 1.00-1.24). Melanoma risk increased with increasing quintile of cadmium exposure, with ORs of 1.55 (95% CI 0.99-2.42), 1.54 (95% CI 0.99-2-40), 1.75 (95% CI 1.12-2.75), and 1.65 (95% CI 1.05-2.61) from second to highest quintile compared to lowest quintile. Sex-stratified analysis showed substantially comparable results and a generally higher risk in women, with continuous ORs of 1.10 (95% CI 0.93-1-29), and 1.15 (95% CI 0.99-1.33) in men and women, respectively. Spline regression analysis showed a non-linear risk increase, with possible plateau at 5-6 µg/day of cadmium intake. Slightly higher risk estimates in women and older subjects were detected.
CONCLUSIONS
Our results seem to point out a positive association between dietary cadmium exposure and melanoma risk in the study population. Such association started to occur at a level of exposure lower than the tolerable intake established for food safety by international authorities.
Abstract
INTRODUZIONE
Il cannabidiolo (CBD) e la cannabidivarina (CBDV) sono fitocannabinoidi contenuti nella Cannabis, un genere di pianta delle angiosperme, della famiglia delle Cannabaceae. Entrambi sono composti terpenofenolici a 21 atomi di carbonio: il CBD è strutturalmente correlato al noto Δ9-tetraidrocannabinolo (THC) e si ritrova insieme al suo analogo propilico (CBDV) nelle piante di C. sativa e C. indica. La Cannabis può esercitare numerosi effetti sull’organismo umano interferendo con il sistema endocannabinoide ed infatti svariati sono gli effetti farmacologici noti di CBD e CBDV che, a differenza del THC, non hanno proprietà psicotrope. CBD e CBDV sono antiepilettici, anticonvulsivanti e antipsicotici. Pochi però sono gli studi riportati in letteratura circa l’attività antiossidante e citotossica e il ruolo nell’invecchiamento cellulare di queste due molecole. Pertanto, lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la citotossicità e la genotossicità cellulare indotta da questi cannabinoidi su linee tumorali, nonché la loro attività antiossidante ed il loro ruolo nell’invecchiamento cellulare.
MATERALI E METODI
L’eventuale attività citotossica è stata valutata utilizzando linee cellulari di carcinoma polmonare (A-549), epatico (Hep-G2), colon-rettale (Caco-2) e mammario (MDA-MB-231). Sono stati effettuati sia test preliminari di vitalità cellulare come MTT assay, sia test di citossicità più specifici come il BrdU-ELISA assay e LDH assay. Al fine di calcolare gli indici di selettività (SI), i test di attività citotossica sono stati effettuati anche su fibroblasti normal-like (TelCOFS02MA). Test di genotossicità sono stati effettuati mediante Comet assay e Micronucleus assay. L’attività antiossidante è stata valutata mediante due test di inibizione radicalica: DPPH e ABTS assay. Lo studio riguardante l’invecchiamento cellulare è stato effettuato mediante qPCR studiando la lunghezza telomerica delle cellule trattate con i fitocannabinoidi.
RISULTATI
Sia CBD che CBDV hanno esercitato una citotossicità selettiva nei confronti di Hep-G2. Sulle stesse cellule, inoltre, è stato possibile osservare un danno significativo al DNA già alla concentrazione di 2 µM. Entrambi i cannabinoidi hanno mostrato un maggior potere antiradicalico nel test ABTS. Nessuna significativa differenza nella lunghezza telomerica è stata osservata trattando le cellule tumorali con cannabinoidi per 24 h.
CONCLUSIONI
La potenziale attività citotossica e genotossica dei cannabinoidi nei confronti di linee cellulari tumorali risulta confermata. I dati ottenuti in questo studio possono rappresentare un importante contributo nella comprensione dell’attività specifica dei cannabinoidi non psicotropi su alcune cellule umane.
Abstract
INTRODUZIONE
A San Filippo del Mela, comune incluso nel sito di interesse per le bonifiche di Milazzo, è stata attiva (1958-1993) la Sacelit, una fabbrica di cemento-amianto.
Obiettivi: descrivere il rischio di patologie asbesto-correlate negli ex-lavoratori della Sacelit.
METODI
La coorte dei lavoratori e i relativi periodi di attività sono stati ricostruiti dal Comitato ex-lavoratori e validati da INPS. Procedure di linkage con i Registri regionali di Mortalità (1986-2014) e dei ricoveri ospedalieri (SDO; 2001-2016) hanno identificato gli ex lavoratori deceduti e/o ricoverati per grandi gruppi diagnostici e per malattie asbesto-correlate, selezionando la causa principale di decesso, o di dimissione ospedaliera al netto dei ricoveri ripetuti. Il Centro Regionale del ReNaM, ha identificato i lavoratori con diagnosi di mesotelioma nel periodo 1998-2017. Sono stati calcolati i Rapporti standardizzati di mortalità (SMR), di ospedalizzazione (SHR) e di incidenza dei mesoteliomi (SIR), e i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC95%), per genere, periodo lavorativo e latenza, sul confronto regionale.
RISULTATI
Tra il 1958 e il 1993, hanno lavorato alla Sacelit 200 uomini e 28 donne, di questi, 204 soggetti risultavano vivi all’inizio dell’osservazione (1986); 4 persi al follow-up.
Mortalità. Dei 200 soggetti della coorte, 112 sono deceduti tra il 1986 e il 2014. Nessuna donna è deceduta per tumore maligno o per patologie amianto-correlate. Sono stati osservati eccessi tra gli uomini per tumore del polmone (SMR = 2,96), della pleura (SMR = 25,73) e per asbestosi (SMR = 2372). Tutti i decessi per tumore del polmone sono avvenuti con una latenza superiore a 20 anni, quelli per asbestosi e tumore maligno della pleura dopo 40 di latenza.
Ricoveri. Dei 164 soggetti vivi al 2001 (139 uomini e 25 donne), 44 soggetti non sono mai stati ricoverati nel periodo di osservazione. Eccessi sono stati osservati rispettivamente per tumore maligno del polmone e per asbestosi sia negli uomini (SHR = 3,14; SHR = 973,4) che nelle donne (SHR = 5,99; SHR = 1581,6).
Incidenza dei mesoteliomi. Nessuna donna della coorte ha ricevuto diagnosi di mesotelioma tra il 1998 e il 2017. Dei 153 uomini vivi al 1998, 4 hanno avuto una diagnosi di mesotelioma pleurico ed uno del peritoneo, facendo stimare un SIR pari a 23,92 (IC95%:9,96-457,47).
CONCLUSIONI
Un’alta occorrenza di malattie amianto-correlate è stata osservata nei lavoratori della Sacelit, in particolare tra gli uomini. L’eccesso è stato evidenziato anche nelle donne nel numero dei ricoverati per asbestosi e tumore del polmone. Si ritiene particolarmente opportuna la prosecuzione del piano di sorveglianza sanitaria in corso.
Abstract
INTRODUZIONE
Nell’ambito delle patologie epatiche il danno epatico da alcool (ALD) contribuisce in maniera significativa alle ospedalizzazioni e l’analisi delle stesse rappresenta un indicatore proxy dell’incidenza della patologia nella popolazione.
MATERIALI E METODI
Avvalendosi dell’archivio informatizzato anonimo delle SDO, è stato condotto uno studio retrospettivo di coorte su tutte le ospedalizzazioni per ALD, identificate dagli specifici codici diagnosi (ICD9-CM: 571.0, 571.1, 571.2, 571.3), a carico dei cittadini residenti veneti nel periodo 2000-2017, di età maggiore a 15 anni. I tassi di ospedalizzazione (SHR) e mortalità (SMR), espressi per 100.000 residenti, sono stati calcolati su classi di età quinquennali (Veneto 2008). Sulla base della classificazione internazionale le ALD sono state distinte in epatiti acute, cirrosi e altre epatopatie da alcool.
RISULTATI
Sono state identificate 30.089 dimissioni per ALD, prevalentemente a carico del genere maschile (74%). L’età media era simile nei due sessi (60,5±14,5) e nei maschi evidenziava un eccesso di ospedalizzazioni (SHR: 61 vs. 20.1; OR: 3.03; 95% CI: 2.95–3.11; p < 0.000) e di mortalità intraospedaliera (SMR: 5.9 vs 2; OR: 2.93; 95% CI: 2.70–3.18; p < 0.000).
Alla cirrosi alcolica era associato sia il maggior SHR che SMR, rispettivamente pari a 33,2 e 3,8 mentre a valori decisamente inferiori si attestavano le altre epatopatie da alcol (4,8; 0,1) e le epatiti alcoliche (2,0; 0,1).
Dalla stratificazione per classe d’età è emerso come il più elevato SHR fosse appannaggio della classe 45-64 (3.5; OR: 2.54; 95% CI: 2.29-2.82; p < 0.000) mentre la 65-74, che evidenziava il più elevato SHR complessivo, aveva i valori più elevati per le cirrosi (SHR: 79.7; OR: 2.91; 95% CI: 2.83–2.99; p < 0.000).
L’andamento temporale delle ospedalizzazioni, a fronte di un incremento del 7% dell’età media (da 58,8 ± 9,2 a 62,4 ± 9,7), ha mostrato un importante riduzione sia delle ospedalizzaioni (SHR: − 63,5%; χ2 trend: 4099,8) che della mortalità (SMR: − 47%; χ2 trend: 89,5).
Il calo delle ospedalizzazioni va distinto in due differenti fasi: la prima (2000-2010) con un importante decremento raggiungendo il 27,3 nel 2010 (χ2 trend: 1521,3; AAPC: − 8%), e la seconda (2011-2017) con meno consistente calo (χ2 trend: 8.469; AAPC: − 1%) raggiungendo il 22,7 nel 2017.
CONCLUSIONI
Quanto emerso evidenzia una complessiva riduzione dei ricoveri e della mortalità per ALD, mostrando inoltre gli effetti delle nuove tendenze nel consumo alcolico suggerendo l’opportunità di adottare efficaci strategie preventive dirette soprattutto alla popolazione più giovane.
Abstract
INTRODUZIONE
L’insieme dei microrganismi che popolano l’intestino umano, noto come microbiota intestinale, risulta implicato in numerosi processi fisiologici e patologici dell’ospite. Recentemente, diversi studi hanno evidenziato come la composizione del microbiota intestinale, e in particolare la quantità relativa dei due principali phyla batterici dei Firmicutes e dei Bacteroidetes, possa variare in relazione alla condizione ponderale o alla dieta assunta. L’analisi di ulteriori fattori, come l’attività fisica e il fumo di tabacco, ha fornito finora risultati contrastanti. Al fine di esplorare l’associazione tra composizione del microbiota intestinale e stili di vita, è stato condotto al riguardo uno studio trasversale tra gli studenti universitari delle Università di Napoli Parthenope e di Roma Sapienza.
MATERIALI E METODI
Gli studenti sono stati invitati a compilare una serie di questionari riguardanti i loro livelli quotidiani di attività fisica (International Physical Activity Questionnaire, IPAQ), le loro abitudini alimentari (Mediterranean Diet Adherence Screener - MEDAS) e l’eventuale abitudine al fumo e a fornire un campione di feci per valutarne la composizione microbica. Il DNA estratto dai campioni fecali è stato analizzato nei laboratori dell’Unità di Sanità Pubblica dell’Università di Roma “Foro Italico” tramite 16S amplicon sequencing, al fine di ottenere un quadro generale della biodiversità e di quantificare i generi e phyla microbici presenti. Tali risultati sono stati messi in relazione con l’indice di massa corporea e con le abitudini dichiarate dai partecipanti.
RISULTATI
Su un totale di 213 studenti che hanno accettato di partecipare allo studio e hanno fornito informazioni relative ai propri stili di vita, 138 (47.8% maschi, età media 22.5 ± 2.9, IMC medio 21.6 ± 7.7) hanno anche consegnato un campione di feci e sono stati inclusi nell’indagine. Firmicutes e Bacteroidetes sono risultati i phyla maggiormente rappresentati nei campioni esaminati. Una maggiore concentrazione relativa di Firmicutes è stata rilevata nei soggetti in sovrappeso/obesi, in quelli moderatamente attivi, in coloro che dichiaravano una maggiore aderenza alla dieta mediterranea e nei fumatori.
CONCLUSIONI
I risultati finora esaminati risultano parzialmente in linea con altri studi e suggeriscono la necessità di ulteriori approfondimenti, in particolar modo per quanto concerne il possibile ruolo di alcune categorie di alimenti, del fumo di tabacco e dei livelli di attività fisica nel determinare la composizione del microbiota intestinale.
Abstract
INTRODUZIONE
The recruitment of a large sample size is often a major obstacle encountered by researchers when working on experimental studies. While fully aware of the benefit of medical research, health-care workers (HCWs) are often overwhelmed by their duties and may view the request to participate in a study as an avoidable nuisance.
The aim of our study was to investigate the success of different strategies used for the recruitment of participants in a cohort study investigating the effectiveness of the 2018-2019 influenza vaccine among HCWs.
MATERIALI E METODI
The potential study participants were 4070 HCWs of a major public research and teaching hospital in the city of Milan. A total of twelve researchers were involved in the recruitment of HCWs for a cohort study investigating the effectiveness of the influenza vaccine. The population was approached using several recruitment strategies including: passive information provision within hospital wards, spread-the-word effect, active one-on-one, and active group recruitment. HCWs were also approached at differing times during the workday to understand whether timing affected recruitment success rates.
RISULTATI
A successful recruitment of 2207 HCWs (54.2%) was achieved using the various strategies outlined. Passive recruitment strategies and spread-the-word effect accounted for 19% of all successfully recruited HCWs. The remaining HCWs were recruited with the use of active strategies, namely one-on-one (51.5%) and group recruitment during CME update courses (29.5%). Timing was found to be an essential factor in the recruitment process, with HCWs responding positively to recruitment during mid-morning breaks and lunch (off-duty) as well as in group recruitment settings, in particular, CME update courses.
CONCLUSIONI
An active recruitment approach involving face-to-face communication is unsurprisingly more effective than a passive approach relying solely on the HCWs will to participate in the study and spread-the-word to colleagues. Moreover, the off-duty setting appears to be the best time for successful recruitment of HCWs.
Abstract
INTRODUZIONE
L’uso del Framingham Risk Score (FRS) permette di stratificare i soggetti in 3 categorie sulla base della probabilità di sviluppare eventi CV a 10 anni: 1) basso rischio (FRS < 10%); 2) rischio intermedio (FRS 10%-19%); 3) alto rischio (FRS > 20%). Un’ampia meta-analisi condotta sui dati di 24.955 uomini e 23.339 donne (Ankle Brachial Index Collaboration) ha dimostrato che l’Indice Caviglia-Braccio (ABI) in aggiunta al FRS riclassifica i soggetti di sesso femminile con maggiore accuratezza e ne modifica le indicazioni al trattamento preventivo. Obiettivo di questa analisi è valutare la costo-efficacia dell’utilizzo dell’ABI nella prevenzione primaria.
MATERIALI E METODI
Un modello analitico decisionale è stato sviluppato per simulare il rischio CV dei soggetti di sesso femminile asintomatici, stratificati nelle 3 categorie (basso, intermedio e alto). Il modello confronta l’intervento di prevenzione primaria (trattamento dei soggetti a rischio intermedio e alto) sulla base della classificazione con FRS da solo o in associazione all’ABI. Gli eventi CV simulati sono stati: infarto del miocardio, stroke emorragico ed ischemico, angina e morte cardiovascolare. Le analisi sono state condotte su un orizzonte temporale di 10 anni e lifetime usando il punto di vista del SSN Italiano. Il modello valutava la costo-efficacia delle due strategie di classificazione del rischio CV generando un rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER) espresso in € per QALY guadagnato.
RISULTATI
L’uso del FRS in associazione all’ABI determinava una riclassificazione a rischi più elevati nel 7% della popolazione femminile, con un relativo aumento di costi per paziente (€ 3.373 vs € 3.198) ma anche una maggiore efficacia (8.683 vs 8.689 QALY) su un orizzonte temporale di 10 anni. L’ICER prodotto da tale confronto era di € 47.065 per QALY, che diminuiva a € 4.756 per QALY con orizzonte temporale lifetime. Utilizzando come cut-off di rischio CV anche valori di ABI compresi fra 0.9 e 1.10, la riclassificazione coinvolgeva il 35% della popolazione producendo un ICER di €28.688 per QALY a 10 anni. Nell’analisi di sensibilità probabilistica, l’associazione FRS con ABI risultava l’opzione costo-efficace nel 50% dei casi con ABI < 0.9 e nell’ 80% dei casi con ABI compreso fra 0.9 e 1.10, assumendo una soglia di accettabilità a pagare di € 50.000 per QALY.
CONCLUSIONI
Il nostro studio ha mostrato come la combinazione del FRS con l’ABI sia un approccio di classificazione del rischio CV potenzialmente costo-efficace. Tali informazioni possono essere di grande aiuto per i decisori sanitari circa gli interventi da implementare per la valutazione e prevenzione del rischio CV in Italia.
Abstract
INTRODUZIONE
Nell’ultimo decennio lo sviluppo e la diffusione delle scienze omiche sono stati notevoli, modificando il classico approccio medico nel processo di prevenzione, diagnosi e cura, che si dirige sempre più verso quella che viene definita medicina personalizzata. Tuttavia, affinché l’implementazione delle conoscenze omiche sia possibile, è prioritaria l’educazione di professionisti, decisori politici, leader e cittadini. Pertanto, in accordo con quanto esplicitato nelle “Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica” del 2013, e nel “Piano nazionale per l’innovazione del sistema sanitario basato sulle scienze omiche” del 2017, il tema della literacy, sia dei cittadini sia dei professionisti sanitari, è di notevole rilevanza.
MATERIALI E METODI
Nell’ambito del progetto CCM 2018, dal titolo “Capacity building e cittadinomica: azioni innovative per la literacy di professionisti sanitari e cittadini nell’era delle scienze omiche”, è stata realizzata una revisione sistematica della letteratura su attitudini, conoscenze e bisogni formativi dei cittadini, italiani e non, nel settore delle scienze omiche. Gli articoli di interesse sono stati ricercati in maniera indipendente da tre ricercatori sui motori di ricerca Pubmed, Embase e Web of Knowledge, in accordo con la checklist PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses). Infine, è stata effettuata anche una ricerca manuale dei riferimenti bibliografici degli articoli trovati.
RISULTATI
Il numero totale di articoli inclusi è pari a 55. La revisione condotta ha evidenziato una importante eterogeneità dei campi di applicazione/interesse legati alle scienze omiche. La maggior parte dei lavori, infatti, si focalizza sull’uso dei test genetici, su suscettibilità genetica e malattie complesse, nonché sull’applicazione delle scienze omiche nella pratica clinica. I risultati dell’analisi mostrano un livello variabile di conoscenze, in ambito omico, dei cittadini/pazienti. Emerge, inoltre, un atteggiamento contrastante nella popolazione generale relativamente a potenziali rischi/benefici dell’uso delle scienze omiche. Esigui sono gli studi che hanno analizzato i reali bisogni formativi dei cittadini in questo settore, evidenziando la necessità di una maggiore literacy degli stessi.
CONCLUSIONI
Il tema investigato è di notevole attualità ed avrà un ruolo ancor più importante nel futuro prossimo, tuttavia risulta ancora scarsamente indagato. L’implementazione delle scienze omiche avrà notevole impatto sui Sistemi Sanitari, anche sul piano economico. Risulta, pertanto, di cruciale importanza lavorare sulla alfabetizzazione in campo genetico/omico dei cittadini/pazienti e delle loro famiglie. Risulta, inoltre, necessario identificare ed implementare strumenti di conoscenza efficace nel tema delle scienze “omiche” fruibile dai cittadini, in un’ottica di empowerment positivo degli stessi.
Abstract
INTRODUZIONE
Ogni anno il 20% circa degli operatori sanitari (OS) contrae l’influenza, continuando a lavorare e favorendo la diffusione dei virus influenzali nei reparti. La copertura media della vaccinazione antinfluenzale tra gli OS italiani si attesta attorno al 22%.
Alla base del rifiuto vaccinale degli OS vi sono principalmente le scarse conoscenze, attitudini e percezioni in merito all’efficacia e alla sicurezza della vaccinazione antinfluenzale.
In questo studio è stato analizzato il trend della copertura vaccinale contro l’influenza durante le ultime 12 stagioni negli OS dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico (AOUP) di Palermo, valutando l’impatto delle strategie comunicative e informative adottate nelle ultime quattro stagioni vaccinali, con lo scopo di implementare la fiducia nella vaccinazione e aumentare l’aderenza alla stessa.
METODI
Prima e durante le ultime quattro campagne di vaccinazione antinfluenzale stagionale, diverse iniziative sono state organizzate e condotte dagli medici in formazione specialistica in Igiene e Sanità pubblica dell’Università di Palermo: pagine web e di social media dedicate, campagne social “ad hoc” (#proteggitixproteggermi) vaccinazioni “in situ” nei reparti, corsi multidisciplinari per i dipendenti delle unità operative di degenza in cui soggiornano i pazienti più critici.
È stato, inoltre, predisposto sull’area riservata del portale aziendale un modulo, la cui mancata compilazione impediva la piena funzionalità dell’intranet, dove si doveva esprimere il dissenso informato e le motivazioni del rifiuto della vaccinazione antinfluenzale.
RISULTATI
La copertura vaccinale è passata da un valore medio del 5% (stagioni 2010/2011-2014/2015), al 37% nella stagione influenzale 2018/2019 (chi-square for trend: 857, p < 0.001).
Inoltre è significativamente diminuita l’età media dei vaccinati passando da 48,1 (DS ± 15,7) nella stagione 2013/2014, a 35,9 (± 14,6) nel 2018/2019.
In particolare, è aumentata la prevalenza di OS vaccinati tra i medici in formazione specialistica operanti presso l’AOUP.
La paura di eventuali reazioni avverse (33%) e una mancata percezione del rischio di diffondere la patologia ai pazienti (31%) sono i motivi principali del rifiuto vaccinale.
CONCLUSIONI
Tra le diverse strategie per aumentare l’adesione alla pratica vaccinale tra gli OS (formazione, obbligo, premialità, ecc) la comunicazione attraverso metodi web-based o social-based si è dimostrata un valido ed efficace strumento integrativo per aumentare le coperture tra gli OS più giovani.
Tuttavia, la copertura vaccinale totale rimane ben al di sotto del 75% raccomandato dalle autorità internazionali di sanità pubblica. In futuro, sarà necessario affiancare a tali strategie comunicative, politiche di vaccinazione obbligatoria, specialmente per gli OS dei reparti a rischio, per aumentare le coperture vaccinali negli stessi.
Abstract
INTRODUZIONE
Numerosi studi in diversi Paesi e contesti suggeriscono che le ospedalizzazioni imputabili a condizioni “ambulatory care sensitive” (ACS), ovvero sensibili alla presa in carico ambulatoriale, potrebbero essere associate più a variabili socioeconomiche che alla qualità dei servizi delle cure primarie. Lo scopo di questo studio è perciò analizzare i possibili collegamenti fra i livelli d’istruzione, unitamente ad altri determinanti demografici, ed il tasso di ricoveri correlati a condizioni ACS.
METODI
Sono state analizzate in totale 467.504 schede di dimissione ospedaliera post ricovero per acuti risalenti al periodo 2015-2016, di pazienti nella fascia di età 20-74 anni residenti nella Regione Veneto. Sono stati inoltre calcolati i tassi di ricovero, stratificati per sesso, età e livello di istruzione, per patologie ACS derivate dagli Indicatori di Qualità della Prevenzione (Prevention Quality Indicators, PQI), sviluppati dall’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ) statunitense. È stata condotta un’analisi multivariata utilizzando la regressione di Poisson.
RISULTATI
I ricoveri imputabili a condizioni ACS ammontavano al 3,9% di tutte le ammissioni ospedaliere (18.436 schede di dimissione) ed il tasso grezzo di ricovero per condizioni ACS entro la fascia di età 20-74 anni era 26,6 per 10˙000 individui residenti (IC 95%, 25,8-27,4). Il rischio di ricoveri per scompenso cardiaco, angina, BPCO, polmonite batterica, appendicite perforata ed infezioni del tratto urinario è risultato significativamente più alto fra i meno istruiti, aggiustando per sesso e età.
CONCLUSIONI
I dati amministrativi attualmente disponibili possono rivelarsi un utile strumento per far affiorare problematiche riguardanti l’equità della distribuzione della salute nella popolazione. I risultati di questo studio, inoltre, indicano come il livello d’istruzione sia un importante fattore utile alla stratificazione del rischio nei pazienti presi in carico dai servizi di cure primarie.
Abstract
BACKGROUND
Health Literacy-HL is an important determinant to improve and maintain health and quality of life during life course. HL implies people’s knowledge, motivation, competencies to access, understand, appraise, apply information to make judgements and decisions in everyday life concerning healthcare, disease prevention, health promotion. Thanks to Ministry of Health funds, Italy joined the WHO Action Network on Measuring Population and Organizational Health Literacy-M-POHL for collecting comparable data on HL in order to measure and promote citizens’ HL among MS.
OBJECTIVE
The HLS-EU-Q16 questionnaire was administered to a sample of adult population during the Health Examination Survey-HES of the CUORE Project started in 2018, to verify and evaluate the feasibility of the HL survey.
METHODS
One hundred people aged 35-74 years, resident in Reggio Calabria (South of Italy), were interviewed (face-to-face) following consecutive access to the HES. The 4 Likert-type responses were grouped in 2 classes: 0 (zero) for fairly difficult/very difficult and 1 for fairly easy/very easy. According to the HLS-EU-Q16 sum score (range: 0-16), three levels of HL were defined: inadequate (0-8), problematic (9-12), sufficient (13-16). Socio-demographics conditions, lifestyles, risk factors were measured and collected. HL mean score and standard deviation-SD were elaborated together with prevalence of the three HL levels. Socio-demographics conditions, lifestyles, risk factors were measured during the HES.
RESULTS
HL mean score of 98 completed questionnaires (47 men, 51 women) was 13.0 (SD = 3.5), with no sex difference; prevalence of persons with inadequate HL was 11.2%, problematic 26.5%, sufficient 62.3%. Sufficient HL level presents the highest prevalence (72%) of high educational level. Smoking habit decreases as HL level increases.
CONCLUSIONS
The HLS-EU-Q16 questionnaire represents a standardised tool applicable in the general population. Preliminary results from the Italian pilot of the HLS-EU-Q16 suggest that the survey is feasible within the HES of the CUORE Project, with the opportunity to link HL data with HES measured data. In Italy, for the implementation of the HL survey in the general population, the use of the face-to-face questionnaire guarantees higher reliability in comparison to telephonic and web based interviews, despite higher time and cost consuming. More than one third of interviewed adult population have inadequate/problematic HL.
Abstract
INTRODUZIONE
Nella formazione infermieristica l’acquisizione di un ruolo attivo è particolarmente importante ai fini della acquisizione della capacità di erogare le cure. La motivazione positiva verso il proprio lavoro, con l’assunzione un ruolo attivo al letto del paziente e lo sviluppo di attitudini alla collaborazione sono importanti ai fini del risultato educativo. Il modello per l’analisi dello stress lavoro-correlato di Karasek comprende l’ipotesi che i soggetti attivi (cioè nei quali una elevata richiesta psicosociale dal compito di lavoro si associa con un alto controllo del lavoro e capacità elevate) siano efficaci nel lavoro, ma questa ipotesi non è stata mai testata sugli allievi infermieri.
Questo studio vuole verificare se gli studenti con alto livello di “control” riportino un minor livello di compromissione delle capacità lavorative rispetto agli studenti con basso “control”, anche in presenza di elevato “demand”, e vuole testare il ruolo del sostegno sociale come fattore moderatore.
METODI
633 studenti dei corsi di laurea per infermiere di tre università e 160 infermieri hanno compilato il Demand-Control-Support questionnaire (DCS) basato sul modello di Karasek, ed il Nursing Work Functioning Questionnaire (NWFQ), uno strumento specifico per la valutazione della capacità lavorativa dell’infermiere, nella versione italiana adattata per gli allievi infermieri.
RISULTATI
Come atteso, gli studenti hanno mediamente una capacità lavorativa inferiore rispetto agli infermieri. Gli studenti attivi (alto demand e alto control) e quelli non stressati (basso demand, alto control) hanno una bassa probabilità di registrare una compromissione della capacità lavorativa, ed hanno punteggi medi del NWFQ più alti rispetto a quelli passivi (basso demand, basso control) o stressati (alto demand, basso control). Il sostegno sociale (support) modera l’associazione tra la condizione di attività o di strain e la capacità lavorativa.
CONCLUSIONI
Per migliorare il rendimento scolastico degli studenti dei corsi di laurea per infermiere bisogna non solo combattere lo strain e l’isolamento, ma anche promuovere l’apprendimento attivo, con interventi di sostegno degli studenti che aumentino il controllo sulle attività lavorative, il lavoro di gruppo e il sostegno da parte dei docenti.
Abstract
INTRODUZIONE
Dati recenti evidenziano che il 55% della popolazione usa internet per cercare informazioni sulla salute e il 77% lo ritiene uno strumento utile per migliorare le proprie conoscenze in tali argomenti. Da sottolineare inoltre il notevole aumento nell’utilizzo del web da parte delle donne che sono passate dal 43% nel 2011 al 74% nel 2016.
In tale contesto, l’indagine “SEI Donna” (Salute E Internet per la Donna) si propone di indagare conoscenze, percezioni e modalità di utilizzo del web nell’ambito di varie tematiche inerenti la salute della donna nell’arco della vita.
MATERIALI E METODI
Uno studio multicentrico di tipo trasversale è stato condotto su un campione di donne italiane reclutate, tra marzo e giugno 2019, attraverso un questionario online.
RISULTATI
Sono stati raccolti 6.920 questionari. Il campione è costituito da donne con età media di 34 ± 13 anni, la maggior parte residente al Nord Italia (64%), il 56% sposate o conviventi, il 37% con figli, il 50% laureate e il 43% che studiano o lavorano in ambito sanitario.
Un terzo delle donne circa (33%) segue gruppi social sulla salute. Il 68% delle donne cerca informazioni sulla fertilità e la contraccezione, il 34% sul parto, il 38% sul neonato e il 24% sulla menopausa. Il 31% del campione ha comprato prodotti per la salute online.
La maggior parte delle donne (92%) crede nelle informazioni riportate dal medico specialista, meno nelle informazioni riportate dal medico di famiglia (78%). L’80% ripone fiducia nei siti istituzionali. Poche donne si fidano dei social media (4%) e dei siti non istituzionali (13%). Tuttavia, più di un terzo (34%) ritiene che le informazioni ricavate dal web migliorino la propria salute e influenzino le loro scelte.
Interessante notare che il 52% cerca online una seconda opinione in seguito a una visita medica. Il motivo principale è la necessità di approfondimento (67%) e tuttavia non è trascurabile la percentuale di coloro che ritengono che le informazioni ricevute non siano esaustive (19%). Il 30% del campione non si ritiene in grado di valutare l’affidabilità di un sito.
CONCLUSIONI
I risultati confermano il largo utilizzo del web come strumento per cercare informazioni sulla salute e per avere una seconda opinione. In un’ottica di comunicazione in sanità pubblica, il fatto che più di un terzo delle donne ritenga che il web migliori la propria salute e influenzi le loro abitudini è meritevole di attenzione.
Abstract
INTRODUZIONE
L’uso smodato di Internet è un problema crescente nelle società moderne. La dipendenza da Internet (Internet Addiction - IA) può essere definita come una dipendenza comportamentale tra uomo e tecnologia informatica. Lo scopo dello studio era identificare l’IA tra gli studenti infermieri dell’Università di Palermo tramite Internet Addiction Test (IAT). È un disturbo legato ad utilizzo intensivo e ossessivo di internet in tutte le sue forme, dalla navigazione sui social, alla visualizzazione di filmati, al gioco online.
Il termine è stato coniato dal medico Ivan Goldberg nel 1995, il quale aveva per primo diffuso in rete un questionario diagnostico a scopo inizialmente provocatorio. Nonostante l’intenzione puramente ironica del questionario diagnostico, la sua diffusione ha subito riscontrato forte interesse tra gli utenti e acceso discussioni tra i clinici, che si sono confrontati nell’avvalorare o nel contestare la teoria dell’esistenza della nuova psicopatologia del millennio.
MATERIALI E METODI
Lo studio di tipo trasversale è stato condotto nell’aprile 2019. È stato somministrato un questionario agli studenti infermieri che frequentano quotidianamente le lezioni.
Il questionario era suddiviso in due sezioni: la prima volta ad esaminare le informazioni socio-demografiche, l’anno di studio, la percezione dello stato economico e di salute. Nella seconda sezione del questionario è stato somministrato l’internet addiction test, creato dalla Dottoressa Kimberly Young; l’IA consente brevemente ed efficacemente di diagnosticare sul nascere questo disturbo. Consiste in 20 domande, ognuna delle quali ha 5 possibili risposte: a) mai; b) raramente; c) ogni tanto; d) spesso; e) sempre. È stato utilizzato un modello di regressione logistica multivariabile e sono stati presentati gli Odds ratio aggiustati (aOR).
RISULTATI
Il campione consiste di 413 studenti infermieri. L’età media del campione è 22,04 anni (± 4,33), il 67,55% degli intervistati sono donne, il 100% è nato in Italia, il 65,62% è single. Il rischio di avere problemi dovuti all’utilizzo di Internet è significativamente associato alle seguenti variabili indipendenti: genere maschile (aOR 1,77, IC 95% 0,89-3,52,); essere single (aOR 3.14, IC 95% 1.31-7.55); terzo anno di studio (aOR 2,99, IC 95% 1,27-7,05); essere studenti fuori sede (aOR 2,80, IC 95% 1,07-7,36); basso stato di salute percepito (AOR 3.19, IC 95% 1,52-6,67).
CONCLUSIONI
La dipendenza da internet, è confermata come un problema emergente tra la popolazione giovane della nostra regione, la Sicilia. Risulta dunque una minaccia potenziale per la salute degli studenti del corso di laurea in scienze infermieristiche.
Abstract
INTRODUZIONE
Nelle Aziende Sanitarie Universitarie i medici in formazione specialistica (MFS) sono coinvolti attivamente nel percorso assistenziale del paziente. Per questo motivo la loro figura professionale e le loro specifiche competenze devono essere adeguatamente condivise dal team di lavoro. Un questionario è stato somministrato ai MFS e al personale medico-infermieristico (HCW) dell’ASUIUD al fine di indagare la percezione sul ruolo dei MFS all’interno della struttura.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra febbraio e marzo 2019 un questionario è stato distribuito, sia in formato cartaceo che online, a HCW e MFS dell’ASUIUD. Il questionario era composto da 27 domande (scala Likert: 1-totale disaccordo, 5-totale accordo) suddivise in 5 aree: rispetto della sicurezza e della privacy dei pazienti, qualità del servizio sanitario, gestione del rischio clinico, ruolo all’interno del team, soddisfazione riguardo alla pianificazione delle attività di reparto. Professione e genere sono state prese in considerazione come variabili indipendenti. L’analisi descrittiva, le mediane, i range interquartili [M(IQR)] e le regressioni logistiche sono state condotti tramite software EpiInfo e Stata.
RISULTATI
Sono stati raccolti 263 questionari (153/785 [19.5%] HCW, 110/358 [30.7%] MFS). L’analisi dei dati ha evidenziato una differenza significativa di percezione delle attività tra le due categorie considerate per quanto riguarda: impatto positivo dei MFS sulla qualità dell’assistenza: MFS = 5(5-5), HCW = 4(3-5), OR = 6.92 [95%CI, 3.89-12.29]; completezza delle informazioni fornite ai pazienti: MFS = 4(4-5), HCW = 4(3-4), OR = 3.80 [95%CI, 2.30-6.28]; scetticismo del paziente nei confronti delle competenze dei MFS: MFS = 4(4-4), HCW = 3(2-4), OR = 5.37 [95%CI, 3.24-8.89]. Significativa è anche la differenza concernente il livello di integrazione dei MFS all’interno dell’équipe: MFS = 5(4-5), HCW = 5(4-5), OR = 0.40 [95%CI, 0.30-0.81]. Viceversa non vi è differenza di opinione tra MFS e HCW (p > 0.4) riguardo la difficoltà del paziente a distinguere gli MFS all’interno del reparto: M = 3(2-4). Non sono emerse associazioni significative in base al genere.
CONCLUSIONI
Dalle analisi è emerso che il medico in formazione specialistica ritiene di aumentare la qualità dell’assistenza e di fornire informazioni esaustive al paziente, opinione parzialmente condivisa dagli HCW. Viceversa i MFS percepiscono sfiducia nei loro confronti da parte del paziente sebbene questa percezione non sia confermata dagli HCW. Allo stesso modo una percentuale rilevante di MFS non si sente parte integrante dell’équipe nonostante l’opinione di entrambi i gruppi sia complessivamente positiva. Infine, i due gruppi sono concordi nel sostenere che sussista difficoltà da parte del paziente nel distinguere il medico in formazione specialistica dalle altre figure lavorative del reparto.
Abstract
INTRODUCTION
Immunization is among the most successful and cost-effective public health measures. However, nowadays there is still quite unawareness and a heated public debate surrounding vaccination. Over the last years, vaccination opponents have gained increasingly popularity on the web disseminating misinformation that negatively affected health policies. The “VaccinarSì” project was launched in May 2013 by the Società Italiana di Igiena (SItI). It is a web portal created in order to spread scientific information about vaccination through several supports (scientific articles, paper-based tools, videos and newsletters). The main objective of our study was to characterize the portal connections to get an overview of the “VaccinarSì” website popularity. We also aimed at identifying potential indicators to better assess its effectiveness as a public health tool.
METHODS
Using the Google Analytics dataset, we investigated the qualitative and quantitative characteristics of the connections to the “VaccinarSì” website from May 2013 to May 2019. Descriptive analysis of the connections to the national VaccinarSì portal and of the regional portals were made. The demographic indications were obtained through heuristic investigations based on data extrapolated from Google Analytics since November 2015.
RESULTS
The web portal provides over one hundred webpages about different topics concerning vaccination. The visibility of the website is clear: it is on top position among organic Google search results when using the keyword “VaccinarSì”. In 2019, about 70.000 visits per month have been registered and over 1000 locations accessed to the portal showing a satisfying geographical diffusion. The mean duration of each session on the website is 1 min 18 sec (quite shorter compared to the mean duration in 2013: 2 min 41 sec), mean pages visited for each session fell from 2.93 to 1.67 with a bounce rate over 80%. Amongst the users, 72% are women aged between 25 to 44 years and the website is mostly visited during work hours. Most of the accesses to the portal are performed directly to a specific webpage achieved by Google (52%) and only 3% of visitors access it through social media.
DISCUSSION
Connections data related to “VaccinarSì” website are encouraging. However, some quantitative parameters suggest that briefer articles and more interactive tools might improve the website availability, thus making it more appealing and user-friendly also for general population. Finally, it seems important to enhance the presence on social platforms to further disseminate on the web science-based information and disprove fake news about vaccination.
Abstract
INTRODUZIONE
Uno dei fenomeni sociali più diffusamente discussi oggigiorno è quello del bullismo, comportamento intenzionale di tipo violento e vessatorio nei confronti di soggetti incapaci di difendersi. Tale problematica si correla in maniera interdipendente con i livelli di autostima dei giovanissimi che, a loro volta, hanno ricadute sugli outcomes di benessere e qualità della vita in età evolutiva.
Scopo del presente studio è quindi indagare i nessi esistenti tra livelli di autostima e bullismo.
MATERIALI E METODI
Il Test di valutazione Multidimensionale dell’Autostima (TMA, Bracken), finalizzato alla rilevazione dell’autostima in età evolutiva, è stato somministrato a tutti i 426 alunni di una scuola secondaria di primo grado di Milano.
Tale questionario standardizzato consta di 150 items organizzati in sei sottodimensioni (Interpersonale, Competenze, Emotività, Successo scolastico, Vita familiare, Vissuto corporeo).
I punteggi globali e parziali sono stati correlati con variabili di interesse quali l’essere vittima o perpetratore di bullismo o cyberbullismo ed il tempo trascorso davanti ad un device elettronico.
RISULTATI
La percentuale di compilazione del questionario è stata del 89,4% (n = 381).
Le vittime di bullismo sono risultate essere il 32,8% degli intervistati (n = 125; M = 33,8%, F = 31,6%). Il 13,6% ha dichiarato di aver subito atti di cyberbullismo (n = 52; M = 13,3%, F = 14,0%).
La percentuale di studenti vittima di cyberbullismo sale al 28,0% tra coloro che hanno subito bullismo e le due condizioni risultano correlate statisticamente (p < 0,01 Mantel-Haenszel).
Il 21,0% (n = 80) ha dichiarato inoltre di essere perpetratore di atti di cyberbullismo, con una significativa differenza di genere (M = 25,2%, F = 15,8%; RR 1,6 IC95% 1,05-2,43) e con maggiore frequenza negli alunni delle classi terze (22,4%) e seconde (27,1%) rispetto alle prime (12,7%).
La vittimizzazione da cyberbullismo risulta essere fattore predisponente alla messa in atto di simili vessazioni (RR = 2,55; IC95% 1,74-3,76).
Il valore di autostima globale tra le vittime di bullismo è significativamente più basso rispetto alle non vittime (87,5 vs 95,4), con ricadute in tutte le sei dimensioni, in particolare Interpersonale ed Emozionale.
Nei ragazzi autori di cyberbullismo si rileva un livello di autostima globale inferiore rispetto ai coetanei non perpetratori (86,7 vs 94,5).
Infine, l’essere vittima di cyberbullismo correla positivamente con il tempo trascorso davanti a devices elettronici (p<0,01 x2).
CONCLUSIONI
Il bullismo può essere considerato una problematica di sanità pubblica. È necessario quindi implementare interventi educativi preventivi quali health promotion e social skills training, nonché sostenendo l’empowerment dell’autostima al fine di formare futuri adolescenti dotati di autoefficacia e resilienza, in un’ottica di “vaccino sociale”.
Abstract
INTRODUZIONE
Il concetto di nutrition literacy (NL) può essere inteso come sottoinsieme del più ampio tema della health literacy e può essere sintetizzato come il possesso da parte delle persone di specifiche conoscenze e competenze utili per favorire la salute nutrizionale. Tramite revisione della letteratura è stato identificato il Nutrition Literacy Assessment tool (NLit), misura altamente specifica per la NL di base e che esamina anche le conoscenze nutrizionali possedute dai soggetti. Lo strumento è stato sviluppato e validato nel contesto statunitense e successivamente modificato per essere usato in contesti culturali diversi, tra cui l’adattamento per soggetti ispanici. Il presente lavoro fa riferimento alla validazione dello strumento per il contesto italiano.
MATERIALI E METODI
La validazione dell’NLit segue una procedura standard in cui si considerano le fasi di seguito elencate: -traduzione e retrotraduzione; -adattamento degli item; -valutazione inter-giudice; -somministrazione. In particolare, l’adattamento culturale degli item permette di sostituire alimenti e piatti lontani dal nostro contesto culturale, con pietanze caratteristiche della nostra dieta.
RISULTATI
Lo strumento adattato al contesto italiano mantiene le caratteristiche della versione originale, contando 64 item suddivisi in sei domini: 1. Nutrizione e salute; 2. Alimenti come fonte di energia; 3. Misurare con le porzioni casalinghe; 4. Etichetta alimentare e numeracy; 5. I gruppi degli alimenti; 6. Competenze del consumatore. Sono state apportate modifiche a ciascun item dei domini 3 e 4 per garantirne l’adattamento e lo stesso vale per il dominio “Competenze del consumatore” (eccetto per l’item 6). Per quanto riguarda i domini 2 e 5 sono state apportate nel complesso modifiche a 8 item. Il dominio 1 non è stato adattato, tenendo conto del carattere generico delle raccomandazioni sulla dieta adeguata costituenti la sezione dello strumento. La fase di somministrazione avverrà in un campione di convenienza costituito da pazienti ambulatoriali affetti da Diabete di tipo 2 non in terapia insulinica, in buon controllo glicemico, afferenti a servizio di Diabetologia della AOU Careggi.
CONCLUSIONI
Programmi e interventi volti a migliorare la NL hanno un grande potenziale in termini di efficacia della promozione della salute in ambito nutrizionale. Considerando questa prospettiva, il primo passo è rappresentato dalla possibilità di misurare l’alfabetizzazione nutrizionale attraverso la validazione di strumenti ad hoc. La messa a punto di tale strumento metterà a disposizione ricercatori e professionisti un tool valido per la misurazione delle conoscenze e competenze in nutrizione possedute dalle persone.
Abstract
BACKGROUND
Bioactive food compounds can affect global DNA methylation, which in turn is negatively associated with chromosomal instability and genome function. Since diet is characterized by a mixture of foods, we aimed to identify dietary patterns in women, and to evaluate their effect on Long Interspersed Nuclear Elements (LINE-1) methylation, a surrogate marker of global DNA methylation.
METHODS
We conducted a cross-sectional study of 349 women from Southern Italy, with no history of severe diseases. Dietary patterns were derived by Food Frequency Questionnaire and Principal Component Analysis. LINE-1 methylation of leukocyte DNA was assessed by pyrosequencing.
RESULTS
We observed that intake of wholemeal bread, cereals, olive oil, eggs, fish, fruit, vegetables, legumes, soup, potatoes, fries, rice, pasta and pizza positively correlated with LINE-1 methylation. By contrast, butter and margarine, vegetable oil, dipping sauces, and coffee negatively correlated with LINE-1 methylation. Next, we demonstrated that adherence to the prudent dietary pattern – characterized by high intake of potatoes, cooked and raw vegetables, legumes, soup and fish – was positively associated with LINE-1 methylation. Particularly, women in the 3rd tertile exhibited higher LINE-1 methylation level than those in the 1st tertile (median = 66.7% 5mC; IQR = 4.67% 5mC vs median = 63.1% 5mC; IQR = 12.3% 5mC; p < 0.001). Linear regression confirmed that women in the 3rd tertile had higher LINE-1 methylation that those in the 1st tertile (β = 1.765; SE = 0.728; p = 0.016), after adjusting for age, educational level, use of folic acid supplement and total energy intake. By contrast, no differences in LINE-1 methylation across tertiles of adherence to the western dietary pattern were evident.
CONCLUSIONS
Our study demonstrated a remarkable link between diet and DNA methylation, suggesting LINE-1 methylation as a molecular mechanisms underpinning the protective effect of prudent dietary pattern in healthy women.
Abstract
INTRODUCTION
The Mediterranean diet (MD) is considered one of the healthiest diets worldwide, since it has been shown to reduce the risk of many chronic conditions including cardiovascular disease, cancer and obesity. Despite this evidence, a global shifting from the MD was documented - especially in the Mediterranean region - as a consequence of the economic crisis and the phenomenon of westernization. Here, we evaluated the adherence to MD and its major social and behavioural determinants in a large sample of Italian women from Catania, Italy.
MATERIALS AND METHODS
This cross-sectional analysis included 841 women, aged 25-64 years, with no history of severe diseases. Adherence to MD was assessed by Food Frequency Questionnaire and the Mediterranean Diet score (MDS) based on 9 components. Associations of social (i.e. educational level, employment and marital status, and parity) and behavioral (i.e. smoking habit, physical activity, and BMI) determinants with adherence to MD and its components were tested by multivariable logistic regression analysis and expressed as Odds ratio (OR) with 95% Confidence Interval (CI).
RESULTS
According to MDS (mean = 4.2; range = 0-8), we identified 33.8% of women with low adherence to MD (MDS ≤ 3), 56.8% with medium adherence (3 < MDS < 7), and 9.4% with high adherence (MDS ≥ 7). Among social characteristics, medium and high educational levels were associated with ideal intake of alcohol (OR = 4.059; 95%CI = 1.311-12.570; p = 0.015; OR = 4.258 95%CI = 1.068-16.976; p = 0.040; respectively), living in couple with ideal intake of cereals (OR = 2.801 95%CI = 1.188-6.602; p = 0.018), and having children with ideal intake of fruits (OR = 3.149; 95%CI = 1.245-7.762; p = 0.015). With respect to behaviors, no smoking was associated with ideal intake of meat (OR = 2.227 95%CI = 1.091-4.548; p = 0.028) and dairy products (OR = 2.205 95%CI = 1.110-4.379; p = 0.020), while high physical activity was associated with ideal intake of vegetables (OR = 6.148; 95%CI = 1.506-25.104; p = 0.011) and legumes (OR = 5.832; 95%CI = 1.414-24.063; p = 0.015). Particularly, moderately or highly physically active women were more likely to show medium or high adherence to MD than those who performed less physical activity (OR = 6.024 95%CI = 1.192-30.440; p = 0.040; OR = 9.965 95%CI = 1.683-58.993; p = 0.011; respectively).
CONCLUSIONS
Our study demonstrated that several social factors and behaviors were closely associated with adherence to MD. These findings are important to understand the global shifting from the MD and to develop public health strategies for reducing health inequalities in the Mediterranean region and for health promotion.
Abstract
BACKGROUND
Health literacy (HL) is identified as one of the determinants, mediators or moderators of health and of utilization and outcomes of health care services. An inadequate level of HL correlates with patient disengagement, inappropriateness of care, increased health care costs, and higher mortality rates. Few previous data show that over 50% of Italians have a problematic or inadequate level of HL. As compared with the European Countries, Italy has peculiar characteristics of socio-demographic determinants of HL levels, which constitute a challenge for policy making. In so far HL has not been a strategic priority for the Italian National Health Service.
MATERIALS AND METHODS
The Italian National Institute of Health (Istituto Superiore di Sanità – ISS) and Ministry of Health (MoH) are promoting a national program on HL, by participating to the WHO action network on measuring population and organizational health literacy (M-POHL). Main objective of ISS and MoH engagement is the proposal of policies that could enable all citizens to share the benefits of improved HL. A national population survey, coordinated at European level and carried out by each participating country, is planned for next Autumn.
RESULTS
In 2018 a pilot survey using the HLS-EU-Q16 questionnaire was administered to 100 adults in Reggio Calabria during the Health Examination Survey of the CUORE Project. The questionnaire has now been extended to 47 specific questions about HL and 32 about lifestyles and demographic characteristics. Results will be analysed in order to define a strategy for the implementation of actions for the improvement of HL in the Italian population in the next National Prevention Plan. The national survey will be periodically scheduled and conducted to monitor results. Policies about HL will be implemented at individual, community, organization and system level. A national steering committee of experts is working for the support of all HL policy initiatives.
CONCLUSIONS
As inadequate HL is a prevailing problem in Italy, the participation of Italy to M-POHL is strategic in order to set actions for HL improvement. Routinely examination and monitoring of HL levels in the future could help to define specific action plans for improvement, in order to avoid inequalities and waste in the access to health services. The comparison with existing policies in other countries participating to the M-POHL will be an important future step to develop HL policies and related activities to benefit citizens, patients and communities in general.
Abstract
INTRODUZIONE
L’autostima è uno dei fattori maggiormente capaci di definire il successo nei percorsi di sviluppo del sé di un soggetto, quali autorealizzazione, autocontrollo, fiducia in sé stessi, autoregolazione e autogratificazione.
Una bassa autostima può riflettersi nella genesi di alcuni disturbi dell’infanzia, preadolescenza e adolescenza, nonché adozione di comportamenti associati a risk-taking.
Fattore di potenziale impatto negativo sull’autostima dei giovanissimi è il perpetrarsi di un clima percepito come discriminatorio su base etnica, religiosa o culturale.
Scopo del presente studio è correlare la nazionalità dei genitori con l’autostima e altre variabili di interesse.
MATERIALI E METODI
Il Test di valutazione Multidimensionale dell’Autostima (TMA, Bracken), questionario standardizzato finalizzato alla rilevazione dell’autostima in età evolutiva, è stato somministrato a tutti gli alunni di una scuola secondaria di primo grado di Milano. Consta di 150 items organizzati in sei sottodimensioni: Interpersonale, Competenze, Emotività, Successo scolastico, Vita familiare, Vissuto corporeo.
È stato inoltre chiesto agli intervistati di indicare il proprio sesso, nazionalità dei genitori, fallimenti scolastici e l’eventuale coinvolgimento in attività quali fumo di sigaretta o essere stato vittima o perpetratore di bullismo.
RISULTATI
Sono stati raccolti 381 questionari sui 426 alunni totali (89.4%; M = 55%, F = 45%).
Gli studenti aventi entrambi i genitori stranieri rappresentano il 48% del campione, quelli con un solo genitore italiano il 10.5%, mentre il 41.2% è rappresentato da ragazzi con entrambi i genitori italiani.
Il valore di autostima globale è molto maggiore nei minori con entrambi i genitori italiani (96.9; M = 97.8, F = 95.7) se confrontato con gli alunni con un solo genitore italiano (91.3; M = 94.0, F = 89.8) e con i figli di genitori entrambi non italiani per i quali lo score globale scende a 89.6 (M = 88.7, F = 90.3) (ANOVA p < 0.01). Le scale nelle quali si evidenziano maggiori differenze nei tre sottogruppi sono quelle Scolastica e Competenze.
La percentuale di alunni con almeno un genitore straniero che è stata vittima di bullismo risulta maggiore rispetto agli studenti con entrambi i genitori italiani (35.4% vs 29.3%).
L’avere uno o entrambi i genitori di nazionalità non italiana rispetto all’avere entrambi i genitori italiani correla positivamente con le difficoltà scolastiche (RR = 2.27; CI 95% = 1.42-3.56), con la sperimentazione del fumo di sigaretta (RR = 1.99; CI 95% = 1.21-3.28), con l’essere perpetratori di cyberbullismo (RR = 1.94; CI 95% = 1.23-3.57).
CONCLUSIONI
È necessario implementare interventi educativi finalizzati all’aumento dell’autostima nei preadolescenti tramite la creazione di un ambiente scolastico inclusivo per ogni studente, che possa tradursi in ricadute positive anche su risultati scolastici e benessere psicofisico.
Abstract
INTRODUZIONE
L’ultima relazione OMS sullo stato di salute dei Paesi europei ha messo in evidenza un aumento dell’aspettativa di vita e una riduzione della mortalità prematura. D’altro canto, ha segnalato che uno stile di vita errato, oltre al calo della copertura vaccinale, costituiscono un potenziale fattore di rallentamento per il progresso dello stato di salute. Obiettivo del lavoro è valutare la Healthy Life Expectancy (HLE) e la Life Expectancy (LE) negli ultrasessantacinquenni insieme ad alcuni determinanti di salute potenzialmente in grado di influire su questi indicatori.
MATERIALI E METODI
È stata considerata la popolazione ultrasessantacinquenne di 28 Paesi europei, misurando la variazione dell’HLE negli anni 2005 e 2016. Sono stati analizzati dati relativi agli investimenti in politica sanitaria, agli stili di vita ed alle strategie di prevenzione attuate al fine di individuare quelli che modificassero significativamente l’HLE. I dati sono stati estratti da database OCSE, Eurostat e World Bank e analizzati mediante il software statistico-epidemiologico SPSS v.23.
RISULTATI
Tra il 2010 ed il 2016 l’attesa di vita libera da disabilità a 65 anni segue un’evoluzione diversa dall’attesa di vita a 65 anni: mentre quest’ultima aumenta, seppure di poco, in tutti i 28 Paesi dell’Unione Europea sia per maschi che per le femmine, la prima diminuisce o aumenta di meno del 5% in 15 paesi su 28. La HLE a 65 anni, sia maschile che femminile correla con la spesa sanitaria pro-capite del 2016, con gli stili di vita (percentuale di fumatori, quantità di alcool assunta annualmente, percentuale di obesi, percentuale di vaccinati contro l’influenza). Nelle donne a questi elementi si aggiungevano la partecipazione agli screening per il cancro della mammella e della cervice uterina. All’analisi multivariata (regressione lineare stepwise) solo l’obesità rimane associata in maniera statisticamente significativa ad una minore attesa di vita libera da disabilità sia negli uomini (β = -0,812, p < 0,001) che nelle donne (β = -0,775, p < 0,001). In merito alla LE a 65 anni, sia tra gli uomini che tra le donne, l’analisi multivariata mette in evidenza l’associazione con la percentuale di soggetti vaccinati contro l’influenza (β = -0,470, p = 0,005 per le donne e β = -0,554, p < 0,001), oltre che nuovamente con l’obesità (β = -0,948, p < 0,001 per le donne e β = -0,753, p < 0,001).
CONCLUSIONI
Obesità e mancata vaccinazione contro l’influenza sembrano essere i fattori di maggiore rilevanza per l’HLE e la LE a 65 anni in Europa, tanto da rendere opportuno la diffusione di azioni sistematiche a sostegno di interventi di correzione dei fattori di rischio citati.
Abstract
INTRODUZIONE
L’utilizzo di smartphone è un fenomeno in progressivo aumento, che riguarda massivamente adolescenti e giovani adulti. Dal 2014 al 2018, per la fascia d’età 6-10 anni, si è registrato un incremento dal 13% al 20% di utenti che utilizzano il cellulare tutti i giorni (ISTAT).
Obiettivi del progetto sono: indagare la prevalenza e le caratteristiche d’uso degli smartphone nella fascia di età 0-14 anni; realizzare interventi di promozione della salute sul corretto e consapevole utilizzo dello smartphone secondo le linee guida internazionali, aggiornando le linee di indirizzo regionali; potenziare reti multidisciplinari di professionisti di Sanità Pubblica che promuovano in tale ambito l’empowerment dei target di popolazione coinvolti.
MATERIALI E METODI
Sono stati predisposti e validati differenti questionari per i diversi attori (genitori, insegnanti, pediatri, donne in gravidanza) che costituiscono l’environment della popolazione pediatrica (0-10 anni) oggetto dello studio, ed uno dedicato agli alunni delle scuole secondarie di primo grado del territorio dell’ASP Palermo, in formato sia cartaceo che digitale. I questionari prevedono una prima sezione, che indaga abitudini e stili di vita in relazione all’utilizzo dello smartphone, e una seconda che prevede il calcolo di due score: Score-abuso e Score-dipendenza. Dopo la somministrazione, sono stati effettuati nelle scuole coinvolte interventi formativi da parte di psicologi e psicoterapeuti volti a promuovere l’uso corretto e consapevole dello smartphone.
RISULTATI
Per il target degli adolescenti (11-14 anni) è stata superata la rappresentatività campionaria individuata (IC = 99%; precisione assoluta = 5%). Hanno risposto 422 soggetti. Il 91,4% del campione possiede uno smartphone personale, l’88% utilizza i social-network, l’11% dichiara di utilizzare il telefono in classe. Il 15,4% ha subito episodi di cyberbullismo, il 27% si è imbattuto accidentalmente in contenuti per adulti e il 30% aveva contatti virtuali con persone sconosciute (di cui il 20% erano adulti o di età ignota). Il calcolo degli Score (abuso/dipendenza) ha evidenziato che il 4,5% del campione fa un uso eccessivo del cellulare e il 77% uso elevato; il 5,5% ha mostrato una dipendenza severa ed il 38% una moderata.
CONCLUSIONI
L’utilizzo incontrollato ed inconsapevole di smartphone/tablet nei minori espone a diverse categorie di rischio: disturbi posturali/visivi, esposizione a radiazioni, alterazioni della sfera psico-sociale e dello sviluppo cognitivo-relazionale ecc. I risultati dimostrano elevati livelli dipendenza da devices mobili in un campione rappresentativo di adolescenti in età scolare, evidenziando la necessità di mettere in atto interventi di promozione della salute ed educazione sanitaria per incentivare l’utilizzo consapevole e responsabile degli smartphone.
Abstract
BACKGROUND
Fasting can be defined as abstinence or reduction from food, drink, or both, for a defined period. There are many different types of fasting regimens, such as Ramadan fasting, Intermittent fasting, Christian Orthodox fasting. A considerable number of observational and experimental studies tried to demonstrate whether fasting is a secure and valid dieting strategy in order to obtain some benefits against the development of numerous diseases. The aim of this systematic reviews is to provide an overview of the three most practiced forms of fasting regimens (Ramadan fasting, Intermittent fasting, Christian Orthodox fasting), summarize the impact of these interventions on health benefits, and discuss mechanisms by which these regimens might lead to improve health outcomes.
MATERIAL AND METHODS
Data Sources
A systematic search was performed on MEDLINE (PubMed), Embase, and CINHAL from January 1, 1980 through March 2019. Data were analyzed from April to May 31, 2019.
Study selection
We included systematic reviews of observational and experimental human studies that report on impact of different types of fasting regimens on health.
Data extraction and synthesis
Selection of systematic reviews, data extraction and quality assessment were undertaken in duplicate. Review quality was assessed using the AMSTAR tool.
RESULTS
After screening 3688 article, 21 systematic reviews were selected for full text review and were included for further overview. Only 7 reviews were high quality (AMSTAR class 4), 2 were moderate quality (AMSTAR class 3), 11 were low quality (AMSTAR class 2) and 1 was very low quality (AMSTAR class1).
Ramadan fasting (13 reviews)
Reviews on Ramadan fasting reported improvements on lipid profile and weight, uncertain results on incidence of gastrointestinal disorders, increased risk of diabetic ketoacidosis and protection against urinary infections. Ramadan fasting does not greatly alter the immunological and inflammatory profile and does not generate fetal and maternal risks during pregnancy.
Intermittent fasting (6 reviews)
Reviews on Intermittent fasting reported improvements on weight, BMI, lipid profile. This regimen of fasting might reduce the prevalence of diabetes and coronary heart disease and might improve levels of insulin and of inflammatory markers.
Christian Orthodox fasting (2 reviews)
Reviews on Christian Orthodox fasting reported improvements on BMI, lipid profile and arterial pressure, but at the same time this type of fasting reduces vitamin levels and cause hyperparathyroidism.
CONCLUSIONS
Despite some adverse events, these fasting regimens might represent a valid nonpharmacological approach to improve health outcome, with public health benefits.
Abstract
INTRODUZIONE
L’assistente Sanitario come descritto nel D.M. 17 gennaio 1997, n. 69 si delinea come l’operatore sanitario addetto alla prevenzione, alla promozione ed alla educazione per la salute.
È un operatore quindi specificatamente preparato per sviluppare le proprie competenze e svolgere le proprie attività nell’ambito di una nuova visione di Sanità Pubblica che, considera la salute un investimento per la vita delle comunità e si propone di migliorare il comportamento degli individui nel loro ambiente di vita e di lavoro e sulle condizioni che influenzano detto comportamento. Nell’ambito del SISP la figura dell’assistente sanitario svolge un ruolo fondamentale nell’implementazione delle attività vaccinali.
MATERIALE E METODI
Le assistenti sanitarie del SISP Asl Foggia Sede di Cerignola hanno implementato la chiamata attiva per la vaccinazione anti HPV novevalente per la coorte 2006 che comprende 705 nati (maschi, femmine;) per il comune di Cerignola.
La chiamata attiva è stata effettuata a settembre 2018 con un secondo richiamo a gennaio 2019.
I dati relativi alle coperture vaccinali sono stati ricavati attraverso l’anagrafe vaccinale informatizzata della piattaforma Giava.
RISULTATI
Su un campione totale di 705 soggetti prima dell’avvio dell’attività ne risultavano vaccinati solo 43 per la prima dose e 9 per la seconda (periodo dal 01/01/2018 al 31/08/2018).
Con l’avvio della chiamata attiva il dato aggiornato al 31/12/2018 risulta essere di 248 per la prima dose e 26 per la seconda dose. Il secondo richiamo effettuato a gennaio 2019 ha permesso di registrare fino ad oggi un ulteriore incremento dell’adesione alla vaccinazione con 361 vaccinati per la prima dose e 97 per la seconda.
CONCLUSIONI
L’introduzione della chiamata attiva col fine di implementare la vaccinazione antiHPV ha messo in evidenza un incremento del 45,11% delle coperture vaccinali (periodo settembre 2018 - maggio 2019).
I risultati indicano come il ruolo dell’assistente sanitario sia fondamentale all’interno del SISP col fine di organizzare e attuare programmi di sensibilizzazione e implementazione delle vaccinazioni anche in un contesto sociale vigente in cui le vaccinazioni non obbligatorie rivestono ancora un ruolo marginale.
Abstract
INTRODUZIONE
La resistenza ai carbapenemi costituisce un importante minaccia per la sicurezza dei pazienti. L’obiettivo dello studio è valutare il profilo di resistenza di KPC a livello molecolare ed epidemiologico all’interfaccia ospedale-territorio nell’ambito della Regione Marche.
MATERIALI E METODI
Un campione di KPC da tamponi rettali positivi all’ammissione, isolati presso la SOS Microbiologia del Laboratorio Analisi degli Ospedali Riuniti di Ancona (ORA) ed in strutture del territorio nel corso del 2018, è stato processato presso il laboratorio SOD di Igiene Ospedaliera, in collaborazione con la Sezione di Igiene del Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica dell’Università Politecnica delle Marche, mediante kit di rilevazione PBRT 2.0 (Diatheva). I ceppi sono, inoltre, stati caratterizzati a livello molecolare per i geni per le carbapenemasi. Si è quindi proceduto con una analisi dei percorsi dei pazienti all’interno della rete dei servizi ospedalieri e territoriali.
RISULTATI
Nel periodo di interesse sono stati sottoposti ad analisi 47 isolamenti provenienti da pazienti ammessi presso gli ORA e 14 isolati da pazienti assistiti in ambito territoriale.
La distribuzione dei plasmidi di resistenza in isolati di KPC ha mostrato la diffusione rispettivamente di FIB KQ nell’83% dei casi, di FIIK nel 74% e di FIB KN nel 45% degli isolati e sporadicamente di N, A/C, I1gamma, X3, X1, HI1. I ceppi analizzati hanno mostrato un numero variabile da 1 a 6 diversi repliconi.
L’analisi molecolare dei geni per le carbapenemasi ha mostrato la positività per blaKPC nel 100% dei campioni isolati presso ORA e per blaVIM nel 2.1% (1/47).
Pe la componente territoriale, oltre a repliconi tipici di KPC, sono stati identificati X4 ed FII. La analisi dei network di trasferimento dei pazienti, parallelamente alla caratterizzazione molecolare, consente di individuare hot spot critici per lo scambio e l’acquisizione di determinanti di resistenza.
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei risultati preliminari emerge come la presenza di plasmidi di resistenza all’ammissione sia diffusa e multipla all’interfaccia ospedale territorio, rinforzando l’utilità dello screening all’ammissione per l’intercettazione ed il controllo della KPC. I risultati ottenuti sono in accordo con i dati di sorveglianza nazionale confermando una grande uniformità nella specie Klebsiella pneumoniae sia in termini di geni per le carbapenemasi che per il contenuto plasmidico con i repliconi FIBpKPQIL e FIBpKPN, insieme a FIIK. L’utilizzo del metodo molecolare assieme alla analisi dei network di trasferimento dei pazienti, consente di individuare hot spot critici anche per la miglior organizzazione di interventi di prevenzione.
Abstract
INTRODUZIONE
Pubblicazioni scientifiche affermano che l’aumento del rischio infettivo nel reparto operatorio è dovuto alla scarsa manutenzione delle unità di trattamento dell’aria (UTA), contaminate da microrganismi aerodiffusi. Ciò è favorito dalla complessità strutturale dei dispositivi, spesso formati da rotori deumidificanti (RD), difficilmente sanificabili. In questo studio è stata valutata efficacia di una strategia di disinfezione di UTA ospedaliere, specifiche per blocchi operatori, reparti di terapia intensiva e sub-intensiva.
MATERIALI E METODI
Per ognuno dei due ospedali in esame (Area Nord-Ovest Toscana), nel corso del 2018 sono state monitorate 4 UTA (SO1 = blocco operatorio 1; SO2 = blocco operatorio 2; TI = terapia intensiva; subTI = terapia sub-intensiva).
In ogni UTA l’aria in ingresso viene deumidificata attraversando la superficie del RD, per poi entrare nella canala di conduzione all’ambiente ospedaliero, dopo la filtrazione. Inoltre, l’aria derivante dall’ambiente viene ricircolata attraverso la superficie superiore del RD, per poi essere espulsa.
I campionamenti sono stati eseguiti presso 4 punti: ingresso e uscita dell’aria dal RD prima nell’immissione in canala; bocchetta di immissione in ambiente confinato; uscita dell’aria dall’UTA prima dell’espulsione.
I prelievi sono stati effettuati prima e dopo (24 ore) la disinfezione, la quale è stata applicata, con cadenza quadrimestrale, con perossido di idrogeno (12%) e ioni argento (10 mg/L), aerosolizzato in tutti i punti di campionamento per 90 minuti. Durante i trattamenti le UTA sono state spente e le bocchette di immissione dell’aria sono state sigillate per evitare l’esposizione al disinfettante.
RISULTATI
Dopo le procedure di disinfezione, in entrambi gli ospedali sono state ottenute significative riduzioni delle cariche microbiche a 22°C e dei miceti nelle UTA SO2, TI e subTI.
In SO2, le cariche microbiche a 22°C sono state ridotte da 65 ± 13 a 11 ± 7 CFU/500L (p = 0.009), mentre le cariche fungine sono diminuite da 15 ± 6 a 9 ± 7 CFU/500L (p = 0.046).
In TI, i trattamenti hanno favorito le riduzioni delle cariche microbiche a 22°C da 17 ± 4 a 4 ± 3 (p = 0.013) e dei miceti, da 16 ± 4 a 0 CFU/500L (p < 0.001). In particolare, il trattamento ha abbattuto la contaminazione da Aspergillus fumigatus (6 CFU/500L), riscontrata in un campione d’aria prelevato in TI.
Infine, in subTI, i trattamenti hanno favorito una riduzione delle cariche microbiche a 22°C da 21 ± 5 a 5 ± 3 CFU/500L (p = 0.032).
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti, seppur preliminari, suggeriscono la necessità da parte dei presidi ospedalieri, di applicare procedure di disinfezione dei dispositivi UTA e degli ambienti ospedalieri ad alto rischio infettivo, necessarie per migliorare la qualità microbiologica dell’aria.
Abstract
INTRODUZIONE
Numerosi studi hanno evidenziato all’interno dei circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici, concentrazioni microbiche particolarmente elevate relative a batteri (P. aeruginosa, L. pneumophila, Mycobacterium…), virus, miceti, protozoi, che possono generare biofilm all’interno dei tubicini del circuito idrico stesso.
Tale contaminazione può originarsi dall’alimentazione idrica, o, per retrocontaminazione, derivare dal cavo orale dei pazienti. Durante il normale utilizzo del riunito, porzioni di biofilm possono distaccarsi dagli strati più superficiali dello stesso e possono essere veicolati all’esterno attraverso gli spray dei manipoli.
Obiettivo dello studio è il controllo microbiologico dell’acqua di vari riuniti pubblici della Liguria e la valutazione del potenziale rischio infettivo anche in relazione alla gestione degli stessi.
MATERIALI E METODI
I riuniti odontoiatrici esaminati, 19 ospedalieri e 11 di una ASL Ligure, sono collegati direttamente alla rete idrica acquedottistica e sono in uso da un numero di anni variabile tra 10 e più di 30.
È stata determinata, sia nell’acqua dei rubinetti che in quella dei manipoli, la carica batterica totale a 22°C (CB 22°C) e 36°C (CB 36°C), la concentrazione di L. pneumophila, di P. aeruginosa e delle amoebae.
RISULTATI
La concentrazione della CB a 22°C e 36°C nell’acqua dei manipoli è risultata maggiore rispetto ai valori target (≤ 100 CFU/mL e ≤ 10 CFU/mL, rispettivamente) e significativamente maggiore (p < 0.001) rispetto a quella relativa all’acqua dei rubinetti. Il 16.67% dei manipoli è risultato contaminato da P. aeruginosa con un range di 0-308 CFU/100 mL.
Per quanto riguarda L. pneumophila, la concentrazione media nell’acqua dei manipoli è risultata pari a 676.67 ± 746.34 CFU/L, con un range da 0 a 2700 CFU/L. Relativamente alla presenza di amoebae, nel 60% dei campioni di acqua provenienti dai manipoli è stata rilevata la presenza di Vermoamoeba vermiformis.
CONCLUSIONI
Lo studio ha evidenziato una contaminazione microbica e protozoaria all’interno dei circuiti idrici dei riuniti odontoiatrici ed un potenziale rischio sanitario per pazienti e operatori. È quindi importante effettuare il controllo microbiologico dell’acqua dei riuniti estendendolo a microrganismi come P. aeruginosa e verificare l’efficacia dei sistemi di disinfezione.
Abstract
INTRODUZIONE
La sorveglianza degli eventi avversi associati alla ventilazione meccanica ha un ruolo chiave per la tutela del paziente.
Lo scopo di questo studio è valutare l’impatto che gli eventi associati alla ventilazione meccanica (VAE) hanno su mortalità, durata della degenza e durata della ventilazione nei pazienti di un’unità di terapia intensiva.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono stati valutati tutti i pazienti degenti per più di 48 ore presso la Clinica di Anestesia e Rianimazione ammessi presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona nel periodo dicembre 2017 - gennaio 2019.
Sono state individuate le VAE nel rispetto dei criteri del National Healthcare Safety Network (NHSN) che le classifica come complicanze associate alla ventilazione meccanica (VAC), condizioni infettive associate alla ventilazione meccanica (IVAC) e polmoniti associate alla ventilazione meccanica (PVAP).
Sono stati valutati gli outcomes clinici nei pazienti che avevano avuto una VAE e nei pazienti senza VAE in termini di decesso, prolungamento della ventilazione e della degenza.
L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il test del chi-quadro e il test di U-Mann Whitney, quando appropriato. Il livello di significatività è stato fissato a 0,05.
RISULTATI
Sono stati raccolti i dati relativi a 279 pazienti, di cui il 15% (n = 42) ha sviluppato una VAE.
I tassi d’incidenza su 1000 giornate di ventilazione meccanica sono stati: per le VAE 14,06 (IC 95% 10,14-18,95), per le VAC 14,06 (IC 95% 10,14-18,95), per le IVAC 6,02 (IC 95% 3,57-9,50) e per le PVAP 3,68 (IC 95% 1,84-6,58).
L’insorgenza della VAE è risultata associata ad un aumento non statisticamente significativo della mortalità [pazienti con VAE deceduti 23,81%(IC 95% 12,05-39,45) vs pazienti senza VAE deceduti 14,35% (IC 95% 10,14-19,47); p > 0,05], ma ad un aumento statisticamente significativo delle giornate medie di degenza (18 gg di degenza nei pz con VAE vs 12 gg di degenza nei pz senza VAE; p < 0,05) e della durata della ventilazione meccanica (17 gg di ventilazione nei pz con VAE vs 10 gg di ventilazione nei pz senza VAE; p < 0,05).
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei dati risulta che le VAE sono associate ad un aumento significativo delle giornate di degenza e di ventilazione meccanica, ma non hanno impatto sulla mortalità dei pazienti, confermando quindi il loro effetto in termini di morbosità per il paziente sottoposto a ventilazione meccanica. In tale contesto implementare misure preventive, quali sorveglianza, formazione e aggiornamento, risulta un elemento imprescindibile per la buona pratica clinica.
Abstract
INTRODUZIONE
Le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) rappresentano una grande sfida per la Sanità Pubblica in quanto prolungano la degenza, aumentano i costi delle terapie e sono causa di maggiore mortalità. Si tratta di condizioni eterogenee che forniscono un indicatore di qualità del servizio. Lo studio esplora la distribuzione dei patogeni nosocomiali tra i reparti dell’Area chirurgica di un Policlinico universitario e indaga la quota di under-reporting, stimandone i costi, nel periodo 6/2017-6/2018.
MATERIALI E METODI
Sono stati inseriti nello studio tutti i pazienti con almeno un esame microbiologico positivo dopo almeno 48 ore di degenza ospedaliera. Di questi, è stata analizzata la quota di pazienti con DRG non complicato, per i quali si è proceduto all’acquisizione della SDO per individuare i codici diagnostici riconducibili ad infezione. I pazienti con esame microbiologico positivo, DRG non complicato e SDO con codice sospetto, sono stati ulteriormente analizzati per valutare l’under-reporting e i costi della mancata codifica.
RISULTATI
Nel periodo considerato i ricoveri dell’Area chirurgica sono risultati 6910. Le sospette ICA ammontavano all’8,8%. I germi più frequentemente riscontrati sono stati: Enterococcus Faecium e Faecalis, Escherichia Coli e Candida spp. Sui 560 ricoveri in regime ordinario, i DRG sono stati generati con le seguenti diciture: 269 (48%) non omologhi, 152 (27%) con complicanze e 139 (25%) senza complicanze. Dopo associazione fra i dati SDO e DRG, 89 pazienti sono stati analizzati per sospetta ICA. Le UO più frequentemente coinvolte sono state le chirurgie maggiori (Cardiochirurgia, Chirurgia Trapianti e Chirurgie Generali) che rappresentano insieme il 68% di tutte le sospette ICA dell’Area chirurgica. I due terzi dei pazienti (69%) provenivano da Pronto Soccorso e in oltre il 45% dei casi si trattava di pazienti ultrasessantacinquenni. La ricodifica relativamente ai DRG non complicati e non riportanti codici riconducibili a infezione, secondo una prima stima, ha generato una perdita economica di circa 442.000 euro (circa l’1% del fatturato dell’Area chirurgica inerente i ricoveri in regime ordinario nello stesso periodo).
CONCLUSIONI
L’epidemiologia delle sospette ICA risulta allineata ai dati nazionali presenti in letteratura, alcuni reparti risultano maggiormente a rischio. L’under-reporting nella SDO rappresenta una seria problematica in quanto non permette il trasferimento di informazioni al momento della dimissione del paziente, provocando un elevato numero di riaccessi in ospedale, ed influendo significativamente sui costi. Ulteriori approfondimenti sono necessari per monitorare l’andamento del fenomeno e per orientare interventi specifici sia preventivi che gestionali.
Abstract
INTRODUZIONE
Tra le iniziative promosse a livello nazionale e internazionale per contrastare l’antibiotico-resistenza (AMR) grande rilievo assume l’attività di sorveglianza. Pertanto, è stato intrapreso uno studio di sorveglianza volto a conoscere l’andamento epidemiologico di microrganismi (m.o.) resistenti al fine di monitorare le dimensioni del problema nella realtà locale e identificare aree per interventi di prevenzione.
METODI
Lo studio è stato condotto secondo il modello della sorveglianza passiva. Questa ha previsto l’analisi retrospettiva cumulativa dello spettro di sensibilità agli antibiotici di m.o. isolati in campioni clinici processati nei laboratori dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari dal 1° giugno 2017 al 31 maggio 2018. Sono stati sorvegliati a) S. aureus meticillina resistente (MRSA) e E. coli resistente alle cefalosporine di 3a generazione (3GCR), individuati da ECDC, EFSA e EMA come indicatori primari di AMR in campo umano, e b) S. pneumoniae resistente a macrolidi e penicillina (valori distinti) e K. pneumoniae resistente (resistenza combinata) a aminoglicosidi/fluorochinoloni/cefalosporine di 3a generazione (3GC/A/F R) e (valori distinti) a carbapenemi, quali indicatori secondari.
RISULTATI
In totale sono stati esaminati 30718 prodotti morbosi: 27,9% provenienti dalle vie aeree, 17,3% urine, 17,4% campioni di sangue e 37,4% prelevati da altra sede. L’esame colturale ha dato esito positivo nel 28,2% dei campioni. Il 14% degli stipiti di S. aureus isolati è risultato MRSA, il 13,8% di E. coli 3GCR E. coli, il 44,2% di S. pneumoniae resistente ai macrolidi e il 3,8% alle penicilline; K. pneumoniae ha presentato resistenza combinata 3GC/A/F R nel 18,6% degli isolati e ai carbapenemi nel 20,3%, con associazione delle due resistenze nel 12,8% degli stipiti.
CONCLUSIONI
I risultati, confrontati con quelli EARS-NET (ECDC) (relativi solo a patogeni invasivi), mostrano percentuali di isolamento di MRSA e 3GCR E. coli in linea con quelle medie osservate a livello europeo ed inferiori a quelle per l’Italia nella stessa indagine. Tra gli indicatori secondari, 3GC/A/F R K.pneumoniae e K. pneumoniae resistente ai carbapenemi sono percentualmente superiori alle medie europee ma inferiori a quelle dell’Italia; molto elevata rispetto al valore medio registrato in Italia e prossima al più alto valore in Europa è invece la percentuale di S. pneumoniae resistente ai macrolidi che, al pari di quanto osservato in genere in Europa, risulta maggiore di quella alla penicillina. Studi di sorveglianza attiva e di sorveglianza prospettica consentiranno ulteriori e più complete informazioni su questo fenomeno per interventi di prevenzione in ambito ospedaliero e comunitario.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni in Europa sono stati segnalate oltre 120 casi di infezioni invasive da Mycobacterium chimaera (M. chimaera) associate all’utilizzo di dispositivi di raffreddamento/riscaldamento (HCU) necessari per la regolazione della temperatura del sangue in circolazione extra-corporea (CEC) durante l’esecuzione di interventi cardiochirurgici. La trasmissione avviene tramite l’aerosol contenente M. chimaera, normalmente ubiquitario, proveniente dall’acqua dei serbatoi dei dispositivi HCU. Scopo dello studio è presentare l’esperienza dell’Istituto Ospedaliero della Fondazione Poliambulanza di Brescia, per la prevenzione dell’infezione in pazienti sottoposti a procedure in CEC.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha previsto:
monitoraggio microbiologico su acqua ed aria;
indagine epidemiologica retrospettiva.
I campioni di acqua del volume di 1 litro sono raccolti in contenitori sterili secondo metodologia standard, dalla rete idrica che rifornisce l’acqua per il riempimento degli HCU della ditta Terumo e direttamente dal dispositivo. I campioni d’aria sono raccolti nelle condizioni at rest ed in operational, attraverso prelievo a distanza di 30 cm dalla griglia di emissione dell’aria dello strumento. L’aria, al volume di 500 l/min, è direttamente concentrata in terreni di coltura M7H10.
L’indagine retrospettiva ha previsto l’identificazione di tutti i pazienti sottoposti a procedure cardiochirurgiche tramite la ricerca delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) dal 2012 ad oggi con riferimento ai codici ICD9-CM 35.1x, 35.2x, e l’individuazione dei pazienti deceduti con diagnosi di infezione/setticemia o complicanza da dispositivo: Codici ICD9-x A418, A419, I330, I339, I38, I398, T826, T827, T829, T857; secondo indicazioni ministeriali. È stata inoltre condotta l’analisi delle richieste al laboratorio delle segnalazioni di tutti gli isolamenti positivi o sospetti per infezione da micobatteri mediante la raccolta delle richieste interne sui pazienti ricoverati e sottoposti alle suddette procedure.
RISULTATI
L’indagine retrospettiva, condotta su 1721 pazienti che sono stati sottoposti a procedure cardiochirurgiche in CEC non ha rilevato casi pregressi. L’analisi microbiologica ha avuto esito negativo.
CONCLUSIONI
È importante rilevare che in condizioni particolari di fragilità come le procedure eseguite in CEC, sebbene eseguite con macchinari diversi da quelli segnalati in dispositivo vigilanza internazionale, microorganismi ambientali ubiquitari come M. chimaera possano determinare esiti importanti, data l’elevata mortalità e morbosità dell’infezione stessa. I nostri risultati di sorveglianza sono negativi ma per il mantenimento di un elevato profilo di sicurezza viene predisposto e continuamente implementato il piano della nostra Direzione Sanitaria per la riduzione del rischio nell’attività del servizio di perfusione cardiochirurgico.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Clostridium difficile (CD) rappresenta la principale causa di diarrea infettiva nei pazienti adulti ospedalizzati nei paesi industrializzati.
Recenti studi epidemiologici, Europei e non, hanno mostrato un incremento dell’incidenza, prevalenza e mortalità connesse all’infezione da CD (CDI); in Europa dal 2006 al 2014 è stato registrato un incremento pari al 70% del numero di casi, con un prolungamento medio dell’ospedalizzazione di 2 settimane rispetto alla patologia che ha causato il ricovero e incremento considerevole dei costi economici.
Lo studio analizza l’andamento delle infezioni da Clostridium difficile presso il P.O. San Salvatore di L’Aquila nel triennio 2016-2018 con particolare riferimento all’attività di sorveglianza epidemiologica, fondata sui dati di laboratorio, come strumento decisionale per la pianificazione di interventi.
MATERIALI E METODI
È stato analizzato l’andamento degli isolamenti di CD effettuati presso il Laboratorio di Microbiologia del P.O. “S. Salvatore” di L’Aquila nel triennio 2016-2018. Lo studio ha considerato la positività al test immunoenzimatico per la ricerca di GDH e le tossine A e/o; il test viene effettuato su campioni di feci idonee (Bristol Chart 5-7) provenienti da pazienti con diarrea. Sono stati esclusi i test positivi ridondanti, inoltre gli episodi di CDI sono stati classificati come primi episodi e recidive sulla base di criteri temporali: si è definita come recidiva la positività del test di uno stesso paziente intervenuta > 14 giorni dalla prima documentazione.
RISULTATI
Dopo eliminazione delle positività ridondanti, sono stati identificati 186 episodi di CDI (9.63%, CI95%: 0.0834821-0.1103044), di questi 24 (12.9%) erano recidive. Dei positivi 103 erano femmine (55.38%) e 83 maschi (44.62%). I reparti medici erano quelli che registravano il numero più alto di episodi di CDI (156), pari al 83.87%.
L’incidenza degli episodi è aumentata da 6.19 [0.057-0.066] nel 2016 a 7.70 [0.072-0.082] per 10.000 giornate di degenza nel 2017, per poi scendere a 2.71 [0.024-0.031] nel 2018 con un decremento statisticamente significativo (< 0.005).
CONCLUSIONI
L’attività sorveglianza epidemiologica fondata sui dati di laboratorio, standardizzata e continua, è uno strumento essenziale per la prevenzione e il controllo delle CDI, che consente di intercettare rapidamente cambiamenti nella microepidemiologia locale. In particolare, l’ospedale è stato interessato da un incremento di incidenza di isolamenti di CD tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 e l’attività di sorveglianza ha permesso di intervenire con una procedura ad hoc che ha abbassato significativamente il tasso di CDI.
Abstract
INTRODUZIONE
L’infezione da enterobatteri resistenti ai carbapenemi (CRE) in pazienti ospedalizzati rappresenta un importante problema di sanità pubblica. In Italia, il Ministero della Salute ha istituito un sistema di sorveglianza delle batteriemie da CRE (Circolare Ministeriale 4968 del 26/2/2013). In Puglia, tale sistema viene coordinato dall’Osservatorio Epidemiologico Regionale.
METODOLOGIA
L’analisi è stata svolta su tutte le schede di segnalazione di batteriemie da CRE insorte in ospedali pugliesi negli anni 2014-2018, eseguendo sia un’analisi descrittiva che un’analisi dei determinanti tramite regressione logistica binaria. L’outcome valutato è il decesso, le variabili analizzate sono età, sesso, anno, mese, livello dell’ospedale, reparto e origine dell’infezione.
RISULTATI
Nel periodo considerato si sono registrati 973 casi di batteriemia da CRE, in 176 (18,1%) è stato registrato il decesso. Il numero di casi per anno registra un trend di aumento, passando da 143 casi nel 2014 a 232 nel 2018. Il microrganismo più frequentemente isolato è Klebsiella pneumoniae (97,0%).
L’età media dei pazienti è di 64,8 (±16,3) anni e la maggioranza dei casi (63,4%) riguarda soggetti di sesso maschile. Nel mese di dicembre si registra il minor numero di casi (7,0% del totale), il picco nel mese di maggio (10,1%). Il reparto che registra la più elevata proporzione di casi è la terapia intensiva (45,4%), seguita dalle chirurgie (16,9%). Nel 38% dei casi l’origine dell’infezione è primitiva, mentre una buona parte ha origine da un CVC/CVP (21,2%), da una polmonite associata a ventilazione (10,0%) o da infezioni delle vie urinarie (IVU) (9,1%).
All’analisi univariata, emergono come determinante di letalità l’età (OR = 1,01; 95%CI = 1,00-1,03; p = 0.012) e come fattori protettivi i mesi (rispetto a gennaio) di luglio (OR = 0,33; 95%CI = 0,13-0,77; p = 0,013) e novembre (OR = 0,41; 95%CI = 0,17-0,92; p = 0,035), il reparto (rispetto a terapia intensiva) di neuro-riabilitazione/unità spinale (OR = 0,17; 95%CI = 0,03-0,57; p = 0,016) e un’origine (rispetto a quella primitiva) da IVU (OR = 0,34; 95%CI = 0,14-0,71; p = 0,008).
All’analisi multivariata, emergono come determinanti di letalità l’età (OR = 1,01; 95%CI = 1,00-1,03; p = 0.014) e il reparto di lungodegenza/geriatria (OR = 2,37; 95%CI = 10,1-5,33; p = 0,041) e come fattori protettivi i mesi di luglio (OR = 0,29; 95%CI = 0,11-0,69; p = 0,007) e novembre (OR = 0,32; 95%CI = 0,13-0,76; p = 0,012), il reparto di neuro-riabilitazione/unità spinale (OR = 0,19; 95%CI = 0,03-0,64; p = 0,024) e un’origine da IVU (OR = 0,26; 95%CI = 0,10-0,57; p = 0,002).
Non emergono associazioni con le altre variabili analizzate.
CONCLUSIONI
L’elevata letalità, in particolare nei soggetti anziani, così come l’aumento dei casi negli anni considerati mostra come sia fondamentale proseguire e potenziare l’attività di sorveglianza epidemiologica al fine di promuovere strategie e interventi efficaci per il controllo delle infezioni da CRE.
Abstract
INTRODUZIONE
Le procedure chirurgiche a bassa ed intermedia complessità rappresentano prestazioni sanitarie per le quali l’utilizzo della profilassi antibiotica è frequentemente non indicata e, pertanto, l’utilizzo di antibiotici per questi interventi chirurgici risulta essere non appropriato. È sembrato interessante, pertanto, condurre un’indagine per valutare l’appropriatezza dell’antibioticoprofilassi per gli interventi chirurgici a complessità bassa e intermedia effettuati in regime di day surgery e nelle Unità Operative di oculistica, otorinolaringoiatria, chirurgia maxillo-facciale e odontostomatologia delle strutture ospedaliere della Regione Campania.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata eseguita su un campione casualmente selezionato di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico nelle strutture ospedaliere della Regione Campania. I dati sono stati raccolti attraverso una scheda di rilevazione e tramite intervista diretta ai pazienti. L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando la regressione logistica multipla.
RISULTATI
I primi risultati relativi ad un campione di 78 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico hanno permesso di rilevare che più della metà di questi erano maschi (53.6%) ed avevano un’età media di 61 anni, un terzo (32.1%) era stato ricoverato in un reparto di chirurgia generale, la quasi totalità erano stati ricoverati in regime di day surgery, il 40% soffriva di almeno una patologia cronica e nessuno dei pazienti presentava un’infezione all’ammissione in ospedale. Il 79.5% dei pazienti era stato sottoposto ad un intervento chirurgico classificato come pulito e la quasi totalità (95%) aveva ricevuto un’anestesia di tipo locale. Un quinto dei pazienti (19.5%) aveva ricevuto un’antibioticoprofilassi preoperatoria non appropriata e gli antibiotici utilizzati più frequentemente in modo non appropriato appartenevano alla classe delle cefalosporine di terza generazione. Il modello di regressione logistica multipla ha evidenziato che l’antibioticoprofilassi non appropriata era significativamente più frequente nei reparti di chirurgia generale rispetto ai reparti di chirurgia specialistica.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari di questo studio evidenziano la necessità di programmare interventi educativi e di formazione rivolti al personale sanitario per migliorare l’antibioticoprofilassi preoperatoria, in particolare nei reparti di chirurgia generale.
Abstract
OBIETTIVI
Aderendo alle strategie d’intervento 2016-2019 dell’Accordo Stato Regioni su “Valutazioni delle criticità nazionali in ambito nutrizionale” il progetto si propone di sperimentare un “Percorso integrato di nutrizione preventiva e clinica” per ridurre I tempi di attesa e migliorare l’appropriatezza delle prestazioni tramite una rete di professionisti territorio-ospedale.
MATERIALI E METODI
I Percorsi di Dietetica Preventiva svolti da dietiste del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione prevedono 2 incontri, gratuiti, in piccoli gruppi (max 20 persone) presso le Case della Salute.
Criteri di inclusione: soggetti con stili alimentari e di vita a rischio per patologie croniche non trasmissibili età 18-75 anni, BMI 20-35, utenti dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali post-Infarto Miocardio Acuto, Scompenso e Diabete. Inviano al percorso medici di famiglia, specialisti ospedalieri e territoriali.
RISULTATI
Nel periodo febbraio 2018 - maggio 2019 sono stati realizzati 27 percorsi in 6 Case della Salute dell’Az. USL di Bologna. Il 61% ha ottenuto l’iscrizione entro 60 giorni dalla prenotazione a fronte di precedenti attese di diversi mesi. Si sono iscritti 565 soggetti, 419 si sono presentati al 1° incontro e 338 hanno completato il percorso (81%).
Ai partecipanti viene somministrato un questionario che indaga abitudini alimentari ed attività fisica ad inizio percorso, che si è ritenuto opportuno riproporre dopo 3 mesi per verificare le modifiche dei comportamenti.
In 90 pazienti che hanno completato il percorso è stato sperimentato un questionario on line inviato tramite posta elettronica a 3 mesi da fine percorso garantendo in risposta la valutazione ed eventuali suggerimenti per sostenere il cambiamento. Dei soggetti coinvolti hanno risposto in 24 e di questi 17 hanno migliorato almeno un punto dei 14 item previsti.
CONCLUSIONI
La proposta di dietetica preventiva, superata l’iniziale diffidenza dei medici di famiglia, ha ottenuto una buona adesione da parte degli utenti dimostrata dall’elevata percentuale di completamento del percorso, da rilevare la riduzione dei tempi d’attesa, ulteriormente riducibili se si è disponibili ad aderire a percorsi in case della salute diverse da quella di residenza. Fondamentale la liberazione di risorse per la dietologia ospedaliera da dedicare ai casi più complessi. Migliorabile la mancata disdetta in caso di impossibilità a partecipare agli incontri che potrebbe essere incentivata con un piccolo ticket attualmente non previsto per attività di prevenzione. Da migliorare la modalità di raccolta dei questionari sulle abitudini alimentari e di vita, indispensabili a misurare l’efficacia dell’intervento.
Abstract
INTRODUZIONE
In Italia, come in altri Paesi europei, la necessità di seguire con attenzione la situazione nutrizionale della popolazione generale e in particolare dei bambini è un’acquisizione recente e fortemente motivata dalla percezione, anch’essa piuttosto recente, dell’obesità come problema prioritario di salute pubblica.
L’altra faccia della mal-nutrizione per eccesso della società occidentale è quella dello spreco alimentare: si stima che nell’UE ogni anno vengano sprecate, in tutte le fasi della catena alimentare, dalla produzione al consumo, circa 100 milioni di tonnellate di cibo, di cui il 14% è attribuito alla ristorazione collettiva. Il food waste determina un forte impatto ecologico, sociale ed economico.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha previsto una rilevazione preliminare quantitativa (pesatura) e qualitativa degli sprechi (somministrazione questionari di gradimento per alunni e docenti), e momenti di formazione specifica e confronto rivolti a dirigenti, insegnanti, addetti mensa, genitori, bambini, valutati tramite 3 cicli di rilevazione successivi, ciascuno di 5 giorni.
L’indagine è stata condotta su un campione di 12 scuole primarie dell’area metropolitana di Bari (20 classi tra seconde e terze), con pesatura scarti su 4 settimane nel primo semestre 2019, per un totale di 329 bambini e 4678 pasti.
Il progetto è stato promosso dal SIAN ASL Bari Metropolitana in collaborazione col Comune di Bari e la ditta fornitrice.
RISULTATI
I dati parziali mostrano come la quantità complessiva di cibo consegnata nelle scuole nei primi 3 cicli di rilevazione è stata di circa 1738,27kg e, di questi 629,1kg, pari al 36,2%, è risultato sprecato.
Le medie scarti della rilevazione preliminare (primi: 1.242 gr, secondi: 252 gr, contorni: 672 gr), e nel 1° (primi: 1125 gr, secondi: 235 gr, contorni: 744gr) e 2° ciclo successivi (primi: 1.058 gr, secondi: 278 gr, contorni: 840 gr) non rilevano differenze significative prima e dopo l’intervento educativo per il primo ed il secondo, mentre aumenta in maniera statisticamente significativa il peso degli scarti del contorno.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari mostrano come sia presente un’elevato food waste che interventi educativi a breve termine non sono sufficienti a migliorare, rafforzando l’idea che la problematica relativa a cattiva alimentazione e sprechi è complessa, multifattoriale e pertanto difficile da eradicare.
Si indentifica come obiettivo urgente e necessario un approccio “integrato” e a lungo termine, attraverso l’utilizzo di diverse strategie (educative e organizzative), a più livelli, e in un’ottica di programmazione degli interventi supportati da sistemi di monitoraggio standardizzati che consentano di ricercarne le cause e perseguire obiettivi mirati ed efficaci di riduzione e/o riutilizzo.
Abstract
BACKGROUND
La sempre più frequente abitudine a mangiare fuori casa, in ristoranti, bar e fast food, ha generato un interesse globale nella gestione e manipolazione degli alimenti. Lo scopo dello studio è misurare il livello di contaminazione microbica degli alimenti che vengono serviti durante gli Happy Hour.
METODI
Uno studio trasversale è stato condotto da aprile a Maggio 2018 a Siena (<60000 abitanti). In dieci bar selezionati in modo casuale, sono stati prelevati campioni di arachidi e patatine durante degli Happy Hour, all’inizio dell’evento (T0), a metà (T1) ed alla fine (T2). Il prelievo è stato eseguito con un kit sterile e le analisi di laboratorio condotte presso il Dip. Medicina Molecolare e dello Sviluppo dell’Università di Siena. I campioni sono stati disposti su terreno selettivo e la crescita di patogeni è stata controllata a 24 e 48 ore. I microrganismi ricercati sono stati Enterococchi, Stafilococchi, batteri Coliformi, muffe e lieviti. Le analisi statistiche sono state condotte utilizzando il test Wilcoxon, tramite il software Stata.
RISULTATI
A T0 è stata rilevata una contaminazione significativa di lieviti solo sulle patatine rispetto alle arachidi, mentre tra T0 e T1, in entrambi i tipi di campioni, abbiamo trovato un aumento significativo di Enterococchi, Stafilococchi e lieviti (p < 0.05). Confrontando T1 e T2 solo i lieviti hanno mostrato una crescita significativa nelle patatine (p = 0.04). Il confronto tra T0 e T2 ha evidenziato una significativa crescita di Coliformi nelle noccioline (p = 0.03).
CONCLUSIONI
Dalle analisi condotte abbiamo evidenziato un aumento della carica microbica. In particolare, la comparsa di Enterococchi, al T1, indica una cattiva igiene di alcuni commensali. Un tempo di esposizione prolungato ha determinato un aumento della probabilità di contaminazione; ciò potrebbe far ipotizzare anche il superamento della soglia oltre cui si manifestano segni e sintomi della malattia. L’offerta di mono-porzioni di cibo, probabilmente, potrebbe essere un’alternativa all’attuale modo di servire gli alimenti durante gli happy hours, così da ridurre la manipolazione da parte dei partecipanti e quindi il rischio di outbreak alimentare.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli alcaloidi sono un gruppo di sostanze organiche azotate presenti principalmente nelle piante superiori come metaboliti secondari. Tra questi, gli alcaloidi pirrolizidinici (Pyrrolizidine Alkaloids, PAs) hanno ricevuto, negli ultimi anni, crescente attenzione, sia a causa della diffusa presenza nel mondo vegetale (sono noti oltre 500 PAs e relativi N-ossidi, presenti in oltre 6.000 specie) che per il loro potenziale epatotossico e genotossico. Tra le piante che producono PAs alcune, come il Senecio vulgaris L., sono comuni infestanti diffusi sul territorio italiano. L’esposizione umana ai PAs è principalmente causata dal consumo di mieli, fitoterapici, integratori vegetali, tè e infusi di erbe, le cui materie prime sono state contaminate da piante produttrici di PAs. Secondo gli esperti dell’EFSA, l’esposizione alimentare ai PAs potrebbe rappresentare un pericolo per la salute umana, pertanto si rendono necessari studi tossicologici che possano contribuire alla caratterizzazione del rischio.
Scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare il potenziale cito- e genotossico dei PAs prodotti da S. vulgaris L. Per verificare se la complessità della matrice vegetale potesse modulare la tossicità di tali alcaloidi, i test sono stati condotti su estratti acquosi della pianta.
MATERIALI E METODI
Per le prove in vitro sono state utilizzate cellule umane di derivazione epatica (HepG2) che esprimono enzimi di fase I e fase II.
Le parti aeree di S. vulgaris L. sono state essiccate e frantumate. Due grammi di sostanza secca sono stati lasciati in infusione (acqua a 100°C) per 5, 15 e 30 minuti. Gli infusi sono stati filtrati, liofilizzati e la polvere è stata risospesa nel terreno di coltura delle HepG2. L’effetto citotossico è stato valutato con il test della doppia colorazione (DAPI/OA), incubando le cellule per 4 ore con cinque concentrazioni scalari (1,0; 5,0; 10,0; 25,0 e 50,0 mg/ml) del campione in analisi. La genotossicità è stata valutata mediante il test della cometa, saggiando tre concentrazioni scalari non citotossiche (1,0; 5,0 e 25.0 mg/ml).
RISULTATI
I risultati hanno evidenziato una spiccata citotossicità solo alla dose più alta saggiata, in particolare per i campioni ottenuti dopo 30 minuti di infusione (vitalità = 28.7%). Il test della cometa ha mostrato una marcata genotossicità del campione studiato a tutti i tempi di infusione e a tutte le concentrazioni saggiate, evidenziando una netta relazione dose-risposta.
CONCLUSIONI
Nelle condizioni sperimentali applicate, i risultati confermano la genotossicità dei PAs prodotti da S. vulgaris L.
(Finanziato dal “PSR per l’Umbria 2014/2020”).
Abstract
INTRODUZIONE
Il tema dei rischi nelle produzioni alimentari rimane prioritario in sanità pubblica, data la molteplicità di fonti di contaminazione. Nell’ambito delle buone pratiche di auto-controllo igienico-sanitario, il responsabile dell’unità produttiva deve effettuare il monitoraggio continuo dei processi e predisporre la opportuna validazione del piano.
Obiettivo del presente lavoro è quello di individuare le metodiche di maggior efficacia per la validazione di piani di auto-controllo applicati a questa tipologia di produzione e di verificarle in un’azienda di grandi dimensioni dedita alla produzione di latte crudo di alta qualità, destinato alla commercializzazione da parte di un’altra azienda di rilievo nazionale.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata dapprima una raccolta ed esame delle principali metodiche per valutare l’auto-controllo nel settore di produzione di latte crudo di alta qualità. Con la metodologia della revisione integrativa, da fonti di letteratura scientifica internazionale in un quinquennio, è stato predisposto un elenco strutturato di sezioni dei piani di auto-controllo da sottoporre a valutazione. Successivamente, è stata condotta una indagine sul campo, in una azienda dedicata all’allevamento di vacche da latte per la produzione di latte crudo. Si tratta di una azienda di grandi dimensioni e notevole rilevanza, sita in Basilicata, che alleva un numero considerevole, pari a 740 esemplari, di tipologia pregiata, per la produzione di latte crudo della categoria di alta qualità.
RISULTATI
L’analisi ha permesso di individuare le principali sezioni del piano di auto-controllo da sottoporre a valutazione e verifica ed è stata predisposta una griglia di controllo. È stata quindi realizzata l’indagine sul campo, in azienda: in primo luogo è stata controllata accuratamente, con lo strumento elaborato, l’intera documentazione del piano aziendale. Successivamente sono stati valutati, con la griglia di verifica, tutti gli ambienti e le differenti prassi igieniche delle attività di produzione primaria svolte: le fasi di approvvigionamento, stoccaggio e conservazione di alimenti aziendali/mangimi destinati all’alimentazione animale; i controlli interni sulle vacche da latte dell’allevamento (igiene, salute e protezione degli animali allevati); il processo di preparazione e mungitura; lo stoccaggio del latte crudo.
CONCLUSIONI
Valutare l’adeguatezza dei piani di auto-controllo in tale settore, con strumenti standardizzati, permette di migliorare le capacità degli operatori del settore alimentare di individuare in ogni fase di produzione i rischi che possono influenzare la sicurezza del latte e di potenziare l’applicazione di misure atte ad individuare, ridurre e eliminare ad un livello accettabile i pericoli potenziali della produzione di latte crudo di alta qualità, a garanzia della salubrità e sicurezza del prodotto finito.
Abstract
INTRODUZIONE
Nei Paesi occidentali è aumentato l’impatto delle malattie croniche sulla spesa sanitaria, raggiungendo secondo i dati dell’OMS l’85% dei costi.
La Toscana dal 2010 ha intrapreso un percorso di implementazione della presa in carico territoriale della cronicità attraverso il Chronic care model con i progetti “Sanità di Iniziativa” ed in seguito “Reti Cliniche integrate e strutturate”. In Valdichiana aretina i MMG che aderiscono alla Sanità di Iniziativa e che operano nelle Case della Salute sono passati dal 60% al 100% nel 2018, la prima zona-distretto (ZD) Toscana a raggiungere questo risultato. Questo studio vuole fornire una valutazione dell’applicazione di questi modelli di presa in carico.
MATERIALI E METODI
La popolazione della Valdichiana Aretina è di 52.000 abitanti circa (ultraquindicenni 43.418), suddivisi in due AFT per un totale di 36 MMG che operano in 3 Case della Salute. Già nel 2017 tutti i medici dell’AFT di Castiglion Fiorentino aderivano alla sanità di iniziativa mentre a Cortona solo la metà. Per la sanità di iniziativa sono attivi 4 PDTA riguardanti Diabete, Ictus, Scompenso cardiaco e BPCO. I dati riguardanti le performance sanitarie sono stati forniti dall’Agenzia Regionale alla Sanità (ARS) attraverso il portale informatico PROTER.
Abbiamo confrontato tra AFT, Zona-distretto e Regione 13 indicatori generali per gli assistiti ultraquindicenni, 15 indicatori per il Diabete, 23 per lo Scompenso Cardiaco e 16 per l’Ictus per gli anni 2017 e 2018. Non è stato possibile valutare gli indicatori della BPCO a causa della variazione delle caratteristiche di inclusione della popolazione tra i due anni.
RISULTATI
Negli assistiti ultraquindicenni si riscontra un miglioramento degli indicatori di processo nei due anni come nella regione Toscana (Indicatore composito di qualità delle cure delle cronicità: ZD da 47,4% a 51,3%; Toscana da 41,6% a 44,3%) e di quelli di esito (Tasso di ospedalizzazione: ZD 52,4 a 51,4 abitanti su mille; Toscana da 56,7 a 55), invece gli indicatori di spesa hanno mostrato un aumento diversamente dalla regione (Spesa per assistenza territoriale per assistito: ZD da 488,6 a 500,2 € pro-capite; Toscana da 509 a 496,3 €). Queste considerazioni risultano ancora più evidenti per gli indicatori riguardanti i PDTA.
CONCLUSIONI
La presa in carico pro-attiva da parte della sanità territoriale mostra un miglioramento in termini di processi ed esiti di salute, sebbene correlato ad un aumento di spesa. Sarà necessario analizzare questi dati nei prossimi anni valutandone l’andamento in un periodo più lungo.
Abstract
INTRODUZIONE
L’area ex-Bastogi, situata nella periferia di Roma, è caratterizzata da disagio sociale e abitativo. La popolazione (censimento ISTAT 2011), risulta avere maggiore disoccupazione e minor livello di istruzione rispetto al territorio circostante. Si associano scarso accesso ai servizi territoriali e difficoltà di relazione con gli operatori sociosanitari. L’obiettivo dello studio è indagare la percezione che questi ultimi hanno in merito alla relazione con la popolazione.
MATERIALI E METODI
Un questionario di 42 item predisposto ad hoc da un team multidisciplinare, somministrato online ai dipendenti del Distretto XIII, dell’ASL Roma1, indagava: conoscenza del contesto; percezione del rapporto tra utenti e servizi e tra operatori e utenti; necessità formative degli operatori. È stata effettuata una analisi descrittiva e univariata dei dati con test Chi2 e T-Student utilizzando il software STATA13.
RISULTATI
Dei 148 dipendenti coinvolti, hanno risposto in 73 (22 medici, 25 infermieri, 16 amministrativi, 6 altre figure). Più del 50% ritiene che i servizi del distretto XIII e le prestazioni offerte siano adeguati alle necessità degli utenti di Bastogi, mentre il 63% dichiara che i servizi del distretto siano appropriati per utenti provenienti dalle aree limitrofe. Poco più di metà dei rispondenti ritiene però che gli abitanti di Bastogi riscontrino disuguaglianze di salute e di accesso ai servizi rispetto alla popolazione circostante. Emerge inoltre che il 25% dei rispondenti ritiene che gli abitanti di Bastogi non si impegnino abbastanza per risolvere le problematiche sociali; il 34% ritiene che questi percepiscano la loro salute indipendente dai propri comportamenti. Il 26% degli operatori afferma di avere difficoltà nella relazione con l’utenza, soprattutto tra coloro che hanno avuto contatto con Bastogi. Infine, l’81% ritiene utile un’attività formativa sulle competenze da utilizzare nella relazione con soggetti vulnerabili. Tale necessità è avvertita maggiormente da coloro che non conoscono Bastogi, mentre è statisticamente meno frequente tra soggetti con più anni di servizio lavorativo e medici di medicina generale. Risultati dettagliati saranno presentati in sede congressuale.
CONCLUSIONI
Benché i servizi territoriali appaiano adeguati agli intervistati, si ritiene ci siano disuguaglianze di accesso ai servizi tra gli abitanti di Bastogi – in parte ritenuti responsabili – e quelli limitrofi.
Emergendo una difficoltà degli operatori nell’instaurare una relazione proficua con l’utenza, si sottolinea l’opportunità di formare i dipendenti per migliorarne la relazione.
Per approfondire le attitudini del personale verso gruppi hard-to-reach, potrebbero essere utili studi qualitativi.
Abstract
BACKGROUND
Con lo spettro della gobba pensionistica e con i limiti di un’analisi di scenario ministeriale che non prende in considerazione i MMG iscritti nelle graduatorie di settore, le politiche sanitarie vanno tutte nella direzione di aumentare il numero di ingressi nel sistema (input) al pari dei pensionamenti (output), senza considerare in alcun modo i fattori di sistema. L’approccio dell’“uno vale uno” viene qui messo in discussione attraverso lo studio del rapporto ottimale per l’assistenza primaria.
Obiettivi: analisi di scenario al 2032 nazionale e regionale ed inquadramento del “rapporto ottimale per l’AP” come strumento di programmazione cardine su cui far leva per superare la gobba pensionistica.
METODI
Elaborazione dei dati:
ENPAM 2015 ottimizzati al 2018 per la distribuzione di età dei medici convenzionati per categoria (AP e CA/EST);
ISTAT e SISAC 2017 per il calcolo del rapporto ottimale;
Bandi MMG dal 2013 al 2018;
Analisi Statica e Dinamica delle graduatorie di AP degli anni 2017 e 2018 in tutte le Regioni.
RISULTATI
l’anno di picco con maggiori carenze di MMG sarà nel 2026/2027 con -2481 unità in ITALIA (per la sola Assistenza Primaria);
Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna, Trentino e Umbria non avranno carenze di MMG;
Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Piemonte, Sicilia riusciranno a coprirle adeguando il rapporto ottimale entro il limite massimo consentito da ACN vigente (1300);
Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Toscana, Val d’Aosta supereranno il rapporto ottimale ENTRO i limiti del massimale di scelta (1500);
solo il Veneto supererà con il nuovo rapporto ottimale il massimale di scelta negli anni di maggior picco di carenza (stimato intorno al 2026/2027).
Limiti fattori di “output”: manca la proiezione sulle borse perdute; fattori di “input”: manca la proiezione sui sovra numerari.
CONCLUSIONI
Lo studio mostra come non ci sia ad oggi una vera e propria “emergenza” di medici di famiglia, con una proiezione di borse di formazione per i prossimi 10 anni pari al concorso del 2018 e rivedendo il rapporto ottimale di qualche regione. Per la CA e l’EST si prospetta invece una forte carenza di personale convenzionato nonostante l’adeguamento del rapporto ottimale dell’assistenza primaria per cui saranno necessari interventi a sostegno della riorganizzazione dei servizi e dell’ottimizzazione del personale.
Abstract
INTRODUZIONE
La transizione demografica dell’ultimo decennio ha comportato un profondo mutamento del quadro epidemiologico associato ad un progressivo cambiamento del contesto socio-economico che rende sempre più cogente la riorganizzazione dei percorsi di cura e di assistenza: parallelamente al progressivo invecchiamento della popolazione, è in costante incremento il numero dei pazienti anziani affetti da patologie cronico-degenerative, con un quadro clinico e sociale altamente complesso.
Il Punto Unico di Accesso (PUA) rappresenta il fulcro organizzativo e funzionale che coordina l’accesso dei pazienti fragili ai servizi sanitari e socio-sanitari del Distretto, al fine di garantire in maniera integrata e multiprofessionale, risposte assistenziali appropriate.
Scopo del lavoro è valutare l’evoluzione della domanda e il profilo nosologico e sociale dei pazienti che hanno usufruito dell’innovazione organizzativa introdotta nel Distretto Media Valle del Tevere, facente parte dell’Azienda Usl Umbria 1, con l’istituzione del PUA Distrettuale nel periodo 20 marzo 2017-30 settembre 2018.
MATERIALI E METODI
La rilevazione retrospettiva delle richieste di attivazione inviate al PUA è avvenuta mediante la consultazione di un unico database rappresentato dalla casella di posta elettronica propria del PUA. L’analisi dei dati ha previsto l’applicazione di metodologie di statistica descrittiva e l’elaborazione è stata effettuata impiegando il software Stata 14.0.
RISULTATI
Il PUA, che opera per 3 ore al giorno su 5 giorni settimanali con un coordinatore infermieristico e un assistente sociale, ha preso in carico 1012 pazienti in 18 mesi, 590 femmine e 422 maschi con un’età media di 81,75 anni. Le richieste sono state 1.402, di cui 670 (47,8%) negli ultimi 6 mesi. L’87% dei pazienti era affetto da almeno una patologia cronica e la metà da almeno due; oltre il 65% dei pazienti usufruiva di un presidio sanitario e circa il 30% presentava problematiche socio-assistenziali.
CONCLUSIONI
L’innovazione organizzativa introdotta, che all’inizio era stata accolta dai Medici di Medicina Generale come un’ulteriore burocratizzazione, di fatto ha permesso un collegamento efficace con la Centrale Operativa Territoriale per le Dimissioni Protette, garantendo quindi una presa in carico reale dei pazienti “fragili” residenti nella Media Valle del Tevere ricoverati presso l’Azienda Ospedaliera di Perugia o l’ospedale di zona.
Abstract
INTRODUZIONE
La compresenza di finanziamenti pubblici e privati è una caratteristica comune a molti sistemi sanitari: nei paesi OCSE la spesa sanitaria privata oscilla tra il 15% e il 48% della spesa totale. Lo studio indaga i fattori predisponenti della scelta di strutture private per l’esecuzione di visite specialistiche nelle quattro discipline più frequenti (cardiologia, ostetricia-ginecologia, oculistica e ortopedica), tenendo conto delle differenze regionali.
MATERIALI E METODI
I dati derivano dall’indagine Istat “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari - anno 2013”. Sono stati inclusi i soggetti di età ≥18 anni che hanno eseguito almeno una visita specialistica negli ultimi 12 mesi. I due gruppi (struttura privata vs struttura pubblica di esecuzione) sono stati confrontati per caratteristiche sociodemografiche ed economiche. Le caratteristiche sono state poi inserite in un modello di regressione logistica multipla aggiustato per regione di residenza.
RISULTATI
Dei 50.781 soggetti inclusi nello studio, il 60% sono donne e l’età media è 55.3 ± 18.3 anni. Le visite più frequenti sono oculistiche (16.9%), cardiologiche (15.6%), ostetrico-ginecologiche (15.5%) e ortopediche (14.3%). Gli altri tipi di visita hanno una frequenza inferiore al 5%. L’utilizzo del servizio privato è pari al 30.5%, con notevoli differenze tra regioni (Liguria e Puglia ≈ 38%; Sardegna e le PA di Trento e di Bolzano ≈ 20%) e discipline (ostetriche-ginecologiche 47%, oculistiche 41%, ortopediche 27%, cardiologiche 23%).
Il sesso femminile è predisponente per visite ortopediche (OR 1.20, 99%IC 1.03-1.41) e oculistiche (OR 1.17, 99%IC 1.02-1.34). Livelli di istruzione maggiori sono predisponenti per tutte le tipologie di visita. Lo stato civile è predisponente solo per visite ginecologiche, e l’essere separata/divorziata previene il ricorso al privato (OR 0.73, 99%IC 0.58-0.94). Lo stato occupazionale incide solo per visite oculistiche e ginecologiche, e l’essere studente rappresenta un fattore predisponente (oculistiche: OR 1.82, 99%IC 1.28-2.61; ginecologiche: OR 1.46 99%IC 1.02-2.09). Infine, per tutte le discipline la probabilità di ricorso al privato aumenta all’aumentare del benessere riferito e in caso di non esenzione dal pagamento del ticket.
CONCLUSIONI
I risultati identificano diversi fattori, perlopiù non modificabili attraverso politiche sanitarie, associati al ricorso di strutture private per l’esecuzione di visite specialistiche al netto delle differenze regionali (stato civile, livello di istruzione, condizione occupazionale e condizione economica). La compartecipazione alla spesa sanitaria tramite ticket è un fattore modificabile che può essere oggetto di politiche regionali. Future ricerche sono necessarie per identificare ulteriori fattori predisponenti in grado di fornire indicazioni ai decisori pubblici.
Abstract
INTRODUZIONE
L’OMS sottolinea la necessità di una trasformazione dei sistemi assistenziali, in una prospettiva integrata, multiprofessionale e multisettoriale, attuata soprattutto a livello territoriale e che preveda l’attivo coinvolgimento delle comunità. Appare dunque necessario che i futuri specialisti in Igiene siano formati per lavorare nell’ambito dell’Assistenza Primaria. In quest’ottica, il gruppo di lavoro “Primary Health Care” (PHC) della Consulta degli Specializzandi ha promosso una survey online per indagare i bisogni formativi e le conoscenze in tale area. Lo studio riprende un’analisi effettuata nel 2015 dal GdL PHC della SItI con l’obiettivo di monitorare e analizzare eventuali differenze.
METODI
Da settembre 2018 a gennaio 2019 sono state raccolte le risposte degli specializzandi a una survey online costituita da 28 item. I bisogni formativi sono stati valutati rispetto a 22 aree tematiche dell’Assistenza Primaria. Il grado di soddisfazione è stato valutato tramite scala Likert 1-4.
RISULTATI
Hanno aderito alla survey gli specializzandi di 23 Scuole di Specializzazione (65.7%).
Dall’indagine è emerso che momenti formativi sull’organizzazione dei servizi territoriali vengono proposti da almeno il 74% delle Scuole di Specializzazione rispondenti. Nel 73,7% dei casi i contenuti prevedono sia aspetti clinici che organizzativi, solamente organizzativi nel 26,3%. Le tematiche maggiormente affrontate nelle Scuole riguardano: PDTA e rapporto ospedale-territorio (65,2%); sanità d’iniziativa, educazione alla salute ed educazione terapeutica (60,9%); malattie croniche e bisogni assistenziali complessi (60,9%). Le tematiche meno trattate riguardano: sanità penitenziaria (21,7%); assistenza protesica integrativa (21,7%). Per tutte le aree valutate l’interesse degli specializzandi all’apprendimento e all’approfondimento è superiore al 45%, mentre le competenze autovalutate (acquisizione di competenze base) non superano il 18%, con valori più bassi riscontrati per: sanità penitenziaria (8,2%); ICT, comunicazione e competenze relazionali (12,2%) e assistenza protesica integrativa (12,2%).
Nell’87% delle Scuole rispondenti viene offerta agli specializzandi l’opportunità di frequentare strutture di Assistenza Primaria; nel 78,3% tale possibilità è prevista nel percorso formativo della Scuola.
Il grado di soddisfazione medio (scala Likert 1-4) è pari a 3 per il tirocinio e 1,8 per la formazione teorica.
CONCLUSIONI
Lo studio, a distanza di tre anni dalla precedente analisi, continua ad evidenziare un forte bisogno formativo degli specializzandi di Igiene, adeguato alle sfide future del Servizio Sanitario il cui baricentro dovrebbe essere sempre più spostato verso la Primary Health Care. È emersa, inoltre, un’elevata differenziazione di contenuti e modalità nell’offerta formativa. Sarebbe auspicabile, pertanto, maggiore collaborazione per uniformare le attività formative nelle Scuole italiane.
Abstract
INTRODUZIONE
L’elevata età media dei medici in Italia incentiverà nei prossimi anni lo sblocco del turnover in vari settori della Sanità, non ultimo quello della Medicina Generale. In previsione di un aumento consistente di assunzioni di medici di famiglia, questo studio propone un confronto fra vecchie e nuove convenzioni in Toscana, relativamente a misure della gestione delle cure primarie.
MATERIALI E METODI
Utilizzando i flussi sanitari amministrativi correnti, sono stati selezionati i Medici di Medicina Generale convenzionati al 1/1/2018 in Toscana. Si è descritta la loro distribuzione per età, anno di laurea e di convenzione, numero di assistiti e precedenti esperienze lavorative. Vecchi e nuovi medici sono stati poi confrontati, in media, rispetto a indicatori di processo esito e costo delle cure erogate nell’anno, così formulati dall’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana:
percentuale di raccomandazioni seguite per curare assistiti con almeno una patologia cronica;
tasso di ospedalizzazione in reparti per acuti, regime ordinario, DRG medici;
spesa pro capite per farmaci a erogazione diretta per assistiti senza e con diabete;
tasso di erogazione di prestazioni di tomografia computerizzata e di risonanza magnetica lombare;
percentuale di assistiti scompensati con almeno due erogazioni di betabloccanti distanti oltre 180 giorni;
consumo di antibiotici su base territoriale.
RISULTATI
Dei 2.620 medici in analisi, 2252 hanno più di 55 anni e il 44,2% di questi supera i 65; prevale chi assiste dai 1000 ai 1500 individui (47,02%). I 175 nuovi medici con la convenzione attiva dal 2015 presentano, rispetto ai convenzionati prima del 1995 e a quelli tra il 1996 e il 2014, valori maggiori degli indicatori di spesa (529,35 contro 502,67 e 481,63 euro; 562,45 contro 485,94 e 480,72 euro nel caso del diabete), del tasso di ospedalizzazione (59 vs 54 e 56‰), del consumo di antibiotici (19 vs 18 e 17 DDD) e delle erogazioni di prestazioni diagnostiche per immagini (20 vs 19 ‰); un minore tasso di erogazione di betabloccanti nello scompenso (51 contro 56 e 54‰).
CONCLUSIONI
Le differenze riscontrate a livello descrittivo tra i medici spingono a riflettere sui potenziali cambiamenti nell’assistenza territoriale in seguito all’avvicendamento delle vecchie convenzioni nei prossimi anni. Ulteriori studi sui nuovi medici di famiglia sono necessari per spiegare se e quali fattori, dalle riforme della formazione a quelle del Sistema Sanitario, giustificano aumenti considerevoli di ricoveri e spese a fronte di percentuali analoghe di raccomandazioni seguite.
Abstract
INTRODUZIONE
Il continuo e progressivo invecchiamento della popolazione è uno dei principali fattori da tenere in considerazione nella programmazione socio-sanitara. Tale trend può incidere sul complessivo assetto sociale, con potenziali ripercussioni economiche e organizzative anche nelle famiglie. L’Umbria è fra le regioni con un più alto indice di vecchiaia. È in tale contesto che acquisisce una sempre maggiore rilevanza il ruolo del Care-Giver.
Scopo dello studio è analizzare il bisogno di cura e assistenza degli anziani non autonomi nello svolgimento delle attività della vita quotidiana residenti dell’USLUmbria1 e quanto di questo bisogno venga soddisfatto da Care-Giver
METODI
La scala delle attività fondamentali della vita quotidiana, ADL (Activity of Daily Living) è lo strumento per determinare il grado di autonomia negli ultra65enni; la perdita di autonomia in una ADL è considerata, a livello internazionale, una condizione di disabilità per l’ultra65enne.
La Sorveglianza Passi d’Argento (PdA) utilizza la scala delle ADL e consente di stimare la prevalenza di ultra65enni con disabilità e l’aiuto ricevuto.
Nel biennio 2016-2017 PdA ha raccolto informazioni su un campione di 594 residenti nella USLUmbria1.
RISULTATI
La quota di anziani disabili nell’UslUmbria1 risulta pari al 17%; coerentemente con l’atteso, la disabilità cresce con l’età passando dal 6% tra i 65-74enni al 57% dopo gli 85 anni di età; è mediamente più frequente fra le donne (21% vs 12% uomini) e fra chi ha una bassa istruzione (24% vs 9% alta istruzione). I dati sono in linea con la media nazionale.
La totalità delle persone con disabilità riceve aiuto per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana, ma questo carico di cura e di assistenza proviene prevalentemente da familiari (95%) e da badanti, figura maggiormente coinvolta in questo territorio (49% vs 36% Italia). Scarso l’aiuto proveniente dal servizio pubblico di Asl e Comune (5%). Infine il 29% delle persone non autonome riceve un contributo economico per questa condizione di disabilità.
CONCLUSIONI
I risultati mostrano che nell’Uslumbria1 circa un quinto degli ultr65enni non è autonomo e fa ricorso al Care-Giver. Questo dato permette di dimensionare la quota di popolazione che necessita di assistenza da parte della famiglia o che si avvale in tal senso di personale privato. Anche da questa fonte informativa vengono quindi delineati nuovi modelli familiari atti a far fronte all’invecchiamento della popolazione, con un conseguente sovraccarico di responsabilità. Emerge inoltre l’importanza della valorizzazione della funzione del Care-Giver nella pianificazione e gestione dei servizi.
Abstract
INTRODUZIONE
Nelle Marche il PRP 2014-2018 prorogato al 2019 (DGR 540/2015 e smi) è composto di 12 programmi e 72 linee progettuali. Si riportano alcune riflessioni del coordinatore regionale.
MATERIALI E METODI
Il PRP presenta diverse progettualità collegate a reti della prevenzione già consolidate ed altre per le quali è stato necessario costruire percorsi specifici, come per Promozione della Salute ed Ambiente e Salute, con l’avvio di percorsi di formazione e la strutturazione, in corso, di Unità Operative. Per quanto riguarda la progettualità, sono state rafforzate attività strategiche come la promozione dell’attività fisica. Nel biennio 2018-2019, con il sostegno della Giunta Regionale, che ha approvato i finanziamenti, sono stati avviati due importanti programmi per lo sviluppo dell’attività motoria e sportiva: uno in ambito scolastico, con la sinergia di Regione Marche, ASUR, CONI, MIUR ed uno riservato ad adulti ed anziani, con il coinvolgimento degli Enti di Promozione Sportiva (DGR 1118/2017). Sono stati anche realizzati progetti innovativi. Il WHP nella prima fase ha coinvolto oltre 7.000 lavoratori, e si sta sviluppando sempre più. Le Aziende, in linea con il programma regionale, stanno attuando le cosiddette “buone pratiche” finalizzate al contrasto dei principali fattori di rischio delle malattie croniche non trasmissibili. Un Gruppo di Lavoro composto da operatori dei Dipartimenti di Prevenzione svolge un ruolo di orientamento metodologico e organizzativo. Il progetto di contrasto all’osteoporosi – Ossi duri si diventa – si è basato sulla multidisciplinarietà ed ha previsto interventi per gli Operatori e per la popolazione, oltre alla produzione di materiale informativo. Rilevante il ruolo decisivo delle Organizzazioni Sindacali dei Pensionati – coordinamento femminile, nel diffondere capillarmente informazioni complete e corrette, in stretta collaborazione con i professionisti sanitari.
RISULTATI
L’esperienza sviluppata nel dare attuazione alle linee di intervento del PRP ha evidenziato come sia possibile raggiungere più efficacemente le popolazioni target attivando le risorse della comunità, istituzionali e non, già presenti nei territori e che, a vario titolo, condividono gli obiettivi della Sanità pubblica. A tale proposito, in attuazione del PRP, sono stati approvati diversi Protocolli d’Intesa con Enti e Istituzioni.
CONCLUSIONI
L’esperienza dimostra che per attività come la Promozione della Salute e Ambiente e Salute necessiti la formazione di Operatori con competenze specifiche; inoltre la interazione con Enti esterni al Sistema sanitario e con diversi portatori d’interesse comporta la necessità per gli Operatori che si occupano di Prevenzione di ricoprire un ruolo strategico di regia, che comprende competenze manageriali, comunicative e capacità di coinvolgimento.
Abstract
OBIETTIVO
Attualmente in Italia strumenti che valutino lo stress e la self-efficacy nelle neo-mamme (con neonati 0-12 mesi), non sono ancora disponibili.
Obiettivi dello studio solo la validazione di due strumenti atti alla misurazione dello stress e della self-efficacy nelle neomamme e l’uso di tali strumenti per un’analisi della prevalenza del benessere delle neomamme in Italia.
METODI
Sono stati utilizzati il Karitane Parenting Confidence Scale (KPCS) e il Parental Stress Scale (PSS) per misurare lo stress e la self-efficacy nelle neomamme, rispettivamente.
La validazione di tali strumenti ha previsto: una traduzione in doppio con verifica dall’inglese; una somministrazione pilota telefonica per testare la comprensione; una somministrazione on-line ripetuta a distanza di 2 giorni, per apprezzare stabilità e consistenza interna.
Lo studio di prevalenza si è avvalso dei social per la diffusione del questionario ed è avvenuta nel mese di maggio 2019.
RISULTATI
Hanno partecipato alla validazione 29 mamme, di cui 23 hanno completato entrambe le somministrazioni. La riproducibilità del questionario ha mostrato un’alpha di Cronbach di 0.82 per l’PSS e di 0.65 per il KPCS. Il coefficiente di Spearman mostra un r = 0.99 con p < 0.001, tra gli score di sintesi a T0 e T1.
Per lo studio di prevalenza sono stati raccolti 679 questionari. Il 70% riferisce un parto vaginale, il 67% dichiara di avere un solo figlio, l’età media è di 33.8 anni (SD = 4.5), l’89% risulta occupata e il 98% di convivente. La distribuzione geografica mostra che il 52% risiede al Centro, il 25% al Sud e il 23% nel Nord Italia. Il PSS medio è 35.4 (IC95%: 34.7-36.1) e il KPCS medio è 36.8 (IC95%:36.4-37.2).
Vi è una correlazione diretta tra PSS e KPCS verso il numero di figli (r = 0.08, p = 0.04) e tra PSS e giorni dal parto (r = 0.134 p < 0.001). Mentre vi è una correlazione inversa tra PSS e KPCS (r = -0.58, p < 0.001).
CONCLUSIONI
Lo studio, attualmente ancora in corso, seppure utilizzi canali come i social per raccogliere informazioni sullo stress nelle neomamme, e quindi potrebbe presentare problemi di selection bias, grazie al non trascurabile numero di questionari rappresenta una prima analisi della problematica. I dati i significativi sulla associazione tra self-efficacy e riduzione dello stress possono inoltre incoraggiare interventi sulle neo-mamme, mirati a stimolare e rafforzare le capacità di fronteggiare situazioni stressanti. Infatti tali interventi sono cruciali se in grado di arginare e prevenire livelli elevati di distress sia per le conseguenze sul rapporto madre-figlio che sul bambino.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, nei paesi sviluppati, l’aspettativa di vita è nettamente aumentata ed una ampia fascia di popolazione comprende soggetti con più di 60 anni spesso affetti da patologie croniche. La salute orale nella terza età è spesso trascurata, data la presenza di patologie sistemiche, tanto più nei soggetti istituzionalizzati. L’obiettivo dello studio è descrivere lo stato di salute orale dei soggetti istituzionalizzati e identificare l’impatto che questo ha sulla qualità di vita.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha previsto la somministrazione di un questionario in un campione di soggetti istituzionalizzati di età ± 60 anni orientato alla raccolta di informazioni anagrafiche, relative alla storia occupazionale, a eventuali patologie croniche, al livello cognitivo, alle abitudini di igiene orale e alla presenza di protesi. Per la valutazione dell’impatto dello stato di salute orale sulla qualità della vita è stato utilizzato il Geriatric Oral Health Assessment Index (GOHAI). Il GOHAI score è stato calcolato sommando i punteggi ottenuti per i singoli item ed è stato classificato in tre categorie: alto (57-60), moderato (51-56) e basso (inferiore a 50), indicando, rispettivamente, un buono, mediocre e cattivo livello di salute orale percepito. La valutazione clinica dei pazienti è stata effettuata da un odontoiatra mediante un esame obiettivo del cavo orale per la rilevazione di lesioni cariose, denti mancanti e otturati, al fine di misurare gli indici di salute orale DMFT e DMFS.
RISULTATI
Sono stati esaminati 300 soggetti residenti in 22 case di riposo nella regione Calabria. L’età media dei soggetti è di 82,8 anni (± 9,5). Relativamente allo stato di salute orale: il 42,7% del campione era portatore di protesi, rimovibile nll’82,6% e fissa nel 17,4%, circa l’8% era edentulo. Il DMFT è risultato pari a 26.3 ± 7.5 con un numero di denti mancanti di 23 ± 9. Il 37,5% della popolazione in studio presentava un GOHAI score elevato, il 34,9% moderato e il 27,5% riportava un valore basso. Lo score è risultato significativamente più elevato nei soggetti portatori di protesi e significativamente più basso nei soggetti che esprimevano il bisogno di cure odontoiatriche.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari del presente studio evidenziano una elevata proporzione di soggetti over 60 con problemi orali trascurati che incidono sulla possibilità di alimentarsi in modo corretto, oltre che sulla sfera psicologica e sociale. Sono disponibili evidenze che dimostrano come in questo gruppo di popolazione le cure odontoiatriche siano altamente vantaggiose per prevenire il pesante impatto sullo stato di salute generale.
Abstract
INTRODUZIONE
Online Grooming plays a relevant part in internet related child sexual abuses, being defined as a manipulative process through which an adult attempts to arrange a sexual interaction with a minor using the internet. Nowadays, children are constantly exposed to the online world, posing them at risk of dangerous interactions. Online Grooming could therefore be considered a new public health issue worthy of social preventive campaigns.
The aim of this narrative review is to describe the state of online grooming preventive strategies in recent literature. Our analysis starts from an overview of online grooming phenomenon through an investigation of victim and perpetrator recurring risk factors and modus operandi, highlighting useful elements to lay foundations for future preventive strategies.
MATERIALI E METODI
A literature search was performed on PubMed, ScienceDirect, Scopus and Google Scholar in March 2019 with the following queries:
(“online grooming; OR grooming OR “sexual solicitation”) AND (prevention OR preventive strategies OR “sexual orientation”) AND (children OR child OR minor);
(perpetrators OR “sex offenders”) AND (“prevention” OR “preventive strategies”) AND (child OR children OR minor) AND (grooming).
Articles published between January 2014 and March 2019 were included, as well as respective reference lists.
RISULTATI
The analysis of the selected studies (43) provides a picture of online child sexual exploitation, identifying recurrent features of perpetrators and victims. Female sex, social/family problems, psychiatric disorder, low self-esteem, gender non-conformity and problematic internet use place teenagers at greater risk for child sexual abuse. On the other hand, being a male aged 18-25 and having been victims of particularly violent child sexual abuse have been associated with a greater risk of becoming offenders. These data could be used in order to develop suited preventive campaigns addressed both to potential victims and offenders.
Several preventive strategies have so far been implemented, but they lack any kind of efficacy evaluation and miss a theory driven approach. Fragmentation of preventive initiatives among the different players involved represents a critical issue, in contrast with the need of institutional public health plans structured in primary, secondary, and tertiary levels.
CONCLUSIONI
While the attention around Online Grooming is growing, there is still the need to further sensitize the involved stakeholders. Future academic efforts should be targeted to develop evidence based preventive strategies. Institutional guidance is essential to coordinate the multidisciplinary nature of the preventive action and evaluate the outcomes.
Abstract
INTRODUZIONE
Il bullismo è un crescente problema di sanità pubblica, a causa delle conseguenze sullo sviluppo cognitivo-comportamentale che si ripercuote in età adulta. Il dato più recente sul bullismo in Sicilia risaliva al 2014 (studio HBSC) riportando una prevalenza del 14% tra gli 11 e i 15 anni. Obiettivo dello studio è quello di individuare dati di prevalenza aggiornati riguardo le diverse tipologie di bullismo e i fattori ad esso associati in un campione di scuole secondarie di primo livello di Palermo.
MATERIALI E METODI
Un gruppo di lavoro formato da specializzandi e Ricercatori di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Palermo, dell’Ufficio Scolastico Regionale e dell’ASP di Palermo hanno condotto uno studio trasversale, attraverso un questionario pre-validato e somministrato online, costituito da 30 domande, con 5 risposte per singola area indagata (bullismo fisico, verbale e indiretto, ruolo degli osservatori, prosocialità e resilienza). Sono state reclutate dieci scuole secondarie di primo livello, campionate casualmente e ridistribuite in tre differenti categoriesecondo l’indice di deprivazione socioeconomica. Nell’analisi della prevalenza del bullismo sono stati utilizzati tre differenti strumenti: 1) “score 7” (S7), che stabiliva un punteggio minimo dalla sommatoria delle risposte categorizzate in scala Likert alle domande della singola area; 2) “5 domande” (5-D), che considerando le risposte a cinque domande per area, valutava la presenza o meno del bullismo con almeno una risposta fortemente affermativa; 3) “domanda sentinella” (DS), basato sulla risposta affermativa alla domanda maggiormente rappresentativa per ogni area indagata.
RISULTATI
Hanno partecipato allo studio 867 studenti, provenienti da 66 seconde e terze classi (tasso di risposta: 71,5%). La prevalenza del bullismo totale osservato è stata: 74,5% (S7); 55,1% (5-D);23,3% (DS). Una più alta prevalenza di bullismo era significativamente associata al frequentare classi terze vs classi seconde (adjOR: 1,74; CI95%: 1,21-2,50) e al frequentare scuole con maggiore indice di deprivazione socioeconomica (adjOR: 1,2; CI95%: 1,02-1,50).
CONCLUSIONI
L’analisi di un fenomeno così complesso come il bullismo, non può essere affidata ad una singola valutazione, ma ad uno strumento più variegato e adattato al contesto sociale nel quale è proposto. In particolare, i tre strumenti di rilevazione utilizzati hanno confermato diversi gradi di sensibilità e specificità, con sostanziali differenze in base al tipo di bullismo considerato. Lo studio ha permesso di identificare, scuole e classi a più alto rischio di fenomeni di bullismo e di strutturare interventi preventivi dedicati attraverso i docenti delle singole classi.
Abstract
INTRODUZIONE
L’adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da profondi cambiamenti psicologici che espone a disagi emotivi e comportamentali. Scopo del presente studio è indagare la salute mentale e lo stile di vita degli adolescenti.
MATERIALI E METODI
Il “Progetto Be Teen” è uno studio di coorte avviato nel 2017/2018 che prevede la somministrazione annuale di un questionario standardizzato a studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Brescia e provincia per l’intera durata del percorso di studi quinquennale. Al fine di monitorare i cambiamenti intercorsi, a ciascun partecipante è stato associato un codice identificativo personale. La salute mentale è stata valutata mediante due scale, validate in studi internazionali: CES-DC (Center for Epidemiologic Studies Depression Scale for Children), una scala di autovalutazione per lo screening dei disturbi depressivi, e SDQ (Strenghts and Difficulties Questionnaire), un questionario di autovalutazione che indaga problemi comportamentali.
RISULTATI
Il campione è costituito da 786 studenti (il 6.9% in meno rispetto all’anno passato),di cui 57.5% femmine. L’età media è 15.2 (DS 0.45) anni.
Si sono rilevati punteggi anormali nell’ 11.4% degli studenti alla CES-DC e nel 9.4% alla SDQ, con una prevalenza nettamente maggiore nel sesso femminile, sia per la scala CES-DC (F: 16.0%, M: 4.9%, p < 0.001) che per la SDQ (F: 12.7%, M: 4.8%, p < 0.001).
Il 40.4% degli studenti dichiara di aver fumato almeno una volta nell’arco della vita (F: 41.5%; M: 38.8%), mentre il 20.9% ha fumato nel mese precedente (F: 22.6%, M: 18.6%). Il 32.6% degli studenti dichiara di aver assunto bevande alcoliche almeno una volta al mese nell’ultimo anno (M: 36.6%; F: 29.7%; p < 0.05), mentre il 23.4% riferisce almeno un episodio di ubriachezza negli ultimi 12 mesi (M: 24.3%; F: 22.8%).
CONCLUSIONI
I risultati di questo studio di coorte mostrano una tendenza del sesso femminile a presentare maggiori disagi nell’ambito della salute mentale. alcuni stili di vita errati sono relativamente comuni: un quinto degli studenti ha fumato nel mese precedente, con percentuali simili tra maschi e femmine, mentre il consumo di alcolici è più diffuso tra i maschi. In considerazione della mancanza di anonimato dei questionari e al diritto dei genitori, su richiesta, di prendere visione delle informazioni raccolte non è possibile escludere che vi siano bias di selezione del campione o di risposte al questionario.
Abstract
INTRODUZIONE
La Medicina è impegnata quotidianamente a fronteggiare la dilagante disinformazione che trova spazio nei canali di comunicazione esponendo la popolazione a dubbi ed incertezze. “Adulti e Vaccinati”, progetto inserito nel Piano Strategico Regionale per la Promozione alla Salute nella Scuola, mira ad accrescere la coscienza critica degli studenti affinché siano in grado autonomamente di verificare l’attendibilità delle informazioni scientifiche sulle vaccinazioni. Attuato nelle province di Brindisi e Lecce nell’anno scolastico 2018-19, hanno aderito 16 istituti scolastici con ben 2200 studenti. Il progetto è stato accompagnato da una valutazione dell’efficacia dell’intervento attraverso questionario online. È scopo del presente lavoro riportare i risultati di tale valutazione.
MATERIALI E METODI
Il progetto formativo ha incluso una parte didattica svolta in aula con metodi tradizionali di didattica frontale e discussione aperta, seguita da un evento teatrale realizzato con intenti di infotainment. L’intero progetto è stato accompagnato da pre- e post- test valutativi realizzati con questionario standard anonimo somministrato utilizzando una piattaforma online. Pre- e post- test sono stati appaiati in gruppi utilizzando un codice unico di istituto. L’analisi dei dati è stata realizzata con software statistico STATA.
RISULTATI
Il test valutativo, composto da 13 domande su scala Likert (da 1 = “Completamente contrario” a 10 = “completamente favorevole”) volte a esplorare la fiducia nelle vaccinazioni e i gap informativi, è stato completato da 964 studenti appartenenti a 11 differenti gruppi prima dell’evento e a 318 studenti, appartenenti a 9 degli 11 gruppi dopo lo stesso. Il tasso di risposta è stato del 91,9% per il pre-test e del 92,14% nel post-test.
Per ognuno dei partecipanti è stato calcolato un indice della fiducia nelle vaccinazioni (Vaccine Confidence Index), ed è stato calcolato il valore medio nel pre e nel post-intervento (2,37 vs 2,91). La media degli indici, calcolata in 7 diversi gruppi (2 dei 9 gruppi, costituiti da un numero esiguo di studenti (≤ 2) non sono stati considerati nell’analisi) di studenti prima e dopo l’intervento, risulta, per tutti i gruppi eccetto uno, maggiore nella somministrazione post-intervento.
Per quanto riguarda i gap informativi, dopo l’intervento più studenti pensano di aver ricevuto abbastanza informazioni sui vaccini rispetto a prima dell’intervento (5,83 pre intervento vs 7,45 post intervento).
CONCLUSIONI
L’efficacia dell’intervento, svolto con tecniche innovative di comunicazione che sono state molto apprezzate da studenti ed insegnanti, ha determinato l’estensione per l’a.s. 2019-20, quando il progetto sarà incluso nel catalogo dell’offerta formativa regionale.
Abstract
INTRODUZIONE
Nella Regione Veneto gli accordi contrattuali con le Medicine di Gruppo Integrate (MGI) prevedono che l’infermiere o il MMG registri nella scheda individuale dell’assistito gli stili di vita e in particolare l’abitudine al fumo. Obiettivo dello studio è valutare se l’avvio di un programma aziendale di prevenzione primaria cardiovascolare da parte delle Medicine di Gruppo Integrate influisca sull’attività di counselling effettuata dall’operatore sanitario così come viene rilevata tramite la sorveglianza PASSI.
MATERIALI E METODI
Sono state estratte le interviste della Sorveglianza PASSI effettuate dal 2007 al 2017 nell’Azienda ULSS 7 Pedemontana. Ad ogni intervistato è stato associato il proprio MMG con la relativa forma associativa (MGI vs altra forma). I MMG sono stati così suddivisi in “aderenti” e “non aderenti” al programma aziendale di prevenzione primaria cardiovascolare (2008-2012), rivolto alla popolazione di 40-69 anni. È stato fatto un sovracampionamento nella popolazione assistita dalle MGI, prevedendo negli anni 2009-2010 una estrazione 6:1, in modo da ottenere almeno 250 interviste/anno nella popolazione target. Sono state analizzate le risposte alle domande relative al counselling dell’operatore sanitario in particolare sull’abitudine al fumo.
RISULTATI
Sono state analizzate 4.469 interviste totali, 1.148 (25,7%) di assistiti di MMG “aderenti” e 3.321 (74,3%) di MMG “non aderenti”. Complessivamente hanno dichiarato di essere stati interpellati circa l’abitudine al fumo il 48,0% (CI 44,9%-51,1%) degli assistiti di MMG aderenti e il 43,1% (CI 41,3%-45,0%) di MMG non aderenti. La domanda è stata posta più frequentemente ai fumatori, a chi presenta una o più patologie croniche e agli assistiti dei MMG aderenti al programma (OR 1.50 CI95% 1.27-1.78), meno frequentemente alle donne, agli stranieri, alle persone di 60-69 anni. Tra gli assistiti dei MMG aderenti si rileva un approccio più chiaramente mirato alla prevenzione primaria, che persiste anche dopo la conclusione del programma aziendale. Per le altre attività di counselling di prevenzione l’efficacia dell’intervento è tendenzialmente limitata al periodo di attivazione del programma.
CONCLUSIONI
L’avvio del programma aziendale di prevenzione cardiovascolare primaria determina un atteggiamento più attivo da parte degli operatori sanitari delle MGI, con un incremento dell’attività di counselling sugli stili di vita più evidente nel periodo di realizzazione del progetto (2008-2012). Il programma rappresenta un’esperienza importante di prevenzione primaria che supera il tradizionale approccio di contenimento del danno ed assume per questo le caratteristiche di maggiore equità.
Abstract
INTRODUZIONE
La Società Italiana di Pediatria, come altre associazioni pediatriche, raccomanda di evitare l’uso di dispositivi digitali (DD) nei bambini fino ai 2 anni di vita e di limitare l’uso a un’ora al giorno per bambini di età compresa tra 2 e 5 anni. Alla luce di queste linee guida, lo scopo di questo studio è di indagare la percezione del rischio nella popolazione generale e l’uso dei DD nei bambini in età prescolare.
MATERIALI E METODI
Uno studio trasversale su 3115 soggetti italiani, genitori e non genitori, è stato condotto attraverso un sondaggio online. I genitori hanno risposto alle domande sull’uso dei DD relativo ai propri figli. I fattori potenzialmente predittivi dell’uso dei DD nei bambini in età prescolare sono stati valutati mediante un’analisi multivariata.
RISULTATI
Complessivamente il 74% del campione ritiene che l’uso dei DD da parte di bambini in età prescolare sia un rischio per la salute.
I rischi, quali irritazioni oculari (83%) o disturbi del sonno (65%), sono maggiormente percepiti rispetto ai benefici, come comunicare con parenti lontani (47%) e imparare parole nuove (40%).
I genitori di bambini in età prescolare rappresentano il 74% di tutti i genitori (n = 1869). Il 56% dei genitori che hanno bambini di età tra 0 e 2 anni, ritiene che non sia corretto l’uso dei DD nei bambini così piccoli, tuttavia il 25% di essi ne consente l’utilizzo ai propri figli. Il tempo medio di utilizzo riportato è di 63 ± 57 minuti.
Tra i genitori che hanno anche bambini tra i 2 e i 5 anni, l’89% pensa che sia corretto l’uso dei DD fino ad un massimo di un’ora al giorno per bambini in tale fascia di età. Tuttavia, il 58% di essi consente ai propri figli di usarlo per più di un’ora (tempo medio di utilizzo riportato: 61 ± 52 minuti).
I genitori disoccupati, con un basso livello di istruzione, con più di un figlio e con figli di almeno 3 anni, sono più inclini a consentire l’uso di DD ai propri figli.
CONCLUSIONI
Lo studio ha consentito di rilevare una discrepanza tra la percezione del rischio e l’atteggiamento effettivo dei genitori relativo all’uso di DD nei bambini. Considerando l’ampio utilizzo dei DD negli adulti, e di conseguenza nei bambini, particolare attenzione deve essere rivolta a tale problema da parte della Sanità Pubblica. Sarebbe auspicabile incrementare interventi di divulgazione-sensibilizzazione che guidino a un utilizzo consapevole di questi dispositivi.
Abstract
INTRODUZIONE
La depressione costituisce un rilevante problema di salute pubblica. È una patologia in grado di inficiare i rapporti interpersonali, la sfera sociale e professionale dell’individuo. È un disturbo in costante aumento. Dai risultati di una recente revisione sistematica si evince che, in tutto il mondo, circa il 34% degli studenti di scienze infermieristiche ha sofferto di depressione. Durante il periodo universitario, il benessere mentale degli studenti può essere compromesso dallo stress, con conseguente predisposizione allo sviluppo di malattie ascrivibili alla sfera dei disturbi dell’umore. L’obiettivo dello studio è stimare la prevalenza della patologia depressiva e valutare i correlati socio-demografici della sua sintomatologia.
MATERIALI E METODI
Nell’aprile 2019 è stato somministrato un questionario, corredato dal consenso informato, a tutti gli studenti dei tre anni di corso iscritti al corso di laurea in Scienze Infermieristiche dell’Università di Palermo. Ci si è avvalsi di una regressione logistica multivariabile. Il livello di significatività statistica scelto per tutte le analisi è stato di 0,05. I risultati sono stati analizzati utilizzando il software statistico STATA versione 14 e sono stati espressi in Odds Ratio (aOR), con intervalli di confidenza del 95% (95% CI).
RISULTATI
Il campione è composto da 493 studenti che hanno accordato il consenso e completato il questionario. L’età media del campione è di 21,88 anni (DS ± 3.38). Il modello di regressione logistica multivariabile mostra che il rischio di avere una sintomatologia depressiva è significativamente associato alle seguenti variabili indipendenti: sesso femminile (aOR 1.91); essere single (aOR 1.87); secondo anno di studio (aOR 1.94); terzo anno di studio (aOR 1.92); il mancato svolgimento di un’attività fisica regolare (aOR 1.78); percepire “basso” il proprio stato di salute (aOR 3.08); essere affetti da malattie croniche (aOR 2.20).
CONCLUSIONI
Lo studio dimostra che i soggetti di sesso femminile, essere affetti da una malattia cronica ed avere una bassa percezione del proprio stato di salute costituiscono tutti fattori che possono aumentare il rischio di sviluppare sintomi depressivi; di contro, una regolare attività fisica, l’amicizia e le relazioni possono essere considerate fattori che proteggono dal rischio di imbattersi nella sintomatologia depressiva, che può compromettere sia lo studio che le prestazioni lavorative. In conclusione, il presente studio dimostra che occorre porre un argine a questo fenomeno oltremodo diffuso tra gli studenti, mediante ulteriori studi e il costante impegno da parte delle istituzioni.
Abstract
INTRODUZIONE
La recente crisi economica ha avuto un forte impatto sulla condizione lavorativa della popolazione. Gli indicatori economici evidenziano una situazione particolarmente grave per l’Umbria.
Scopo del lavoro è analizzare, attraverso gli indicatori disponibili dalla sorveglianza PASSI, eventuali cambiamenti socioeconomici e sanitari nel tempo tra i giovani, categoria nella quale sembrano concentrarsi le maggiori ricadute della crisi.
MATERIALI E METODI
Dati ISTAT su popolazione residente 2002-2018.
Sistema di sorveglianza PASSI 2008-2018. Analisi tra i 18-34enni delle variabili: anno di rilevazione, occupazione, laurea, stato civile, cittadinanza, difficoltà economiche percepite (come arriva a fine mese), probabilità di perdere il lavoro, stato di salute percepito, fattori di rischio comportamentali. Analisi statistica con EpiInfo 3.5.1
RISULTATI
In Umbria nel 2002-18 la numerosità dei 18-34enni presenta un decremento medio dell’1% annuo, passando da 179.338 a 147.619. Inoltre la proporzione dei giovani sul totale si riduce nel tempo, passando dal 21.7% (2002) al 16.7% (2018).
Dai dati PASSI 2015-18 (n = 4360) emerge che: il 62% dei 18-34enni è occupato, quota significativamente inferiore rispetto ai 18-65enni (71%); il 24% ritiene propabile perdere il lavoro (OR 1.62 p = 0.0001). Inoltre il 27% è laureato, il 62% non riferisce difficoltà economiche, il 13% è straniero e il 19% è coniugato/convivente. Sono maggiormente occupati i maschi (OR 1.79; p < 0.00001) e i laureati (OR 1.97; p < 0.00001).
L’analisi degli indicatori nel tempo mostra: un significativo calo degli occupati (OR 0.92; p < 0,00001) e di chi è sposato/convivente (OR 0.96 p = 0,0074); un aumento dei laureati (OR1.05; p = 0,0005), degli stranieri (OR 1.15; p < 0,00001), di chi non riferisce difficoltà economiche (OR 1.03 p = 0,0319); tra gli occupati cala la paura di perdere il lavoro (OR 0.83; p = 0,0006); aumentano inoltre coloro che percepiscono uno stato di salute buono (OR 1.08; p = 0.0001). Non emergono cambiamenti tra i fattori di rischio comportamentali ad eccezione dell’aumento del consumo di alcol a maggior rischio (OR 1.05; p = 0.0002)
CONCLUSIONI
I 18-34enni umbri sono in continuo calo, fenomeno verosimilmente attribuibile al concomitante calo della natalità. Il quadro che emerge dall’analisi dei dati per i giovani umbri mostra elementi compatibili con l’effetto della crisi economica. Conforta il diminuire della percezione della probabilità di perdere il lavoro, sebbene ancora consistente in questa fascia di età. Il calo degli occupati, dei coniugati/conviventi e l’aumento dei laureati fanno ipotizzare una maggior permanenza in famiglia. Non si osservano cambiamenti dei fattori di rischio comportamentali, eccetto il preoccupante aumento del consumo di alcol.
Abstract
INTRODUZIONE
L’alimentazione rappresenta un fattore determinante per lo stato di salute ed ha un importante ruolo nella medicina preventiva.
Negli ultimi anni il concetto di “corretta alimentazione” sta assumendo la giusta rilevanza soprattutto nel mondo scientifico dato il crescente fenomeno di “obesità infantile”. La Dieta Mediterranea (DM), riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, può vantare diverse evidenze scientifiche circa la prevenzione di numerose malattie cronico-degenerative associate anche all’obesità.
Lo scopo dello studio è quello di comparare, mediante somministrazione di un questionario, le abitudini alimentari in una popolazione studentesca di età 11-13 anni distinguendo nei normopeso e nei sovrappeso/obesi quanto più le loro diete siano vicine ad un modello DM.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha compreso 239 studenti siciliani, 75 dei quali di 11 anni (29 normopeso e 46 sovrappeso/obesi) e 164 di 13 anni (102 normopeso e 62 sovrappeso/obesi).
Le variabili studiate sono state: altezza, peso, indice di massa corporea (BMI) e l’aderenza all’indice di adeguatezza della DM (MAI), indicatore di qualità della dieta.
È stato somministrato il questionario KidMed validato scientificamente e composto da 16 domande basate sui principi della DM.
L’associazione tra il consumo frequente di vari gruppi di alimenti e il livello di aderenza è valutato mediante il MAI restituito dal questionario KidMed.
Per valutare la significatività dei dati è stato utilizzato il test della varianza one-way ANOVA.
RISULTATI
I risultati ottenuti mostrano importanti differenze nel livello di aderenza alla DM. L’indice di massa corporea ha mostrato che il 45.19% del nostro campione è in sovrappeso/obeso.
I valori medi dell’indice di adeguatezza MAI indicano una bassa aderenza alla tradizionale DM soprattutto nei soggetti sovrappeso/obesi, il 68% dei quali non pratica attività fisica e non consuma una seconda porzione di frutta e verdura al giorno (84%). Inoltre, il 39,75% del campione consuma dolci più volte al giorno. Nonostante però la netta distinzione tra i soggetti normopeso e sovrappeso/obesi, la media dell’indice di adeguatezza MAI risulta ugualmente basso nel campione totale (1,89).
CONCLUSIONI
I risultati di questo studio mostrano che nella maggior parte degli adolescenti siciliani c’è una chiara tendenza verso l’abbandono dello stile di vita mediterraneo.
È necessario aiutare gli adolescenti ad acquisire le corrette abitudini alimentari, modificando i propri comportamenti attraverso una corretta educazione alimentare che deve venire dalla scuola e anche dalle famiglie.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Progetto Ministeriale : “Prevenzione del doping: elaborazione di uno strumento permanente di educazione coordinato dai Dipartimenti di Prevenzione del SSN” ha l’obiettivo di contrastare il fenomeno doping attraverso percorsi di promozione della salute. Nella prevenzione del doping, gli aspetti educativi assumono un rilievo sempre maggiore: l’articolo 18 del World Anti Doping Code obbliga i firmatari ad investire nell’educazione con l’obiettivo di preservare lo spirito dello sport coinvolgendo i giovani in interventi di promozione della salute per la prevenzione dei comportamenti a rischio. Per questo motivo l’attenzione alla ricerca dei meccanismi che portano le persone a fare determinate scelte comportamentali è divenuta centrale.
La peer education è uno dei metodi riconosciuti come più efficaci tra i programmi preventivi in particolare con gli adolescenti. Nell’ASL Napoli 2 Nord era già stata ampiamente sperimentata per la prevenzione dei comportamenti a rischio di MST nell’ambito del Programma nazionale “Guadagnare Salute In Adolescenza” dimostrandosi efficace nel potenziare tanto le conoscenze quanto più sani atteggiamenti (Dors - Report finale).
METODI
Numerosi addetti ai lavori – biologi/nutrizionisti, medici/igienisti, allenatori sportivi, psicologi, insegnanti scolastici di scienze motorie e altri stakeholder – hanno partecipato attivamente alla co-costruzione di un pacchetto formativo finalizzato all’attivazione di processi di formazione a cascata sulle conoscenze/competenze della peer education nei contesti di aggregazione giovanile: scuole, palestre, associazioni sportive, ritrovi sociali vari.
RISULTATI
Il percorso elaborato ha consentito di definire un modello di peer education per formare i partecipanti ad attivare interventi di promozione della salute per la prevenzione dei comportamenti a rischio del doping ciascuno nel proprio setting. Il primo Corso di formazione per formatori “La peer education per la promozione di sani stili di vita e la prevenzione del doping. Intervento di formazione ‘a cascata’” si è svolto presso l’ASLNapoli2Nord coinvolgendo agenzie educative, sportive e sociali del territorio in un working in progress sulla tematica, caratterizzato dall’impegno a proseguire nella ricerca di metodologie e strumenti più efficaci.
CONCLUSIONI
Possiamo affermare che i programmi di prevenzione risultano tanto più efficaci quanto più sono rivolti a giovani ed adolescenti e prevedono interventi interattivi ed orientati all’azione. Perciò la nostra iniziativa mira ad enfatizzare lo sviluppo delle life skills e ad influenzare numerose determinanti di comportamento, compresi atteggiamenti individuali, conoscenze, motivazioni, relazioni interpersonali e norme sociali. L’obiettivo di agire sul cambiamento di comportamenti, orienta gli sforzi verso interventi che tengono nella dovuta considerazione il cotesto e che entrano in risonanza con la popolazione target.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel 2017 si è dato avvio a un confronto tra la Provincia autonoma di Trento – Assessorato alla salute e politiche sociali – TrentinoSalute4.0, con FBK (Fondazione Bruno Kessler), Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e FAP Acli, Federazione Anziani e Pensionati per lo sviluppo di un progetto volto alla promozione dell’invecchiamento attivo, anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Prende avvio così “Due passi in salute con le Acli”. A giugno di quest’anno si è conclusa la terza edizione del progetto (2018-2019).
Nel presente abstract si farà riferimento al semestre gennaio-giugno 2019.
Macro-obiettivo: promuovere l’invecchiamento attivo attraverso la sensibilizzazione sui corretti stili di vita e l’utilizzo delle nuove tecnologie. I tre fattori su cui si interviene sono: lo svolgimento di attività fisica e mentale degli over 50; la promozione di una dieta equilibrata; la promozione l’utilizzo delle tecnologie per la salute.
MATERIALI E METODI
Il progetto ha previsto 12 uscite naturalistiche e culturali sul territorio. I partecipanti hanno utilizzato la app Trentino Salute + e la app TreC Passi che ha consentito di monitorare l’attività fisica svolta.
L’attività è stata integrata da 8 azioni:
allo scopo di promuovere un sano senso di sfida e di collaborazione tra i partecipanti, in un’ottica di gamification, sono stati divisi in squadre ciascuna con un proprio leader con funzione motivante e aggregante;
presenza professionisti della salute durante le passeggiate;
un laboratorio di cucina salutare;
un ciclo d’incontri sul tema: “Prevenzione nell’apparato muscolo-scheletrico”;
una conferenza sul tema “L’educazione al gusto”;
balli di gruppo;
un percorso sensoriale durante le passeggiate;
“yoga della risata”.
L’intera attività è stata valutata in termini di soddisfazione da parte dei partecipanti.
RISULTATI
I 45 soggetti che hanno aderito alla sfida a squadre hanno totalizzato tra il 5 marzo e il 2 giugno più di 22.575.945 passi con un percentuale di costanza nell’attività > del 60% per partecipante. Il range d’età del gruppo è compreso tra i: 62-79 anni.
La valutazione del gradimento ha indicato il ruolo motivante del progetto nelle scelte salutari (anche a lungo termine) e il valore aggregante e socializzante dello stesso.
CONCLUSIONI
La progettualità declinata nelle sue diverse iniziative ha dato modo di creare un gruppo coeso, impegnato nelle scelte salutari e proiettato nella costruzione di una comunità generativa che offra opportunità di sostegno e crescita collettiva. La motivazione è stata incentivata anche dalla gamification e dall’uso delle tecnologie.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, in Italia, si è registrato un decremento del valore della copertura vaccinale contro il papilloma virus (HPV) che è passato dal 64,7% (coorte 2003) al 49,9% (coorte del 2005). Tra le ragioni alla base di questo fenomeno le principali sono legate alla mancanza di fiducia nella sicurezza del vaccino e all’inappropriatezza delle fonti di informazione. Nel corso dell’anno scolastico 2017-2018 sono stati condotti numerosi interventi formativi ed informativi in un campione di scuole secondarie di primo grado della provincia di Palermo, con l’obiettivo di migliorare le conoscenze degli studenti sulle patologie HPV-correlate e sulla relativa vaccinazione.
METODI
Uno studio cross-sectional, condotto da specializzandi e ricercatori della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Palermo, ha coinvolto 11 scuole secondarie di primo grado della provincia di Palermo durante l’anno scolastico 2017-2018.
Agli studenti, previo consenso scritto firmato dai genitori, sono stati somministrati due questionari anonimi, sulle malattie sessualmente trasmissibili (MST), sulle patologie HPV-correlate e sulla vaccinazione anti-HPV, prima e dopo l’effettuazione di un intervento formativo inerente le medesime tematiche.
RISULTATI
Allo studio hanno partecipato 920 studenti, di cui il 52,7% di sesso femminile. Circa un quarto (25,2%) di loro non conosceva l’HPV ed ignorava la correlazione dello stesso con numerose patologie cancerogene.
La maggior parte dei partecipanti (82%) ha indicato in maniera corretta le modalità di trasmissione del virus e la tempistica ottimale per effettuare la vaccinazione (97%).
Il 35% degli studenti ha dichiarato di avere già partecipato in precedenza a scuola a un incontro formativo sulle MST. Gli studenti hanno individuato nei genitori (30%) e nel pediatra (28,1%) la principale fonte d’informazione. L’intervento formativo è risultato efficace nell’aumentare il livello di fiducia nella vaccinazione da parte degli adolescenti che è passato da 8,54 (DS ± 1,65) nel preintervento a 9,03 (DS ± 1,47) nel postintervento (p < 0,001).
CONCLUSIONI
Nonostante approssimativamente solo il 50% degli studenti frequentanti le scuole incluse nello studio abbiano partecipato agli eventi formativi, a causa del mancato consenso da parte di alcuni genitori (possibile bias di selezione), i risultati dello studio hanno dimostrato che attraverso modalità comunicative efficaci non solo è migliorata la predisposizione nei confronti della vaccinazione anti-HPV, ma in generale anche l’attenzione per tutte le MST. Questo conferma il ruolo fondamentale della formazione in ambito scolastico per tutte le Aree di Sanità Pubblica ed il possibile impatto sulla modifica delle attitudini e degli stili di vita.
Abstract
INTRODUZIONE
Nonostante la scuola rappresenti un contesto ideale per fornire ai bambini opportunità di pratica del movimento e supportarli nello sviluppo di uno stile di vita attivo, il tempo che essi trascorrono in posizione seduta durante l’orario scolastico contribuisce ad incrementarne i livelli di sedentarietà. Numerose evidenze mostrano come l’integrazione di pause attive nell’orario scolastico possa essere una strategia efficace nel contrastare tale fenomeno.
MATERIALI E METODI
Il programma motorio “AulAttiva”, elaborato da esperti del Dipartimento di Scienze Motorie dell’Università degli studi di Napoli Parthenope, è stato implementato a partire dall’anno scolastico 2017/18 dall’UOS Igiene della Nutrizione del Dipartimento di Prevenzione - SIAN dell’ASL Napoli 3 Sud in alcune scuole primarie della provincia di Napoli afferenti al territorio, al fine di integrare le ore di lezione con brevi pause di esercizi supervisionate dagli insegnanti. Il target è rappresentato da alunni delle classi terze e quarte. L’intervento prevede percorsi preliminari di informazione sull’importanza dell’attività fisica, rivolti a genitori e insegnanti, e una specifica formazione sul programma motorio per gli insegnanti coinvolti. Il programma motorio è strutturato in due pause quotidiane della durata di 5 minuti, con esercizi che vengono variati ogni tre mesi. Alla fine di ogni intervento vengono somministrati questionari di gradimento a bambini e insegnanti partecipanti, al fine di valutarne l’accettazione.
RISULTATI
Con un totale di 32 istituti scolastici partecipanti, 5920 bambini coinvolti e 470 insegnanti formati, l’intervento è giunto alla sua seconda annualità. I livelli di gradimento dichiarati da bambini e insegnanti risultano più che soddisfacenti.
CONCLUSIONI
L’integrazione di pause attive nell’orario scolastico rappresenta uno strumento di facile utilizzo per aumentare le occasioni di movimento quotidiano e ridurre la sedentarietà nei bambini. I risultati raggiunti finora dimostrano come il programma AulAttiva sia applicabile nelle scuole primarie della realtà territoriale interessata ed altamente gradito da bambini e insegnanti.
Abstract
INTRODUCTION
Measles is a highly contagious vaccine-preventable disease. Preliminary global data shows that reported cases rose by 300 percent globally in the first three months of 2019, compared to the same period in 2018. According to WHO, in Europe the prevalence of measles infections is at its highest rate in a decade: 82,596 people were infected and 72 died from the preventable disease during 2018. Interestingly, over 92 per cent of the reported cases were present in just 10 countries with Ukraine having the highest number and Albania with almost 1,500 cases.
This study investigated measles’ awareness and vaccination status among first year in Albanian, Italian and others origin University students. Healthcare students were involved because of they’re at risk of contracting and transmitting measles and should get appropriate vaccines to reduce this chance.
METHODS
An anonymous questionnaire was filled by 315 healthcare students (71.4% women, mean age 20.1 ± 3.3) from the Catholic University “Our Lady of Good Counsel” in Tirana (Albania). The questionnaire included demographic information; vaccination status; opinion about vaccine’s safety; questions concerning knowledge about measles disease and vaccination. An overall score was generated for each respondent (one point for correct response, maximum score 9). Data were extracted and analyzed using SPSS v.21.
RESULTS
The students attended Medicine (31.4%), Physiotherapy (22.9%), Dentistry (22.9%), Pharmacy (8.6%) and Nursing (14.3%). 69.1% of the sample reported to be vaccinated against measles. The mean score about measles’ knowledge was 2.9 ± 1.8; medical and pharmacy students had highest mean knowledge scores (3.00 ± 1.8 and 3.80 ± 2.2 respectively, p < 0.05). Only 49.9% of the sample was aware of measles’s dangerousness. Concerning the question “Measles vaccine could be a risk for your health?” 11.1% gave an affirmative answer and 41.6% gave an uncertain one. 50.2% of the students doubted about measles vaccine’s efficacy and 48.5% believed that measles vaccine could cause autism. Nursing, Physiotherapy and Dentistry students had a higher risk to believe about vaccine-autism correlation vs Pharmacy and Medicine students (OR 3.2, CI 2.02-5.20, p < 0.001).
CONCLUSIONS
Results highlighted that students didn’t consider measles a serious disease. The survey showed that misconceptions remain about both the measles’s vaccine safety and perceptions of risk/benefit of the vaccine. Healthcare students need to acquire knowledge and awareness on measles and other vaccine-preventable diseases. It is important to have positive attitudes toward vaccination and to reduce hesitancy because of these students will play an important role in the future of public health.
Abstract
INTRODUZIONE
L’adesione ad uno stile alimentare sano è una misura fondamentale, che dovrebbe essere adottata fin dall’infanzia, per prevenire lo sviluppo delle malattie croniche non trasmissibili. La dieta mediterranea tradizionale si è infatti dimostrata essere un modello alimentare efficace nel ridurre il rischio di patologie metaboliche e cardio-vascolari. Lo scopo di questo studio è valutare i fattori di rischio (socio-demografici e comportamentali) di bassa aderenza alla dieta mediterranea nei bambini della scuola primaria.
MATERIALI E METODI
L’indagine fa parte di un progetto di valutazione di efficacia dell’intervento educativo “Le Buone Abitudini”, condotto in alcune scuole primarie della regione Veneto, e finalizzato a fornire ai bambini ed ai loro genitori conoscenze utili all’adozione di una dieta variegata, salutare e corretta sotto l’aspetto nutrizionale. I dati presentati sono ricavati da questionari somministrati alle madri di alunni frequentanti la prima elementare e le variabili prese in considerazione riguardano il grado di aderenza alla dieta mediterranea (valutato tramite lo score KidMed), variabili sociodemografiche e riguardanti gli stili di vita, le attitudini comportamentali del bambino (questionario SDQ-ITA) e l’attenzione che la madre rivolge alla propria salute (health consciousness).
RISULTATI
Il campione in oggetto è rappresentato da un totale di 267 bambini di età compresa tra i 6 e i 7 anni e composto per il 51% da maschi. Il 74% dei partecipanti è risultato avere un’aderenza alla dieta mediterranea media o scarsa (punteggio KidMed ≤ 7), mentre, e la restante parte, ha totalizzato uno score KidMed elevato. Dalle analisi preliminari dei dati risulta che il rischio di avere una scarsa aderenza alla dieta mediterranea è maggiore in chi trascorre più di un’ora al giorno a giocare ai videogiochi e nei bambini le cui madri hanno una bassa attenzione nei confronti della propria salute; è emersa inoltre un’associazione inversa con un tratto comportamentale pro-sociale, con le ore dedicate all’attività sportiva e con il livello di istruzione materna.
CONCLUSIONI
I risultati mostrano come regimi alimentari di scarsa qualità nutrizionale appaiono associati, nel bambino, ad altri stili di vita, come la quantità di tempo dedicata alla pratica sportiva, a specifici tratti comportamentali e all’attenzione materna nei confronti della propria salute.
Abstract
INTRODUZIONE
Le bevande alcoliche sono comunemente consumate in tutto il mondo, durante i pasti o al di fuori. Sebbene il consumo di bevande alcoliche sia normalmente accettato nella nostra società, l’abuso di alcol tra gli studenti è un problema che non deve essere sottovalutato perché può danneggiare la salute mentale e globale dell’individuo influenzando negativamente il rendimento universitario e di conseguenza anche quello futuro professionale, con ricaduta finale sulla salute dei pazienti. Il nostro studio si è concentrato in particolare sugli studenti di infermieristica dell’Università di Palermo dei tre anni di corso con l’obiettivo di stimare la prevalenza del consumo a rischio di alcol e di analizzarne i fattori associati.
MATERIALI E METODI
Nell’Aprile 2019 è stato somministrato un questionario a tutti gli studenti di infermieristica dell’Università di Palermo dei tre anni di corso, accompagnato da un consenso informato. È stato utilizzato il TEST AUDIT-C (Alcohol Use Disorders Identification Test-Consumption) per valutare il consumo rischioso di alcol. È stata eseguita una regressione logistica multivariabile. Il livello di significatività statistica scelto per tutte le analisi era 0,05. I risultati sono stati analizzati utilizzando la versione 14 del software statistico STATA. I risultati sono espressi come Odds Ratio aggiustato (aOR) con intervallo di confidenza del 95% (IC 95%).
RISULTATI
il questionario è stato sottoposto a 498 studenti, 200 del primo anno, 152 del secondo e 146 del terzo. In questo ultimo gruppo 5 non lo hanno completato: 2 hanno rifiutato il consenso, 3 non sono stati rintracciati. Degli intervistati il 67,55% sono donne. L’età media è di 21,88 anni (DS ± 3,38). Il modello di regressione logistica multivariabile mostra che il rischio di avere un consumo rischioso di alcol è significativamente associato alle seguenti variabili indipendenti: genere femminile (aOR 1,91); Classe di età < 22 anni (aOR 2,49) ed essere attualmente fumatore (aOR 3,35).
CONCLUSIONI
Alla luce dei risultati ottenuti sarebbe opportuno che l’Università organizzasse campagne di informazione e formazione volte a prevenire l’alcolismo e i rischi ad esso associati, cercando di istruire gli studente sui problemi di salute e sui costi economici e sociali che le patologie legate all’abuso di alcol hanno sulla salute pubblica e su loro stessi, rivolgendo particolare attenzione alle classi rappresentate dal sesso femminile con una età inferiore a 22 anni.
Abstract
INTRODUZIONE
Il consumo di tabacco comporta molteplici aspetti, non solo sanitari ma anche socio-culturali, psicologici ed economici. Promuovere una cultura libera dal tabacco, quindi, richiede un approccio globale e multifattoriale.
Tenendo conto della normativa vigente a livello nazionale e all’interno dell’Università Sapienza di Roma, il Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive ha sviluppato il progetto “Dipartimento senza fumo” per promuovere la salute del singolo, della comunità e la salvaguardia dell’ambiente.
L’obiettivo del presente studio è rendere il Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive un luogo libero dal fumo, costituendo un modello di promozione della salute nel pieno rispetto della normativa vigente, tutelando la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e/o di studio e assicurando il decoro nei luoghi pubblici. Lo studio si propone, inoltre, di favorire la “Health Literacy” come una delle “missions” universitarie e di sensibilizzare altri dipartimenti a diventare luoghi liberi dal fumo.
MATERIALI E METODI
Il progetto è indirizzato al personale e agli studenti che frequentano il Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università Sapienza di Roma e prevede: 1) la misurazione del Particolato Aerodisperso (frazioni PTS, PM10, PM4, PM2,5 e PM1) in ambienti indoor e outdoor, specificatamente selezionati, prima e dopo l’intervento di promozione della salute; 2) la somministrazione di un questionario pre/post intervento per valutare le caratteristiche degli utenti del Dipartimento; 3) l’implementazione della cartellonistica dei divieti di fumo; 4) la realizzazione di posters di promozione della salute; 5) la creazione di aree dedicate ai fumatori e la delimitazione di aree “smoke-free”.
RISULTATI
Lo studio è in corso di realizzazione. Si prevedono, nelle fasi post intervento, la diminuzione dei livelli di PM indoor e outdoor, la diminuzione della prevalenza di fumatori all’interno del Dipartimento, il maggior rispetto delle aree “smoke-free” e dei divieti di fumo oltre che la maggiore consapevolezza degli utenti del Dipartimento rispetto al tema trattato.
CONCLUSIONI
Il progetto “Dipartimento senza fumo” costituisce un intervento che va oltre il mero rispetto della legge e che ha come obiettivo principale la promozione della salute e il rispetto dell’ambiente. Esperienze simili sono già in atto in altri Paesi e alcune università stanno addirittura promuovendo i campus “smoke-free”. Se questo progetto coinvolgerà altri Dipartimenti dell’Ateneo, con un “effetto domino”, l’Università Sapienza potrebbe promuovere la salute in maniera concreta e trasversale, per tutti gli studenti, indipendentemente dai loro percorsi di studio, per tutto il personale e per tutti gli utenti.
Abstract
INTRODUZIONE
Nonostante l’attività fisica sia riconosciuta come uno dei principali determinanti di salute, la Sorveglianza Passi 2015-2018 evidenzia che il 34,5% della popolazione italiana tra i 18 e i 69 anni risulta sedentario, con un trend in aumento negli ultimi anni; e la sedentarietà aumenta negli anziani raggiungendo il 39,2% (Passi d’Argento 2016-2017). Diventa, pertanto, urgente implementare strategie di promozione dell’attività fisica, approfittando, come raccomandato dall’OMS, di ogni occasione favorevole, considerando che per attività fisica si intende qualsiasi movimento corporeo associato a una contrazione muscolare che aumenta il dispendio di energia sopra i livelli di riposo. L’obiettivo del progetto “Attiva l’Attesa” è quello di trasformare le pause di attesa della vita quotidiana (es. sale di attesa dei medici, uffici, fermate dei trasporti pubblici, musei) in un’opportunità per svolgere semplici esercizi di stretching e mobilizzazione articolare attiva. In previsione della proposta di tale progetto in ambito termale, è stato somministrato, come studio pilota, il questionario di valutazione pre-intervento presso le Terme S. Egidio.
METODI
Un questionario semi-strutturato composto da 11 domande, tra cui quelle relative all’attività fisica svolta e alla disponibilità a eseguire esercizi fisici durante le pause di attesa, è stato distribuito il 12.9.2018 nelle sale d’attesa per l’erogazione delle cure termali.
RISULTATI
Hanno compilato il questionario 33 soggetti (70% femmine), con un’età compresa tra 48 e 89 anni (mediana: 72). L’11% si è dichiarato sedentario e il 48% parzialmente attivo. Il tempo di attesa viene per lo più occupato conversando (78%), utilizzando il cellulare (11%), leggendo giornali (7%). Alla domanda relativa alla disponibilità a eseguire semplici esercizi fisici durante i momenti di attesa, il 76% ha risposto “sì”, il 12% “più sì che no”, lo 0% “più no che sì” e il 3% “no”; nella maggior parte dei casi la ragione della risposta negativa era l’imbarazzo (50%). Il 75,8% ritiene che l’esecuzione di esercizi durante le pause d’attesa possa avere un risultato positivo sulla salute.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari del questionario di valutazione iniziale hanno evidenziato interesse verso una proposta di movimenti durante le pause di attesa. In un contesto in cui le opportunità per svolgere attività fisica vanno diminuendo e la prevalenza della sedentarietà ha raggiunto livelli elevati, il progetto proposto, con l’offerta di un’opportunità facilmente accessibile nei diversi contesti di vita e per tutte le fasce d’età, rappresenta un contributo alla promozione dell’attività fisica favorendo processi di empowerment attraverso la sensibilizzazione verso uno stile di vita attivo.
Abstract
La valutazione del rischio microbiologico ha un ruolo centrale per la gestione della qualità delle acque di balneazione. L’approccio più semplice è la valutazione del contesto, consistente in ispezioni sanitarie e nel rispetto dei limiti degli indicatori batterici di inquinamento fecale (D.Lgs. 116/2008). Un altro metodo di valutazione prevede la costruzione di matrici di rischio sulla base della probabilità dell’evento dannoso e della sua gravità. Infine, la QMRA (quantitative microbial risk assessment) stima il rischio corrispondente ad un contesto o ad una matrice in modo quantitativo. Tale metodologia fornisce un approccio sistematico all’utilizzo dei dati scientifici per la gestione del rischio e per stabilire le priorità delle azioni di controllo. Sebbene raccomandata dall’OMS, ad oggi la QMRA non ha ancora trovato applicazione in Italia. Lo sviluppo della QMRA in acque ricreative è stato oggetto del progetto CCM n. 2S62, che ha previsto lo studio di aree di balneazione accomunate dalla presenza di corsi d’acqua come fonte di inquinamento fecale.
Nell’ambito del progetto è stato costruito un modello QMRA stocastico per stimare il rischio di gastroenteriti per singola esposizione, poi applicato a tre località balneari sulla costa tirrenica (Toscana e Lazio) e adriatica (Emilia-Romagna). Sono stati selezionati quattro patogeni indice in base alla loro rilevanza epidemiologica. Le concentrazioni dei patogeni sono state ottenute a partire dalle concentrazioni di E. coli, derivanti dal monitoraggio istituzionale. Il livello di esposizione (ingestione) attraverso la balneazione e le curve dose-risposta (equazioni e parametri) sono stati ricavati dalla letteratura scientifica. I modelli per ciascun patogeno sono stati eseguiti con Metodo Monte Carlo (10.000 iterazioni), poi unificati con una produttoria. Per evidenziare l’importanza relativa delle diverse variabili nella stima del rischio è stata effettuata una sensitivity analysis.
Mediamente il rischio di gastroenterite risulta di 2 casi di gastroenterite ogni 1000 esposizioni (attività balneari) in Toscana, 10 in Emilia-Romagna e 0.01 nel Lazio. I risultati mostrano la predominanza della probabilità di malattia dovute a norovirus. Dalla sensitivity analysis è emerso come le variabili più influenti nella stima del rischio siano i fattori di conversione da E. coli a NoV e a Salmonella.
Il modello costruito potrà essere applicato alla gestione di specifiche situazioni di rischio. Tuttavia, i bisogni di ricerca in questo ambito sono ancora numerosi, tra i quali la necessità di dati di monitoraggio sui patogeni e dati della sorveglianza epidemiologica per comprendere i principali agenti eziologici delle gastroenteriti associate alle acque di balneazione nelle aree di studio.
Abstract
INTRODUZIONE
Cryptosporidium spp. rappresenta ancora un rischio per la salute umana a causa della presenza abbastanza diffusa nelle acque superficiali e della resistenza delle oocisti alle condizioni ambientali, ai disinfettanti e a differenti processi di trattamento. Una recente revisione delle epidemie trasmesse dall’acqua a livello mondiale ha messo in evidenza che Cryptosporidium spp. risulta essere l’agente responsabile del 63% delle epidemie segnalate tra il 2011 e il 2016. In questo contesto, le informazioni sulla vitalità delle oocisti di Cryptosporidium spp. sono di notevole importanza nella stima del rischio per la salute umana e dell’efficienza dei trattamenti di potabilizzazione. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di valutare la contaminazione da oocisti di Cryptosporidium spp. in un piccolo impianto di potabilizzazione di un paese pedemontano caratterizzato da filtrazione e trattamento UV, per verificare gli eventuali rischi per la popolazione.
MATERIALI E METODI
Sono stati raccolti e analizzati campioni di acqua in ingresso all’impianto (torrente n = 6), all’uscita (n = 9) ed all’utenza (fontanella n = 9) nel corso di diversi anni (2013-2016). Per la ricerca delle oocisti è stato utilizzato il metodo ufficiale dell’ISS basato sulla filtrazione (Envirochek) e concentrazione del campione, successiva separazione immunomagnetica (IMS) e determinazione in immunofluorescenza diretta (IFA) associata alla colorazione DAPI. Inoltre è stato utilizzato un protocollo di ReverseTranscriptase-PCR (RT-PCR) per valutare la vitalità delle oocisti di C. parvum e C. hominis.
RISULTATI
I risultati ottenuti hanno evidenziato la presenza di Cryptosporidium spp. in tutti i campioni analizzati con un’elevata variabilità delle concentrazioni (media 4.3 ± 5.8/100 L). È stata riscontrata anche un’elevata variabilità della vitalità con colorazione DAPI (media 48,2% ± 40,3%). Al contrario, l’analisi con RT-PCR non ha rivelato la presenza di oocisti vitali. Per approfondire ed interpretare i risultati ottenuti è stata effettuata la nested-PCR specifica per il DNA ribosomiale 18S su alcuni campioni. Il sequenziamento degli amplificati ottenuti ha evidenziato la presenza di un genotipo di Cryptosporidium associato agli animali selvatici (cricetidi) effettivamente diffusi nella zona monitorata.
CONCLUSIONI
Sebbene il genotipo di Cryptosporidium riscontrato non sia patogeno per l’uomo, la sua presenza dimostra l’inefficacia dei trattamenti di potabilizzazione impiegati nell’abbattimento delle oocisti evidenziando così un potenziale rischio per la popolazione residente. Pertanto, questi risultati sottolineano la necessità di monitorare costantemente la presenza di oocisti nelle aree rurali anche nei paesi industrializzati e con alti standard igienico-sanitari.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni si è assistito ad un aumento nelle acque sotterranee della concentrazione di nitrati, da attribuirsi principalmente all’utilizzo di quantità eccessive di fertilizzanti sui terreni agricoli. La Direttiva UE 91/676/CEE, per preservare l’acqua dalla contaminazione da nitrati provenienti da fonti agricole, stabilisce la soglia accettabile con valore limite di 50 mg/L. Nel presente studio è stata determinata la contaminazione da nitrati delle acque sotterranee nella Puglia, con particolare attenzione all’impatto generato da oliveti e vigneti, attraverso la valutazione dell’Impronta idrica grigia (GWF) che misura la quantità di acqua necessaria per assimilare un “inquinante” prodotto da attività antropiche.
MATERIALI E METODI
Per la definizione dell’area di studio, sono state identificate le zone della Puglia in cui un monitoraggio continuo negli anni ha mostrato una costante eccedenza di nitrati proveniente da fonti agricole, in particolare in relazione a oliveti e vigne.
Con monitoraggi stagionali sono stati prelevati da 111 pozzi georeferenziati, 222 campioni di acqua, analizzati nel laboratorio chimico di ARPA Puglia, con cromatografia ionica (APAT CNR IRSA 4050) per la determinazione dei Nitrati (NO3-).
Sui valori ottenuti è stata calcolata la GWF secondo la metodologia descritta da Hoekstra et al. (2011) con la seguente formula:
GWF = L/(Cmax - Cnat) [volume/tempo] |
Dove L (massa/tempo) rappresenta il carico medio di nitrato rilevato nel monitoraggio; Cmax (massa/volume) la massima concentrazione di nitrato ammessa e Cnat (massa/volume), la concentrazione naturale nel corpo idrico ricevente. In linea con la letteratura scientifica la Cnat è stata considerata pari a zero.
RISULTATI
I dati mostrano valori elevati di GWF nelle aree coltivate a vigneti e soprattutto in corrispondenza delle zone di produzione di uva da tavola. Tale situazione è stata rilevata nell’area dell’arco jonico-tarantino occidentale, e nella piana brindisina. La situazione nella penisola salentina è invece apparsa più eterogenea, con valori elevati di GWF equamente distribuiti sul territorio. Meno impatto è risultato generato dagli oliveti.
CONCLUSIONI
L’approccio della GWF per lo studio della qualità delle acque sotterranee ha consentito di individuare le aree maggiormente compromesse in relazione all’inquinamento da nitrati e le attività responsabili di tale impatto, permettendo di ottenere informazioni supplementari che non potrebbero essere ricavate considerando esclusivamente i superamenti dei limiti normativi. L’impronta idrica grigia pertanto, potrebbe essere concepita come un indicatore utile per i processi di pianificazione delle politiche agricole, per stabilire una migliore gestione dell’uso del suolo.
Abstract
INTRODUZIONE
La qualità dell’aria immessa in un ambiente indoor è legata anche alle condizioni igieniche degli impianti aeraulici e delle sue condotte interne. Il particolato aero-disperso può diventare un veicolo di contaminazione microbiologica e sorgente di malattie di natura diversa (infettive, allergiche, etc). Numerosi studi hanno confermato la correlazione tra qualità dell’aria e salute sia in ambito sanitario sia turistico-ricettivo e comunitario.
Obiettivo dello studio è valutare l’efficacia della disinfezione delle condotte aerauliche con microaerosolizzazione di perossido di idrogeno dopo attività di spazzolamento meccanico e allontanamento delle polveri tramite aspirazione.
METODI
Nel periodo marzo-maggio 2019 aria e superfici delle condotte aerauliche di 5 punti vendita appartenenti a grandi catene commerciali distribuite a livello nazionale sono stati sottoposte a controlli microbiologici (batteri e miceti). Le indagini sono state effettuate prima del processo di pulizia e disinfezione degli impianti mediante campionamento attivo di aria tramite SAS (Surface Air System) e, per le superfici, tramite piastre da contatto RODAC®. Dopo spazzolamento meccanico delle condotte e allontanamento delle polveri attraverso aspirazione con estrattore munito di filtro HEPA, la disinfezione è stata effettuata utilizzando un microaerosolizzatore di perossido di idrogeno (7.9%) che micronizza la soluzione disinfettante in particelle di 0.15 µ per un tempo stabilito in funzione del volume dell’impianto aeraulico. L’efficacia della diffusione del disinfettante fino ai tratti più distali delle canalizzazioni è stata valutata attraverso il viraggio di banderelle tintometriche specifiche per il perossido di idrogeno. Al termine della sanificazione, gli stessi campionamenti sono stati ripetuti per valutare l’efficacia dell’intero processo.
RISULTATI
Il valore medio della carica batterica e micotica totale (CBT e CMT) rilevato nell’aria durante i campionamenti pre-sanificazione è risultato pari a 17.2 ufc/m3 e 617.2 ufc/m3, rispettivamente. Le superfici hanno evidenziato un valore medio di CBT pari a 5.02 ufc/cm2 e CMT pari a 5.09 ufc/cm2. Non sono stati rilevati batteri riportabili a specie patogene; tra i miceti, Penicillium, Alternaria, Cladosporium e Aspergillus sono risultati i funghi filamentosi più frequenti.
Il campionamento post-sanificazione non ha evidenziato specie microbiche, sia nell’aria sia sulle superfici.
CONCLUSIONI
I nostri risultati evidenziano che l’azione dello spazzolamento meccanico e la rimozione delle polveri, associato alla microaerosolizzazione del perossido di idrogeno, favorisce l’eliminazione totale di batteri e miceti dalle condotte aerauliche. Ulteriori studi potranno confermare che la corretta pulizia e sanificazione delle condotte aerauliche costituiscono requisiti irrinunciabili per la tutela della salute pubblica.
Abstract
INTRODUZIONE
Recenti studi hanno evidenziato che sorgenti combustibili di varia natura quali candele, incensi e fumo di tabacco emettono durante l’utilizzo sia sostanze che particelle fini e ultrafini potenzialmente dannose per la salute umana. Inoltre, la qualità dell’aria degli ambienti confinati può essere notevolmente peggiorata anche da altri elettrodomestici di uso comune, che vengono utilizzati anche quotidianamente negli ambienti indoor di vita e di lavoro. Scopo del lavoro è di valutare sperimentalmente l’inquinamento indoor, in termini di livelli di particelle fini e ultrafini emesse durante l’utilizzo di alcuni elettrodomestici e sorgenti combustibili di vario tipo.
MATERIALI E METODI
In una model room sono state misurate le concentrazioni di particelle fini di diverse frazioni dimensionali (Particulate Matter o PM) mediante Dusttrak™ II Aerosol Monitor, di particelle ultrafini (ultrafine particles o UFPs, da 5 a 560 nm) mediante Fast Mobility Particle Sizer (FMPS, TSI) analyzer e di Composti Organici Volatili (COV) mediante Q-Trak Indoor Air Quality Monitor 7575 (TSI) durante l’utilizzo di sigarette tradizionali ed elettroniche, elettrodomestici dotati di motore elettrico sia brush (a spazzole) che brushless (senza spazzole), utilizzo di deodoranti/rinfrescanti per l’aria, cottura di cibi con diverse metodologie, utilizzo di incensi e candele.
RISULTATI
I livelli più elevati di PM1 sono stati misurati durante l’utilizzo di una candela alla citronella (7,6 mg m-3). La maggiore emissione di UFPs è stata misurata durante le attività di cottura. In particolare, 4,1×107 particelle cm-3 per due sessioni nelle quali è stata simulata l’attività di grigliatura della carne. Inoltre, una rilevante emissione di UFPs si è verificata nel corso di utilizzo di apparecchiature dotate di motore elettrico brush fino al valore massimo di 106 particelle cm-3 nella fase di accensione di un trapano elettrico. I livelli più alti di COV sono stati misurati durante il fumo di una sigaretta tradizionale e durante la simulazione di utilizzo di uno spray rinfrescante per l’ambiente (rispettivamente pari a 8 e 10 ppm).
CONCLUSIONI
I risultati indicano la necessità di interventi di educazione sanitaria per aumentare le conoscenze in termini di peggioramento della qualità dell’aria indoor negli ambienti di vita e di lavoro in cui vengono utilizzati i dispositivi monitorati.
Abstract
INTRODUCTION
Methylisothiazolinone (MIT) and benzisothiazolinone (BIT) are widely used as biocides in several personal care products such as cleaning agents, paints, and resin emulsions and can be considered as contaminants of emerging concern (CECs). Due to their wide industrial production and domestic use, MIT and BIT can be detected in wastewater at varying concentrations. Despite their inherent properties as biocides, few studies evaluated the fate and effects of BIT and MIT in biological sludges and the risk when discharged into the environment. The aim of this research was to investigate the effect of BIT and MIT onto the activated sludge. A framework tool was proposed to assess their toxicity (i.e. counts of bacteria and protozoa) and recognized biological models such as Raphidocelis subcapitata (growth inhibition) and Aliivibrio fischeri (bioluminescence inhibition).
MATERIAL AND METHODS
Two series of batch experiments were conducted with fresh mixed liquor (ML) from aeration basins sampled from a local wastewater plant. In the batch test, 2 L glass beakers with 1 L of mixed liquor were run for 24 h following both biodegradation and adsorption of BIT and MIT. During the first experimental run, both biodegradation and adsorption were allowed to occur, while during the second run biodegradation was inhibited by NaN3. BIT and MIT toxicity was assessed considering i) bioassays with Raphidocelis subcapitata (ISO 8692:2012) and Aliivibrio fischeri (ISO 11348:2007); ii) respirometric tests associated to bacteria and protozoa count.
RESULTS
Preliminary results suggested that adsorption could be the main removal mechanism for BIT and MIT. After their addition to the ML, bacteria and protozoa populations decreased, but the sludge rapidly acclimatized as reported by respirometric test curves. According to R. subcapitata and A. fischeri, BIT was more toxic than MIT.
CONCLUSIONS
MIT and BIT proved to affect the viability of activated sludge. R. subcapitata was more sensitive to MIT, while A. fischeri to BIT. Further studies are necessary to monitor environmental concentrations of MIT and BIT and existing activated sludge wastewater treatment plant reduction/removal performance.
Abstract
INTRODUZIONE
A causa della crescita della popolazione, dell’urbanizzazione e dello sviluppo economico, la domanda di acqua dolce nelle aree urbane è in aumento in tutta Europa. Allo stesso tempo, i cambiamenti climatici e l’inquinamento influenzano anche la disponibilità di risorse idriche. La Sicilia, un’isola meridionale dell’Italia, soffre di una crescente scarsità d’acqua e siccità. I bacini d’acqua dolce della Sicilia non sono ben caratterizzati e classificati. Nell’ultimo decennio, sono state segnalate diverse fioriture di P. rubescens e M. aeruginosa. Queste specie di cianobatteri sono responsabili della produzione di microcistine, le più potenti tra le cianotossine.
Scopo di questo studio è quello di monitorare, attraverso saggi ecotossicologici, la qualità delle acque superficiali siciliane.
MATERIALI E METODI
È stato effettuato il monitoraggio annuale con cadenza stagionale di 15 bacini di superficie, tra i 30 esistenti nel territorio siciliano, attraverso test ecotossicologici. il numero complessivo di campioni è stato di 60. Specificatamente, sono stati eseguiti per la tossicità acuta il saggio con V. fischeri (15 min) e subacuta con T. platyurus (24 h). Su 4 campioni in cui è stata riscontrata una fioritura di cianobatteri è stato condotto anche il saggio di tossicità cronica con D. magna (21 giorni). Contestualmente, le concentrazioni di microcistine sono state determinate su tutti i campioni attraverso il saggio immunoenzimatico ELISA.
RISULTATI
La percentuale di tossicità acuta media è stata del – 7,8% ± 17,3% con valore minimo di -53,6% e valore massimo di 52,6%. La percentuale di tossicità subacuta media è stata del 40,1% ± 23,3% con valore minimo di 5% e valore massimo di 97%. Il saggio con D. magna non ha registrato mortalità in nessuno dei campioni analizzati. La concentrazione media di microcistine è stata di 94 ng/L ± 161 ng/L con valore minimo di 1,7 ng/L e valore massimo di 728 ng/L.
CONCLUSIONI
I test con V. fischeri e D. magna sono influenzati dal numero di cellule di cianobatteri piuttosto che alla concentrazione di tossine. Infatti, l’inibizione della luminosità emessa da V. fischeri così come la riproduzione di D. magna cresce con l’aumento del numero di cellule di cianobatteri. Invece, il saggio di T. platyurus mostra una correlazione positiva con le concentrazioni di microcistine.
L’esecuzione combinata dei test con V. fischeri e T. platyurus potrebbe rappresentare un utile strumento per il monitoraggio delle acque sia dal punto di vista economico che tecnico.
Abstract
INTRODUCTION
Anaerobic digestion of wastewater sludges is a recognized potential viable solution to reuse their organic matter producing nutrient-rich fertilizers and biogas. Such treatment process can decompose malodorous volatile organic compounds, contribute to chemical pollution control as well as to sensibly reduce pathogenic microorganisms, contributing to the general reduction of sanitary risks. The potential pathogens reduction was investigated during the operation of a full-scale anaerobic digester daily fed with sludges from wastewater treatment plants.
MATERIAL AND METHODS
Experiments were conducted artificially contaminating aliquots of digestate with increasing concentrations of Salmonella sp. and Escherichia coli. Microbiological analyses were performed on the samples and the potential reduction of fecal bacterial indicators was investigated. Moreover, hypothesizing the synergic effect of digestate biomass in the reduction of pathogenic flora, we carried out the preliminary characterization of the microbial community during mesophilic fermentation of sewage sludge.
RESULTS
Spiked concentrations of Salmonella Typhimurium and Escherichia coli were extremely lowered after anaerobic digestion. The two germs survival at 37°C in aerobic conditions was up to 10 days, while the anaerobic conditions highly inhibited their persistence, reporting the bacteria die-off within 24-48 hours with slight sanitary risks. The molecular characterization of digestate identified the existing microorganisms. Bacillus genus to whom non-pathogenic germs mainly belong was predominant. Besides Bacillus, Bacillaceae like Aneuribacillus, Brevibacillus, Lysinbacillus, and Rummelibacillus genera, holding beneficial and bioremediation properties, were found.
CONCLUSIONS
The combination between anaerobic treatments, metabolites/chemicals derived from the treatment process (e.g. ammonia, and biogas), and microflora digestate by-products contributed to considerably reduce the sanitary risks of pathogenic microbial loads in 24-48 h.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel corso del 2006, un dispositivo conosciuto come sigaretta elettronica o e-cig è stato immesso in commercio, riscuotendo un enorme successo. Da allora, le caratteristiche delle e-cigs hanno subito una notevole evoluzione e i dispositivi attualmente disponibili sono suddivisi in quattro generazioni: dai modelli base di prima e seconda generazione, più rigidi nelle prestazioni, si è passati ai modelli di terza e quarta generazione, più performanti, ma più “pericolosi” perché dotati di resistenze più basse che, favorendo un miglior passaggio della corrente, raggiungono temperature molto più elevate. Tali temperature sono responsabili della liberazione di numerose sostanze potenzialmente dannose per la salute. Le e-cigs, inoltre, emettono durante l’uso particelle fini e ultrafini, associate ad un ulteriore rischio per la salute dei soggetti esposti passivamente. In effetti, le e-cigs vengono spesso utilizzate indoor poiché la normativa vigente sul divieto di fumo non include l’e-cig. Scopo del lavoro è valutare i livelli di particolato (Particulate Matter o PM) di diverse frazioni dimensionali emessi durante l’utilizzo delle quattro generazioni di e-cigs, testando diverse modalità di utilizzo e differenti liquidi.
MATERIALI E METODI
Le frazioni di particolato definite PTS, PM10, PM4, PM2,5 e PM1 sono state misurate, attraverso il monitor di aerosol Dusttrak TM II TSI, prima, durante e dopo l’utilizzo indoor di una e-cig da un volontario fumatore, per un totale di 20 esperimenti indipendenti (in triplicato).
RISULTATI
Tutti i dispositivi producono emissioni di PM che eccedono rispetto ai limiti tossicologici raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Durante tutte le sessioni di vaping si è registrato un significativo aumento della concentrazione di particolato rispetto ai livelli misurati prima di iniziare la sessione (p < 0,001). I livelli di PM1 variavano ampiamente a seconda del dispositivo utilizzato da un valore mediano minimo di 17,00 µg/m3 (e-cig di terza generazione, impostata a 0,16 Ω e 3,4 V) fino a 2895,00 µg/m3 (e-cig di quarta generazione, impostata a 0,15 Ω e 150 W). A parità di settaggio, l’uso di liquido contenente nicotina comportava livelli significativamente maggiori di PM rispetto al liquido nicotina-free.
CONCLUSIONI
I risultati evidenziano che sono necessari interventi di promozione della salute per aumentare le conoscenze degli utilizzatori in termini di peggioramento della qualità dell’aria indoor quando viene usata l’e-cig. Inoltre, sono altrettanto necessari interventi legislativi per regolare l’uso delle e-cigs in luoghi pubblici e in altri ambienti chiusi, al fine di proteggere la salute di qualsiasi soggetto potenzialmente esposto in modo passivo.
Abstract
INTRODUCTION
In recent years, desalination plants gained attention in areas historically suffering from water scarcity like small islands being an important source of potable water. Besides drinking water, desalination plants produce as by-product hypersaline effluents, that are generally directly disposed to the sea with no specific regulations at Italian level. The high density of the discharge can create a briny layer on the seafloor affecting marine organisms and water quality. The aim of this research is assess the effects produced by a hypersaline discharge from a small island Italian desalination plant using early warning indicators of ecosystems health and stressing on the importance of using an integrated approach through multivariate analysis.
MATERIAL AND METHODS
The study area was monitored sampling water, sediment and benthic organisms along some transects nearby the discharge and from an uncontaminated area having similar characteristics. Samples were assessed under a chemical and ecotoxicological viewpoints. Toxicity tests were performed considering whole sediment and elutriates (solid to liquid ratio of 1:4) including Alivibrio fischeri (ISO 11348-3:2007) and Phaeodactylum tricornutum (ISO 10253: 2016).
RESULTS
Main results showed that hypersaline brine caused a general biodiversity loss, with a benthic fauna mainly dominated by the phyla Mollusca, Arthropoda and Anellida. Scarce differences in the toxicity of water samples were detected with A. fischeri and P. tricornutum assays. Nonetheless, negative effects tended to significantly increase near the hypersaline discharge, especially in sediment samples.
CONCLUSIONS
Significant impacts were detected onto the benthic fauna with biodiversity loss. The potential effects on general water quality and public health are still ongoing.
Abstract
INTRODUZIONE
I dati epidemiologici italiani del 2017 sulle infezioni da Legionella spp. evidenziano un incremento del 26% dei casi rispetto agli ultimi tre anni. Le Linee Guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi forniscono delle raccomandazioni per gestire il rischio di Legionella in differenti contesti, ma non specificano direttive in merito al controllo della legionellosi in edifici dotati di pannelli solari (PS) per il riscaldamento dell’acqua sanitaria. L’obiettivo dello studio è valutare, in un periodo di 24 mesi, il grado di colonizzazione da Legionella spp. in impianti idrici dotati di PS.
MATERIALI E METODI
Da aprile 2017 ad aprile 2019, sono stati monitorate 58 strutture (condomini, palestre, scuole) dotati di PS a circolazione naturale. Tali impianti, costituiti da un pannello in vetro ed un assorbitore di calore in acciaio, captano l’energia solare per la produzione di acqua calda, la quale viene stoccata in un serbatoio prima di essere immessa in rete idrica. L’acqua fredda (totale di 174 campioni) è stata prelevata al punto di ingresso della centrale idrica, all’uscita dell’autoclave e in un punto terminale dell’impianto, per la ricerca dalla carica microbica totale a 22 e 37°C, E. coli ed enterococchi. L’acqua calda (totale di 116 campioni) è stata campionata al punto prossimale e terminale dell’impianto per la ricerca di Legionella spp. In ogni struttura, lo stesso microrganismo è stato ricercato anche in un campione di acqua fredda (totale di 58 campioni). Valori di cloro totale e temperatura sono stati misurati durante i campionamenti.
RISULTATI
Le cariche microbiche totali a 22 e 37°C sono variabili da 0 a 300 UFC/ml. Valori più elevati sono stati riscontrati nei punti distali (p < 0,001). Non è mai stata osservata la presenza di E. coli ed enterococchi.
Legionella spp. è stata rilevata in 53/174 campioni (30%), ovvero nel 40% dei punti di acqua calda e nel 12% dei punti di acqua fredda. Complessivamente, 23/58 edifici (40%) sono colonizzati con cariche da 200 a 760.000 UFC/L. Tutti gli impianti sono risultati non clorati, mentre i valori medi di temperatura sono pari a 19.1 ± 2.2°C per l’acqua fredda e 33.8 ± 9.4°C per l’acqua calda.
CONCLUSIONI
Lo studio indica la presenza di Legionella spp. in una quota non trascurabile di edifici dotati di PS. Ciò può rappresentare una situazione di pericolo per le categorie di soggetti a rischio e indica la necessità di applicare interventi di controllo e corsi di formazione per i manutentori degli impianti idrici.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ambienti urbani l’attitudine al cammino degli individui è condizionata da diversi fattori. Fra questi, la percezione di sicurezza della strada, sia legata al traffico, sia alla paura del crimine, assume una particolare rilevanza condizionando le scelte degli utenti. Obiettivo del presente studio è quello di confrontare due strumenti di rilevazione nella loro capacità di misurare la sicurezza della strada.
MATERIALI E METODI
Ai fini del confronto la sicurezza è stata rilevata:
oggettivamente, mediante applicazione dell’ITC - Idoneità Territoriale al Cammino, uno strumento di audit finalizzato a valutare le caratteristiche delle strade in termini di percorribilità, sicurezza, gradevolezza e urbanità mediante la rilevazione di 12 indicatori;
soggettivamente, tramite intervista dei residenti utilizzando la versione abbreviata della Neighborhood Environment Walkability Scale (NEWS-A).
Lo studio è stato effettuato in 3 quartieri della città di Rieti. Le interviste hanno riguardato 84 soggetti (15-88 anni) e sono state effettuate nei principali luoghi di aggregazione del quartiere, tenendo conto delle diverse abitudini e stili di vita degli utenti.
RISULTATI
All’interno dell’ITC, sebbene l’indicatore relativo al traffico si sia attestato su livelli accettabili nei tre quartieri: 69 Regina Pacis, 79 Fassini, 91 Campoloniano rispetto alla scala adottata (0-100), la categoria Sicurezza della strada ha evidenziato i risultati peggiori, rispettivamente: 35,8; 25,3; 27,3. La mancanza di elementi di “Protezione dalla velocità dei veicoli” e l’illuminazione stradale inadeguata risultano essere i parametri più critici.
Dall’applicazione del NEWS-A abbreviato risultano critici soprattutto la carenza di dispositivi di controllo del traffico, di cavalcavia e/o di sottopassaggi. Il questionario ha anche evidenziato una scarsa percezione di sicurezza nei confronti del crimine durante le ore notturne, soprattutto per la carente illuminazione.
CONCLUSIONI
I dati ottenuti con i due metodi sono risultati coerenti tra loro. Entrambi gli strumenti evidenziano una forte relazione tra il design dell’ambiente costruito e la sicurezza percepita dai residenti, sottolineando la necessità di migliorare alcuni parametri quali l’illuminazione della strada, la protezione dalla velocità veicolare e gli attraversamenti pedonali. Il questionario può essere ulteriormente semplificato ai fini di una più rapida ed efficace applicazione.
Abstract
INTRODUZIONE
La gestione delle opere afferenti al ciclo idrico integrato può avvalersi di strumenti consolidati e, spesso, standardizzati nell’ambito dei sistemi di gestione della qualità, al fine di perseguire obiettivi di efficienza e sostenibilità (tecnico-economica e ambientale). Tuttavia, l’individuazione della soluzione ottimale implica talvolta la necessità di confrontare e valutare innumerevoli fattori, spesso tra loro contrastanti: per esempio, nel caso della depurazione delle acque reflue, l’obiettivo di rimozione degli inquinanti dalle emissioni liquide potrebbe pesare negativamente sui consumi energetici.
Sarebbe utile disporre di uno strumento che consenta sia di definire gli obiettivi, sia di misurare idonei parametri che ne descrivano il raggiungimento, e, infine, di confrontare tra loro il valore di tali parametri, avvalendosi di criteri per l’attribuzione di un peso a questi ultimi.
Scopo del progetto è lo sviluppo di protocolli e strumenti integrati per valutare possibili effetti di un’opera (segnatamente, impianti di depurazione delle acque reflue) sulle matrici ambientali e sulla salute umana, fornendo criteri utili al processo decisionale.
MATERIALI E METODI
Influenti ed effluenti di due impianti di depurazione di acque reflue urbane sono stati analizzati mediante una batteria di saggi biologici in organismi posti a diversi livelli trofici (batteri, alghe unicellulari, crostacei cladoceri, macrofite, cellule murine e umane) e differenti endpoint (tossicità aspecifica, genotossicità, interferenza endocrina, cancerogenicità). Sulla base della valenza tossicologica dei diversi saggi è stato definito un protocollo di valutazione.
RISULTATI
Dai diversi test è emerso un quadro assai complesso. Le acque in entrata agli impianti sono dotate di molta tossicità, che in generale diminuisce in uscita. Relativamente agli interferenti endocrini il trattamento non sembra ridurne la concentrazione. Per quanto riguarda le sostanze che agiscono danneggiando il DNA sembra che non ci siano sostanze mutagene per batteri e cellule vegetali ma siano invece presenti, sia in entrata che in uscita, sostanze in grado di interagire con il DNA di cellule umane.
CONCLUSIONI
Il monitoraggio dei contaminanti ambientali (tossici, genotossici, cancerogeni e interferenti endocrini) presenti negli effluenti degli impianti di depurazione mediante un approccio integrato, applicando diversi test in differenti tipi cellulari, permette una migliore valutazione dell’impatto sull’ambiente e della possibile esposizione umana a composti pericolosi per la salute. La modellizzazione di questi dati potrebbe essere un utile ausilio per i gestori degli impianti di trattamento.
(Finanziato dall’Università di Brescia-Bando “Health and Wealth”).
Abstract
INTRODUZIONE
Numerosi fattori possono influenzare la qualità delle acque potabili, riconducibili sia alle caratteristiche della fonte di approvvigionamento e al trattamento disinfettante che al sistema di distribuzione. In alcune aree sia le acque sotterranee che le superficiali sono interessate dalla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) che possono quindi raggiungere anche le acque potabili. Queste sostanze sono caratterizzate da una notevole persistenza nell’ambiente e negli organismi viventi, incluso l‘uomo.
Scopo di questa ricerca è valutare la tossicità e genotossicità di acqua destinata al consumo umano, prelevata presso diversi acquedotti del Nord Italia, che si approvvigionano di acque di pozzo e di acque superficiali, in una zona caratterizzata dalla presenza di PFAS, mediante una batteria di saggi biologici, con differenti endpoint (tossicità, mutagenicità, genotossicità) in organismi diversi (batteri, crostacei, vegetali, cellule umane).
MATERIALI E METODI
Ad oggi lo studio ha analizzato un acquedotto che attinge acqua da pozzo e utilizza l’ipoclorito di sodio come disinfettante. Sono stati individuati 4 punti di prelievo: presso l’opera di captazione (acqua non trattata, A), dopo la filtrazione sui carboni attivi (B), dopo la disinfezione (C), e lungo la rete di distribuzione (D). Per ottenere un campione rappresentativo i prelievi sono stati effettuati una volta alla settimana, per 3 settimane consecutive (90 L totali per campione). Su tutti i campioni di acqua, oltre alle analisi chimiche previste dal D.lgs. 31/2001, sono state determinate le concentrazioni di diversi composti fluorurati.
Campioni di acqua tal quale sono stati saggiati mediante test di tossicità in Allium cepa e in Daphnia magna. Campioni di acqua concentrata mediante adsorbimento su cartucce di silice tC18 (10 L/cartuccia) sono stati analizzati per la tossicità con D. magna, per la mutagenicità/genotossicità mediante il test di Ames in Salmonella typhimurium, il test delle aberrazioni cromosomiche e dei micronuclei in radici di A. cepa e il test della cometa in leucociti umani.
RISULTATI
Nessun campione ha mostrato tossicità in radici di cipolla.
Nel test con D. magna, i campioni tal quali non sono risultati più tossici del controllo negativo. I campioni concentrati alla dose più alta testata, hanno dimostrato sia a 24 che a 48 ore tossicità pari o inferiore al controllo (bianco cartuccia).
I test di mutagenicità/genotossicità sono in corso.
CONCLUSIONI
I saggi applicati possono essere strumenti d’indagine utili per migliorare le conoscenze sulla qualità dell’acqua potabile condottata e verificare la tossicità/genotossicità nei diversi step del trattamento in relazione all’abbattimento delle concentrazioni di sostanze inquinanti, tra cui i PFAS.
Abstract
INTRODUCTION
Two natural compounds, Allium sativum fermented extract (BGE) and cannabinol oil extract (CBD), were assessed for their activity on inhibition and removal of Pseudomonas aeruginosa biofilm on soft contact lenses in comparison to one multi-purpose Contact Lens (CL)-care solution found in Italian market, CONTACTA® SOLUTION (Sanifarma Srl, Rome, Italy).
MATERIAL ANDMETHODS
Pseudomonas aeruginosa (P. aeruginosa; ATCC 9027) and Pseudomonas aeruginosa clinical strain isolated from ocular swab were tested. Quantification of biofilm was done using microtiter plate assay. One multipurpose CL-care solutions was examined for its ability to remove and inhibit biofilm. Also two natural extracts having antibacterial activity and are safe on eye were tested for their anti-biofilm activity. Determination of fractional inhibitory concentration index (FICI) was calculated.
RESULTS
Pseudomonas aeruginosa (P. aeruginosa; ATCC 9027) and Pseudomonas aeruginosa clinical strain are classified as strongly biofilm-forming. BGE at MIC concentration showed inhibition percentage higher than 55%, for both strains; CBD inhibited biofilm formation about 70%. Soft CL care solution at MIC concentration inhibited biofilm formation about 50%, for both strains tested. Effect of BGE on the eradication of microbial biofilm on contact lenses at MIC concentration is 45% eradication for P. aeruginosa ATCC 9027 and 36% for P. aeruginosa clinical strain. For CBD, we observed 24% of biofilm eradication formed by both strains. For Soft CL-care solution the eradication MIC concentration is 43% eradication for P. aeruginosa ATCC 9027 and 41% for P. aeruginosa clinical strain. It was observed that both test contact lenses solution/BGE (FICI: 0.450) and test contact lenses solution/CBD (FICI: 0.153) combinations exhibited synergistic antibiofilm activity against most of the studied bacteria.
CONCLUSIONS
Our study showed that BGE and CBD have excellent effect on inhibition of biofilm formation and removal of preformed biofilm which make them promising agents that can be added to new more effective CL-care solutions.
Abstract
INTRODUZIONE
Il compostaggio è una biotecnologia in espansione per il trattamento e la gestione dei rifiuti organici. È un processo basato sulla trasformazione biologica aerobica della biomassa organica, che può essere preceduta da una fase di digestione anaerobica. Il processo può generare particolato e bioaerosol i quali rappresentano un potenziale rischio per la salute dei lavoratori e delle popolazioni residenti nelle aree limitrofe agli impianti. L’esposizione a bioaerosol può essere associata sia a patologie infettive ed allergie che a patologie croniche quali COPD ed asma. Lo scopo di questo studio è caratterizzare la contaminazione da particolato sottile e bioaerosol negli impianti di compostaggio al fine di valutare il rischio professionale annesso.
MATERIALI E METODI
Sono stati condotti dei campionamenti di bioaerosol, PM10 sub-frazionato e PM4.5 personale in due dei principali impianti di compostaggio sul territorio italiano, includendo 4 differenti aree di trattamento per ciascun impianto. Il bioaerosol è stato caratterizzato dal punto di vista quali-quantitativo con metodi colturali (SAS sampler) e biomolecolari, partendo da diverse tipologie di campione (low melting Agar plate, PM0.49 e PM0.49-10). Saggi di qRT-PCR hanno permesso di quantificare i seguenti target: batteri totali, Bacteroidetes, Firmicutes, Gamma-proteobacteria, Clostridia spp., Bacillus spp., Saccharopolyspora spp., Legionella pneumophila, funghi totali, Aspergillus spp., Thermomyces spp., Aspergillus fumigatus, Adenovirus 4.
RISULTATI
L’analisi colturale ha evidenziato una contaminazione microbica totale elevata (IGCM medio > 47000 UFC/m3). Sono state osservate concentrazioni significativamente maggiori nell’impianto con solo trattamento aerobico (T-test p < 0.014). Per quanto riguarda l’analisi biomolecolare si osservano concentrazioni elevate e sempre correlate tra loro indipendentemente dal metodo utilizzato. I microrganismi aero diffusi più abbondanti sono stati i Firmicutes, 7.63 copie gene/m3, seguiti dai funghi 5.60 copie di gene/m3, Saccharopolyspora spp. e gamma-proteobacteria. La concentrazione di HAdV-4 è risultata inferiore al LOQ per tutti i campioni mentre due campioni sono risultati positivi a Legionella pneumophila sebbene non quantificabili (< LOQ). Per il PM10 è stata osservata una significativa concentrazione (> 5.000 µg/m3) in raffinazione e tunnel compostaggio costituita per > 50% da PM 0.49.
CONCLUSIONI
Clostridia e Bacillus spp. per i Firmicutes, Saccharopolyspora per gli Actinobacteria, Aspergillus e Thermomyces per i Funghi, potrebbero essere proposti come bioindicatori per la valutazione di routine della contaminazione da bioaerosol negli impianti di compostaggio. Sia la contaminazione da bioaerosol che da PM sottile costituiscono importanti fattori di rischio per la salute umana nella filiera del trattamento dei rifiuti organici e necessitano di un’accurata valutazione e gestione.
Abstract
INTRODUZIONE
La Direttiva 2013/51 EURATOM stabilisce i requisiti per la tutela della salute relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano, recepita con D.Lgs 28/2016. Le Regioni attraverso le Asl assicurano il controllo finalizzato al rispetto dei valori di parametro, ovvero il valore con cui confrontare la media annua dei valori misurati al di sopra del quale è obbligatorio valutare se la presenza di sostanze radioattive costituisca un rischio per la salute umana. Questo studio rappresenta il primo nella Regione Lazio ed è stato elaborato e concordato con la stessa Regione, Arpa Lazio, il Gestore del Servizio Idrico e il nostro Servizio, inserito nell’Asl Roma 2, ma che ha competenza su tutto il territorio di Roma Capitale e Fiumicino.
MATERIALI E METODI
Nel corso dei primi mesi dell’anno 2018 si sono svolte 4 incontri tecnici in cui sono state definite le modalità operative secondo le indicazioni del Decreto 2 agosto 2017. Sono state individuate 4 zone di fornitura (ZdF) che rappresentano una popolazione complessiva di circa 3 milioni di abitanti, approvvigionate da diverse fonti miscelate tra di loro la cui qualità dell’acqua risulta omogenea dal punto di vista della radioattività. È stato scelto un punto di campionamento per ogni ZdF, a valle del centro di distribuzione e più precisamente alla fontanella pubblica. Il piano di monitoraggio prevede il campionamento e l’analisi dell’attività alfa e beta totale su 4 ZdF, e avrà una durata biennale. I controlli saranno effettuati anche dal Gestore del Servizio Idrico così da avere una comparazione.
RISULTATI
I primi campionamenti sono stati eseguiti a fine giugno 2018 secondo un cronoprogramma stabilito con gli altri attori, non è stata prevista l’analisi dell’attività dovuta al trizio in quanto non risultano essere presenti nel territorio preso in considerazione fonti antropogeniche di tale radioisotopo. I dati preliminari relativi al 2018 hanno evidenziato un solo campione al di sopra del valore riportato dal d.lgs. 28/2016 per quanto riguarda il beta emettitore piombo-210, che comunque non comporta il superamento della concentrazione media annua.
CONCLUSIONI
Il programma di controllo Regionale è indirizzato in modo da coprire una porzione significativa di popolazione laziale (50%), e nel 2019 si estenderà ad altre ZdF così da coprire tutta la regione. I controlli interni e esterni distribuiti uniformemente garantiscono che i valori ottenuti siano rappresentativi della qualità utilizzata. Infine il programma ha ottenuto il parere favorevole del Ministero della Salute espresso tramite l’organo tecnico ISS.
Abstract
INTRODUZIONE
Studi recenti hanno dimostrato che, dopo intenso esercizio fisico, alcune variabili immunitarie diminuiscono sotto i livelli di pre-exercise. Di conseguenza, si possono verificare casi di infezione o malattia, soprattutto a carico del sistema respiratorio.
Per assicurare agli atleti del Giro d’Italia migliori performance, è stata programmata la disinfezione degli ambienti frequentati dagli atleti durante le tappe.
Scopo del presente studio è verificare la qualità microbiologica di aria e superfici prima e dopo trattamento di bonifica.
MATERIALI E METODI
Durante le tappe n.6 (San Giovanni Rotondo, FG) e n.18 (Santa Maria di Sala, VE), indagini microbiologiche (batteri e miceti) sono state effettuate, prima e dopo trattamento di bonifica, su aria e superfici di 3 bus e degli alloggi destinati agli atleti. Il campionamento dell’aria è stato effettuato tramite SAS (Surface Air System) e, per le superfici, tramite piastre da contatto RODAC®. La sanificazione degli ambienti è stata eseguita con microaerosolizzatore di perossido di idrogeno (7,9%) che micronizza la soluzione disinfettante in particelle di 0,15 µ per un tempo stabilito in funzione del volume degli ambienti. L’efficacia della diffusione del disinfettante fino ai tratti più distali è stata valutata attraverso il viraggio di banderelle tintometriche specifiche per il perossido di idrogeno.
RISULTATI
I campionamenti di aria pre-sanificazione hanno evidenziato un valore medio della carica batterica totale (CBT) pari a 156,13 ufc/m3 e della carica micotica totale (CMT) pari a 159,40 ufc/m3, con prevalenza di funghi filamentosi (Penicillium, Aspergillus e Alternaria). Le superfici degli stessi ambienti hanno registrato un valore medio di CBT = 2,10 ufc/cm2 e CMT = 0,35 ufc/cm2.
Dopo sanificazione, è stata rilevata una riduzione del valore medio di CBT e CMT sia nell’aria (3,80 e 30,40 ufc/m3 rispettivamente) sia sulle superfici (0,78 e 0,24 ufc/cm2 rispettivamente).
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti dal presente studio, sebbene preliminari, hanno evidenziato un’efficace azione di bonifica ambientale che, se confermata da ulteriori studi, potrebbe essere impiegata come strumento di prevenzione in ambienti indoor, soprattutto dove i processi di disinfezione possono risultare particolarmente complessi.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel 2050 non ci sarà abbastanza acqua per nutrire una popolazione che raggiungerà i 9 miliardi. L’agricoltura è responsabile dell’estrazione del 70% di tutta l’acqua prelevata da falde acquifere, fiumi e laghi. Il consumo eccessivo, l’impatto dei cambiamenti climatici ridurranno l’approvvigionamento idrico sul pianeta.
Le tecniche di produzione poco sostenibili contaminano quotidianamente le falde acquifere attraverso l’impiego di fertilizzanti e pesticidi, minacciando la salute dell’uomo. Pertanto l’ONU ha inserito l’acqua tra gli obiettivi del programma di azione dell’agenda 2030. Le acque di falda del territorio salentino sono minacciate fortemente dall’intrusione di acqua marina e dall’inquinamento antropico diffuso in aree agricole e zone industriali. Qualunque valutazione di tipo sanitario non può prescindere da una preventiva attività di monitoraggio chimico-fisico e microbiologico. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare lo stato di qualità delle acque sotterrane ad uso irriguo nell’area della Grecia Salentina ed identificare eventuali rischi per le popolazioni residenti.
MATERIALI E METODI
I campioni sono stati prelevati da 20 pozzi dislocati in 13 comuni della Grecia salentina nel periodo compreso tra ottobre e novembre 2018. In corrispondenza dei siti di monitoraggio sono stati registrati i parametri fisici mediante l’uso di sonda multiparametrica. Le analisi microbiologiche hanno riguardato la ricerca di Coliformi a 37°, Escherichia coli ed Enterococchi (APAT, IRSA-CNR, 2003). Le analisi chimiche hanno riguardato la ricerca di Ioni (HPIC), Metalli pesanti (ICP-AES) e misurazione di alcalinità.
RISULTATI
E. coli è risultato presente nel 50% dei campioni analizzati e gli enterococchi nel 40%: rispettivamente sono stati registrati valori medi massimi pari 42,5 ufc/100 ml e 84,5 ufc/100 ml. I Coliformi a 37°C hanno evidenziato valori sopra i limiti imposti dalle normative nel 45% dei campioni analizzati. Le analisi chimiche hanno evidenziato picchi sopra i limiti imposti per i nitrati. I valori di ammonio, cloruri e solfati sono risultati essere entro i limiti imposti come tutti gli altri ioni esaminati. Le concentrazioni di metalli non hanno riportato valori significativi anche per quelli più pericolosi.
CONCLUSIONI
Il presente studio ha permesso di ottenere una “istantanea” circa lo stato di qualità delle acque sotterranee nel territorio salentino. La valutazione dello stato qualitativo ha evidenziato una situazione non ottimale, seppure eterogenea, riconducibile a contaminazioni di origine fecale, presenza di nitrati e salinità. Questi risultati richiedono immediate azioni finalizzate ad una corretta gestione delle acque sotterranee nell’area studiata in linea con gli obiettivi di qualità inseriti nell’agenda europea.
Abstract
INTRODUZIONE
La classificazione di Robson descrive la variabilità nel ricorso al Taglio Cesareo (TC) e permette di confrontare tale dato tra i diversi Punti Nascita.
Le pazienti sottoposte a TC si distribuiscono in 12 classi in base a parità, numero di feti, presentazione fetale, età gestazionale e modalità del travaglio.
La Regione Lombardia nel 2017, con la DGR 5954/2016 e s.m.i., definiva una riduzione tariffaria del 20% per i TC con classe Robson 1, 3, 2a, 4a con produzioni superiori al 75° percentile percentile su base regionale e un incremento del 35% se inferiori al 25°.
MATERIALI E METODI
Lo studio prevede la validazione della classe di Robson attraverso il riscontro in cartella clinica delle informazioni atte a individuare la classe di appartenenza, confrontandola con il dato calcolato da Regione Lombardia tramite flusso CeDAP.
L’analisi riguarda il 50% della produzione di TC sul territorio ATS nel 2017 (ad eccezione dell’IRCCS Pubblico 3 con il 25%), con estrazione casuale dei DRG 371 “Parto cesareo senza complicanze” e 370 “Parto cesareo con complicanze”, per un totale di 3675 ricoveri.
Per la rilevazione è stato creato apposito diagramma di flusso tramite il quale gli operatori del Nucleo Operativo di Controllo (NOC) hanno validato/aggiunto/modificato la classe Robson assegnata al TC oggetto di controllo.
RISULTATI
La percentuale di Robson discordanti è del 9,2%.
In 67 casi la discordanza riguardava più di un campo CeDAP.
In generale i campi errati erano:
modalità travaglio: 5,1%;
presentazione neonato: 3,1%;
TC precedenti: 2,2%;
parti precedenti: 1,1%;
età gestazionale: 0,7%;
modalità del parto (TC o vaginale): 0,7%;
genere del parto (singolo o plurimo): 0,1%.
La percentuale di pratiche con Robson assente per la mancanza di 1 o più item del CeDAP è del 8,3%. Di tali ricoveri è stata calcolata la relativa classe.
CONCLUSIONI
Alla luce dei Robson modificati e aggiunti ex-novo, nelle strutture analizzate in 73 casi relativi alle classi citate nella DGR 5954/2016 vi è stata discordanza. Tale dato potrebbe falsare i percentili in cui si inseriscono i Punti Nascita e di conseguenza determinarne decurtazioni/incrementi economici errati.
Abstract
INTRODUZIONE
A fronte dell’importante incidenza della patologia vascolare cerebrale, e delle sue ripercussioni sulla salute pubblica, è auspicabile garantire un ricovero in Stroke Unit e un adeguato trattamento a una quota sempre maggiore di pazienti, nel più breve tempo possibile.
Con DGR 4198/2008 la Regione Veneto ha definito un modello di rete “Hub and Spoke” per la gestione dell’ictus acuto.
Le Direzioni Sanitarie delle ULSS della Provincia di Verona, al fine di monitorare il funzionamento della rete di assistenza Stroke, avevano messo a punto un “Protocollo per il trattamento precoce dei pazienti con sospetto Stroke nella Provincia di Verona”, che, di fatto, è stata l’esperienza “pilota” su cui si è basata la costituzione della rete regionale (DGR 4453/2006).
MATERIALI E METODI
È stato effettuato il record linkage di dati tratti da fonti correnti, relativamente ai casi di ictus urgenti maggiori di 18 anni, ricoverati in qualsiasi struttura ospedaliera della Provincia di Verona, con diagnosi ICD9CM e/o DRG riconducibili a ictus ischemico-emorragico o TIA.
RISULTATI
Nel 2011 i casi di stroke sono stati 2.162, vs 2.376 nel 2017.
I pazienti arrivati con 118 nel 2011 sono stati 1035, vs 1.289 nel 2017; nel 2011 in 92 casi è stato attivato il protocollo stroke (8,8%), vs 320 casi nel 2017 (24,8%). Per quanto riguarda AOUI Verona, anno 2017, analizzando la casistica in base alla modalità di arrivo in Pronto Soccorso (PS), emerge che la percentuale di trattamento (trombolisi e/o trombectomia) è stata 41,4% nel gruppo di pazienti arrivati con 118 con attivazione protocollo stroke (118+), 16% nei pazienti arrivati con 118 ma senza attivazione protocollo stroke (118-), 12% nei pazienti afferiti autonomamente e 17,5% nei pazienti non agganciati a 118 ma arrivati con ambulanza (altro). Relativamente alle tempistiche pre-ricovero, nel 2017 il tempo medio entrata-uscita PS per i pazienti 118+ è stato 1,25 h, vs 2.58 h per i pazienti 118, 3,20 h per i pazienti autonomi e 1,48 h per i pazienti nel gruppo “altro”.
CONCLUSIONI
Emerge un aumento della casistica di ricoveri stroke dal 2011 al 2017, contestualmente al miglioramento della percentuale di riconoscimento del protocollo. Inoltre, è evidente la maggiore incidenza di trombolisi per i pazienti 118+, con tempistiche al trattamento inferiori rispetto agli altri gruppi di pazienti. L’affinamento del percorso, a partire dal corretto riconoscimento sul territorio del paziente con ictus acuto in atto, risulta quindi associato all’esecuzione tempestiva del trattamento.
Abstract
INTRODUZIONE
La mortalità e la morbilità materna e neonatale associate al parto sono un problema sanitario di altissima priorità. L’OMS stima che su 130 milioni di nascite annue, si registrano circa 287.000 morti materne, 1 milione di morti fetali intrapartum e 3 milioni di decessi di neonati durante il periodo neonatale.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di mettere a punto, presso la ASL 02 Abruzzo, uno strumento di supporto al lavoro degli operatori sanitari durante l’evento nascita per ridurre il numero di decessi e complicanze.
MATERIALI E METODI
Sulla base della checklist proposta dall’OMS e riadattata dal Centro Gestione Rischio Clinico della Regione Toscana, il gruppo multidisciplinare, costituito dalle figure professionali dei punti nascita (ostetriche, ginecologi, anestesisti, infermieri e pediatri/neonatologi) e coordinato dal Rischio Clinico Aziendale ha contestualizzato la checklist al proprio flusso di lavoro. Sono stati predisposti una serie di incontri teorico-pratici e, dopo 6 mesi, è stata validata la checklist definitiva. Al fine di valutare l’impatto dello strumento sulle pratiche cliniche assistenziali relative al parto, si è revisionato un campione di 300 cartelle, di cui 150 del periodo pre- e 150 del periodo post-intervento. I confronti sono stati effettuati con il test di McNemar e la significatività statistica è stata fissata a < 0,05.
RISULTATI
Dall’analisi dei dati emerge che, in seguito all’Introduzione della checklist, è migliorata la completezza e l’accuratezza dei dati inseriti in cartella clinica. In particolare, da un confronto prima-dopo, si evidenzia una maggiore attenzione alla registrazione della presenza di ipertensione (da 89,3% a 100%, p < 0,001), dell’esecuzione del tampone vaginale (da 72,7% a 96,7%, p < 0,001), dei parametri vitali come temperatura (da 80,7% a 99,3%, p < 0,001) e frequenza cardiaca (da 92,7% a 99,3%, p = 0,003) e della presenza, seppur non significativa, nel post partum, di eventi importanti come le perdite ematiche > 500 ml (da 98% a 100%, p = 0,082).
CONCLUSIONI
L’analisi delle cartelle documenta una relazione statisticamente significativa tra l’Introduzione della checklist di sala parto e la completezza della documentazione clinica, indicando una migliore gestione della paziente per la prevenzione dei rischi infettivi e delle complicanze. La checklist rappresenta, dunque, un valido strumento ai fini del miglioramento della qualità delle prestazioni durante il parto, momento molto delicato dal punto di vista della sicurezza della madre e del bambino.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli strumenti di risk management in ambito sanitario sono sempre più utilizzati. Tra questi soprattutto quelli proattivi, in grado di identificare i potenziali punti di debolezza del sistema per elaborare misure correttive prima del verificarsi di un evento avverso, sono un valido strumento per la governance dei processi. Scopo del presente studio è la validazione di una FMECA per identificare e quantificare situazioni a rischio di contaminazione microbiologica nel processo di raccolta e produzione di unità di emocomponenti per uso clinico, in una logica di miglioramento continuo della qualità.
MATERIALI E METODI
Il Servizio di Emotrasfusione della struttura in studio produce ogni anno circa 27.000 unità di emocomponenti, tra quelle ad uso trasfusionale e plasma destinato all’industria farmaceutica. Oltre alla regolare attività di autocontrollo svolta dal Servizio, l’Unità Operativa Complessa di Igiene Ospedaliera effettua saggi di sterilità per il controllo di processo. È stato costituito un gruppo di lavoro composto da medici Igienisti specialisti e in formazione, emotrasfusionisti e biologi, per elaborare un modello di FMECA mediante un’assegnazione condivisa di punteggi a tre parametri (punteggio 1-10 per ciascun parametro, secondo le scale proposte dal Centro Nazionale Sangue): Probabilità che l’evento accada; Rilevabilità della Failure; Gravità delle conseguenze. Il prodotto di questi tre valori rappresenta l’Indice di Priorità del Rischio (IPR). Sono state considerate rilevanti, ai fini di programmazione dei saggi di sterilità, le attività con IPR > 100 o con valore di Gravità superiore ad 8. Per ogni possibile failure è stata pianificata l’azione correttiva da adottare.
RISULTATI
L’FMECA è stata scomposta in quattro macrofasi principali: raccolta del sangue intero o emocomponenti; emazie; plasma; concentrati piastrinici. Complessivamente sono state analizzate 13 fasi e 26 sottofasi: su un totale di 43 modalità di errore, il 19% è stato valutato come rilevante. L’attività di disinfezione della cute nella fase di raccolta, con i failure mode di “mancata disinfezione” e “disinfezione non secondo procedura”, ha ottenuto l’IPR più alto (162). Nel 100% delle attività considerate rilevanti la causa era l’errore umano, per cui azioni correttive sono rappresentate da interventi formativi e verifica della conoscenza di procedure.
CONCLUSIONI
In letteratura non risultano evidenze sull’applicazione di strumenti proattivi di risk management in emotrasfusione. Dalla nostra analisi le attività a più alto rischio di contaminazione sono l’ispezione e disinfezione della cute. L’utilizzo di metodi di analisi dei rischi come FMECA permette di programmare in modo maggiormente efficace ed efficiente il controllo di processo sulla produzione di emocomponenti.
Abstract
INTRODUZIONE
L’integrazione delle informazioni derivanti dai metodi di risk assessment attualmente in uso nelle organizzazioni sanitarie permette di misurare il rischio clinico in modo parziale. La documentazione sanitaria rappresenta una fonte informativa rilevante, ma la revisione manuale sistematica non è praticabile in termini di tempo e di risorse. Buona parte della documentazione sanitaria in Regione Lombardia è informatizzata, e consente l’estrazione automatica di informazioni mediante strumenti di analisi testuale (data mining).
L’obiettivo dello studio è utilizzare un software di analisi testuale open-source nell’identificazione di eventi avversi o errori nelle fonti informative sanitarie.
MATERIALI E METODI
Il progetto “Risk Assessment basato su strumenti di data mining” è un’analisi retrospettiva multicentrica che coinvolge 19 erogatori in Regione Lombardia. Le Aziende partecipanti, coordinate da un gruppo ristretto, hanno elaborato il protocollo di studio ed identificato il software di riferimento. Sono stati definiti gli eventi oggetto di ricerca, ed è stato pianificato uno studio pilota sulla ritenzione di materiale estraneo all’interno del sito chirurgico. Sono stati estratti dal Portale Regionale i casi relativi al triennio 2016-2018 basati sulle schede di dimissione ospedaliera, ed è stata analizzata la relativa documentazione sanitaria, rintracciando le modalità espressive utilizzate nella descrizione dell’evento (annotazioni).
RISULTATI
Tredici centri partecipanti hanno estratto nel complesso 69 annotazioni da 32 verbali di camera operatoria, 73 annotazioni da 30 lettere di dimissione, 6 annotazioni da altre fonti (diario medico o infermieristico, verbali di pronto soccorso). Dalle annotazioni sono stati ricavati lessici e regole di decisione per il sistema automatico, applicate in via preliminare alla totalità dei verbali operatori del 2017 (23.584) di uno dei centri partecipanti. Lo strumento ha restituito 349 documenti positivi, di cui 10 possibili veri positivi in corso di validazione. Le cause di errore sono riferibili a corpi estranei intenzionalmente lasciati in sede o menzioni di procedure collegate (60%), errata gestione di varianti lessicali (31%), corpi estranei non pertinenti (9%).
CONCLUSIONI
La validazione dei possibili veri positivi individuati da ciascuno dei centri partecipanti consentirà il calcolo del valore predittivo positivo, mentre la sensibilità verrà stimata mediante campionamento dei documenti negativi all’analisi testuale. Il progetto consentirà il confronto tra la nuova metodologia e gli strumenti attualmente in uso in termini di numerosità degli eventi rilevati, in una prospettiva di adozione complementare e di armonizzazione delle modalità di risk assessment tra le strutture partecipanti.
Abstract
INTRODUZIONE
Con l’invecchiamento della popolazione, è atteso un incremento dell’utilizzo dei servizi sanitari per acuzie (SSA), quali ricoveri ospedalieri (SDO) e accessi al pronto soccorso (PS). Questi servizi hanno un forte impatto sulla qualità della vita dell’individuo e sul Servizio Sanitario Nazionale. È stato dimostrato come nel fine-vita vi sia un importante incremento del ricorso ai SSA. Questo studio vuole determinare l’impatto di genere, età e causa di morte, sulla percentuale mensile di utilizzatori dei SSA negli ultimi due anni di vita per valutare quando si verifica un cambiamento in tale utilizzo.
METODI
La coorte è costituita dai residenti del Friuli-Venezia Giulia, con ≥ 65 anni, deceduti nel periodo 2002-2014, linkati con le fonti SDO/PS. È stata calcolata la proporzione mensile (periodi di 30 giorni) di soggetti con ≥ 1 SDO/PS nei 2 anni precedenti al decesso, stratificando per sesso, età al decesso (65-74,75-84,85-94, ≥ 95) e principali cause di morte (oncologiche, cardiovascolari e respiratorie).
Il change-point stimato per ciascun trend, identifica tramite modelli di regressione non lineare (segmented models), il passaggio tra plateau e parte quadratica.
RISULTATI
Nel periodo considerato, sono stati individuati 142.834 deceduti. I soggetti con almeno una SDO/PS iniziano ad aumentare in stretta prossimità (3-7 mesi) al decesso. I change-point stimati confermano l’assenza di rilevanti differenze di genere (SDO: M: 4,9 - F: 4,6; PS: M: 4,0 - F: 3,8), mentre sono significativamente diverse quelle legate all’età e alla causa di morte. La percentuale di “grandi anziani” (≥ 95 anni) con almeno una SDO o PS è minore di quella osservata nei “giovani anziani” e in generale, con l’aumentare dell’età vi è una progressiva riduzione del ricorso ai SSA. Inoltre, l’aumento degli utilizzatori di SSA in prossimità al decesso inizia prima tra i “giovani anziani” (change-point SDO: 65-74: 6,6, ≥ 95: 3,5; PS: 65-74: 4,6, ≥ 95: 3,3). Tra i deceduti per cancro l’incremento è più precoce e la proporzione di soggetti ospedalizzati più alta (tranne nell’ultimo mese di vita), seguito dai deceduti per patologie cardiovascolari e poi respiratorie (change-point cancro: 6,8; cardiovascolare: 3,9; respiratoria: 3,5). Nel mese precedente al decesso i deceduti per patologie respiratorie hanno la proporzione più elevata di ospedalizzati.
CONCLUSIONI
Questi risultati indicano come tra i “grandi anziani” vi siano meno utilizzatori di SSA rispetto ai “giovani anziani”. Inoltre, nell’età più avanzata, l’incremento di utilizzatori si verifica più a ridosso del decesso. Come atteso, la mortalità patologia-specifica è associata a pattern di utilizzo dei SSA diversi, mentre inaspettatamente, il genere non lo è.
Abstract
INTRODUZIONE
A gennaio 2018 viene istituita presso gli Ospedali Riuniti Padova Sud la struttura ospedaliera denominata chirurgia ambulatoriale dotata di 8 ambulatori con sala chirurgica, ubicata in area distinta dal blocco operatorio centrale, organizzata per effettuare procedure diagnostiche, terapeutiche invasive e chirurgiche praticabili in regime ambulatoriale, con la presenza dell’anestesista. Le prestazioni effettuabili sono riconducibili alle seguenti unità di offerta: oculistica, chirurgia, ginecologia, orl, urologia, ortopedia, accessi vascolari, epatologia interventistica. Tale modello organizzativo si propone di ottimizzare i processi di cura secondo una visione moderna dei percorsi di qualità, migliorando l’appropriatezza dell’attività chirurgica e consentendo al blocco operatorio di dedicarsi alle procedure più complesse che necessitano di degenza post operatoria. Gli obbiettivi secondari sono: ridurre i tempi d’attesa, incrementare la produttività in un setting corretto, razionalizzare il costo dell’assistenza chirurgica, costituire un core curriculum certificato per i professionisti.
MATERIALI E METODI
La creazione di agende informatizzate visibili a CUP, ha reso innovativa l’organizzazione della chirurgia ambulatoriale consentendo la calendarizzazione puntuale degli interventi con la garanzia della loro tracciabilità dalla prenotazione, alla refertazione, alla compilazione del registro operatorio fino all’archiviazione. Il modello sperimentato consente inoltre di poter estrarre in tempo reale i dati di attività per azioni di monitoraggio e di business intelligence con il feedback dei professionisti al fine di orientare le loro scelte strategiche.
RISULTATI
La selezione, dal processo di arruolo in ambulatorio, del paziente ideale da collocare in tale setting e l’inserimento dello stesso in agende specifiche, ha permesso di razionalizzare i costi legati alla pre ospedalizzazione e di contenere il ricovero alberghiero. Le liste d’attesa per tunnel carpale, isteroscopia diagnostica e operativa, circoncisione, frenulotomia, biopsia prostatica, asportazione lesioni orali e frenulectomia sono state azzerate, mentre per cataratta, ernie inguinali e varici ridotte di 6 mesi. La richiesta di accessi vascolari per pz da RSA viene evasa in meno di una settimana. Nel periodo genn18-genn19, il numero di interventi inappropriati eseguiti nel BO si è ridotto del 97% con un parallelo incremento del 46.6% degli interventi eseguiti in chirurgia ambulatoriale.
CONCLUSIONI
L’analisi dei costi sostenuti dal BO nel periodo considerato evidenzia un incremento del 2.8% rispetto al 2017 spiegabile dall’aumento del case mix degli interventi di chirurgia maggiore associato ad un tasso di occupazione ottimale delle sale operatorie. La modifica organizzativa che ha spostato gli interventi dal BO al setting di Chirurgia Ambulatoriale ha liberato “slot” di sale chirurgiche per inteventi di maggiore complessità.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi anni, nei paesi industrializzati l’obesità ha assunto proporzioni epidemiche e tra le opzioni terapeutiche, limitatamente ad una coorte selezionata di soggetti, trova indicazione il trattamento chirurgico. In considerazione dell’istituzione nel 2016 della rete veneta per il trattamento integrato dell’obesità, è stato condotto uno studio retrospettivo al fine di dimensionarne il ricorso e l’andamento temporale nell’ultimo ventennio.
MATERIALI E METODI
Gli interventi chirurgici sono stati individuati dagli appositi codici ICD9-CM di intervento (44.3, 44.5, 44.6, 44.9, 45.9, 44.95, 44.96, 44.97, 44.98, 44.93, 44.94, 43.89, 44.97, 44.99) in associazione ai codici ICD9-CM di diagnosi (278.xx) relativamente al periodo 2000-2018. La fonte dei dati era l’archivio regionale informatizzato anonimo delle schede di dimissione ospedaliera (SDO); il tasso di intervento è espresso per 100.000 residenti e per valutarne l’andamento si è utilizzato il test chi square e l’AAPC.
RISULTATI
Nel corso del periodo considerato (2000-2018) i cittadini veneti sono stati sottoposti a 10.408 interventi per un TI complessivamente pari a 12,6, pari al triplo nel genere femminile (18,3 vs 6,7; OR: 2,75; IC95%: 2,64-2,87; p < 0,000) che ha evidenziato un’età media inferiore di quasi 2 anni rispetto al maschile (42,4 vs 44,2 anni). L’andamento temporale del TI ha evidenziato due distinte fasi di crescita, triplicando tra il 2000 e il 2015, da 4,6 a 12,6 (X2 trend: 477,1; p < 0,000; AAPC: 9%), per poi quasi raddoppiare nell’ultimo triennio attestandosi a 22 (X2 trend: 132,7; p < 0,000; AAPC: 63%), con un 33 nel sesso femminile e 10,4 nel maschile.
Riguardo l’attività espletata dalle strutture operanti nel Veneto, sono stati effettuati 14.093 interventi, nel 44% dei casi a non residenti, con una DM pari a 3,6 ± 0,5 gg. e l’84% dei soggetti dimessi entro i 5 giorni. Nel lungo periodo analizzato il numero medio di ospedali eroganti si è attestato a 16, medesimo valore dell’ultimo anno d’osservazione, ma, in virtù dell’incremento della domanda, si è assistito a un incremento del numero medio di interventi praticati dagli ospedali con volume d’attività non occasionale, ovvero al di sopra dei 10 interventi/anno, pari al 79%, confrontando primo e ultimo anno dell’analisi (49 vs 88,2) con un AAPC del 5%.
CONCLUSIONI
Quanto emerso, oltre a evidenziare come la chirurgia bariatrica rappresenti un’attività erogabile in un modello organizzativo quale la week surgery, conferma l’importante crescita dell’attività, in linea agli altri paesi industrializzati, ed una progressiva concentrazione dell’attività in centri sempre più specializzati.
Abstract
INTRODUZIONE
I policy makers del sistema sanitario italiano hanno adottato dei provvedimenti volti a perseguire una maggiore appropriatezza clinica dell’Assistenza sanitaria. In particolare, l’allegato 6A del Decreto LEA (D.P.C.M 2017) ripropone un elenco di 108 DRG, definiti come “ad alto rischio di inappropriatezza” se erogati in regime di degenza ordinaria, demandando quindi alle regioni il compito di garantire uno shift verso il ricovero diurno.
Questo studio si pone quindi l’obiettivo di valutare le performance delle regioni italiane utilizzando come indicatore i DRG ritenuti inappropriati.
MATERIALI E METODI
I dati sono stati raccolti dai rapporti SDO accessibili dal sito web del Ministero della Salute, in particolare sono stati utilizzati i rapporti dal 2010 fino al 2017 (pubblicato a marzo del 2019), questo timeframe è stato scelto per garantire una confrontabilità dei dati in quanto dal 2010 è in vigore una nuova versione di classificazione dei DRG. Sono stati quindi estrapolati i dati dai diversi rapporti e raccolti in un unico database. È stato poi analizzato il trend del rapporto tra ricoveri diurni ed ordinari per i 108 DRG considerati a rischio, stratificandoli per regione.
RISULTATI
I risultati mostrano che per questi 108 DRG dal 2010 al 2017, si è passati da un totale di 4.111.476 ricoveri (2.184.754 diurni, 1.934.010 ordinari) a 2.167.274 ricoveri (1.194.360 diurni, 972.914 ordinari). Il rapporto tra ricoveri Diurni e Ordinari è progressivamente aumentato, se considerati i volumi totali, dal 53,0% al 55,1% in questi anni, registrando però notevoli differenze tra singolo DRG. Infatti analizzando il trend di questo rapporto per singoli DRG, stratificato per regioni, solo 3 DRG (2,7%) hanno un trend positivo in tutte le regioni, mentre il 46% non riesce ad avere un trend positivo in metà delle regioni. Focalizzandoci sulle regioni, le più virtuose riescono ad avere 79 DRG con un trend positivo (73%), mentre quelle meno virtuose solo 25 DRG con un trend positivo (23%), avendo un trend di inappropriatezza rispettivamente nel 26% e 76% dei 108 DRG.
CONCLUSIONI
In conclusione non solo nessuna Regione raggiunge elevati livelli di performance, ma il comportamento è altamente variegato. Certamente una maggiore governance attraverso sistemi di controllo specifici renderebbe più omogenea la qualità dell’assistenza in Italia.
Abstract
INTRODUZIONE
L’imballaggio alimentare innovativo, negli ultimi decenni, ha raggiunto un’importanza notevole nel campo della sicurezza alimentare, in quanto si tratta di un packaging attivo che non costituisce solo una semplice “barriera” fisica nel preservare gli alimenti dall’ambiente esterno ma garantisce anche la possibilità di ridurre l’attività di agenti microbici potenzialmente presenti grazie anche all’utilizzo di polimeri biodegradabili e di molecole derivanti dagli scarti della produzione agricola, in linea con i principi della Green Economy.
A tale scopo, il presente lavoro di ricerca si è focalizzato sullo studio dell’attività antibatterica e antiossidante dell’α-tomatina, una molecola bioattiva presente negli scarti della pianta di pomodoro (foglie e fusto) e del suo possibile inserimento in biopolimeri di alcol polivinilico, al fine di ottenere pellicole di biofilm con proprietà antibatteriche da utilizzate come imballaggio attivo per gli alimenti.
MATERIALI E METODI
L’attività antibatterica dell’α-tomatina è stata valutata nei confronti di ceppi batterici potenzialmente patogeni per l’uomo (Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa e Staphilococcus aureus) e di saprofiti (Lattobacillus acidophilus, Lattobacillus bulgaricus e Lattobacillus rhamnosus). L’attività antiossidante è stata valutata mediante i saggi ABTS e DPPH.
Inoltre, l’α-tomatina è stata incorporata in biopolimeri di alcol polivinilico, ottenendo coating sui quali è stata valutata l’attività antibatterica mediante la procedura ISO22196:2011 sui ceppi patogeni selezionati.
RISULTATI
Dai risultati ottenuti si evince che, sebbene l’α-tomatina non abbia mostrato alcuna attività antiossidante sia nei confronti del radicale ABTS che del radicale DPPH, essa ha evidenziato una spiccata attività antibatterica anche se solo nei confronti dei tre ceppi batterici potenzialmente patogeni. Inoltre, tale attività si è conservata anche dopo l’inserimento della stessa molecola in coating polimerici di alcol polivinilico.
CONCLUSIONI
Il presente studio ha messo in evidenza la possibilità di realizzare packaging attivi ad attività antibatterica per migliorare sia la conservabilità dell’alimento confezionato sia la sicurezza alimentare, ma al contempo biodegradabili, rispondendo così ai criteri di sostenibilità ambientale.
Il presente studio ha rappresentato un’idea di progetto innovativa che ha ottenuto il 3° Premio al Concorso di StartCup Campania 2018 e il Premio speciale PwC al PNI, a Verona, nello stesso anno.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Biossido di Titanio (TiO2-NPs) (E 171) è autorizzato come additivo alimentare nell’Unione Europea conformemente all’allegato II del regolamento (CE) n 1333/2008. La via di esposizione orale alle NPs risulta ancora poco indagata e sono ancora in corso studi che permettano di stabilire quella quantità che può venire assunta quotidianamente per l’intera vita di un uomo senza che ne derivi un danno all’organismo. Per il TiO2 è stata calcolata una dose minima provvisoria a cui non si osservano effetti avversi di 2,25 mg TiO2/kg peso corporeo per giorno.
Obiettivi: il nostro studio fornisce la prima caratterizzazione e quantificazione di TiO2-NPs in campioni di tonno confezionati in scatole sia di latta che di vetro e una prima stima di esposizione orale per questa classe di alimento.
METODI
Sono stati analizzati 20 campioni di tonno confezionati in scatole di latta e 20 confezionati in scatole di vetro. La determinazione analitica è stata condotta mediante ICP-MS NexION 350X abbinato al software “Nano Application” in grado di rilevare le NPs a bassa concentrazione e distinguere la distribuzione dimensionale e la dimensione media.
RISULTATI
Nei campioni di tonno confezionati in scatola di latta è stata rilevata una distribuzione dimensionale media di 94 nm e una distribuzione dimensionale più frequente di 97 nm per un totale di 3.0 Î 106 particelle per grammo, corrispondenti a 0.006 mg/Kg. Nei campioni di tonno al naturale confezionati in scatole di vetro è stata rilevata una distribuzione dimensionale media di di 97 nm e una distribuzione dimensionale più frequente di 103 nm per un totale di 2.6 Î 106 particelle per grammo, corrispondenti a 0.005 mg/Kg. L’esposizione orale a TiO2-NPs derivante dall’ingestione di un pasto medio di 227g di tonno confezionato in scatola di latta per un adulto di 70 Kg è pari a 1.9 Î 10-5 mg/kg/bw, mentre quella derivante dall’ingestione di un pasto medio di tonno confezionato in scatola di vetro è pari a 1.6 Î 10-5 mg/kg/bw.
CONCLUSIONI
I valori di esposizione calcolati per il TiO2-NPs sono significativamente inferiori alla dose minima per la quale non si osservano effetti avversi. Sulla base dei risultati ottenuti, sebbene non sia ancora possibile stabilire l’origine del TiO2-NP sappiamo che l’additivo E 171 non è ammesso per i prodotti di tonno in scatola. Sarà quindi interessante valutare le possibili vie di contaminazione del prodotto durante i processi produttivi oppure ipotizzare un accumulo derivante dall’ambiente marino, ma soprattutto avviare un Total Diet Study.
Abstract
BACKGROUND
Eating disorders (EDs) are a severely impairing group of mental disorders resulting in burdens for families, caregivers and society, accounting for more than 2.2% of the global disease burden. EDs are mostly diagnosed in late adolescence, but their onset might start earlier with behaviors like emotional overeating (EO) and restrained eating (RE), characterized by restrictive behaviors, body dissatisfaction, compensation methods, eating in response to disturbed affect regulation.
Moreover, a wide range of adverse life events are recognized risk factors for EDs, but their association with childhood eating behaviors has been less explored. Our aim was to examine whether a wide range of life events can predict emotional eating and restrained eating in childhood, which are potential precursors of EDs.
METHODS
The study is embedded in Generation R, a prospective population-based cohort. Final sample included 4653 children aged 10 years. EO was assessed with the Children’s Eating Behavior Questionnaire, and RE with the Dutch Eating Behavior Questionnaire. Mothers reported the occurrence of 24 adverse events in their offspring’s childhood. Regression analyses were conducted, both unadjusted and adjusted for gender, ethnicity, and parental education and psychopathology.
RESULTS
Unadjusted models showed that a higher number of life events is associated with more EO (B = 0.07, 95%CI 0.04-0.09) and RE (B = 0.04, 95%CI 0.02-0.06), while in the adjusted model results were B = 0.05, 95%CI 0.02-0.08 for EO and B = 0.04, 95%CI 0.02-0.07 for RE. Subjects who experienced 2 life events displayed higher EO and RE (B = 0.14, 95%CI 0.03-0.24 and B = 0.10, 95%CI – 0.004-0.20 respectively) in unadjusted models. Those who experienced at least 3 life events showed higher EO and RE in both unadjusted (B = 0.26, 95%CI 0.15-0.37 and B = 0.18, 95%CI 0.07-0.29 respectively) and adjusted model (B = 0.2, 95%CI 0.06-0.33 and B = 0.21, 95%CI 0.08-0.33 respectively).
Maltreatment related life events showed a non-significant but substantial association for EO (B = 0.14, 95%CI – 0.02-0.30).
CONCLUSIONS
This is the first population-based study showing an association of the experience of adverse events during childhood and the presence of disordered eating behaviors (EO and RE) at age 10. The associations are stronger when more events were experienced, suggesting an increasing influence.
Stressful events may be potential risk factors for the development of deviations in eating behaviors in children. Therefore, if the studied eating behaviors are indeed precursors of EDs, these findings could offer potential for prevention and early intervention to avoid the development of full-blown EDs.
Abstract
INTRODUZIONE
Il coleottero Alphitobius diaperinus rappresenta un serio problema per l’industria avicola, infestando gli allevamenti e nutrendosi di mangimi, feci e carcasse. L’insetto può ospitare e potenzialmente trasmettere batteri patogeni, come Escherichia coli, Salmonella spp., Campylobacter spp. e Staphylococcus aureus, sebbene pochi studi sono disponibili. Nel presente lavoro, è stata valutata la prevalenza di tali patogeni in esemplari adulti di A. diaperinus prelevati in un allevamento di polli da carne, in campioni di mangime ed acqua e in tamponi cloacali.
MATERIALI E METODI
Sono stati effettuati tre campionamenti nel periodo Giugno-Settembre 2017. In ogni campionamento sono stati prelevati: 90 coleotteri per l’analisi della superficie esterna, delle feci e degli omogeneizzati; un campione di mangime; uno di acqua e dieci tamponi cloacali. La ricerca dei microrganismi target è stata eseguita mediante metodi convenzionali, utilizzando specifici terreni di coltura e test (API®, TSI e LIA). I risultati sono stati confermati mediante PCR per la ricerca di geni specie-specifici: adk, fumC, icd, purA per E. coli; sal per Salmonella; cadF e flaA per Campylobacter.
RISULTATI
Sulla superficie esterna dei coleotteri è stata riscontrata la presenza di Salmonella cholerasuis, confermata dall’amplificazione del gene sal. La matrice fecale presentava Hafnia alvei e Staphylococcus xylosus identificati tramite API® test; S.cholerasuis tramite test biochimici basati su terreni di coltura TSI e LIA ed E. coli mediante PCR. Nella flora interna sono stati riscontrati, tramite API® test, E. coli, Staphylococcus xylosus, lentus e conii. La PCR ha evidenziato Campylobacter spp., E. coli e Salmonella spp. nei tamponi cloacali. I campioni di mangime sono risultati positivi a S. xylosus tramite API® test, mentre i microrganismi in studio non sono stati riscontrati nei campioni di acqua.
CONCLUSIONI
Ad oggi, studi italiani su A. diaperinus come serbatoio di batteri patogeni non sono ancora disponibili, mentre ricerche condotte in Nuova Zelanda, Australia e Stati Uniti hanno documentato la presenza del coleottero come infestante prevalente negli allevamenti avicoli, in grado di veicolare E. coli, Salmonella spp., Campylobacter spp. e S. aureus. I risultati ottenuti consentono di supportare le evidenze sul ruolo dell’insetto nella diffusione di Salmonella spp. ed E. coli all’interno dell’ambiente avicolo. Non è stata riscontrata la presenza di S.aureus, mentre sono state osservate altre specie di Staphylococcus, mai segnalate prima nel coleottero. I dati, inoltre, non consentono di confermare il ruolo dell’insetto nella diffusione di Campylobacter, la cui presenza/assenza deve essere comunque verificata attraverso metodi coltura-indipendenti, anche sfruttando tecniche di sequenziamento di nuova generazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 “Friuli Occidentale” ha predisposto, in collaborazione con il Laboratorio Nazionale di Riferimento per diossine e PCB negli alimenti destinati al consumo umano e nei mangimi, un piano di monitoraggio al fine di valutare i livelli di contaminazione da PCDD/F e PCB in campioni di uova da galline allevate a terra e di foraggio destinato al consumo animale, prodotti nell’area compresa tra i comuni di Maniago, Fanna, Vajont e Cavasso Nuovo ed, eventualmente, adottare misure sanitarie idonee in relazione ai risultati analitici.
MATERIALI E METODI
Per le uova, l’area di studio è stata delimitata mediante un’ellisse in cui i due potenziali punti di emissione degli inquinanti oggetto di studio (zona industriale di Maniago e cementificio di Fanna) rappresentano i fuochi. L’area è stata suddivisa in una griglia con celle di 500 m di lato. Successivamente sono state scelte in maniera casuale 16 celle da campionare e 23 di riserva. Da ogni allevamento è stato prelevato un campione costituito da almeno 12 uova deposte da tutte le galline dell’allevamento nell’arco di una settimana. Per i foraggi, intorno ai due punti di emissione, sono stati costruiti due cerchi di raggio pari a 500 e 1.000 m; sono stati ricavati 6 settori (3 di prelievo e 3 di riserva) entro i quali effettuare i campionamenti. I campioni sono stati prelevati in singola aliquota, sfalciando l’erba ad un’altezza minima di 7 cm dal terreno (peso almeno 1 kg). Su ciascuna matrice prelevata è stata effettuata la ricerca di PCDD/F, DL-PCB e NDL-PCB.
RISULTATI
I livelli di conformità dei campioni sono stati valutati tenendo conto dell’incertezza di misura e applicando i limiti fissati dalla normativa vigente. La contaminazione nelle uova è risultata inferiore ai limiti massimi di legge tuttavia, in tre campioni sono state riscontrate concentrazioni di DL-PCB superiori al livello d’azione. La contaminazione nei foraggi, è risultata inferiore ai limiti massimi di legge e ai limiti di azione per tutte le classi di contaminante esaminate.
CONCLUSIONI
I risultati hanno rivelato concentrazioni medie comparabili con quelle riportate in altre ricerche effettuate in altre aree e condotte con simili disegni sperimentali. Il quadro che si è riscontrato nell’area di studio, sembra essere rassicurante. Tuttavia, negli allevamenti con livelli di contaminazione superiori ai limiti di azione sarebbe opportuno effettuare ulteriori controlli al fine di individuare l’eventuale causa della contaminazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Listeria monocytogenes comprende una varietà di ceppi alcuni dei quali altamente patogeni e talvolta mortali, altri relativamente avirulenti. Alcuni sierotipi sono maggiormente associati a listeriosi umana. La disponibilità di metodi di laboratorio per valutare il potenziale patogeno dei ceppi è fondamentale per poter attuare efficaci misure di prevenzione. L’obiettivo dello studio è stato quello di caratterizzare, attraverso l’uso di metodiche colturali in vitro, stipiti isolati sia dall’uomo che da alimenti appartenenti alla specie L. monocytogenes per la presenza di alcuni geni di virulenza, valutarne la capacità di aderire e di invadere cellule intestinali umane in coltura, al fine di avere maggiori informazioni sulla capacità dei diversi ceppi, di causare o meno la malattia.
MATERIALI E METODI
La capacità di adesione e invasione batterica è stata valutata su monostrati di cellule Caco2 (ECACC No. 86010202) secondo il metodo Reddy et al con alcune modifiche (Reddy S. et al, 2017). Sono stati utilizzati sia 3 ceppi clinici, di cui due appartenenti al sierotipo 1/2a e 4/b, saggiati per aver mostrato la presenza di alcuni geni di virulenza (inlC, inlF, intJ, lntA, lapB), coinvolti nella patogenesi, sia 6 ceppi isolati da alimenti appartenenti ai sierotipi 1/2a, 1/2b e 4/b. Nello studio è stato incluso il ceppo di L. innocua ATCC 33090 come controllo negativo. Sono stati calcolati gli indici di adesività e invasività e la correlazione tra i due indici. La verifica dell’internalizzazione dei batteri è stata eseguita mediante colorazione con Hoechst e osservazione in microscopia a fluorescenza.
RISULTATI
I ceppi saggiati hanno mostrato una significativa diversità di comportamento. In particolare, uno dei ceppi clinici ha mostrato esigui livelli di adesività e di invasività in vitro; anche i ceppi isolati da alimenti hanno mostrato un’ampia eterogeneità e una notevole varietà nella capacità di aderire e invadere cellule eucariotiche. In generale, non si è riscontrata correlazione tra adesività e invasività e il sierotipo di appartenenza, neppure in riferimento al panel dei fattori di virulenza studiati, confermando ancora una volta la complessità del meccanismo patogenetico di Listeria.
CONCLUSIONI
Il ristretto pattern dei geni di virulenza utilizzati per predire la potenziale patogenicità di ogni ceppo saggiato non correla con il grado di adesività e invasività mostrato in vitro. Sequenziare l’intero genoma dei ceppi di L. monocytogenes utilizzati in questo studio e compararlo per evidenziare eventuali differenze nei geni coinvolti nei processi di adesione ed invasione, potrebbe spiegare la diversità di questo comportamento.
Abstract
INTRODUZIONE
La prevalenza della malnutrizione ospedaliera, a livello europeo, interessa oltre il 25% dei ricoverati ed è, almeno in parte, correlata alla scarsa gradibilità dei pasti. Rilevante, pertanto, migliorare la qualità organolettica e nutrizionale (QON) del vitto somministrato ai degenti. Al fine di valutare la QON della ristorazione sanitaria, il Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, in collaborazione con il Laboratorio Merceologico dell’Università di Trieste (UNITs) ha condotto, nel periodo 2017-2019, un’indagine su un campione di servizi di ristorazione sanitaria.
MATERIALI E METODI
L’indagine, che ha coinvolto tre servizi di ristorazione sanitaria, ha applicato il processo Nutrient Analysis Critical Control Point (NACCP), indicato nell’Accordo Stato-Regioni “Valutazione delle criticità nazionali in ambito nutrizionale” (24.11.16).
In una prima fase, utilizzando una check list costruita ad hoc, sono stati valutati i processi di produzione dei pasti dei tre servizi di ristorazione sanitaria, in cui veniva utilizzato il legame Cook & Chill (CC) e il legame Fresco/Caldo (FC); successivamente sono stati prelevati 120 campioni di pasti, sui quali il Laboratorio Merceologico dell’UNITs, ha effettuato l’analisi bromatologica, determinando, in particolare, il potere antiradicalico totale (PAR), i composti di degradazione lipidica e proteica (DLP) ed alcuni composti vitaminici (V) presenti nelle pietanze.
Una successiva indagine (2019), che ha coinvolto un campione di 60 degenti ricoverati in due diversi reparti ospedalieri, in cui venivano serviti pasti prodotti con legame CC porzionati a freddo (PF) nel primo e legame CC porzionati a caldo (PC) nel secondo, aveva l’obiettivo di confrontare la soddisfazione degli utenti con la QON dei pasti serviti.
RISULTATI
Nei pasti prodotti con legame CC è stata rilevata una significativa perdita media del PAR rispetto al legame FC. Quelli prodotti con legame CC-PF hanno rilevato una minore perdita di PAR (15-40%) rispetto al legame CC-PC. La soddisfazione dei ricoverati che hanno consumato pasti prodotti con legame CC-PF è risultata doppia rispetto ai degenti che hanno consumato pasti prodotti con legame CC-PC.
CONCLUSIONI
L’adozione del processo NACCP, quale strumento innovativo che caratterizza le indagini condotte dal SIAN nel segmento della ristorazione sanitaria, ha permesso di valutare in modo puntuale la QON dei pasti serviti ai pazienti e di sviluppare raccomandazioni per sostenere una sana alimentazione nel contesto sanitario. Questa modalità operativa, indicata nell’Accordo sopracitato, riveste un ruolo strategico in grado di favorire politiche integrate di sicurezza alimentare e nutrizionale che competono anche al SIAN.
Abstract
INTRODUZIONE
Listeria monocytogenes si ritrova in un’enorme varietà di cibi includendo alimenti trasformati e“ready to eat”. Rappresenta una seria minaccia per l’industria alimentare poiché sopravvive alle comuni condizioni di lavorazione del cibo. Lo studio intende valutare l’accordo tra due metodiche per l’accertamento della contaminazione da Listeria monocytogenes.
MATERIALI E METODI
Abbiamo utilizzato due metodiche, una tradizionale microbiologica ed una molecolare.
Sono stati scelti per la ricerca di Listeria monocytogenes 10 campioni di salmone affumicato e 10 di gorgonzola, e sono stati inquinati con un ceppo puro ATCC7644 (Biolife). In parallelo è stata condotta l’analisi degli stessi campioni non inquinati.
Per l’analisi microbiologica è stata seguita la norma EN/ISO 11290-1:2017; la positività a Listeria monocytogenes è evidenziata dalla pigmentazione azzurra delle colonie su terreno ALOA (Agar Listeria Ottaviani & Agosti). Le colonie tipiche dei campioni in esame sono state sottoposte a prova biochimica tramite sistema d’identificazione API Listeria (BioMérieux). L’analisi molecolare è stata effettuata mediante MLST (Multi Locus Sequence Typing) che prevede l’identificazione con PCR di 7 geni housekeeping: abcZ, bgIA, cat, dapE, dat, ldh e IhkA che caratterizzano in maniera specifica i diversi types di Listeria monocytogenes. I geni amplificati sono stati purificati e sottoposti a sequenziamento mediante Sequenziatore Capillare ABIPRISM 3500, e le sequenze ottenute analizzate mediante “Listeria MLST database” presso il Pasteur Institute.
L’analisi di PCR è stata effettuata direttamente sui campioni da analizzare senza estrazione di DNA genomico. L’alimento è stato mescolato con 1 ml di soluzione Fraser Broth Half Concentration e dopo 48 ore d’incubazione a 37°C sono state prelevate delle aliquote da utilizzare come stampo per la PCR. Il ceppo di Listeria monocytogenes ATCC è stato utilizzato come controllo negli esperimenti molecolari.
RISULTATI
Entrambe le metodiche hanno rilevato la presenza di Listeria monocytogenes nei campioni inquinati. Anche uno dei campioni di controllo è risultato positivo ad entrambe le prove. Le due tecniche risultano quindi sovrapponibili per i risultati. L’analisi MLST ha identificato lo stipite genotipico di Listeria monocytogenes: ST1035. L’utilizzo del metodo molecolare per l’identificazione è risultato molto più rapido e specifico. Attraverso la tecnica MLST è stato possibile non solo identificare lo stipite ma anche il tipo di clone.
CONCLUSIONI
La completa sovrapponibilità dei risultati consente di validare sul campo le metodiche, allo scopo di rendere ufficiale l’applicazione di un metodo più rapido e di valutare la tracciabilità della contaminazione.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Unione Europea ha fissato, per i singoli fitofarmaci, un livello massimo di residui (LMR) negli alimenti “concentrazione massima ammissibile di residui di pesticidi in o su alimenti o mangimi, basata sulle buone pratiche agricole e sul più basso livello di esposizione dei consumatori” (REG CE 396/05); non è stato invece fissato un limite sul numero massimo di multiresidui.
Lo scopo dello studio è stato evidenziare la presenza di multiresidui, e relative non conformità, negli alimenti controllati dall’ASL2 Abruzzo nell’ambito dei Programmi di Controllo Ufficiale sui residui dei fitofarmaci nei prodotti alimentari, tra il 2016 e il 2019.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati i rapporti di prova emessi dall’Istituto Zooprofilattico Abruzzo-Molise per i campioni di alimenti vegetali prelevati dalla ASL nel corso dei Controlli Ufficiali.
I risultati sono stati espressi come frequenze assolute e percentuali, e sono stati confrontati con il test del chi-quadrato.
RISULTATI
I campioni analizzati sono stati 328 di cui il 36,0% frutta, il 33,8% ortaggi, il 6,7% cereali e derivati, il 7,6% oli e il 15.9% vini. Le non conformità riscontrate sono state 2 (0,6%). I campioni con presenza di almeno un residuo sono stati 200 (61%) di cui il 40,5% con uno solo, 21,5% con due e 38,0% fino a nove.
Tra la frutta, le fragole e uva e pesche hanno evidenziato la presenza di più residui, rispettivamente con 9 e con 8. Tra gli ortaggi, lattuga (7) e peperoni (6). Tra i vini, invece, un solo campione ha evidenziato la presenza di 5 residui. Dallo studio si è evidenziata una maggiore probabilità (p < 0.001) di rilevare alimenti con residui di fitofarmaci nel comparto orto-frutticolo (71,6%) rispetto a tutte le altre matrici (36,4%). Non è emerso alcun dato statisticamente significativo analizzando l’andamento dei risultati nei diversi anni.
CONCLUSIONI
L’assenza di variazione significativa nella presenza di residui nei diversi anni è prova del fatto che l’utilizzo di più sostanze in contemporanea sulle coltivazioni non è cambiato. Si potrebbe ipotizzare che tale pratica venga messa in atto per evitare di superare i LMR per ogni sostanza. Dirimenti, nel merito, saranno i risultati dello studio in corso da parte dell’EFSA sui rischi connessi agli effetti cumulativi dei pesticidi su sistema nervoso e tiroide nell’uomo, per determinare l’entità del rischio che si prospetta sulla salute pubblica.
Abstract
INTRODUZIONE
La dieta mediterranea (DM) è un modello alimentare considerato “protettivo” nei confronti di diverse patologie croniche. Tuttavia, in molti paesi dell’area mediterranea, compresa l’Italia, si assiste da tempo alla sostituzione di tale modello con abitudini alimentari meno salutari. Il periodo universitario rappresenta una fase critica per le scelte riguardanti l’alimentazione. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare le abitudini alimentari degli studenti di due Università italiane (una nel nord e una nel sud) al fine di determinare l’aderenza alla DM e la sua associazione con gli stili di vita.
MATERIALI E METODI
È stato selezionato un campione di studenti frequentanti le Università del Salento (Lecce) e di Ferrara cui è stato somministrato un questionario anonimo al fine di rilevare alcune informazioni personali (età, sesso, variabili antropometriche, residenza), quelle relative agli stili di vita e alle abitudini alimentari.
L’aderenza alla DM di ciascun partecipante è stata valutata attraverso il Mediterranean Diet Score (MDS), sulla base dall’assunzione di undici categorie di alimenti (cereali integrali, patate, frutta, vegetali, legumi, frutta, carne rossa e derivati, pollame, prodotti lattiero-caseari, olio d’oliva, bevande alcoliche). A seconda del punteggio ottenuto, l’aderenza alla DM di ciascun soggetto è stata classificata come bassa (MDS ≤ 22), media (22 < MDS < 45) o alta (IMI ≥ 45). Un’analisi multivariata è stata condotta al fine di individuare eventuali associazioni fra la bassa aderenza alla DM ed alcuni fattori inerenti lo stile di vita.
RISULTATI
Complessivamente sono stati reclutati 418 soggetti. Di questi, 208 (49,8%) frequentavano l’Università di Ferrara, 296 (70,8%) erano di sesso femminile, 185 (44,3%) vivevano lontano dalla famiglia, 123 (29,4%%) provenivano dal Nord Italia. L’aderenza alla DM è risultata bassa nel 16,5% dei soggetti partecipanti allo studio, media nel 68,7% di essi e alta solo nel 14,9%. La bassa aderenza alla DM è risultata più evidente fra gli studenti frequentanti l’Università di Ferrara (OR = 4,19; IC95% = 1,62-10,87), quelli che ricorrono a fonti poco attendibili per avere informazioni riguardanti la salute (OR = 1,85; IC95% = 1,06-3,20) e quelli che svolgono scarsa attività fisica (OR = 2,53; IC95% = 1,44-4,44), mentre sembra essere indipendente dal sesso, dall’età, dall’area geografica di provenienza e dalla convivenza con i genitori.
CONCLUSIONI
Buona parte dei partecipanti allo studio possiede abitudini alimentari lontane dal modello mediterraneo. Poiché l’acquisizione di buoni comportamenti alimentari nella giovane età è considerata necessaria per il mantenimento a lungo termine di uno stato di salute ottimale, sarebbe auspicabile intensificare gli interventi di promozione della salute presso le sedi universitarie.
Abstract
INTRODUZIONE
La malnutrizione è una condizione prevalente nei pazienti ospedalizzati ed è associata ad un aumentato rischio di complicanze ospedaliere. Sebbene la nutrizione parenterale totale (NPT) sia spesso usata come terapia nei pazienti ospedalizzati malnutriti, essa può essere associata ad esiti sfavorevoli. In particolare, nei pazienti diabetici, la NPT può causare alterazioni metaboliche che ne aggravano lo stato di malattia. L’obiettivo dello studio è stato valutare gli esiti quali mortalità, degenza prolungata e trasferimento presso lungodegenze nei pazienti diabetici in NPT.
MATERIALI E METODI
Sono stati selezionati tutti i ricoveri di pazienti diabetici con età ≥ 65 anni, avvenuti in Abruzzo tra gli anni 2006 e 2015, attraverso la banca dati SDO (Scheda di Dimissione Ospedaliera). Sono stati quindi individuati tutti i ricoveri interessanti pazienti con NPT. Tramite l’implementazione di un propensity-score, ad ogni paziente con NPT sono stati appaiati due pazienti con le stesse caratteristiche di baseline. Tramite un’analisi di regressione logistica, è stata valutata l’associazione tra NPT ed esiti, espressa come Odds ratio (OR) e relativo intervallo di confidenza. Tutti i test statistici sono stati considerati significativi per un p-value < 0,05.
RISULTATI
Nel periodo in studio sono stati registrati 140.556 ricoveri relativi a pazienti anziani diabetici, dei quali 653 (0,5%) con NPT. Dopo la procedura di appaiamento, sono stati selezionati 649 ricoveri di pazienti con NTP e 1290 controlli. Tutte le variabili al baseline sono risultate bilanciate tra casi e controlli, con tutte le differenze medie standardizzate inferiori al 10%. L’analisi di regressione logistica ha mostrato che la NPT è significativamente associata a mortalità (OR 7,15; IC95% 5,54-9,22), degenza prolungata (OR 2,78; IC95% 2,28-3,38) e dimissione presso altra struttura (OR 2,16; IC95% 1,64-2,85).
CONCLUSIONI
I risultati di questo studio dimostrano che la NTP è associata a peggiori esiti ospedalieri nei pazienti diabetici. Nonostante i limiti di questo studio, dovuti alla mancanza di importanti informazioni cliniche come terapia farmacologica e gravità della patologia dei pazienti, la procedura di appaiamento tra casi e controlli ha mostrato un’omogeneità dei due gruppi considerati. L’intento dello studio è stato quello di determinare se un’importante condizione clinica e terapeutica come la NTP, possa avere importanti risvolti, non solo clinici, ma anche organizzativi ed economici. La conoscenza di questi esiti è di notevole rilevanza per la sanità pubblica e necessita dell’implementazione di nuovi approcci gestionali e preventivi.
Abstract
INTRODUZIONE
Accedere ad una costante fornitura d’acqua potabile, è fondamentale per limitare sviluppo e diffusione di innumerevoli malattie. Oltre 780 milioni di persone non hanno a disposizione fonti potabili e 2,5 miliardi non hanno accesso a servizi igienico-sanitari, ciò comporta ogni anno la morte 3,4 milioni di persone, per la maggior parte bambini.
La tecnologia ultravioletta (UV), efficace nella disinfezione dell’acqua, agisce anche su innumerevoli composti chimici, e mentre in passato la produzione dei raggi UV era legata all’utilizzo di lampade al mercurio, oggi esistono innovativi LED UV. Ciò comporta diversi vantaggi: una più alta efficienza energetica, l’assenza di mercurio, affidabilità e resistenza meccanica.
L’obiettivo dello studio è creare un prototipo per una disinfezione profonda delle acque al punto di prelievo terminale, di semplice utilizzo, portatile e con ridotti consumi energetici.
MATERIALE E METODI
Utilizzando il programma di modellazione 3D Solidworks 2017 è stata creata una camera di irradiazione a profilo variabile in base alle proiezioni di due LED UV-C (λ = 265 nm) da 40mW, unitamente a simulazioni fluidodinamiche, che permettesse il miglior irraggiamento possibile del flusso di acqua. Il modello è stato poi stampato utilizzando la stampante 3D Formlabs.
Il prototipo è stato così collegato ad un circuito idraulico: un serbatoio di contaminazione, un’elettropompa (3l/min), il device UV-C LED ed una vasca di raccolta. Per la contaminazione microbiologica iniziale sono state utilizzate due soluzioni a concentrazione crescente, a 0.3 e 0.6 Mc Farland (McF) di Escherichia coli unitamente ad Enterobacteriaceae, Sono stati raccolti campioni di controllo(250cc) dal serbatoio contaminato quindi avviato il circuito idraulico e prelevati i campioni trattati con UV-C (250cc). I campioni d’acqua filtrati e successivamente posti in coltura su terreno cromogenico a 36°C per 48 ore.
RISULTATI
I campioni di controllo hanno evidenziato una crescita batterica estremamente elevata, tale da non risultare essere possibile conteggiarla, ad entrambe le concentrazioni. I campioni trattati con il device UV-C presentavano una crescita microbica estremamente ridotta, 3 Unità Formanti Colonie (UFC) a 0.3 McF e 8 UFC a 0.6McF.
CONCLUSIONI
Il prototipo si è dimostrato efficace nell’abbattere la carica microbica iniziale. La tecnologia UV-C LED ha permesso la creazione di una mini-stazione di disinfezione delle acque, funzionale, facilmente trasportabile, con bassi consumi, permettendo il suo utilizzo tramite batterie ricaricabili, rendendo di fatto la disinfezione delle acque ubiquitaria.
Ulteriori sviluppi porterebbero il device non solo ad una più efficiente nella disinfezione, ma anche alla possibilità di trattare portate d’acqua sempre maggiori.
Abstract
INTRODUZIONE
Secondo la definizione riportata nel Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare (Istituto nazionale ghiaccio alimentare), si definisce ghiaccio alimentare un “prodotto preparato con acqua potabile, conforme al D.Lgs. n. 31/2001, che alla fusione si trasforma in acqua avente le stesse caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche dell’acqua utilizzata per la sua produzione”. Tale Decreto riporta i miceti tra i parametri accessori. In realtà, nel corso degli anni, la presenza dei miceti nei sistemi di distribuzione dell’acqua potabile ha acquisito un ruolo di rilievo in Sanità Pubblica, in quanto considerata tra i fattori di rischio per complicanze fungine nei soggetti immunocompromessi.
Scopo del presente lavoro è indagare la presenza di lieviti e funghi filamentosi (FF) nel ghiaccio ad uso alimentare.
METODI
Sono stati esaminati 100 campioni di ghiaccio prodotto nelle attività di ristorazione pubblica e collettiva di dieci Comuni ricompresi nella Regione Puglia. In accordo con il D.Lgs 31/01, Escherichia coli, coliformi totali, enterococchi, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus e miceti sono stati ricercati in 1 kg di ghiaccio prelevato in buste sterili.
RISULTATI
La presenza di miceti è stata evidenziata nel 93% dei campioni. In particolare, FF sono stati rilevati nel 44% e lieviti nel 17% dei campioni; in 32 campioni è stata evidenziata flora micotica mista. Tra i FF, sono stati isolati Aspergillus (33%), Penicillium (17%), Cladosporium (16%), Mucorales (10%), Paecilomyces (9%), Fusarium (6%), Alternaria (3%), Acremonium (1%), Chrysosporium (1%), Cunninghamella (1%), generalmente presenti in coltura mista. Per quanto riguarda i lieviti, sono stati isolati Candida (37%), Rhodotorula (37%), Saccaromyces (11%), Cryptococcus (1%).
CONCLUSIONI
I nostri risultati evidenziano un’ampia diffusione di miceti, in particolare FF, nel ghiaccio alimentare prodotto nei pubblici servizi. La loro presenza è generalmente riconducibile alle scarse condizioni igienico-sanitarie in fase di produzione e/o somministrazione e alle scorrette procedure di sanificazione e manutenzione ordinaria attuate dagli Operatori del Settore Alimentare.
A fronte delle evidenze riscontrate e delle auspicabili azioni di controllo adottabili da parte delle Autorità Competenti, appare opportuno suggerire la necessità di effettuare una specifica valutazione del rischio nell’ambito dei Piani di Autocontrollo, basati sui principi del Sistema HACCP, di pianificare puntuali monitoraggi e di applicare quanto previsto dal Water Safety Plan.
Abstract
INTRODUCTION
The research aimed to generate an early warning system highlighting in real time bacterial contamination of meat matrices and providing information which could support companies in accepting or rejecting batches. Current microorganisms’ detection methods rely on techniques (plate counting), which provide retrospective values for microbial contamination. The purpose of this research was to evaluate the ability of the headspace solid phase microextraction (HS- SPME) and gas chromatography - mass spectrometry (GC/MS) (HS-SPME-GC/MS) methodologies to detect volatile organic carbons (VOCs) which may be associated to a peculiar microbiological contamination of food. The disposal of fast HS-SPME-GC/MS able to accurately and rapidly (30 minutes per sample) detect microbial spoilage in raw meat could replace the traditional and time-consuming (3-4 days) standardized microbiological analysis required by regulations.
MATERIAL AND METHODS
Experiments focused on qualitative and quantitative evaluations of VOCs produced by Salmonella Typhimurium (ISO 6579-1:2017), Campylobacter jejuni (ISO 10272-1:2017)and Staphylococcus aureus (ISO 6888-1:2018) in different types of raw meat (beef, pork, chicken).
RESULTS
HS-SPME-GC/MS allowed to use smaller sample volumes compared to traditional methods with no sample processing and the potentiality for its application on various food matrices for the detection of a wide variety of pathogens. Data analysis showed the identification of unique VOCs’ profiles being possible markers of meat contamination due to their association to specific pathogens.
CONCLUSIONS
The identification of VOCs markers in association to selected bacterial pathogens and their metabolites could support the rapid determination of specific meat samples contamination. Further research is required to outline specific metabolic profiles for each microorganism responsible of meat spoilage and prevent false positives.
Abstract
INTRODUZIONE
Secondo i principi del Workplace Health Promotion (WHP) il contesto lavorativo può essere occasione e stimolo per assumere comportamenti corretti per la propria salute, non solo rispetto ai rischi connessi all’attività lavorativa. La letteratura indica una correlazione fra sovrappeso e lavoro caratterizzato da sedentarietà, turnistica e stress con aumento del rischio infortuni, malattie professionali e croniche. Dai dati del sistema di sorveglianza Passi 2013-2016 l’eccesso ponderale riguarda il 36% degli adulti trentini, mentre solo il 14% consuma le porzioni di frutta e/o verdura raccomandate. In tale prospettiva APSS di Trento ha implementato nel corso del 2018-19 un’azione orientata allo sviluppo di un contesto favorevole ad una sana alimentazione nella ristorazione aziendale attraverso la selezione e realizzazione di buone pratiche rivolte agli addetti alla ristorazione e utenti della mensa ospedaliera di Arco (TN) che distribuisce circa 180 pasti/giorno.
MATERIALI E METODI
Un gruppo di lavoro interdisciplinare e multi professionale ha condotto un’analisi del lay-out di distribuzione e delle abitudini alimentari su un campione di 568 utenti attraverso n.3 osservazioni. Il profilo d’intervento ha previsto la sensibilizzazione/formazione addetti e utenti sui principi di una alimentazione sana sicura e sostenibile (piatto salutare, giuste porzioni, riduzione scarti) e la costruzione di un set di messaggi educativi diffusi a rotazione nella mensa.
RISULTATI
Dall’osservazione il profilo degli utenti è orientato al consumo di verdura cotta o cruda (78%) ma migliorabile rispetto a consumo di legumi (22%) al posto della carne (50%) e della frutta (46%). Moderato lo scarto di alimenti, 1/5 lascia i legumi e 1/3 lascia il pane nel piatto. Due corsi formativi effettuati in mensa (4h) con buffet salutare che hanno raggiunto il 42% degli utenti con una acquisizione di conoscenze e competenze compresa fra adeguata-eccellente (86%). Prodotto un set di messaggi educativi su alimentazione, attività fisica, sostenibilità e sicurezza mediante poster (6) e tovagliette (9). Condotta una prima osservazione post intervento formativo che evidenzia una riduzione degli sprechi e un mantenimento dei profili di consumo.
CONCLUSIONI
Il lavoro multiprofessionale ha portato ad una sinergia di azioni sulle scelte alimentari nel setting lavorativo. La partecipazione congiunta di addetti alla ristorazione e utenti ha favorito una condivisione di scelte e logiche alla base del menù, porzioni e sprechi. L’iniziativa ha stimolato una proposta di revisione del capitolato di appalto sulle forniture del Servizio mensa aziendale ed è in corso un’analisi di fattibilità per l’estensione dell’azione ad altre mense dell’APSS.
Abstract
INTRODUZIONE
Il ritmo frenetico della vita moderna induce sempre più spesso a consumare pasti fugaci e di rapida preparazione, avvalendosi di alimenti e condimenti pronti all’uso, come salse e sughi, capaci di soddisfare qualsiasi esigenza gastronomica. Sebbene le nuove tecnologie alimentari e gli innovativi sistemi di confezionamento contribuiscano a garantire salubrità di un prodotto per un consumatore sempre più attento a ciò che “viene portato in tavola”, l’assoluta sicurezza microbiologica nelle filiere agroalimentari è ancora oggi difficile da raggiungere. Di conseguenza, la sorveglianza igienico-sanitaria di alimenti pronti all’uso, soprattutto multi-ingredienti, rappresenta il metodo più efficace per prevenire il rischio infettivo correlato al loro consumo. Scopo del lavoro è valutare la qualità microbiologica di sughi freschi e pesto, presi dal banco frigo della grande distribuzione.
METODI
Sono stati sottoposti ad analisi microbiologica 45 campioni, per un totale di 90 confezioni preparate in MAP: pesto alla genovese (26) e sughi freschi pronti al consumo (64), di cui 28 ai formaggi, 26 ai funghi porcini, 10 alle noci. Per ciascun campione sono state esaminate due confezioni (stesso lotto), valutate in tre fasi della shelf-life: 1^ confezione all’acquisto (T0) e dopo tre giorni dall’apertura, conservata a + 4°C (T1); 2^ confezione alla data di scadenza (T2). Per ogni campione è stata eseguita la ricerca di Enterobacteriaceae, E. coli, B. cereus, C. perfringens, S. aureus, Salmonella, Listeria. Per un giudizio di conformità sugli Indicatori di Igiene di Processo, si è fatto riferimento alle Linee Guida Regione Piemonte. Per i Miceti, non esistendo valori di riferimento, si è considerato che una carica pari a 103 ufc/g potesse rappresentare un limite soglia di deterioramento del prodotto.
RISULTATI
In nessun campione è stata riscontrata presenza di batteri. Lieviti e muffe sono stati rilevati nel 37,8% dei campioni esaminati in almeno una delle tre fasi considerate. In particolare, lieviti e muffe sono stati isolati nel 24,4% dei campioni a T0 (22,2% e 2,2% rispettivamente); nel 31,1% a T1 (28,9% e 2,2%); nel 37,8% a T2 (35,5% e 8,8%).
CONCLUSIONI
I risultai evidenziano una discreta qualità microbiologica di alimenti elaborati e pronti al consumo, con un aumento delle non conformità in prossimità della data di scadenza, sottolineando l’importanza della sorveglianza igienico-sanitaria di questa tipologia di alimenti, della loro shelf-life. Appare evidente la necessità di stabilire il ruolo dei miceti nel processo degradativo degli alimenti sia identificandoli a livello di genere e specie, sia regolarizzando anche per questi microrganismi i valori soglia di conformità del prodotto.
Abstract
INTRODUZIONE
La carne ha un ruolo importante nell’alimentazione umana in quanto rappresenta una fonte di proteine ad elevato valore biologico, ferro biodisponibile e vitamine del gruppo B (1). Recentemente, sulla base di numerosi studi epidemiologici osservazionali, meta-analisi e sperimentazioni in vivo, lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha classificato la carne processata nel gruppo 1 (cancerogeno certo) e la carne rossa nel gruppo 2A (cancerogeno probabile) (2). Tra i meccanismi molecolari alla base dell’effetto pro-cancerogeno della carne, un ruolo importante è stato attribuito alla presenza di composti mutageni e cancerogeni, tra cui IPA e ammine eterocicliche aromatiche, che si formano durante la cottura ad alte temperature come, ad esempio, alla piastra, alla griglia, alla brace (3). In questo studio si è voluta investigare l’attività genotossica e mutagena di estratti ottenuti da hamburger di carne bovina cotti alla piastra per vari tempi e temperature. Sulla base di numerosi dati sperimentali riguardanti gli effetti salutistici dell’olio extravergine di oliva (4-6), si è investigata inoltre la riduzione delle suddette attività da parte di una miscela fenolica ottenuta da questo importante componente della dieta mediterranea.
MATERIALI E METODI
Gli estratti, dopo omogenizzazione in HCl e centrifugazione, sono stati preparati attraverso estrazione solido-liquido con Amberlite XAD-2 ed acetone secondo il metodo di Bjeldanes et al. che assicura un efficiente recupero di sostanze mutagene (7). L’attività genotossica è stata valutata come rotture al DNA tramite il comet assay su cellule mononucleate isolate da sangue periferico (PBMC). L’attività mutagena è stata valutata tramite test di Ames. Entrambe i test sono stati eseguiti in presenza/assenza della frazione microsomiale S9.
RISULTATI
L’estratto della carne cotta ad alte temperature è risultato altamente mutageno e ha indotto un notevole danno al DNA nelle cellule target. L’attivazione metabolica (S9), necessaria per osservare l’effetto mutageno, non si è invece rivelata necessaria per ottenere le rotture al DNA. La presenza della miscela fenolica ha ridotto in maniera statisticamente significativa sia l’attività genotossica che mutagena dell’estratto, riportando quest’ultima a valori prossimi al controllo.
CONCLUSIONI
La cottura della carne alla piastra, protratta a lungo e ad alte temperature, favorisce la formazione di sostanze genotossiche e mutagene. La riduzione di queste attività, ottenuta con la miscela fenolica dell’olio d’oliva, suggerisce che una maggiore attenzione nei metodi di cottura ed il concomitante consumo di una dieta ricca di fenoli antiossidanti, potrebbero contribuire a ridurre il rischio cancerogeno associato al consumo di carne.
Abstract
INTRODUZIONE
Per novel food si intende qualsiasi alimento che non sia stato utilizzato per il consumo umano in misura significativa all’interno dell’UE prima del 15 maggio 1997. Le ragioni della diffusione di nuovi alimenti ineriscono alla globalizzazione, alla crescente diversità etnica e alla ricerca di nuove fonti di nutrienti, proteine in primis. Nell’elenco dei novel food sono state inserite le alghe, la cui valutazione del rischio microbiologico e allergenico rappresenta lo scopo della presente ricerca.
MATERIALI E METODI
È stata condotta una revisione sistematica in Pubmed utilizzando le seguenti stringhe: Food AND (seaweed* OR «novel food*» OR alga* OR “edible seaweed*”) AND (microbiota OR «microb* community» OR «microb* count*» OR «microb* load» OR «microb* risk» OR «microb* hazard» OR «microb* saf*» OR «food safety») per il rischio microbiologico e Food AND (seaweed* OR «novel food*» OR alga*) AND (allergen* OR allerg*) per il rischio allergenico, limitando la ricerca agli ultimi 5 anni. La scelta di tale periodo è avvenuta sulla base di quanto riportato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): l›aumento delle concentrazioni di CO2 – che incide sulla sopravvivenza di alghe e pesci – è risultato critico in tale finestra temporale.
RISULTATI
Per il rischio microbiologico, dei 376 record trovati, solo 15 riportano informazioni appropriate. Bacillus megaterium, B. licheniformis, Pantoea sp. e Pantoea sp. termoresistente risultano essere le specie batteriche maggiormente isolate in otto specie di alghe. Quattro delle specie di Bacillus, isolate da alghe disidratate, contengono ceppi considerati patogeni di origine alimentare e nove delle specie batteriche non-Bacillales isolate sono segnalate come patogeni opportunistici umani. Estratti di Ascophyllum nodosum e Laminarina hyperborea hanno mostrato un’inibizione della crescita batterica di Staphylococcus aureus, Listeria monocytogenes, Escherichia coli e Salmonella typhimurium. Per il rischio allergenico, 67 sono gli articoli ottenuti. Solo 12 riportavano informazioni sul rischio allergenico delle alghe. Eccezion fatta per un caso di allergia a Arthrospira platensis e ad aldolasi A e tioredossina h estratte da specie di Ulva (una macroalga), in letteratura, molti lavori evidenziano un potere antiallergenico della maggior parte delle alghe.
CONCLUSIONI
Il rischio microbiologico risulta contenuto. Per il rischio allergenico, le evidenze tendono a classificare l’alimento come sicuro. Ulteriori studi mirati saranno necessari per una valutazione esaustiva nel momento in cui i consumi di tale prodotto entreranno a maggior titolo nella dieta dei consumatori europei.
Abstract
INTRODUZIONE
Precedenti studi hanno dimostrato che i coordinatori infermieristici delle Marche ritengono che spesso, gli infermieri neoassunti presentano competenze inadeguate, tra l’altro, nei processi di comunicazione (interdisciplinare e con il paziente e caregiver) e di promozione della salute, sia nel setting ospedaliero che territoriale. L’Università occupa il nodo centrale tra la formazione degli studenti e le competenze degli operatori sanitari impegnati nell’assistenza, pertanto la verifica dell’efficacia della formazione assume un ruolo prioritario. L’obiettivo del nostro lavoro è verificare l’efficacia formativa del modulo in Promozione della Salute in modalità blended e-learning mediante il modello di Kirkpatrick.
MATERIALI E METODI
Il modulo di Promozione della Salute è stato strutturato in modalità blended e-learning nell’anno accademico 2018-2019, alternando lezioni frontali a video-lezioni. I temi trattati sono stati le strategie di comunicazione nella promozione della salute, la metodologia di pianificazione di interventi della salute, l’empowerment, i modelli teorici di riferimento per la pianificazione di interventi di promozione della salute. L’efficacia della formazione è stata analizzata mediante il modello di Kirkpatrick, o gerarchico, che prevede la valutazione di livelli successivi. Il primo livello valuta la reazione, ossia l’opinione dei destinatari dell’attività; il secondo livello riguarda l’apprendimento, il terzo livello valuta il comportamento sul lavoro, il quarto livello è l’impatto organizzativo della formazione.
RISULTATI
Il primo livello è stato affrontato mediante la somministrazione di un questionario ad-hoc al termine del corso. Il questionario è stato somministrato a 29 studenti ed è stato compilato da 24 di loro (response rate 82.7%). Il 75% ha giudicato efficaci i materiali e le attività on-line (n = 18); il 95% ha considerato facile l’accesso al materiale (n = 23) ed il 75% ha giudicato esaurienti le istruzioni fornite dal docente sulla modalità di utilizzo della piattaforma e-learning (n = 18). Il 100% degli studenti ha dichiarato di aver gradito la modalità di insegnamento e-learning.
Il secondo livello è stato valutato mediante il voto ottenuto al termine del Corso di Sanità Pubblica. Nessuno studente è stato bocciato. La valutazione media degli studenti è stata 25.6/30.
L’efficacia nel terzo livello verrà valutata sulla base dei cambiamenti dell’opinione dei coordinatori infermieristici della regione Marche riguardo alle competenze comunicative e di promozione della salute degli infermieri neoassunti, la cui rilevazione è già stata avviata.
CONCLUSIONI
La metodologia e-learning in Promozione della Salute si è dimostrata efficace al primo ed al secondo livello della qualità della formazione. La valutazione dei successivi livelli consentirà di confermare questi risultati preliminari.
Abstract
INTRODUZIONE
La campagna #AgoraPrev ha richiamato la partecipazione delle Scuole coinvolte nei Programmi del Piano Strategico per la Promozione della Salute. Nell’a.s. 2018/2019 i programmi, coordinati dal Dipartimento di Prevenzione (DdP), hanno raggiunto 15.000 giovani e 620 docenti della provincia di Taranto.
#Agoraprev nasce con l’obiettivo di diffondere la cultura della salute, favorendo la co-progettazione e costruzione di ambienti educativi sfidanti, accoglienti e innovativi per studenti, docenti, famiglie.
La manifestazione è punto d’inizio per trattare i temi: alimentazione, utilizzo dei nuovi media, promozione vaccinale, affettività e sessualità, fumo, alcol e incidenti stradali. La finalità è sviluppare competenze dei componenti della comunità scolastica per migliorarne l’ambiente fisico e sociale, rafforzando la collaborazione con la comunità locale.
METODI
La campagna scaturisce dall’esigenza di diffondere corretti stili di vita attraverso il concept, #AgoraPrev, per dare risalto ai lavori di comunicazione sociale (spot, cortometraggi, slogan, fumetti, visual art) realizzati dagli studenti. Tutto ciò al fine di favorire la co-creazione di campagne di prevenzione tra componenti scolastiche e sanitarie, mettendo al centro lo studente.
Alla manifestazione #AgoraPrev hanno partecipato: Regione, USR, USP, Comune, ASL, Tribunale dei minori, Associazioni; 40 operatori sanitari del DdP, Consultori, Distretti, Dipendenze Patologiche; 450 Studenti e Docenti di scuola primaria e secondaria di I e II grado. Gli studenti hanno presentato i lavori in formato digitale in modalità pitch ai loro coetanei, suddivisi in tre sessioni per ciascun ordine e grado di scuola.
RISULTATI
I canali multimediali rappresentano lo strumento per moltiplicare l’azione preventiva nella rete tra Scuola e Salute. La co-creazione coordinata dei lavori realizzati ha visto la creazione di un cloud, in cui docenti e ragazzi hanno condiviso i lavori in formato digitale (video, immagini, testi, ecc.) e gli operatori sanitari hanno fornito supporto tecnico-scientifico.
Il secondo punto è la creazione di una rete di comunicazione, che permetta ai ragazzi di visionare, informarsi e trarre spunto dalle campagne realizzate e preveda il collegamento a piattaforme dedicate alla promozione della salute. Attraverso la realizzazione di eventi satellite e contest dedicati #AgoraVax, #Agoralove, #Agoramove sarà possibile l’interazione tra ragazzi che presentano le campagne su promozione vaccinale, affettività e sessualità, attività motoria e corretta alimentazione.
CONCLUSIONI
La promozione della salute è un processo che viene così traslato dalla comunità alla community. In una ottica di edutainment, i materiali promozionali saranno utilizzati ai fini divulgativo-didattici per realizzare campagne di comunicazione e informazione su promozione vaccinale e corretti stili di vita tra i ragazzi.
Abstract
INTRODUZIONE
La comunicazione in ambito vaccinale è uno degli obiettivi fondamentali del Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017-19. Sono necessari strumenti di comunicazione sempre più attuali per la creazione di una cultura della prevenzione a livello di popolazione. Questo sito è nato, in maggio 2017, come risultato di un Progetto CCM, con l’obiettivo di diffondere informazioni corrette sulle vaccinazioni e creare un canale diretto di comunicazione per la popolazione toscana. Scopo del presente lavoro è di presentare una panoramica dell’ultimo anno sull’andamento del sito web VaccinarSinToscana.
MATERIALI E METODI
Il monitoraggio dei dati è avvenuto tramite Google Analytics, nel periodo 15/05/2018-15/05/2019. In particolare sono stati analizzati: numero di pagine web create (notizie, eventi), numero di visite totali e le relative pagine visualizzate, una analisi descrittiva degli utenti (Paese di origine, età e genere), il trend degli accessi medi su base mensile, prima e dopo la realizzazione della pagina Facebook (Ottobre 2018), unico canale di promozione del sito web, che non è oggetto di campagne pubblicitarie.
RISULTATI
Sono state realizzate circa 200 pagine web, su: programmi di vaccinazione, informazioni sulla sicurezza e disponibilità di vaccini, eventi e notizie rilevanti in tema di vaccinazioni. Il portale è stato visitato oltre 19.500 volte (19.568) da 15.778 utenti. Circa l’11,3% di questi è tornato almeno una volta sul sito, con la visualizzazione di oltre 32.000 pagine (32.970). Il maggior numero di visite è venuto dall’Italia (92,15%), ma sono stati registrati anche utenti di altri paesi: Stati Uniti (3,55%), Regno Unito (0,94%). La fascia di età più rappresentata è quella tra 24 e 44 anni, dei quali il 30,2% uomini e il 69,8% donne. Si è registrato un incremento pari all’82% degli accessi da 253 (05/2018) a 1.448 (05/2019). Analizzando il periodo di 6 mesi antecedente e successivo alla creazione della pagina Facebook, siamo passati da circa 460 utenti/mese a 1800 utenti/mese (incremento totale del 75%). Inoltre, sono pervenute almeno 20 richieste di informazioni da parte della popolazione, sia tramite il sito che tramite Facebook.
CONCLUSIONI
Il costante aggiornamento di VaccinarSinToscana, la creazione della relativa pagina Facebook, sono state fondamentali per l’aumento della visibilità del sito. Dai dati ottenuti abbiamo la conferma che questo canale risulta utile per la popolazione e sarà necessario continuare ad investire per mantenere le performances del sito web e migliorare la diffusione di questo strumento di comunicazione con il pubblico.
Abstract
INTRODUZIONE
Il National Health Service inglese definisce Patient Safety Incident (PSI) ogni incidente non voluto o inaspettato che potrebbe portare o ha portato un danno al paziente che stava ricevendo prestazioni sanitarie. L’operatore sanitario che a seguito di Patient Safety Incident (PSI) soffre a livello psicofisico diventa una seconda vittima. La letteratura scientifica si interessa al fenomeno seconde vittime tra i professionisti sanitari, ma la prevalenza del fenomeno tra gli studenti universitari del settore resta sconosciuta. Obiettivi di questo studio sono:
analizzare il fenomeno e rilevarne la prevalenza tra gli studenti della Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale; rilevare la prevalenza dei PSI all’interno della medesima coorte.
MATERIALI E METODI
Lo studio pilota è di tipo monocentrico, osservazionale, descrittivo di prevalenza e ha coinvolto gli studenti del CdL in Infermieristica e del CdL in Medicina e Chirurgia della sede di Novara. Dopo l’analisi della letteratura, un team di esperti ha costruito lo strumento di rilevazione dati (web-survey di 31 domande). La possibilità di compilazione anonima è stata data da febbraio a giugno 2019.
I dati sono stati analizzati attraverso statistiche descrittive preliminari e di correlazione, al fine di rispondere agli obiettivi di ricerca.
RISULTATI
La survey è stata inviata a 488 studenti, 280 hanno completato il questionario (tasso di risposta del 57,3%). I risultati preliminari mostrano che 280 (23,6%) studenti sono stati testimoni e/o partecipi di un PSI. Le caratteristiche dei partecipanti includono un’età media di 24,7 ± 4,3 anni e 12,3 ± 10,3 mesi di tirocinio. Il 56,1% di coloro che hanno avuto esperienza di un PSI ha dichiarato di avere avuto un impatto negativo sulla propria vita privata e/o professionale risultando, secondo la letteratura scientifica, una seconda vittima. Nonostante una parte delle seconde vittime abbia colto aspetti positivi dall’esperienza (occasione di crescita), il 10% di loro riferisce il PSI come un evento traumatico capace di condizionare l’attività formativa fino a far pensare di abbandonare gli studi.
CONCLUSIONI
Al momento, lo studio è in corso e si prevede la conclusione della raccolta dati a fine giugno 2019. Lo studio futuro del fenomeno della seconda vittima tra gli studenti è necessario per comprendere l’esperienza e i possibili interventi per prevenire e limitare il danno sui soggetti in formazione. I Corsi di Laurea non prevedono figure di riferimento dedicate al supporto degli studenti seconde vittime, lasciandoli in solitudine ad affrontare l’evento. È fondamentale attuare validi programmi di intervento per supportare questi futuri lavoratori.
Abstract
INTRODUZIONE
In Italia, la trasmissione del morbillo è ancora endemica e numerosi sforzi devono essere compiuti per raggiungere il goal di eliminazione. Su questi presupposti, per l’implementazione del sistema di sorveglianza integrata morbillo-rosolia, a marzo 2017 è stata costituita una rete di laboratori accreditati OMS (MoRoNET). Scopo di questo lavoro è riportare i risultati del monitoraggio epidemiologico/virologico del morbillo a Milano da marzo 2017 a dicembre 2018 e valutare gli indicatori OMS di performance delle attività di sorveglianza.
METODI
L’Agienzia Tutela della Salute (ATS) Città Metropolitana di Milano ha svolto le indagini sui casi, raccolto i campioni biologici e provveduto a inviarli al Laboratorio di Riferimento Subnazionale, SRL-MoRoNet- dell’Università di Milano per la conferma e la genotipizzazione.
L’attività di sorveglianza è stata valutata da quattro indicatori OMS di performance:
Tasso dei casi scartati: proporzione casi risultati negativi per morbillo e per rosolia (obiettivo OMS: ≥ 2casi per 100.000 abitanti all’anno).
Conferma di laboratorio: proporzione di casi confermati in un laboratorio accreditato (obiettivo OMS: ≥ 80%).
Viral detection: proporzione di catene di trasmissione geneticamente caratterizzate (obiettivo OMS: ≥ 80%).
Tempestività della segnalazione dei risultati : proporzione di risultati riportati dal laboratorio entro 4 giorni dalla ricezione del campione (obiettivo OMS: ≥ 80%).
RISULTATI
Complessivamente, 610 casi di morbillo sono stati segnalati a Milano, 439/540 sono stati confermati in laboratorio mediante analisi molecolari/sierologiche, di cui 236 erano notificati come sporadici e 203 appartenevano a 94 focolai. Il maggior numero di casi apparteneva alla fascia di età 15-39 anni (58,8%), quasi tutti non vaccinati (93,3%). Complessivamente, 282 casi erano di genotipo D8 e 118 di genotipo B3.
Sono stati raggiunti i seguenti indici performance:
Tasso dei casi scartati: 1,5 casi per 100.000 per anno (2017) e 1 casi per 100000 per anno (2018).
Conferma di laboratorio: 82,01% (2017) e 83,19% (2018).
Viral detction: 100% (2017) e 97,4% (2018).
Tempestività della segnalazione dei risultati di laboratorio: 88,9% (2017) e 92,4% (2018).
CONCLUSIONI
Nel 2017-2018 a Milano sono stati segnalati 610 casi di morbillo; dei 540 casi indagati, l’81,3% è stato confermato in laboratorio. Il tasso di casi scartati è risultato maggiore di quello registrato a livello nazionale e quasi tutti i ceppi sono stati caratterizzati geneticamente.
Un sistema di sorveglianza locale sensibile e di qualità è fondamentale per interrompere la trasmissione endemica e raggiungere il controllo e l’eliminazione del morbillo.
Abstract
INTRODUZIONE
La sorveglianza delle Paralisi Flaccide Acute (PFA), in Italia svolta su base regionale dal 1997, è il gold-standard per individuare l’Introduzione di poliovirus (PV) in paesi dichiarati polio-free. Le attività di sorveglianza permettono inoltre di monitorare la circolazione di enterovirus-non polio (EVNP) nella popolazione. Di seguito i risultati dell’attività di sorveglianza ottenuti in Lombardia nel triennio 2016-2018.
MATERIALI E METODI
Tutti i casi di PFA rispondenti ai criteri di inclusione dell’OMS sono stati notificati al Centro Regionale di Riferimento (CRR) lombardo dai medici sentinella. In accordo con i protocolli OMS, campioni fecali (e, qualora disponibili, altri campioni biologici) sono stati raccolti entro 14 giorni dall’esordio della PFA e inviati al CRR. Per ogni caso di PFA sono stati condotti i seguenti accertamenti virologici: I) isolamento di PV e EVNP in colture cellulari RD e L20b; II) identificazione molecolare del genoma di PV e EVNP mediante real-time RT-PCR; III) caratterizzazione molecolare e analisi filogenetica delle sequenze del gene VP1 (nt. 2602-2977) di EVNP
RISULTATI
In Lombardia dal 2016 al 2018 sono stati notificati 36 casi di PFA con un’incidenza media annua di 0,86/100.000 <15 anni d’età (criterio OMS di sensibilità della sorveglianza: almeno 1,00/100.000). L’età media dei casi era di 5,2 anni, nel 61,1% maschi; nel 53,3% delle PFA era diagnosticata la Sindrome di Guillain-Barré. Nessun PV è stato identificato. Cinque (13,8%) casi di PFA sono risultati positivi per EVNP: la caratterizzazione molecolare e l’analisi filogenetica ha permesso di individuare nel 2016 un Echovirus-25, un EVD68 e un EVA71 e nel 2018 un EVD68 e un Echovirus-30, tutti virus considerati neurotropi emergenti.
CONCLUSIONI
I risultati della sorveglianza delle PFA in Lombardia nel triennio 2016-2018 hanno confermato l’assenza di circolazione di PV. In considerazione dell’incidenza media annua di casi di PFA notificati ed analizzati virologicamente, il sistema ha mostrato una sensibilità poco al di sotto sotto del valore ottimale (0,86 vs 1,00/100.000 < 15 anni d’età). L’attività si è dimostrata efficace nell’individuare l’Introduzione di EVNP neurotropi emergenti, responsabili di recenti epidemie in Europa. Il mantenimento di un sistema efficiente di sorveglianza delle PFA è fondamentale per raggiungere l’obiettivo mondiale di eradicazione della poliomielite. Il monitoraggio di EVNP mediante la sorveglianza delle PFA è indispensabile per individuare ceppi emergenti, approntare misure di controllo e pianificare future azioni e decisioni di sanità pubblica.
Abstract
INTRODUZIONE
Tra la fine del 2016 e i primi mesi del 2018, un’epidemia di Epatite A (EA) si è diffusa in Europa attraverso numerosi focolai che hanno coinvolto la comunità “Men who have Sex with Men” (MSM). In Italia, la Lombardia è stata la regione con il maggior numero di casi: 778 casi, pari al 22.7% del totale dei casi nazionali.
MATERIALI E METODI
In ATS Milano, sono state analizzate 522 notifiche di EA registrate nel 2017 in soggetti domiciliati a Milano. È stato effettuato un record linkage con gli esiti della genotipizzazione virologica condotta dal Laboratorio di riferimento regionale e con le segnalazioni di Sifilide e Gonorrea pervenute nel 2017.
RISULTATI
Delle 522 notifiche di EA, 353 erano relative a soggetti domiciliati a Milano (67,6% del totale ATS; 45,4% del totale regionale), con un tasso d’incidenza grezzo pari a 2.6 x 104, 23 volte superiore all’incidenza media del triennio precedente. Il 94,3% (333/353) dei casi era di sesso maschile, rapporto F/M 1:17, con età media di 36 anni. Stratificando i casi per residenza nei 9 Municipi di Milano, i Municipi in cui si è rilevato un tasso di incidenza maggiore erano il 2 (4,40 x 104) e il 3 (4,61 x 104).
La caratterizzazione genotipica, disponibile per 200 casi pari al 56,7% del totale dei casi registrati a Milano, ha evidenziato nel 94% (188, 178 maschi e 10 femmine) un’infezione da genotipo 1A correlato ad uno dei ceppi virali circolanti in Europa durante gli outbreak in MSM. Tra i soggetti con EA, in 19 (5.4%) sono stati segnalati 16 casi di sifilide e 3 di gonorrea, tutti maschi; di 11 casi è disponibile la genotipizzazione, tutti ceppi correlati ai focolai europei in MSM.
CONCLUSIONI
Lo studio ha dimostrato che nel 2017, Milano è stata particolarmente interessata da un’epidemia di EA correlata agli outbreak europei in MSM. L’episodio sottolinea la necessità di incentivare l’offerta gratuita della vaccinazione anti EA per i MSM anche attraverso iniziative mirate nei due Municipi della città in cui si sono registrati i più elevati tassi di incidenza, zone in cui si concentrano molti locali gay-friendly. La possibile diffusione di infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) durante gli outbreak di EA, come riportato dai nostri dati riferiti a sifilide e gonorrea, evidenzia l’opportunità di sensibilizzare i MSM all’adozione di pratiche sessuali sicure; inoltre, emerge l’esigenza di approfondire e monitorare il possibile impatto epidemiologico degli outbreak di EA sulla diffusione delle IST.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Herpes Zoster (HZ) è una patologia virale acuta fortemente debilitante causata dalla riattivazione del virus Varicella Zoster che rimane latente a livello dei gangli sensitivi del sistema nervoso. Il rischio di riattivazione del virus aumenta con l’età e l’immunosenescenza, determinando un rilevante impatto dal punto di vista clinico ed economico. Obiettivo dello studio è valutare l’impatto della malattia nei soggetti con età ± 50 anni con diagnosi di HZ ricoverati nel periodo 2015-2017 in Liguria.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio retrospettivo per valutare morbidità, complicanze, ospedalizzazioni e costi, correlati e non correlati a HZ. Sono stati analizzati i costi nei 6 mesi precedenti e successivi il ricovero: consumo di farmaci, visite di specialistica ambulatoriale e ospedalizzazioni. I dati ottenuti sono stati confrontati con una coorte di controllo rappresentata da soggetti senza diagnosi di HZ ospedalizzati e appaiati a ciascun caso per età, sesso e data di ospedalizzazione (rapporto 1:10). I dati sono stati ottenuti dai flussi routinari regionali, quali la banca dati delle schede di dimissione ospedaliera e la “banca dati assistito”.
RISULTATI
Nel periodo 2015-2017 sono stati rilevati in Liguria 409 pazienti con diagnosi di HZ durante il ricovero. L’età mediana era 83 anni (range = 74-89) e il 53,5% dei pazienti era di sesso femminile. Il costo medio del ricovero variava da 4.959 € in pazienti con severità della malattia maggiore/estrema a 3.090 € in pazienti con severità minore o moderata. Nei pazienti con diagnosi di HZ i consumi sanitari e le ospedalizzazioni sono risultati maggiori dopo il ricovero rispetto al periodo precedente: costi per visite specialistiche ambulatoriali (p = 0,0094), costi per consumo di farmaci (p = 0,0019) e numero di ospedalizzazioni (p = 0,0017). Inoltre, la mediana delle comorbidità è risultata significativamente superiore rispetto al periodo precedente il ricovero [mediana post = 3; range 2-5;p <0,0001]. Infine, dall’analisi preliminare dei casi vs controlli sono emersi costi significativamente più elevati per il consumo di farmaci dopo il ricovero (casi vs controlli p <0,0001).
CONCLUSIONI
L’HZ costituisce un rilevante problema di Sanità Pubblica, che si caratterizza per le complicanze invalidanti ad esso correlate e costi sanitari considerevoli per il Sistema Sanitario Nazionale. Occorre considerare l’opportunità di potenziare i programmi di prevenzione vaccinale nei soggetti adulti e a rischio, permettendo non solo di ridurre i costi sul lungo periodo in termini di visite di specialistica ambulatoriale, consumo di farmaci e ospedalizzazioni, ma anche di limitare la severità della malattia e delle complicanze.
Abstract
INTRODUZIONE
La pertosse è un'infezione respiratoria altamente contagiosa causata da Bordetella pertussis. A causa dell'eterogeneità delle manifestazioni cliniche, della protezione decrescente indotta dai vaccini antipertosse nel tempo e della bassa copertura vaccinale negli adulti, l'infezione continua a circolare.
Tenendo conto della situazione epidemiologica, a Gennaio 2016, presso l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e il Policlinico Umberto I di Roma, è stato attivato un sistema di sorveglianza avanzato per la pertosse, con l'obiettivo di misurare il burden della pertosse nei bambini al di sotto di 12 mesi di vita.
METODI
Si tratta di uno studio osservazionale prospettico volto a stimare il burden dei casi di pertosse ospedalizzati tra i bambini di età inferiore a 1 anno.
Dall'1 gennaio 2016, tutti i bambini di età inferiore a 1 anno, che si presentano in pronto soccorso, con sintomi compatibili con pertosse, vengono sottoposti ad aspirato naso-faringeo e RT-PCR per la diagnosi. I pazienti sono poi stati considerati casi se avevano una RT-PCR positiva per pertosse o considerati come controlli se avevano una RT-PCR negativa per pertosse.
RISULTATI
Dal 2016 al 2018, sono stati arruolati nello studio un totale di 500 bambini ospedalizzati. Di questi, 12 sono stati esclusi anche se positivi perché non rispettavano i criteri clinici, e 3 pazienti sono stati esclusi perché avevano un intervallo di tempo tra l'insorgenza dei sintomi e l’esecuzione dell’aspirato maggiore di 90 giorni.
Dei restanti 485 pazienti, 122 (25%) sono risultati positivi per la pertosse e 363 (75%) sono risultati negativi. Il peso medio alla nascita era di 3,2 kg per i casi e di 3 kg per i controlli (p = 0,0062); media gestazionale era 38,2 settimane per i casi e 37,6 settimane per i controlli (p = 0,0362).
Le complicanze sono state registrate per 114 pazienti (23,5%): 27 casi di pertosse (22,1%), 7 pazienti (5%) sono stati ammessi in terapia intensiva neonatale.
L'incidenza stimata, basata sui nostri ricoveri ospedalieri, è diminuita da 118 *100.000 neonati nel 2016 a 60 *100.000 nel 2018.
La stima dell’efficacia vaccinale aggiustata per la prima dose è 35.1% 95% CI: (-0.57 ; 0.73).
CONCLUSIONI
La pertosse è ancora un problema di salute pubblica nella maggior parte dei paesi europei. La percentuale di sotto-notifica nel nostro paese sembra essere elevata se consideriamo che il numero di casi confermati solo dai due ospedali inclusi in questo progetto è abbastanza simile al numero di casi segnalati al Ministero della Salute dalla regione Lazio.
Abstract
INTRODUZIONE
Il diabete mellito di tipo 1 (DMT1) è una malattia cronica immuno-mediata caratterizzata da distruzione selettiva delle beta-cellule pancreatiche secernenti insulina, in soggetti geneticamente predisposti. Il DMT1 presenta un esordio acuto e si manifesta frequentemente in età infantile e adolescenziale, anche se può esordire a qualsiasi età. In Italia, le persone con DMT1 sono circa 300.000 e l’incidenza di questa condizione è in aumento in tutto il mondo. Recentemente molti studi hanno evidenziato come la composizione del microbiota intestinale possa svolgere un ruolo chiave nello sviluppo e nella gestione clinica del DMT1. L’obiettivo di questo studio è la comparazione quali-quantitativa della composizione del microbiota intestinale in 35 pazienti pediatrici di età compresa tra i 5 e i 10 anni affetti da DMT1, all’esordio ed al follow-up a 12 mesi dalla diagnosi.
MATERIALI E METODI
A partire da campioni fecali, è stata effettuata una quantificazione di alcuni parametri microbiologici specifici, valutando come sia la terapia sia i cambiamenti dello stile di vita e delle abitudini alimentari abbiano condizionato la composizione del microbiota intestinale durante il trattamento della patologia diabetica. Sono stati quantificati specifici target microbici tramite qRT-PCR ed è stata condotta un’analisi in PCR-DGGE e con metodi NGS del microbiota fecale.
RISULTATI
È stato osservato un incremento significativo al follow-up in Log copie di gene/g di feci di batteri totali (9.37 vs 10.02, p < 0.05), Bacteroides spp (8.60 vs 9.21, p < 0.05), Bacteroidetes (7.95 vs 9.21, p < 0.001), Akkermansia muciniphila (6.29 vs 7.22, p < 0.05) e di Bifidobacterium (6.24 vs 7.71, p < 0.001) e una diminuzione dei Firmicutes (11.05 vs 10.14, p < 0.001). Il sequenziamento di specifiche bande ha condotto all’identificazione prevalentemente di Firmicutes e Bacteroidetes. In particolare Bacteroides faecis, Enterococcus faecium e Romboutsia timonensis risultano essere più frequenti nei pazienti all’esordio rispetto al follow-up, al contrario Urmitella timonensis è più frequente nei pazienti al follow-up rispetto ai pazienti all’esordio della malattia.
CONCLUSIONI
Da questo lavoro si evince che a seguito del controllo terapeutico il microbiota va incontro a modificazioni ed alcuni indicatori associati ad uno stato di riequilibrio del microbiota intestinale aumentano in modo significativo. In futuro una valutazione della presenza di questi indicatori all’interno di gruppi di popolazioni a rischio, ad esempio geneticamente predisposte, così come il monitoraggio dei livelli di questi indicatori nel tempo, potrebbe essere utile per migliorare la gestione della patologia, anticipare la diagnosi o persino prevenire la sieroconversione.
Abstract
BACKGROUND
Il consumo di alcol rappresenta uno dei principali fattori di rischio responsabili della perdita di salute espressa in DALYs collocandosi nel 2015 al 9 della graduatoria nel mondo e all’11 in Italia. Si riconoscono in Europa diversi stili di consumo di alcol Nel pattern nordico, vengono consumati in prevalenza superalcolici e birra, fuori dai pasti o nel fine settimana. L’area mediterranea dei paesi del sud dell’Europa, compresa l’Italia, si caratterizza, per un consumo prevalente di vino generalmente nel contesto dei pasti. In Europa si osserva una tendenza alla convergenza dei pattern di consumo, in particolare più giovani verso il modello nordico pur mantenendosi ancora globalmente le specifiche diversità tra area settentrionale e meridionale Un approccio per analizzare il cambiamento del consumo durante la vita consiste nell’osservare coorti di diversi periodi come se fossero costituite dagli stessi soggetti che avanzano nell’età. In tale ottica, l’obiettivo è valutare in Italia i cambiamenti nei comportamenti dei bevitori nel passaggio dall’età giovanile a quella adulta, considerando i soggetti nella classe di età 14-24 anni del 1998 e nella classe di età 30-39 anni del 2013 come se fossero la stessa coorte di persone.
METODI
I consumatori di alcolici rilevati dalle indagini Istat Multiscopo sono stati raggruppati in non bevitori, bevitori occasionali e bevitori di almeno un bicchiere al giorno. La distribuzione percentuale dei consumatori della classe 14-24 anni del 1998 è stata confrontata con quella della classe 30-39 anni del 2013 attraverso un’analisi di regressione logistica multivariata.
RISULTATI
Nel 1998 il 39,1% dei soggetti di 14-24 anni non consumava alcolici. La probabilità di essere un bevitore di alcolici è aumentata nei soggetti di 30-39 anni del 2013 rispetto a quelli di 14-24 anni del 1998 per quanto riguarda il consumo occasionale (OR = 1,515) che per quello quotidiano (OR = 2,144). È aumentata la probabilità di essere un consumatore quotidiano di vino (OR = 2,889) e di birra (OR = 1,602), così il consumo occasionale. I consumi di superalcolici/amari/aperitivi presentano incrementi solo per quanto riguarda la modalità occasionale.
CONCLUSIONI
Il consumo di alcol nell’adulto rispetto al giovane in Italia afferma le caratteristiche tradizionali mediterranee in concomitanza con la presenza di modalità più tipiche del NordEuropa, quindi non shifta da un modello all’altro, ma si amplia il panorama di bevande consumate. I risultati dello studio trovano un ambito di interesse nel settore della sanità pubblica come base conoscitiva per orientare iniziative di promozione della salute finalizzate al contrasto dei consumi a rischio.
Abstract
INTRODUZIONE
Il caffè è una miscela di composti con effetti sulla fisiologia dell’apparato gastrointestinale. Diversi studi hanno evidenziato sia la presenza di composti ad effetto mutageno quali ad esempio il metilgliossale sia la presenza di sostanze antiossidanti e antimutagene che farebbero ipotizzare un effetto protettivo nei confronti della genesi tumorale. Date la grande diffusione e consumo di questa bevanda e l’alta incidenza del tumore colon-retto nella popolazione mondiale, nel caso in cui si dimostrasse un rapporto causa-effetto, l’impatto sulla salute pubblica potrebbe essere notevole. L’obiettivo del presente studio è quello di fornire una sintesi aggiornata della bibliografia scientifica riguardo a tale tematica.
MATERIALI E METODI
È stata condotta una ricerca bibliografica sui principali Database (PubMed e SCOPUS) tramite i MeshTerm “coffee” e “colorectal cancer”. I criteri di inclusione secondo il PICOS sono stati: P popolazione generale; I consumatori di caffè; C elevato vs basso o assente consumo di caffè; O incidenza di tumore colon-retto, colon e retto; S studi prospettici.
Lo studio ha seguito le Linee Guida PRISMA. Gli studi sono stati valutati per la loro qualità tramite la Newcastle-Ottawa Scale.
RISULTATI
Sono stati presi in esame 390 studi pubblicati su PubMed e su SCOPUS, di questi solo 26 rispondevano ai requisiti di inclusione nella meta-analisi. Per quanto riguarda il tumore colon-retto, non è stata rilevata alcuna relazione significativa con il consumo di caffè e la stratificazione dei dati per etnia evidenzierebbe un effetto protettivo solo nei soggetti statunitensi. Per quanto riguarda il tumore al colon, il caffè ha dimostrato di esercitare un effetto protettivo negli uomini e nelle donne insieme e nel sesso maschile considerato singolarmente. Stratificando per etnia, un significativo effetto protettivo è stato notato solo negli uomini europei e solo nelle donne asiatiche. Il caffè decaffeinato ha mostrato un effetto protettivo contro il tumore del colon-retto indipendentemente dal genere.
CONCLUSIONI
Poiché non sono ancora del tutto note le relazioni tra corredo genetico, consumo di caffè e rischio di sviluppare il tumore del colon-retto lo studio ha evidenziato la necessità di compiere ulteriori ricerche in questo ambito.
Abstract
INTRODUZIONE
La scuola è un contesto ideale per promuovere l’educazione alla salute, in particolare per la prevenzione dei comportamenti a rischio, ma necessita di un approccio educativo complessivo che integri conoscenze, comportamenti, capacità e competenze degli studenti. Con questa premessa è stato sviluppato un progetto di collaborazione tra Lega Italiana Lotta Tumori (LILT), MIUR e Università degli Studi di Sassari per affrontare, nelle scuole secondarie di secondo grado, il tema della prevenzione dal melanoma e del rapporto salute-malattia.
MATERIALI E METODI
Il progetto si articola in tre fasi. Nella prima fase (aprile) è stato somministrato a tutti gli studenti delle classi terze un questionario conoscitivo anonimo per saggiare le abitudini di esposizione solare e le conoscenze sul melanoma e relativa prevenzione. Contestualmente, è stato indetto un concorso per la realizzazione di un logo LILT specifico per la lotta contro il melanoma. Nella seconda fase (maggio) è stato organizzato un incontro con tutti gli studenti coinvolti dove, attraverso semplici e brevi relazioni, sono state indicate le principali linee di prevenzione, i danni da eccessiva esposizione e il rischio di melanoma ed è stata portata l’emozionante testimonianza di una ex paziente affetta da melanoma. La terza fase inizierà a fine giugno nelle spiagge più frequentate del Nord-Sardegna dove, in un’ottica di peer-education, i ragazzi aderenti al progetto saranno i principali attori di una giornata di informazione e rivolta prevalentemente a loro coetanei.
RISULTATI
L’elaborazione dei questionari ha evidenziato che la maggior parte degli intervistati non controlla periodicamente i propri nevi (88%), si espone al sole per più di 5 ore (51%) e negli orari più critici (dalle 11 alle 16) (66%). Il 54% utilizza creme protettive, prevalentemente con fattore di protezione medio-alto. La maggior parte degli studenti (88%) afferma di conoscere i rischi di un’esposizione solare inappropriata ma solo il 53% conosce gli effetti negativi dell’irradiazione solare. Meno della metà (41%) afferma di conoscere il melanoma.
CONCLUSIONI
Le prime fasi del progetto hanno mostrato una buona partecipazione degli studenti che hanno aderito con entusiasmo al concorso per la realizzazione del logo nonché alla terza fase di sensibilizzazione in spiaggia. Questo conferma che la promozione della salute nelle scuole costituisce una rilevante attività di prevenzione primaria che coinvolge i giovani in prima persona rendendoli, si auspica, adulti più consapevoli. Dal prossimo anno, il progetto verrà implementato e proposto alle altre scuole secondarie di secondo grado della Provincia di Sassari.
Abstract
INTRODUZIONE
Il consiglio del medico di famiglia (MMG) risulta essere uno strumento efficace di promozione della salute. Scopo dello studio è misurare l’impatto che ha il consiglio del curante sull’effettuazione dei test di prevenzione oncologica all’interno o al di fuori dei programmi di screening nel Lazio.
MATERIALI E METODI
PASSI raccoglie informazioni su campioni rappresentativi per genere ed età della popolazione residente in Italia, tra i 18 ed i 69 anni, attraverso interviste telefoniche condotte da operatori delle ASL mediante un questionario standardizzato. Nel quadriennio 2015-18 sono state condotte complessivamente nel Lazio 11.953 interviste.
RISULTATI
Nel Lazio, il 79,3% delle donne (IC95%: 77,6%-81,0%) 50-69enni, entro il biennio antecedente l’intervista, ha eseguito una mammografia preventiva. L’84,5% (IC95% 83,3%-85,6%) delle donne 25-64enni ha eseguito un Pap test o HPV test entro il tempo previsto dalle linee guida. Il 30,3% (IC95% 28,9%-31,8%) degli intervistati tra i 50-69 anni dichiara di avere eseguito, entro il biennio antecedente l’intervista, il test del sangue occulto nelle feci (FOBT).
Nelle diverse fasce d’età target, l’81% ha dichiarato di aver ricevuto il consiglio del proprio curante di effettuare una mammografia di prevenzione, il 75,6% di effettuare un Pap test o HPV test, il 33,4% di eseguire un FOBT. Tra chi non ha effettuato, secondo LL.GG., la mammografia di prevenzione, il 41,3% dichiara di non aver ricevuto alcun consiglio da parte del MMG, tale percentuale tra chi non ha effettuato un Pap test o HPV test è del 52,3%, tra coloro che non hanno effettuato il FOBT è del 83,2%. Per tutti e tre gli screening la quota degli aderenti è più bassa nella popolazione meno istruita rispetto a quella laureata (mammella 68,5% vs 85,1%; cervice 64,3% vs 87,2%; colonretto 23,8% vs 33,4%) e nella popolazione con molte difficoltà economiche rispetto a chi non ne riferisce (mammella 63,4% vs 84,3%; cervice 75,3% vs 87,9%; colonretto 21,1% vs 34,5%).
CONCLUSIONI
Il consiglio del medico di famiglia per l’effettuazione dei test di prevenzione, dentro o fuori i programmi di screening, non è sufficientemente diffuso, specialmente per la prevenzione del tumore del colon retto.
Il consiglio del MMG impatta positivamente sull’adesione e, quando mancante o non pienamente percepito, concorre alla mancata adesione agli interventi di prevenzione e non favorisce il contrasto delle disuguaglianze socio-economiche presenti nella loro effettuazione.
Sono in corso nella Regione Lazio iniziative strutturate per un maggior coinvolgimento dei MMG nella promozione dei programmi di screening.
Abstract
INTRODUZIONE
I test di diagnosi precoce dei tumori, raccomandati nelle fasce di età e nelle circostanze appropriate, sono un importante strumento di prevenzione secondaria. Scopo dello studio è delineare il profilo delle persone che si sottopongono ai programmi di screening oncologici con un’attenzione particolare alle disuguaglianze socioeconomiche.
MATERIALI E METODI
PASSI è un sistema di sorveglianza di popolazione a rilevanza nazionale, condotto da ASL e Regioni, coordinato dall’ISS che, attraverso indagini campionarie, raccoglie informazioni su salute, stili di vita e partecipazione ai programmi di prevenzione della popolazione di 18-69 anni residente in Italia. La partecipazione ai test per la diagnosi precoce dei tumori di mammella, collo dell’utero e colon-retto, dentro o fuori i programmi di screening organizzati offerti dalle ASL, rappresenta un focus rilevante di questo sistema. Nel quadriennio 2015-2018 sono state raccolte informazioni su un campione di oltre 132.000 18-69enni.
RISULTATI
Il 74% delle donne residenti in Italia di 50-69 anni si sottopone a mammografia preventiva, ma questa quota scende al 60% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs l’81% fra donne senza difficoltà economiche); al 64% tra le donne con bassa istruzione (vs il 81% fra le laureate); al 70% fra le donne di cittadinanza straniera (vs il 74% fra le cittadine italiane). Per lo screening cervicale, il 79% delle donne di 24-64 anni si sottopone a screening cervicale (Pap-test o Hpv test); questa quota scende al 69% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs 85% fra le donne che non hanno difficoltà economiche) al 62% fra le donne meno istruite (vs 84% fra le laureate); al 75% fra le donne di cittadinanza straniera (vs 80% delle cittadine italiane). Anche lo screening colorettale presenta differenze sociali significative, in particolare per condizioni economiche: il 40% della popolazione target (uomini e donne di 50-69enni) ha eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci, questa quota scende al 26% fra le persone con molte difficoltà economiche (vs il 49% fra le persone senza difficoltà economiche); al 33% fra le persone con meno istruite (vs 41% fra i laureati).
CONCLUSIONI
Le persone con istruzione più bassa, con maggiori difficoltà economiche e i cittadini stranieri si sottopongono meno frequentemente ai test di diagnosi precoce oncologica. Queste differenze si riducono significativamente nell’ambito dei programmi organizzati offerti dalle ASL, spesso l’unica opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori per le persone socialmente più svantaggiate, in particolare dove l’offerta è solida e consolidata.
Abstract
INTRODUZIONE
L’organizzazione di programmi di screening per il tumore della cervice uterina (CU) necessita sempre più di strategie efficienti al fine di promuoverne l’adesione. Secondo l’indagine “Salvate Eva in Sicilia” l’adesione allo screening del CU in Sicilia nel 2016 è risultata del 67% ed il consiglio del medico è risultato il principale determinante di adesione.
Obiettivo del presente lavoro è stato quello di misurare l’efficacia di un intervento comunicativo evidence-based (Minimal Advice - MA) realizzato dai medici di medicina generale (MMG) per aumentare l’adesione allo screening cervicale.
METODI
È stato condotto un trial di comunità, randomizzato e controllato tra gennaio e giugno 2018, sulle 14.447 donne non responders allo screening organizzato dei comuni dell’Area a rischio ambientale di Gela, Sicilia. Le donne incluse nello studio avevano un›età compresa tra 28 e 64 anni, non avevano eseguito lo screening negli ultimi 3 anni e 6 mesi e avevano ricevuto sia la lettera d’invito che il sollecito standard. I criteri di esclusione erano: esecuzione dello screening privatamente negli ultimi 3 anni e 6 mesi e la mancata reperibilità telefonica dopo 6 tentativi da parte del MMG. I MMG che hanno partecipato allo studio sono stati il 95% (n = 70) di quelli operanti nei comuni selezionati. L’intervento è stato realizzato tramite un MA telefonico da parte del MMG alle proprie assistite non responders. I MMG sono stati formati all’esecuzione del MA con un corso teorico-pratico tenuto da esperti di comunicazione. L’adesione al Pap test entro 6 settimane dal MA è stato valutato successivamente nel database del Centro Gestionale Screening dell’ASP di Caltanissetta.
RISULTATI
Sono state reclutate 409 donne, 209 nel gruppo di intervento e 200 in quello di controllo. L’età mediana è di 51 anni (IQR:42-58). Nel gruppo di intervento sono stati eseguiti 38 (18%) Pap test entro 6 settimane dal MA contro i 5 (2%) eseguiti dalle donne del gruppo di controllo senza esecuzione del MA. L’Hazard Ratio grezzo è risultato di 7,3 (IC95%: 2,9-18,5) e quello aggiustato per età di 7,6 (IC95% 2,9-19,8).
CONCLUSIONI
Il MA rivolto alle donne non responders dei comuni dell’area a rischio ambientale di Gela è risultato un intervento efficace nell’aumentare l’adesione allo screening organizzato e con un maggiore impatto rispetto alla “Stepwise strategy to improve Cervical Cancer Screening Adherence” sperimentata a livello europeo nel 2018. Tale intervento, se riprodotto in tutte le ASP, potrebbe portare a un considerevole incremento nell’adesione allo screening organizzato in Sicilia.
Abstract
INTRODUZIONE
L’allungamento della vita media e il progressivo invecchiamento della popolazione rappresentano un successo della scienza e della medicina, ma anche una sfida per l’intera società. Progressivamente con l’avanzare dell’età, aumenta il rischio di malattia e di disabilità, spesso epilogo di una condizione cronico-degenerativa.
Azioni rivolte a ridurre il rischio di disabilità e a garantire la qualità di vita in età avanzata, anche in presenza di cronicità, sono centrali nelle società che invecchiano.
Scopo dello studio è descrivere il profilo, in termini di salute percepita, qualità di vita e bisogni di cura e assistenza di anziani con diagnosi di tumore
MATERIALI E METODI
Passi d’Argento è un sistema di sorveglianza di popolazione a rilevanza nazionale, condotto da ASL e Regioni e coordinato dall’ISS che, attraverso indagini campionarie, raccoglie informazioni su salute, qualità della vita, partecipazione sociale e sui bisogni di persone con 65 anni e più, residenti in Italia.
Nel biennio 2016-17 sono state raccolte informazioni su un campione di 22,811 ultra65enni; 3019, hanno riferito di aver ricevuto una diagnosi di tumore, pari ad una stima di casi prevalenti del 12.8% (IC95% 12.1%-13.4%).
RISULTATI
Salute, qualità di vita, autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane risultano decisamente compromessi fra gli ultra65enni con una diagnosi di tumore e peggiori rispetto a quanto emerge per persone libere da cronicità, o per persone affette da patologie croniche, diverse dal tumore: il 22% delle persone con diagnosi di tumore riferisce un cattivo (o molto cattivo) stato di salute (vs 5% fra persone libere da cronicità); il 24% dichiara di aver vissuto nel mese precedente l’intervista un periodo di oltre due settimane in cattive condizioni di salute per problemi fisici (vs 9%) e il 19% per aver vissuto un periodo analogo per problemi psicologici (vs 9%); il 16% dichiara che queste condizioni di salute, fisica e/o psicologica, hanno impedito loro di svolgere le normali attività quotidiane (vs 5%); il 18% riferisce sintomi depressivi (vs 5%); il 21% (vs 7%) non è autonomo in almeno una funzione fondamentale della vita quotidiana (come mangiare, vestirsi, lavarsi, ecc); il 10% ha subito una caduta recente (vs 6%).
Un’analisi multivariata conferma questo profilo anche a parità di genere, età, residenza, condizioni socio-economiche.
CONCLUSIONI
Disporre di dati che mettono in luce sia i bisogni correlati alla gestione della malattia che alla qualità di vita consente di definire strategie d’azione più mirate ad una presa in carico di pazienti con cronicità.
Abstract
INTRODUZIONE
Il sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE evidenzia in Umbria nel 2016 il persistere di sovrappeso e obesità tra i bambini in età scolare (6-10 anni).
Il presente lavoro si propone di acquisire, mediante indagine qualitativa pilota, informazioni sulla percezione da parte dei portatori di interesse nel Distretto del Trasimeno circa lo stato nutrizionale dei bambini, finalizzata all’individuazione di aspetti qualitativi quali correttivi alla definizione di strategie di intervento mirate.
METODI
Studio qualitativo-descrittivo volto a sviluppare attraverso Focus Group e interviste semi-strutturate modelli e intuizioni teoriche che possano integrare le informazioni rese disponibili dalle indagini quantitative. Portatori di interesse coinvolti: insegnanti, bambini, genitori rappresentanti dei comitati mensa, addetti alla ristorazione scolastica, Pediatri di Libera Scelta, Sindaci dei comuni dell’Area del Trasimeno. La ricerca qualitativa prevede sei fasi: scelta dell’argomento e analisi della letteratura; pianificazione degli obiettivi, scelta degli strumenti (focus group e interviste semistrutturate) e individuazione di un’area territoriale; raccolta informazioni; analisi effettuata con il metodo della Long Table Analysis; interpretazione risultati; comunicazione e uso dei risultati.
RISULTATI
Per facilitarne la realizzazione, lo studio pilota, ancora in corso, è stato realizzato nell’area del Trasimeno (8 comuni) in cui è presente una consolidata rete di promozione della salute. Ad oggi, oltre alla fase di ideazione pianificazione e programmazione del progetto, sono stati realizzati 2 dei 5 focus group previsti: genitori e pediatri. Il quesito di partenza indagava il concetto di bambino in salute per poi arrivare, dopo aver esaminato gli aspetti correlati all’eccesso ponderale, alla definizione dei possibili strumenti operativi per garantire la salute stessa dei bambini. Le informazioni, raccolte attraverso registrazioni vocali, sono state trascritte e selezionate secondo verbatim significativi in una griglia messa a punto induttivamente dal gruppo di ricerca, così come previsto dal metodo di indagine.
CONCLUSIONI
Questo studio, orientato alla creazione e alla rappresentazione delle conoscenze/credenze dei portatori di interesse sull’eccesso ponderale infantile, permetterà di produrre mappe concettuali da restituire ai portatori di interesse. La divulgazione dei risultati dell’indagine e la loro condivisione con i diversi interlocutori coinvolti a vario titolo nell’argomento, potrà fornire un utile contributo alla definizione di azioni di promozione, prevenzione e tutela della salute dei bambini per contrastare l’eccesso ponderale. Il buon esito dello studio, con gli eventuali correttivi scaturiti dall’indagine stessa, potrebbe rappresentare uno modello da estendere al resto dell’azienda.
Abstract
INTRODUZIONE
Il test HPV è stato adottato per lo screening del cervico-carcinoma alla luce dell’elevata accuratezza diagnostica in relazione a quella del PAP-test. La ricerca del DNA virale HPV può essere effettuata su tamponi vaginali prelevati dalle stesse utenti o su campioni di urina del primo mitto, consentendo di incrementare l’aderenza e, quindi, la copertura dello screening. Obiettivo dello studio è stato la valutazione dell’accuratezza del test virologico alla luce dell’auto-prelievo vaginale e di urina rispetto a quella conseguente al prelievo vaginale effettuato dallo specialista.
METODI
Il protocollo di studio, ha previsto il reclutamento di tre diverse tipologie di utenti: donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni che non hanno aderito mai all’invito per lo screening del cervico carcinoma; donne che hanno eseguito il PAP-TEST da oltre tre anni; donne che hanno eseguito il PAP-TEST o HPV-DNA TEST da meno di un anno. Alle utenti contattate, è stato effettuato un tampone vaginale da specialisti e consegnato un kit per l’auto-prelievo contenente un sistema per la raccolta di un campione di urina del primo mitto ed un tampone vaginale. Inoltre, è stato somministrato un questionario al fine di valutare accettabilità e gradimento dell’auto-prelievo. Sono stati ricercati 14 genotipi di HPV ad alto rischio mediante Real-time PCR. La concordanza diagnostica è stata valutata mediante K di Cohen.
RISULTATI
Da dicembre 2018 a maggio 2019 sono state arruolate 196 donne (età media: 44,5 anni), 20% delle quali non aveva mai aderito alle chiamate dello screening organizzato. La prevalenza di infezione da HPV è risultata pari al 20%, con frequenza più elevata dei genotipi HPV-16, -31, -51, e -56. Concordanza eccellente è stata provata tra i risultati virologici provenienti da campioni prelevati dallo specialista e quelli da auto-prelievo vaginale (Accordo totale: 0,959; Kappa Cohen: 0,796), così come quelli ottenuti con auto-prelievo vaginale e auto-prelievo di urina (Accordo totale: 0,959; Kappa Cohen: 0,728) o, ancora, tra campioni prelevati dallo specialista e auto-prelievo di urina (Accordo totale: 0,939; Kappa Cohen: 0,669). La quasi totalità delle donne (85%) preferirebbe l’auto-prelievo al prelievo effettuato dallo specialista.
CONCLUSIONI
I risultati del test HPV evidenziano una performance diagnostica simile per campioni prelevati dallo specialista e per quelli ottenuti con l’auto-prelievo vaginale. Tale esperienza preliminare suggerisce una potenziale adozione dell’auto-prelievo nell’algoritmo dello screening organizzato conseguente all’accuratezza diagnostica, all’elevato gradimento delle utenti.
Abstract
INTRODUZIONE
Starting from the “Urban Health Rome Declaration” (Italian Ministry of Health, 2017) at European meeting “G7 Health” that defines the design aspects and action to improve Public Health, and referring to the Agenda 2030 (United Nations, 2015) in which the 11th SDGs argue about “Sustainable Cities and Communities”, the paper purpose is to describe a conducted literature review, aimed to correlate the Public Health outcomes with the environmental risk factors, and for each of them, define Evidence-Based Design Strategies and Actions, capable to reduce those risk and improve the urban quality.
MATERIALI E METODI
Main focus of the literature review was to collect and analyze tools and framework aimed to assess the urban quality, identifying, moreover, if they include Public Health purposes and outcomes.
RISULTATI
The literature review results are divided into a multiple input diagram:
14 Health Outcomes, representing the main NCDs, whose occurrence it comes from the urban environment’s quality and by the adoption of healthy life-styles;
08 types of Environmental Risk Factors (Urban Heat Island Effect; soil / air / acoustic / light pollution; vehicular traffic; safety and security; poor attractiveness of places);
14 Healthy Urban Planning Strategies (green/blue/grey infrastructures; biodiversity protection; adverse meteoric events management; public transport systems; vehicular traffic reduction; pedestrian and cycling paths; social / functional mixite; urban solid waste’s management; renewable energy and efficiency; outdoor spaces lighting; design for all);
20 Health Evidence-Based Design Action, useful both for designers and Policy Makers to plan healthy oriented action of urban regeneration or renewal, and to improve the public spaces’ quality and functionality.
CONCLUSIONI
In the last years, researchers and practitioners, both of technical and medical education, identified the need of an multi-disciplinary approach, in order to address the cities’ key features, to Public Health outcomes. Urban Health strategies should be considered since the early stages of urban planning, as mean of Primary Health Prevention and Promotion.
The conducted research is the basis for developing further methods, tools and indicators to design and assess the environmental quality. It’s necessary and crucial to evaluate the public space with qualitative and quantitative standard, highlighting the urban context and public spaces features Evidence-Based oriented to promote Healthy life-styles.
The paradigm shift in Public Health supports this needed change, moving from a medical model, focused on the individual, to a social model, where the health is the result of various socio-economic, cultural and environmental factors.
Abstract
INTRODUZIONE
La Sicilia soffre di una crescente scarsità d'acqua e siccità. Fondamentale è l’utilizzo di tutte le fonti di approvvigionamento idriche presenti nel territorio per soddisfare i fabbisogni della popolazione. Tuttavia, non si ha un quadro sulla qualità delle acque degli invasi e quale di queste siano idonee al consumo umano. Nell’ultimo decennio, le fioriture di P. rubescens e M. aeruginosa, cianobatteri che possono produrre tossine sono state frequenti, con possibili effetti tossici sulla salute umana e sull’ambiente.
Scopo di questo studio è stato quello di identificare i bacini idrici superficiali siciliani idonei per l'uso a scopo potabile e costruire un modello predittivo per le fioriture di P. rubescens e M. aeruginosa.
MATERIALI E METODI
È stato effettuato il monitoraggio di 15 bacini di superficie siciliani attraverso analisi stagionali chimico-fisiche e microbiologiche delle acque in accordo al D.Lgs. 152/2006. Inoltre, sono state analizzate le concentrazioni di microcistine attraverso saggio immunoenzimatico. Tutti i dati sono stati elaborati mediante Analisi delle Componenti Principali.
RISULTATI
Le concentrazioni di metalli pesanti sono tutte al di sotto dei valori di riferimento. Solo alluminio e ferro sono presenti spesso in grandi concentrazioni. Il 100% degli invasi risulta fortemente contaminato da batteri di origine fecale, spesso accompagnato da alti livelli di azoto totale e di fosforo. Nel 50% delle dighe esaminate è stata riscontrata la presenza di diverse specie di cianobatteri. In particolare, è stata rilevata una fioritura di P. rubescens e M. aeruginosa in una delle dighe in esame. Le concentrazioni di microcistine rilevate in tutti i campioni in esame sono al di sotto del limite di riferimento del WHO (<1,0 µg/L). Il biplot di distanza della PCA ha mostrato che le dighe interessate nell’ultimo decennio da fioriture di cianobatteri potenzialmente tossici sono raggruppate e significativamente influenzate dal pH e dai tenori di N, Fe, Al, V, Mn, F, Mn, Cl, Ca e Nitriti.
DISCUSSIONI E CONCLUSIONI
La qualità chimica dei bacini idrici di superficie delle acque siciliane è buona mentre quella microbiologica potrebbe essere migliorata con trattamenti adeguati e una gestione migliore delle acque reflue immesse nelle acque superficiali. La presenza di microcistine non rappresenta attualmente un rischio elevato per la salute umana e ambientale ma vanno tenute sotto controllo le fioriture nei laghi interessati; a questo scopo, l'analisi PCA sembra essere un modello predittivo utilizzabile. In conclusione, molti degli invasi la cui acqua è attualmente utilizzata a scopo irriguo sembrerebbe idonea all’utilizzo per scopi umani, previo trattamento per l’abbattimento dei contaminanti biologici.
Abstract
INTRODUZIONE
L’area del bacino del fiume Sarno è una delle più inquinate in Europa. La forte antropizzazione, lo sviluppo delle industrie agroalimentari, l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi nelle pratiche agricole possono essere le principali cause dell’inquinamento fluviale, potenzialmente responsabile dell’aumento allarmante delle malattie cronico-degenerative. Il presente lavoro ha riguardato lo studio di biomarker di esposizione e di effetto ad inquinanti ambientali in bambini in età scolare che vivono nell’area di Scafati (SA) dove l’inquinamento ambientale è considerevole non solo per la presenza del fiume Sarno ma anche di altre fonti di inquinamento antropico. Per confrontare i dati ottenuti sono state selezionate due ulteriori aree: Torre del Greco (area non vicina al fiume Sarno ma con pari intensità di traffico veicolare di Scafati) e Corbara (area lontana al fiume Sarno e scarsa intensità di traffico veicolare)
MATERIALI E METODI
L’instabilità genomica è stata valutata in leucociti salivari mediante Comet assay e in cellule della mucosa orale mediante lo studio della frequenza dei micronuclei, valutando anche diversi stadi di morte cellulare e anomalie nucleari.
La popolazione reclutata era costituita da bambini delle scuole elementari di tre diversi comuni: 249 bambini di Scafati, 53 di Torre del Greco e 34 di Corbara. Per ciascun bambino sono state inoltre raccolte informazioni relative allo stile di vita e alla tipologia di eventuale esposizione ad inquinanti ambientali indoor e outdoor, al fine di valutare una possibile loro associazione con il fattore di rischio fiume Sarno.
RISULTATI
Il saggio Comet ha messo in evidenza la presenza di un danno da esposizione nella popolazione di Scafati statisticamente differente rispetto A Corbara (controllo negativo). Confrontando, poi, la popolazione di Scafati con quella di Torre del Greco (controllo traffico) si è evinto che il danno era sempre superiore nella popolazione di Scafati. Al contrario, il saggio dei micronuclei non ha evidenziato alcun danno da effetto in nessuna delle popolazioni campionate, ma sono state riscontrate alcune alterazioni nucleari nelle cellule mucosali dei bambini di Scafati.
CONCLUSIONI
Lo studio che è stato finanziato da associazioni locali, ha destato un grande interesse da parte delle popolazioni coinvolte e coinvolgerà negli anni successivi un numero maggiore di soggetti da reclutare.
Abstract
INTRODUZIONE
Legionella è un microrganismo Gram-negativo responsabile di manifestazioni cliniche, anche gravi. Alla fine degli anni ’90 la Regione Puglia ha istituito l’Osservatorio Epidemiologico Regionale, con il compito di monitorare gli eventi sanitari, inclusa la legionellosi.
Scopo del presente studio è valutare i fattori di rischio per legionellosi nelle strutture turistico-ricettive pugliesi.
MATERIALI E METODI
Nel 2000-2017 sono state esaminate 495 strutture turistiche per un totale di 6.638 campioni di acqua, analizzati secondo le indicazioni riportate nelle LG 2015. In 660 campioni sono state valutate le caratteristiche chimico-fisiche. Nello stesso periodo sono stati notificati 204 casi di legionellosi.
L’analisi dei dati è stata effettuata con statistica inferenziale (software R3.5.1).
Sorveglianza ambientale
È stata valutata la presenza di Legionella (χ2 correzione Yates o Test esatto Fisher):
nei diversi punti di campionamento (doccia, rubinetto, boyler, altro);
nelle diverse tipologie di strutture (alberghi, campeggi ecc.)
tra strutture annuali/stagionali;
negli alberghi distinti per numero di stelle.
La correlazione tra parametri chimici e carica di Legionella è stata effettuata con test Pearson.
Sorveglianza clinica
È stato effettuato un confronto (Test esatto Fisher e χ2 correzione di Yates) tra:
strutture turistico-ricettive (alberghi, campeggi ecc.);
alberghi per numero di stelle;
strutture turistico ricettive ad apertura annuale/stagionale.
RISULTATI
Sorveglianza ambientale
Le docce sono risultate più contaminate (42,4%) dei rubinetti (36,1%; p < 0,0001), boyler (26,6%; p = 0,03269), altro (16,6%; p < 0,0001).
Case-vacanze (83,3%), campeggi (73,9%), alberghi (71,5%) sono risultati più contaminati delle pensioni (33,3%, rispettivamente p = 0,01854, p = 0,02009, p = 0,00309) e di altri tipi di strutture (30%, rispettivamente p = 0,02742, p = 0,02593, p = 0,008977). La classificazione degli alberghi per stelle e delle strutture turistico-ricettive a conduzione stagionale/annuale non ha evidenziato differenze statisticamente significative.
È stata evidenziata una correlazione direttamente proporzionale tra carica di Legionella e temperatura dell’acqua (p = 0,003–CC = 0,115) e cloruri (p < 0.0001–CC = 0,156). La correlazione è risultata inversamente proporzionale con il calcio (p < 0,0001–CC = -0,176) e la durezza (p < 0,0001–CC = -0,168).
Sorveglianza clinica
Negli alberghi si sono verificati più casi di legionellosi rispetto a pensioni, agriturismi, B&B, case-vacanza (p < 0,0001) e altri tipi di struttura (p = 0,002013).
Gli alberghi a 3 stelle (12,4%; p = 0,01418) e a 4 stelle (10,9%; p = 0,0223) hanno registrato più casi di legionellosi rispetto a quelli ad 1 stella (0%). Le strutture stagionali avevano più casi di legionellosi (21,7%) rispetto alle annuali (p < 0,0001).
CONCLUSIONI
Una corretta analisi dei fattori di rischio nelle strutture turistiche permette di adottare azioni preventive, consentendo di orientare meglio i programmi di controllo sul territorio.
Abstract
INTRODUZIONE
Obiettivo del presente lavoro è osservare le relazioni esistenti tra l’ambiente urbano e la sicurezza stradale al fine di comprendere quali fattori di rischio intervengano nelle dinamiche degli incidenti pedonali.
METODI
L’analisi sistematica della bibliografia internazionale edita nel periodo 2000-2019, ha previsto la consultazione di banche dati (PubMed, Scopus, Web of Science) per parole chiave: built environment, pedestrian accidents, pedestrian injuries, streets scape. I prodotti risultanti sono stati selezionati per titolo e abstract. L’analisi dettagliata degli studi selezionati ha focalizzato l’attenzione sui fattori inerenti al rapporto ambiente costruito/incidentalità pedonale.
RISULTATI
L’analisi ha consentito di selezionare 75 articoli e valutare i fattori di rischio inerenti all’incidentalità pedonale, genericamente riconducibili alle caratteristiche della rete stradale (nel 63,1% degli articoli selezionati), dell’arredo e delle funzioni urbane (52,0% degli articoli), dei fattori demografici e socioeconomici (45,3%) e dei fattori individuali e comportamentali degli utenti (22,6%). Un’analisi puntuale ha permesso di evidenziare il ruolo predominante giocato da alcuni di essi in relazione all’outcome osservato: alta velocità di percorrenza; traffico; volume di persone; densità delle funzioni; ostacoli ai bordi della carreggiata; manutenzione precaria; illuminazione scarsa; separazione tra sede stradale e aree pedonali.
Oltre agli attributi fisici spaziali, anche i fattori comportamentali degli automobilisti influiscono sul rischio di incidenti a carico dei pedoni: guida in stato di ebbrezza; rispetto del codice della strada; disattenzione. Per quel che concerne i pedoni, i comportamenti maggiormente a rischio sono risultati gli attraversamenti al di fuori delle strisce pedonali o quelli compiuti senza rispettare i segnali luminosi, oltre ad un eventuale stato di alterazione e, al pari degli automobilisti, la disattenzione.
CONCLUSIONI
Le moderne città devono pertanto affrontare differenti problemi di salute pubblica, tra cui l’incidentalità stradale. Il presente studio offre un’attenta analisi delle ricerche condotte negli ultimi anni in merito al tema, con particolare attenzione rivolta alla categoria dei pedoni. I risultati dell’osservazione mostrano i fattori ricorrenti in relazione all’incidentalità pedonale, suggerendo eventuali approfondimenti anche nelle nostre realtà locali, nelle quali risulta sussistere un gap conoscitivo, a causa del ridotto numero di osservazioni.
Abstract
INTRODUCTION
We retrospectively analysed vital statistics data to evaluate any potential effect on pregnancies at different gestational ages of pollutants emitted by a multi-site arson of the largest Sicilian solid waste management plant occurred in July 2012.
MATERIALS AND METHODS
The study group comprised 551 births of both born alive and non-alive children from pregnancies of mothers residing in the extra-urbanexposed area, conceived during a 40-week period during which the highest peak of the fire might has influenced a pregnancy. We compared birth outcomes (gestational age < 37 and < 32 weeks, low birth weight, very low birth weight and small for gestational age) of the study group with those of a reference group of women residing in areas of Sicily with similarly low population density and industrial development.
RESULTS
Among singleton live births we observed a three-fold increase in risk of very preterm birth between the extra-urban area and the remaining low inhabitants density and unindustrialized areas for births whose pregnancies were in the third trimester (OR adjusted for maternal age and infant gender = 3.41; 95%CI = 1.04-11.16). There was an excess of very low birth weight singleton infants in the study group as compared to the reference group, which was limited to births of mothers exposed during peri-conception period (OR adjusted for maternal age and infant gender = 4.64; 95%CI = 1.04-20.6) and first trimester (OR adjusted for maternal age and infant gender = 3.66; 95%CI = 1.11-12.1). The association estimates were imprecise due to the small number of outcomes recorded.
CONCLUSIONS
The study documented an excess of very preterm and very low birth weight among infants born to mothers exposed to the landfill fire emissions during conception or early pregnancy. The retrospective design and the limited vital statistics data available for analysis did not allow a detailed assessment of the longitudinal nature of the exposure-response relation, nor a precise adjustment for potential confounding.
The study added to the growing body of evidence that exposure to pollutants emitted from solid waste landfills may have serious health effects and underscores the need for monitoring potential hazards and health outcomes in the population living near landfills.
Abstract
INTRODUZIONE
La coltivazione di frutta e verdura richiede elevati volumi di acqua e fertilizzanti. Oggi le risorse idriche scarseggiano, anche a causa dei cambiamenti climatici, mentre la produzione di fertilizzanti richiede grandi quantità di risorse non rinnovabili come il fosforo. Il progetto TOMRES è stato finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020 (contratto n. 727929) e coinvolge 25 enti da 10 Paesi europei per una durata complessiva di 42 mesi. Lo scopo del progetto è di aumentare la tolleranza del pomodoro alla combinazione di stress idrici e nutrizionali e di migliorare l’efficienza di utilizzo di acqua e fertilizzanti, trovando soluzioni che salvaguardino le produzioni e che garantiscano la sostenibilità ambientale.
MATERIALI E METODI
I metodi messi in campo per raggiungere l’obiettivo del progetto TOMRES sono moltissimi, articolati e anche molto diversi tra loro. Si va dall’identificare le linee di pomodori più tolleranti agli stress combinati nell’ambito di 10.000 diversi genotipi, ad individuare i caratteri genetici che conferiscono una maggiore resilienza, a migliorare la conoscenza dei processi fisiologici e molecolari che vengono attivati nel pomodoro in seguito all’induzione di stress, fino alla progettazione e ottimizzazione di strategie colturali per aumentare la tolleranza allo stress. Parte integrante del progetto è la valutazione dell’impatto ambientale dei nuovi genotipi individuati e delle nuove modalità di coltivazione adottate e dei possibili rischi per la popolazione. A questo scopo verranno raccolti campioni di suolo durante le prove di coltivazione in campo prima del trapianto delle piante di pomodoro selezionate e dopo la raccolta. Previa opportuna estrazione i campioni di suolo verranno analizzati per valutare la lisciviazione di Azoto e Fosforo, la presenza di alcuni batteri indicatori di inquinamento fecale e le conte batteriche totali a 28°C, 37°C e 22°C. Verranno anche effettuati alcuni saggi ecotossicologici su tre organismi test per valutare l’impatto sulle risorse idriche.
RISULTATI
I risultati attesi consentiranno di verificare l’eventuale impatto ambientale dei genotipi selezionati e delle modalità di coltivazione introdotte anche con possibili effetti sulle principali matrici ambientali connesse alla coltivazione del pomodoro (es acqua) ed una eventuale ricaduta finale sulla salute umana.
CONCLUSIONI
A conclusione del Progetto TOMRES i ricercatori, le industrie e gli agricoltori potranno avere a disposizione importanti informazioni sull’impatto ambientale del pomodoro resiliente frutto del lavoro del progetto inquadrando i risultati finali anche in un contesto di protezione della Salute Pubblica oltre che di agricoltura ecosostenibile.
Abstract
INTRODUZIONE
Il progetto MAPEC_LIFE (Monitoring air pollution effects on children for supporting public health policy), finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Life + (LIFE12 ENV/IT/000614), ha valutato l’associazione tra esposizione a inquinanti atmosferici e presenza di effetti biologici precoci nelle cellule di bambini della scuola primaria, con l’obiettivo finale di proporre indicazioni utili all’implementazione delle politiche ambientali.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su bambini di 6-8 anni residenti in 5 città italiane a diverso grado di inquinamento atmosferico. La frequenza di micronuclei (MN) nelle cellule della mucosa orale dei bambini campionati in due stagioni è stata misurata mediante il buccal micronucleus cytome assay e l’associazione con i livelli di inquinanti aerei è stata valutata applicando modelli di regressione multipla, includendo fattori socio-demografici e di stile di vita come confondenti. Inoltre, la concentrazione degli inquinanti aerei è stata dicotomizzata sulla base dei limiti previsti sia dalla Direttiva Europea per la Qualità dell’Aria, sia dalle Linee Guida dell’OMS, per valutare la capacità delle due normative di prevedere il rischio di danno biologico precoce.
RISULTATI
Il progetto ha coinvolto 1149 bambini. 2.139 campioni biologici raccolti in inverno (1.093) e in primavera (1.046) sono stati inclusi nell’analisi. La frequenza di MN nelle cellule dei bambini è risultata associata alla concentrazione di PM10, PM2.5, benzene, SO2 e ozono. Considerando i limiti della normativa europea, la frequenza di MN è risultata associata all’esposizione a livelli di PM10 maggiori del limite annuale, con un incremento del rischio di 17,9% (IC95%: 0,6-38,1%). Considerando, invece, le linee guida dell’OMS, il danno al DNA rilevato nelle cellule dei bambini è risultato associato a livelli di PM10, benzene e benzo(a)pirene maggiori dei rispettivi limiti annuali, con un incremento di rischio di 22,5%, 27,8% e 59,8% (IC95%: 3,9-44,3%, 3,8-57,3%, 21,0-111,1%), rispettivamente.
CONCLUSIONI
L’analisi condotta mostra che la frequenza di MN nelle cellule buccali dei bambini è associata all’esposizione ad alcuni inquinanti atmosferici, anche a concentrazioni inferiori ai limiti previsti dalla normativa europea e dalle line guida dell’OMS. I risultati sembrano quindi suggerire che tali limiti non siano sufficienti a proteggere i bambini da questo tipo di danno biologico.
Abstract
INTRODUZIONE
La presente indagine, realizzata nell’ambito del Piano di sorveglianza sanitaria della popolazione veneta esposta alle sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS), è stata condotta presso gli ambulatori appositamente costituiti per lo screening di popolazione. L’obiettivo era valutare la soddisfazione e la percezione dell’utenza connessa all’intervento di counselling attuato dagli assistenti sanitari che questi eseguono a conclusione del primo livello previsto dallo Screening PFAS.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata svolta tra dicembre 2017 e febbraio 2018 presso i due centri di prelievo aziendali, individuati dalla DGR Veneto n. 2133/2016, che ha definito il piano di biomonitoraggio. Si è utilizzato lo strumento della customer satisfaction, somministrando un questionario anonimo, auto-compilato dall’utenza nel periodo immediatamente successivo alla prestazione ambulatoriale. Il target era costituito da tutti gli utenti che hanno avuto accesso al primo livello di screening nel periodo sopraindicato, ad esclusione di coloro i quali mostravano evidenti difficoltà di comprensione della lingua italiana o che si rifiutavano di contribuire all’indagine. Sono stati raccolti n. 847 questionari, codificati in una matrice di dati ed analizzati con Microsoft Excel 2016.
RISULTATI
L’elaborazione dei dati ha mostrato un evidente ed unanime grado di soddisfazione dell’utenza: il 99% degli utenti si riteneva infatti soddisfatto della cortesia del personale, della comprensibilità del linguaggio utilizzato e dell’adeguatezza del tempo dedicato al colloquio, mentre rispettivamente il 98% e il 96% si reputavano soddisfatti della completezza e dell’utilità delle informazioni ricevute.
CONCLUSIONI
L’utilizzo della Customer Satisfaction, in qualità di strumento di analisi della soddisfazione dell’utenza, si è dimostrato di valida utilità ai fini della valutazione dell’evento formativo attuato, con particolare riferimento alla sfera comunicativa degli assistenti sanitari. Questa tecnica è capace infatti di individuare le attese dell’utenza ed il grado di soddisfazione che essa attribuisce al servizio offerto; permettendo di rivedere i processi e le risorse implicate nel miglioramento continuo della qualità del servizio erogato. A questo scopo, in futuro, sarebbe interessante confrontare la qualità percepita dagli operatori rispetto a quella degli utenti, in modo da avere una visione più omogenea del servizio stesso. La comunicazione efficace, nella promozione della salute, rappresenta lo strumento indispensabile per influire positivamente sulla modifica degli stili di vita nonché sui comportamenti a rischio; dunque le competenze comunicativo-relazionali e tecnico-professionali specifiche dell’assistente sanitario lo rendono il professionista in grado di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di salute prefissati dallo Screening PFAS.
Abstract
INTRODUZIONE
Non essendo disponibili metodi standardizzati per valutare l’attività antimicrobica in vitro di materiali nanostrutturati, la maggior parte degli studi svolti in ambito ospedaliero non raggiunge risultati conclusivi riguardo l’utilità di questi materiali nel ridurre la contaminazione microbiologica sulle superfici sanitarie. Obiettivi dello studio sono stati: i) valutare l’efficacia in vitro di un nuovo Nanomateriale Antimicrobico (NA) mediante norma ISO 22196:2011 ii) confrontare i risultati con quelli ottenuti con un nuovo metodo che valuta la performance del NA in condizioni ambientali simili a quelle presenti in ambiente sanitario.
MATERIALI E METODI
Entrambi i test sono stati condotti depositando concentrazioni note di specie batteriche certificate (S. aureus 6538P, E. coli 8736, B. diminuta 19146, O. antropi 19286; temperature di crescita di 26-36°C) sul NA, sui controlli negativi (acciaio S30400 senza composto attivo) e su un controllo positivo (lega di rame C11000 certificata EPA, fornita da European Copper Institute). Nel nuovo metodo, diversamente dalla ISO 22196:2011 (0 e 24h a T = 35 ± 1°C e UR = 90%), l’attività dei materiali è stata valutata anche in relazione al tempo di contatto (0-1-2-4-6-24 h) necessario per ottenere una totale riduzione della carica batterica a valori di temperatura e umidità riscontrabili negli ambienti indoor (T = 23-24°C; UR = 35-40%). L’attività antimicrobica è stata calcolata come valore medio (percentuale) di riduzione del numero delle colonie batteriche sui materiali antimicrobici rispetto ai controlli negativi.
RISULTATI
Con la ISO 22196:2011, la percentuale di riduzione del numero di colonie batteriche era pari al 100% sia sul NA che sulla lega di rame. Diversamente, nelle condizioni ambientali più simili a quelle degli ambienti indoor (nuovo metodo), la percentuale di riduzione del numero delle colonie di tutte le specie batteriche raggiungeva il 100% entro le prime 2 ore di contatto sulla lega di rame. Sul NA, a seconda della specie saggiata, la percentuale di riduzione variava dal 68% al 77% e dal 79% al 90%, rispettivamente dopo 2 e 24 ore di contatto.
CONCLUSIONI
Questo metodo propone condizioni di temperatura e umidità comparabili a quelle degli ambienti sanitari e, contrariamente alla ISO 22196:2011, fornisce indicazioni più precise sulla performance del materiale nell’ambiente di destinazione. Inoltre, poiché molti batteri multiresistenti possono sopravvivere diversi giorni sulle superfici sanitarie, un’azione battericida rapida è certamente un aspetto non trascurabile ai fini della corretta individuazione del NA da impiegare quale misura di protezione collettiva da agenti infettivi veicolati da oggetti o mani di pazienti e operatori.
Abstract
INTRODUZIONE
Streptococcus pneumoniae è uno dei maggiori responsabili di meningiti, sepsi e polmoniti a livello globale. La colonizzazione asintomatica da pneumococco (carriage) rappresenta il reservoir di sierotipi batterici ed è considerata un pre-requisito per lo sviluppo della malattia.
In questo lavoro viene descritto l’andamento del carriage da pneumococco e la distribuzione dei sierotipi circolanti in Sicilia, una delle regioni italiane a proporre nei nuovi nati, già dal 2004, la vaccinazione universale con il vaccino anti-pneumococcico coniugato e dal 2013 anche nei soggetti a rischio di qualsiasi età e negli adulti over-65.
MATERIALI E METODI
Soggetti di tutte le età, giunti all’osservazione medica con sintomatologia di tipo influenzale, sono stati analizzati per la ricerca di pneumococco in campioni biologici respiratori, raccolti in otto stagioni invernali consecutive tra il 2009-2010 ed il 2016-2017 nell’intero territorio regionale.
La metodica molecolare “real-time PCR” è stata applicata sia per la ricerca (positività per il gene lytA) che per la caratterizzazione del sierotipo batterico, tra quelli inclusi nel vaccino PCV13.
RISULTATI
In generale, la prevalenza di carriage da pneumococco è stata del 22,5% (n = 1.637/7.279), con ampia variabilità per singola stagione di sorveglianza (range: 8,3-36,0%), così come per classe di età (range: 9,8-47,6%).
Malgrado gli alti tassi di copertura vaccinale regionali raggiunti nell’infanzia (88,5%; coorte anno 2014 a 24 mesi), ma non nell’età adulta, l’69,9% (n = 1.140/1.630) del totale delle tipizzazioni di pneumococco erano ascrivibili a sierotipi vaccinali (VT).
Dopo una relativa stabilità tra il 2009 ed il 2010, si è evidenziata una progressiva riduzione della proporzione di sierotipi VT tre le stagioni 2010-2011 ed il 2013-2014 (– 23,9%), a fronte di un incremento complessivo nella frequenza di pneumococchi non-VT (+ 33,0%). Emerge, tuttavia, una netta inversione di tendenza con un trend crescente nel periodo compreso tra il 2014 ed il 2017 (+ 28,3% e – 35,4% per sierotipi VT e non-VT, rispettivamente).
CONCLUSIONI
Dopo oltre un decennio di vaccinazione anti-pneumococcica nell’infanzia in Sicilia, i dati evidenziano un trend decrescente nella circolazione di sierotipi VT nella popolazione regionale nel primo quinquennio di osservazione. Tuttavia, si sottolinea l’assenza di un tale effetto a lungo termine.
L’ampia circolazione dello pneumococco in portatori sani di ogni età, anche di sierotipi VT ed indipendentemente dallo stato immunitario, suggerisce la necessità di migliorare le coperture vaccinali anche in gruppi di popolazione a rischio, sia per età che per patologia.
Abstract
INTRODUZIONE
Le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche della listeriosi invasiva spiegano la sua rilevanza in sanità pubblica e l’interesse a consolidare le attività di sorveglianza. Dal 2005, il Laboratorio Enterobatteri Patogeni della Regione Lombardia ha avviato un sistema di sorveglianza basato sulla rete dei laboratori ospedalieri, che si affianca a quello ufficiale delle notifiche. Tale sistema, mediante l’integrazione di tecniche molecolari, costituisce un importante supporto per la correlazione tra i casi e la ricostruzione delle catene di contagio. In questa sede, riportiamo i dati di interesse clinico-epidemiologico dall’attivazione del sistema di sorveglianza ad oggi.
MATERIALI E METODI
L’attività di sorveglianza prevede, da parte dei laboratori della rete, l’invio degli stipiti di Listeria monocytogenes (Lm) al Laboratorio Enterobatteri Patogeni e la compilazione di una scheda, concordata con l’Istituto Superiore di Sanità, che raccoglie le informazioni clinico-epidemiologiche del caso accertato. Un caso di listeriosi è definito dall’isolamento di Lm da un sito normalmente sterile, mentre un caso di listeriosi associato alla gravidanza è definito dall’isolamento di Lm da un campione della madre gravida e/o dal feto e/o dal neonato di età < 28 giorni.
RISULTATI
Complessivamente, sono stati raccolti 559 stipiti di Lm, di cui 51 da casi associati alla gravidanza (10%). Il 64% dei casi ha riguardato soggetti di età > 65 anni. Le manifestazioni cliniche prevalenti sono state quelle setticemiche (57%) e a carico del SNC (24%). Il tasso di letalità è risultato pari al 21%. Per il 94% dei pazienti è stata riconosciuta almeno una condizione predisponente, tra le quali neoplasie (29%), insufficienza renale (8%), insufficienza epatica (7%) e diabete (7%). Le forme associate alla gravidanza hanno comportato morte fetale nel 29% dei casi. Nell’arco di 14 anni (2005-2018), il tasso medio di incidenza annuale è risultato pari a 0,4/100000. Le province il cui tasso di incidenza è risultato superiore a quello medio regionale sono Bergamo, Lodi e Monza Brianza.
CONCLUSIONI
Le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche dei casi sono risultate concordi con i dati di letteratura, ad eccezione della frequenza dei casi associati alla gravidanza, inferiore rispetto all’atteso (20-43%). I risultati ottenuti hanno documentato un’incidenza della patologia in Regione Lombardia tutt’altro che trascurabile, sottolineando, quindi, la necessità di potenziare il collegamento tra i due sistemi di sorveglianza, attualmente indipendenti tra loro, al fine di ridurre la quota di casi persi e favorire un più rapido e tempestivo riconoscimento degli eventi epidemici.
Abstract
INTRODUZIONE
Le ARI (acute respiratory infection) rappresentano una delle principali cause di morbosità e mortalità in tutto il mondo, e sono caratterizzate dall’elevata numerosità degli agenti eziologici, dalla loro ubiquità e contagiosità e dagli alti costi diretti ed indiretti correlati. Le categorie più a rischio d’infezione e di complicanze sono i bambini, gli anziani e i pazienti immunodepressi o con patologie croniche.
MATERIALI E METODI
Il Laboratorio dell’Ospedale Policlinico San Martino IRCCS di Genova esegue il rilevamento dei seguenti virus mediante tecniche di biologia molecolare su campioni del tratto respiratorio: influenza, respiratorio sinciziale (RSV), parainfluenzali (PIV), adenovirus, coronavirus, metapneumovirus, rhinovirus, bocavirus e enterovirus.
Sono state analizzate le positività per virus respiratori ottenute nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2018, stratificando il dato per età, genere e area specialistica di ricovero. Gli andamenti stagionali di positività dei virus sono stati inoltre confrontati con gli indicatori di attività del sistema di sorveglianza sindromica (SSS) attivo presso il Policlinico, che rileva l’andamento giornaliero degli accessi al Pronto Soccorso per influenza-like illness e low respiratory tract infection.
RISULTATI
Nel periodo analizzato sono pervenuti al Laboratorio 14911 campioni respiratori, di cui il 60% proveniente da aree di emato-oncologia, con un trend in aumento costante. L’età media dei pazienti per cui è stata eseguita la ricerca dei virus è risultata pari a 56,8 anni, con un rapporto M:F = 1,19:1. L’andamento stagionale delle positività rilevate mostra differenze significative tra i diversi virus: mentre i virus influenzali sono rilevati esclusivamente nei mesi invernali, gli RSV, i coronavirus e i metapneumovirus circolano maggiormente nella prima metà dell’anno, mentre altri patogeni, come gli adenovirus e i PIV, sono rilevati tutto l’anno, soprattutto nei mesi estivi.
Le aree specialistiche dove è stata osservata la maggiore proporzione di rilevamenti virali sono state l’emato-oncologia e la medicina, con differenze significative tra i virus rilevati.
Stratificando i risultati in base all’età, alcuni virus colpiscono pazienti più giovani (bocavirus, età media 28,6 anni), altri molto più anziani (influenza B, età media 69,9 anni).
Gli indicatori del SSS correlano solo parzialmente con l’andamento stagionale dei diversi virus rilevati: in particolare, la maggiore correlazione si osserva con i picchi epidemici influenzali.
CONCLUSIONI
La disponibilità di sistemi di sorveglianza epidemiologica e virologica integrati, in grado di caratterizzare i patogeni respiratori circolanti causa di ARI, rappresenta un elemento chiave per comprendere l’epidemiologia di questi virus e valutare la fattibilità e l’efficacia di strategie preventive e terapeutiche innovative.
Abstract
INTRODUZIONE
La popolazione carceraria rappresenta un gruppo ad alto rischio per il controllo dell’infezione da HCV, avendo una maggiore prevalenza di persone con storia di uso di droga per via endovenosa, con patologia psichiatrica e di popolazioni vulnerabili con spesso ridotto accesso ai servizi sanitari. L’avvento dei nuovi farmaci antivirali per l’HCV ha reso possibile la realizzazione di una strategia di micro-eliminazione in carcere. L’obiettivo dello studio è valutare l’efficacia della strategia di screening e trattamento del’HCV adottata in due carceri milanesi nell’ottica della micro-eliminazione.
METODI
Abbiamo condotto nel 2017 e nel 2018 una valutazione cross-sectional della cascata di trattamento dell’HCV in una casa di reclusione, Opera (OP), ed in una circondariale, San Vittore (SV) a Milano. È stato applicato un protocollo dedicato per valutare l’eligibilità e per il trattamento. Abbiamo raccolto i dati demografici, relativi allo screening ed al trattamento dell’HCV su tutti i detenuti presenti il 31 ottobre 2017 e 2018. La raccolta dati è stata chiusa il 31 dicembre entrambi gli anni.
RISULTATI
Al 31 ottobre 2017, vivevano nei due carceri 2366 detenuti, 2369 nel 2018. 1036 (43.7%) erano già presenti nel 2017 (71.3% OP; 28.7% SV). Entrambi gli anni la maggioranza era composta da uomini (95.4%; 96.4%), con età mediana 41 anni e italiani (57%; 61.9%). La prevalenza di persone con storia di uso di droga è rimasta alta (46.5%; 44.2%). La copertura dello screening per HCV è stata l’89% entrambi gli anni, mentre quella per il test dell’HCV-RNA è aumentata (90,6%; 99%). La sieroprevalenza (HCV Ab +) è rimasta stabile (212, 10.1%; 194, 9.2%). Alla fine del 2017 e del 2018, 106 (50%) e 117 (60.3%) detenuti avevano iniziato il processo per valutare l’eligibilità al trattamento; di questi 90 (42.4%) e 106 (54,6%) hanno completato la terapia con nuovi farmaci antivirali in carcere. Considerando l’ultima viremia disponibile, nel 2017 41 detenuti (19.3%) risultavano ancora viremici (OP 16.1%; SV 24.4%), mentre soltanto 13 (6.7%) nel 2018 (OP < 1%; SV 15.4%). Al 31 dicembre 2018, fra i detenuti sieropositivi per HCV, 122 (62.9%) non erano mai stati presi in carico prima dell’incarcerazione.
CONCLUSIONI
Il nostro studio mostra il successo della strategia di screening e trattamento dell’HCV per raggiungere la microeliminazione in carcere con un significativo calo del numero di individui viremici. Teniamo a sottolineare come il sistema sanitario carcerario possa rappresentare l’unico punto di accesso alle cure per popolazioni vulnerabili, contribuendo così a contrastare le disuguaglianze in salute.
Abstract
INTRODUZIONE
Il sistema di sorveglianza delle paralisi flaccide acute (PFA) rappresenta una strategia cruciale nell’ambito dell’obiettivo di eradicazione mondiale della poliomielite proposto dall’Oms.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la sensibilità del sistema di sorveglianza attiva basato su notifiche telefoniche, portato avanti nella Regione Marche.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati i dati relativi alla sorveglianza condotta, secondo metodologia OMS nel periodo 2005-2014. I dati sono stati confrontati, con metodo cattura/ricattura, con le informazioni riportate nelle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) relative a bambini di età ≤ 14 anni e riportanti i seguenti codici di diagnosi (principale o secondaria) ICD-9: 357.0 (sindrome di Guillain-Barrè, GBS), 356.9 (GBS o altre neuropatie periferiche), 336.9 (mielite acuta) e 045.0 e.1 (poliomielite acuta causata da poliovirus o altri virus neurotropici).
È stata infine condotta un’analisi descrittiva dei casi in esame considerando la classificazione per età, sesso, provincia di residenza e stagionalità dei ricoveri.
RISULTATI
Dalla revisione del sistema di sorveglianza sono risultati essere 18 i casi identificati telefonicamente nel periodo 2005-2014, mentre dalla verifica delle SDO dello stesso periodo sono invece emersi 27 casi di ricovero con GBS in diagnosi principale (81,5%) o secondaria. Il rapporto tra notifiche e casi da SDO era pari al 66,7% del totale. Secondo il metodo cattura ricattura, sono stati identificati 34 casi nel periodo di osservazione con una stima di incidenza pari a 1,66/100.000 (IC95% = 1,15-2,32/100.000).
Non si sono evidenziate differenze significative né per quanto riguarda il sesso (M/F = 1,25) né per quanto riguarda l’età, la cui distribuzione è risultata essere piuttosto eterogenea.
Ove noto (N = 27), per quanto riguarda la stagionalità, 17 casi (62,9%) si sono verificati nel periodo autunno-inverno, (0,83/100000 abitanti, IC95% 0,48-1.33/100.000) e i restanti 10 in primavera-estate (0,49/100000 abitanti, IC95% 0,23-0,90/100.000).
CONCLUSIONI
Nel periodo considerato, il sistema di notifica non ha sempre raggiunto il target raccomandato di tasso di notifica. I risultati ottenuti dal confronto tra la sorveglianza telefonica e le SDO ha messo in evidenza come la sola sorveglianza basata su notifiche telefoniche presenti una sensibilità piuttosto bassa, andando a recuperare circa la metà dei casi.
Vi è, dunque, la necessità di migliorare il coinvolgimento dei referenti e di implementare un sistema di sorveglianza più sensibile, che preveda anche una sorveglianza ambientale delle acque reflue, come ribadito in numerose e recenti evidenze scientifiche.
Abstract
INTRODUZIONE
Il morbillo è una patologia ad elevata contagiosità di origine virale e, malgrado l’Introduzione della vaccinazione universale, è ancora causa di elevata morbilità e mortalità. In linea con la strategia globale posta dall’OMS, è in vigore in Italia un “Piano Nazionale per l’Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita (PNEMoRc)”.
In questo lavoro viene descritta l’epidemiologia del morbillo in Sicilia e le sue dinamiche molecolari, in accordo alle attività di sorveglianza svolte dal Laboratorio di Riferimento Regionale.
MATERIALI E METODI
Nel periodo 2012-2019, campioni biologici di soggetti con diagnosi clinica di morbillo, su tutto il territorio regionale, sono stati raccolti ed analizzati con metodiche molecolari per la conferma virologica dell’infezione e la genotipizzazione virale raccomandati dall’OMS.
RISULTATI
Sono stati valutati 1.059 casi sospetti di cui il 93,8% (n = 993) confermati. In Sicilia, è in corso un’epidemia iniziata alla fine del 2016, che ha mostrato il suo picco nel 2018 con 602 casi confermati ed ulteriori 52 casi al 30 maggio 2019.
In generale, non sono state osservate differenze per genere, il 77,4% (n = 769) di provenienza ospedaliera ed il 43,2% (n = 429) ha sviluppato almeno una complicanza: diarrea (46,8%, n = 201), cheratocongiuntivite (39,4%, n = 169), epatopatia (25,6%, n = 110) e polmonite (21,7%, n = 93) le più frequentemente riscontrate. Di 3 casi confermati nel 2018 è noto il decesso.
L’età media è stata 20,4 anni, con un trend crescente tra il 2016 ed il 2019 (range: 17,8-27,5). Circa il 94% dei casi (n = 929) era non vaccinato, mentre solo 0,4% (n = 4) aveva ricevuto il ciclo vaccinale a due dosi. Di nota, il 4,2% (n = 42) è stato documentato tra gli operatori sanitari.
Nel 99,6% (n = 989) dei casi è stato identificato il genotipo: il D4 nel 2012, il D8 ha prevalso nel 2013-2016, mentre la recente epidemia 2017-2018 è stata dominata dal B3. Dalla fine del 2018, si assiste alla ricomparsa di ceppi virali genotipo D8 come recentemente documentato in altre aree d’Italia.
CONCLUSIONI
Malgrado i progressi nelle coperture per MPR ottenuti con la re-Introduzione dell’obbligo vaccinale, si mantiene in Sicilia la circolazione endemica del morbillo, con tassi di incidenza ancora lontani dagli obiettivi fissati dal PNEMoRc. Si osserva un incremento nell’età media, con maggiore frequenza di complicanze ed ospedalizzazioni.
L’ampia circolazione del morbillo, anche tra gli adolescenti e gli adulti, sottolinea l’esigenza di considerare nuove strategie vaccinali integrative, da rivolgere a gruppi di popolazione più a rischio, primi tra tutti gli operatori sanitari.
Abstract
INTRODUZIONE
In Sicilia dal 2014 è stato istituito dall’Assessorato Regionale alla Salute il Laboratorio di Riferimento Regionale per la Sorveglianza ed il Controllo della Tubercolosi (TB), per sviluppare e integrare strumenti epidemiologici tradizionali e molecolari in una regione in cui intensi flussi migratori, insediamenti stabili frutto di pregresse migrazioni ed evoluzione demografica della popolazione autoctona compongono un complesso quadro epidemiologico.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati i flussi dei dati sanitari correnti del periodo 2010-2017, in particolare le notifiche del Sistema Informativo delle Malattie Infettive e le Schede di Dimissione Ospedaliera. Dal 2014, il Laboratorio di Riferimento ha collezionato i ceppi di Mycobacterium tuberculosis (MTB) conferiti dalle strutture ospedaliere regionali, studiandone l’antibiotico-resistenza e l’epidemiologia molecolare, attraverso la tecnica MIRU/VNTR 24 loci. È stata valutata, inoltre, per il triennio 2014-2016, l’aderenza alla terapia antitubercolare dei casi confermati, incrociando i dati della farmaceutica territoriale, dei ceppi collezionati e dei flussi sanitari correnti.
RISULTATI
In Sicilia, la percentuale di notifica di TB è cresciuta dal 38,5%, nel 2010, al 67,3%, nel 2017, con un’ampio range tra le Aziende Sanitarie Provinciali. In questo periodo, la proporzione di casi confermati in soggetti non italiani è cresciuta dal 24,7% al 63,0%. Nel periodo 2014-2018 sono stati collezionati 487 ceppi di cui 26 MDR e 2 XDR, provenienti da pazienti di 5 diverse nazionalità. La tipizzazione molecolare degli isolati ha mostrato una grande eterogeneità dei principali lineages; tra questi sono emersi 42 clonal complexes di cui, nel 2017, un cluster composto da MDRO. Relativamente alla valutazione del follow up terapeutico e in accordo con le linee guida ministeriali sul trattamento della TB, il 28,6% dei 1.426 casi confermati del triennio 2014-2016 ha concluso correttamente il ciclo terapeutico, il 13,6% ha terminato la sola “fase di attacco” di 60 giorni di terapia, il 14,2% ha interrotto la terapia prima di 60 giorni, mentre nel 42,6% non è stato possibile valutare l’esito di trattamento. Dei 10 pazienti MDR analizzati solo 6 hanno effettuato una terapia continuativa di almeno un anno.
CONCLUSIONI
In Sicilia il tasso di TB è diminuito dal 2010 al 2015 (-3,2/100.000) sia nella popolazione italiana che straniera, invertendo la tendenza dal 2016 con un tasso di + 1,4/100.000. La sotto-notifica è diminuita in valore assoluto, in particolare nella popolazione non italiana. La valutazione del follow up terapeutico va implementata alla luce della frammentarietà dei dati sanitari analizzati.
Abstract
INTRODUZIONE
La prevalenza della patologia diabetica è in aumento in tutto il mondo. Le riammissioni ospedaliere a 30 giorni sono una misura di qualità dei servizi di assistenza sanitaria e, nonostante il grande interesse sull’argomento, pochi studi si sono concentrati sul paziente diabetico. La riduzione dei tassi di riammissione porterebbe ad una diminuzione dei costi dell’assistenza sanitaria con una più appropriata gestione del paziente nel setting territoriale. Lo scopo dello studio è stato calcolare il trend delle riammissioni a 30 giorni nella regione Abruzzo dal 2006 al 2015 analizzandone i fattori associati.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati i dati relativi al flusso SDO della regione Abruzzo nel periodo 2006-2015. I tassi di riammissione ospedaliera a 30 giorni sono stati calcolati e standardizzati col metodo diretto alla popolazione residente in Abruzzo all’inizio del periodo di osservazione. I ricoveri dei pazienti diabetici sono stati identificati utilizzando il codice 250.x (ICD9-CM) e le comorbidità sono state decodificate usando la classificazione Elixhauser. È stato implementato un modello di regressione con metodo stepwise selection per valutare i fattori e le comorbidità associati al re-ricovero stratificati per fasce di età (0-44; 45-64; 65-84; ≥ 85).
RISULTATI
Nel periodo in studio sono state identificate 182.709 SDO. Il tasso di re-ricovero è aumentato del 155,7% nel decennio considerato e tale dato è risultato significativo (< 0,001). Il re-ricovero si associa a patologia neoplastica maligna (OR 4,31; IC95%: 1,78-10,43) nella fascia 0-44; a neoplasia maligna (OR 1,92; IC95%:1,57-2,34), metastatica (OR 1,59; IC95%: 1,17-2,16), a infarto acuto miocardico (IMA) (OR 1,97; IC95%:1,67-2,33), a patologia epatica moderata-severa (OR 2,17; IC95%:1,44-3,27), coma diabetico (OR 1,96; IC95%: 1,08-3,55) nella fascia 45-64; a neoplasia maligna (OR 1,39; IC95%: 1,25-1,55), metastatica (OR 1,82; IC95%:1,53-2,16), a IMA (OR 1,57; IC95%:1,41-1,75), a malattia periferica vascolare (OR 1,14; IC95% 1,02-1,29) nella fascia 65-84; a demenza (OR 1,49; IC95%:1,14-1,94), neoplasia metastatica (OR 1,66; IC95%:1,02-2,73) e coma diabetico (OR 2,22; IC95%:1,23-4,01) nella fascia ≥ 85.
CONCLUSIONI
Il tasso di re-ricovero a 30 giorni è aumentato significativamente nella regione Abruzzo nel periodo 2006-2015. La gestione del paziente con comorbidità rappresenta una sfida per la sanità pubblica. Nel paziente diabetico, programmi che implementino sia la coordinazione ospedale-territorio che le capacità di self-management dovrebbero essere migliorati per ridurre i ricoveri prevenibili e diminuire i costi ad essi associati.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi trenta anni, diversi Paesi sono stati interessati da accorpamenti di Aziende Sanitarie Territoriali deputate all’assistenza primaria: la valutazione dell’impatto e dei risultati sono sostenuti dai responsabili delle politiche sanitarie. Lo scopo della revisione sistematica è valutare se esiste un’associazione tra l’aumento della popolazione assistita dalle Aziende Sanitarie Territoriali e la performance dopo un intervento di accorpamento.
MATERIALI E METODI
Sulla base del modello PICO, è stata effettuata una ricerca bibliografica su “Medline”, “Scopus” e “ISI Web of Knowledge”. La selezione degli articoli e l’estrazione dei dati sono state effettuate da due coautori separatamente. Sono stati inclusi studi in lingua inglese che valutavano la performance mediante indicatori di qualità, processo e risultato di Aziende Sanitarie Territoriali accorpate. La qualità metodologica è stata valutata tramite il “Quality Assessment Tool for Observational Cohort and Cross-Sectional Studies” dei “National Institutes of Health” degli Stati Uniti.
RISULTATI
12/1337 articoli rispettavano i criteri di inclusione: nove provenivano dall’Inghilterra e tre dal Canada (Alberta). Sei studi erano di buona qualità, mentre i rimanenti sei erano di bassa qualità. Sono stati individuati 103 indicatori: il 59.2% non è cambiato dopo l’accorpamento, il 33.9% è migliorato in modo significativo e il 6.9% è peggiorato.
In Canada, i pazienti diabetici afferenti alle Aziende Sanitarie Territoriali accorpate presentavano un miglior controllo glicemico e minori complicanze rispetto a quelli afferenti a strutture non accorpate; in Inghilterra, i piani di cura completati e la percentuale di pazienti diabetici sottoposti a valutazione oculistica e/o che raggiungevano una combinazione di riduzione della pressione arteriosa e dei livelli ematici di colesterolo ed emoglobina glicata sono aumentati significativamente nelle Aziende Sanitarie Territoriali accorpate.
In Canada, l’accorpamento ha facilitato l’assistenza e il monitoraggio/aggiustamento terapeutico nei pazienti diabetici. In Inghilterra, l’accorpamento ha creato percezioni negative sui manager e sul personale dipendente ed è stata trovata un’associazione negativa tra le dimensioni della popolazione assistita e la disponibilità di medici per prestazioni urgenti e non urgenti.
CONCLUSIONI
I dati sugli effetti degli accorpamenti delle Aziende Sanitarie Territoriali appaiono controversi, con poche evidenze che sostengono una associazione tra l’incremento della popolazione assistita e la performance delle Aziende Sanitarie Territoriali. Sicuramente tali accorpamenti possono determinare il miglioramento dei livelli di assistenza dei pazienti con patologie croniche, come il diabete. Tuttavia, le valutazioni sull’impatto e sui risultati degli accorpamenti delle Aziende Sanitarie Territoriali devono essere correlate al contesto ed alle comunità in cui vengono effettuati.
Abstract
INTRODUZIONE
Premesse. L’aumento delle malattie croniche, registrato negli ultimi 20 anni nei Paesi occidentali, richiede un approccio di medicina proattiva con percorsi di “auto-gestione della malattia”. Implementare programmi di supporto, partendo da una visione di sanità orientata alla comunità, con azioni che facilitino le occasioni e le opportunità per il rafforzamento e il mantenimento delle capacità di autogestione da parte del paziente.
Obiettivi: educare all’autogestione della salute, per ridurre l’incidenza di patologie legate a cattivi stili di vita; eseguire screening e vaccinazioni; investire sul benessere dei giovani; rafforzare il patrimonio di pratiche preventive; rafforzare l’attenzione di gruppi fragili; considerare l’individuo in rapporto al proprio ambiente; ridurre il carico di malattia.
MATERIALI E METODI
È stata sottoscritta una collaborazione con una nota catena di supermercati, nei quali il Dipartimento di Prevenzione e delle Professioni socio-sanitarie lavorano un giorno al mese nei seguenti ambiti:
rilievo parametri vitali;
indicazioni dietetiche nelle principali patologie dismetaboliche;
screening carcinoma del colon retto, mammella, utero;
vaccinazioni;
prevenzione tabagismo;
promozione attività fisica e lotta al doping;
prevenzione incidenti domestici e stradali;
corrette abitudini alimentari nelle diverse fasce di età;
promozione sicurezza alimentare: igiene e conservazione degli alimenti;
posizionamento microchip;
Indicatori
n. partecipanti agli eventi;
n. informative screening;
n. persone monitorizzate;
n. persone con alterazione dei parametri clinici;
n. persone sottoposte a counselling motivazionale;
RISULTATI
Nelle prime 5 giornate 300 persone hanno frequentato lo stand, il 46,8 % con età superiore a 61 anni, il 69,8 % di sesso femminile, il 47 % aveva valori pressori alterati.
Tra gli aderenti agli screening il 76% era di sesso femminile.
Nella prevenzione al tabagismo, promozione attività fisica e lotta al doping 30 inteventi di counselling motivazionale ciascuno.
Questo progetto si concluderà nel mese di dicembre, pertanto i risultati degli screening, vaccinazioni, microchippatura, saranno disponibili in seguito.
CONCLUSIONI
La situazione sociodemografica ed epidemiologica della popolazione oggetto di studio, suggerisce di proporre un modello educativo che permetta alla persona di tutelare la salute nel rispetto del budget economico.
Tale obiettivo viene realizzato con un evento aperto a tutta la popolazione consistente in giornate dedicate alla salute ove si attuano programmi di prevenzione ed educazione.
La partecipazione ed i risultati ottenuti sono positivi, il progetto ha vinto il premio “Pubblica Amministrazione sostenibile” per l’ambito Alimentazione, Salute e Welfare, durante il FORUM PA 2019 “Promuovere l’innovazione sostenibile, orientare il mercato: un nuovo ruolo del government” - Roma Convention Center “La Nuvola”.
Abstract
INTRODUZIONE
L’obesità infantile è una condizione prevenibile e ne possono essere mitigati gli effetti sulla salute attraverso specifici interventi sulle abitudini alimentari dei bambini in età scolare. La scuola risulta uno dei luoghi di elezione dove mettere in atto interventi educativi rivolti ai bambini ed alle famiglie. In questo contesto prende avvio il nostro studio in collaborazione con il Comune di Modena, la Rete Città Sane e l’Azienda USL di Modena per promuovere corretti stili di vita nelle scuole primarie. Obiettivo dello studio è valutare nell’arco di 3 anni se gli interventi educativi rivolti ai bambini possano modificarne positivamente le abitudini alimentari. Qui riportiamo i risultati dell’indagine pre-post intervento sul consumo di colazione e merenda nel secondo anno di attività.
MATERIALI E METODI
Nel primo anno è stato somministrato un questionario ad hoc ai genitori dei bambini delle classi prime per raccogliere dati sulle caratteristiche socio-demografiche e sullo stato ponderale della famiglia, sulle abitudini alimentari e sull’attività fisica dei bambini. Nel secondo anno, la popolazione target è rappresentata dagli stessi bambini delle classi seconde. La valutazione pre-post intervento è stata realizzata tramite l’utilizzo di un diario settimanale da compilare in classe a cura del bambino con il supporto dell’insegnante. La rilevazione viene effettuata per una settimana prima dell’inizio delle attività educative e per una settimana al loro termine. Ogni alunno deve indicare se ha fatto colazione e se ha portato per merenda frutta, verdura, yogurt, succo di frutta o altri alimenti.
RISULTATI
Nel primo anno sono state coinvolte 15 scuole e 38 classi per un totale di 890 bambini. Dall’analisi dei questionari completi (n = 588), è emerso che la prevalenza di sovrappeso/obesità è 25,2% ed è associata al non fare colazione e merenda a metà mattina ed al consumo giornaliero di bevande gassate. Su questa base, nell’anno in corso è stato riproposto lo studio nelle stesse classi coinvolgendo direttamente i bambini nella compilazione dei diari alimentari. La rilevazione pre-intervento è terminata, mentre quella post-intervento sarà l’ultima settimana di maggio.
CONCLUSIONI
Il disegno pluriennale del progetto presenta il vantaggio di seguire la stessa popolazione nel tempo individuando i comportamenti a rischio e gli strumenti più utili ad indagare possibili modifiche nelle abitudini alimentari dei bambini. La diversificazione degli strumenti utilizzati per la valutazione ha consentito il coinvolgimento diretto sia dei genitori che dei bambini. Al termine delle rilevazioni si valuterà se ci siano stati cambiamenti positivi sul consumo di colazione e merenda.
Abstract
BACKGROUND
Nutrizione e stile di vita sono fondamentali determinanti di salute. In particolare, un intervento sulle abitudini alimentari e di attività fisica ha una grande influenza sulla prevenzione di sovrappeso e obesità, oltre alle patologie associate. Il profilo alimentare, tenuto prima e durante l’età puberale, è critico nello sviluppo dello stato di salute dell’età adulta, ed è fortemente determinato dal contesto socioculturale familiare. Per questo motivo, la scuola potrebbe rivelarsi un importante agente di promozione della salute, nella forma di corsi interdisciplinari coordinati riguardo a cibo e stile di vita. L’obiettivo dello studio è verificare l’effetto di un intervento di educazione alimentare tenuto in diverse scuole.
MATERIALI E METODI
Questo studio cross-section, originato dal progetto “sCOOL FOOD” della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, coinvolge delle scuole del Sud-Est della Toscana. Attualmente il progetto include varie classi di scuola primaria e secondaria nelle quali sono condotte campagne annuali di sensibilizzazione. Le attività consistono in lezioni frontali e laboratori tenuti da docenti di ruolo appositamente formati allo scopo. Uno stesso questionario è stato somministrato alle famiglie prima e dopo ogni campagna, esplorando abitudini alimentari, stile di vita e parametri biometrici. I dati qui analizzati sono stati raccolti a Ottobre 2017 e Maggio 2018. È stato eseguito il test di Wilcoxon sulle distribuzioni delle classi di BMI degli alunni, definite ai sensi dei cutoff IOTF, ottenute esclusivamente dai partecipanti che hanno risposto a entrambi i questionari.
RISULTATI
308 record di dati appaiati sono stati raccolti come esposto sopra. Abbiamo appurato che, dopo la campagna, la distribuzione delle classi di BMI dei bambini si è ridotta in maniera statisticamente significativa (z = -2,053; p<0,05).
CONCLUSIONI
Poiché l’intervento è stato capace di influenzare un determinante di salute dell’infanzia, potrebbe diventare un’opportunità di compensare quelle dinamiche familiari che possono portare verso svantaggi in termini di salute nell’età adulta.
Abstract
INTRODUZIONE
Il fumo è tuttora un problema di Sanità Pubblica e la prevalenza di fumatori in Italia nella fascia di età 18-69 è pari al 25.7% (2015-2018). Il Pronto Soccorso (PS) può essere un contesto ideale per la messa in atto di interventi finalizzati alla cessazione del fumo poiché la popolazione che vi accede presenta una maggiore prevalenza di fumatori rispetto alla popolazione generale; spesso inoltre tale popolazione ha un minore accesso ai servizi di promozione della salute. Il counseling breve delle 5A (ask, advice, asses, assist, arrange) si è rivelato uno strumento efficace per la cessazione del fumo quando praticato dai Medici di Medicina Generale. Non è ancora chiara la sua fattibilità ed efficacia nell’ambito del PS. Scopo dello studio è stabilirne la fattibilità ed efficacia quando praticato prosso il PS da parte dal personale infermieristico.
MATERIALI E METODI
Lo studio è un Clinical Trial Randomizzato (04/2017-04/2018, PS dell’A.O.U. Maggiore della Carità di Novara). La numerosità campionaria stimata era di 1200 persone. La popolazione in studio, previo consenso informato, è composta da maggiorenni che accedono al PS autodichiarati fumatori (criteri di esclusione: alterazioni dello stato mentale, malattie psichiatriche, codice colore rosso). A tutti i partecipanti allo studio viene proposto un questionario, autocompilato, volto a studiare l’abitudine al fumo. L’intervento è costituito da: counseling breve delle 5A, consegna di una card informativa sul Centro per il Trattamento della disassuefazione Tabagica (CTT), contatto attivo da parte del CTT. Il confronto è rappresentato dall’assistenza tradizionale. L’outcome primario è la cessazione al fumo al follow-up a 6 e a 12 mesi. Il follow-up è stato eseguito tramite questionario telefonico.
RISULTATI
Le persone arruolate sono state 480 (61.3% maschi): 218 nel braccio di controllo (45.4%) e 261 nel braccio di intervento (54.6%). L’intervento è stato effettuato (completamente o in parte) in 126 casi (48.3%). I rispondenti a 6 e 12 mesi sono stati rispettivamente 261 e 240. Ad entrambi i follow-up non si sono osservate differenze statisticamente significative nella cessazione del fumo: RR 1.10 (0.60-1.99) e 0.86 (0.50-1.47) a 6 e 12 mesi rispettivamente.
CONCLUSIONI
Lo studio non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi. Tuttavia, considerato il numero di persone arruolate rispetto alla numerosità campionaria stimata, sono necessarie ulteriori indagini. Questa esperienza ha permesso di esplorare la complessità della realizzazione di studi di questo tipo all’interno del PS, permettendo di identificare elementi passibili di miglioramento nel disegno e conduzione degli stessi.
Abstract
INTRODUZIONE
Il progetto mira soprattutto al potenziamento delle funzioni esecutive nei ragazzi, in particolare al miglioramento delle capacità di regolazione delle emozioni e dell’autocontrollo, ovvero anche l’impulsività. L’obiettivo è sviluppare competenze di base per promuovere la maturazione delle life skills, i fattori psicologici proattivi, prevenire il disagio giovanile, i disturbi del comportamento che spesso si manifestano o originano nell’età evolutiva.
MATERIALI E METODI
Il programma si è svolto nelle classi seconde delle scuole secondarie di I grado e prevede l’utilizzo di esercizi comportamentali, tecniche e pratiche contemplative semplificate per i ragazzi (es. Mindfulness). Aumento della consapevolezza che i ragazzi hanno di se, gestione dello stress, controllo dell’impulsività, senza generare dipendenza da supporto esterno, sono competenze rese efficaci da queste pratiche.
Una parte del programma d’intervento riguarda l’esplorazione, l’insegnamento e la discussione delle funzioni mentali e dei loro correlati cerebrali. Precondizione è stata la formazione degli operatori sanitari, dei docenti delle classi coinvolte, la coprogettazione e la divulgazione delle attività a genitori e stakeholder del territorio. Gli esperti esterni hanno insegnato/trasmesso le diverse pratiche attraverso 10 incontri in classe, ripetute poi dai ragazzi con docenti formati.
RISULTATI
Il risultato principale emerso da questa ricerca è che l’intervento sperimentale è risultato essere efficace nell’aumentare la capacità di inibire una risposta inadeguata ma allo stesso tempo molto disponibile (componente critica del Go-NoGo task). Tale miglioramento, però, è stato riscontrato solo nelle femmine, mentre i maschi hanno avuto prestazioni simili al gruppo di controllo.
Questo risultato è inoltre in linea con il risultato del Temporal Discounting Task, da cui risulta che a T2 il gruppo sperimentale è leggermente più propenso del gruppo di controllo a inibire la gratificazione immediata a favore di un guadagno differito di entità maggiore, e di nuovo le femmine sono state quelle a preferire questa scelta più matura rispetto ai maschi (non si è comunque ottenuta una significatività statistica).
CONCLUSIONI
Occorrono ulteriori studi per valutare la robustezza del risultato e capire perché l’intervento sia stato maggiormente efficace nelle femmine.
I dati suggeriscono che il modello d’intervento può rappresentare una promettente strategia di potenziamento delle funzioni esecutive.
Gli effetti misurati vanno nella direzione di quelli attesi dal modello di intervento, nonostante la dose di esercizi e training cognitivi e comportamentali sia stata drasticamente ridimensionata per inserirsi negli spazi limitati ottenuti per l’intervento negli orari e nella normale organizzazione della didattica.
Abstract
INTRODUCTION
Since its diffusion in the 1990s, the Internet has developed into a fully integrated component of the lives of teenagers across the globe. The continual growth in internet users, particularly among minors, reflects the increasingly mobile nature of the online environment which has revolutionized the ease with which one can go online. As the use of Internet and portable technologies by underage youth has evolved and increased over the past decades, concerns about how technology may contribute to minors becoming victims of online sex crimes, including online grooming, have also heightened. The purpose of the present literature review is to contribute to the existing knowledge base regarding the epidemiology of the online grooming process, exploring key themes and issues arising in this area.
MATERIALS AND METHODS
We conducted a review of the current literature by an initial database research of papers published since 1990. Three independent reviewers selected relevant articles, initially based on title and abstract analysis, then by full text in order to make a final determination. After the final selection, a total of 38 articles were reviewed.
RESULTS
The articles reviewed report highly heterogenous results with regards to epidemiological data, estimating a prevalence of the online grooming phenomenon between 9% and 19%. Factors influencing adolescents’ risk of being solicited, victimized or abused online included increasing age, gender, sexual minority orientation, diagnosis of mental disease, conflictual relationships with parents and risk-taking behaviors (eg. chat room and social networking site use).
CONCLUSIONS
Although the true prevalence of online grooming is not available, and data specifically regarding our country are scarce, this phenomenon, together with other forms of sexual victimization, is a significant issue among teens, particularly due to the diffusion of internet among families at global level. Thus, it is important to educate youth on responsible internet use, raising awareness on the manipulative techniques used by online predators. Seeing as the prevalence of online grooming and other forms of sexual victimization are worrisome also among the youngest minors, the above-mentioned prevention efforts should start at the earliest age and continue during adolescence.
Abstract
INTRODUZIONE
Ridurre lo stress e prevenire la depressione è una priorità per ridurre il carico di malattia globale. La depressione infatti è la principale causa di carico di malattia in tutto il mondo, rappresentando il 7,5% di tutti gli anni vissuti con disabilità nel 2015 (WHO 2017), con notevoli conseguenze individuali, sociali ed economiche.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta da Marzo 2019 a Maggio 2019 con la somministrazione di un questionario online formulato utilizzando la Perceived Stress Scale (PSS) nella formula breve a 4 items e 12 items estratti dal WHOQOL proposto dal WHO. Il questionario ha permesso di raccogliere anche informazioni anagrafiche e socio-economiche (età, stato civile, titolo di studio, professione e reddito).
RISULTATI
Hanno risposto al questionario 310 soggetti tra i 18 ed i 35 anni residenti nel sud Italia, di cui il 71% (221) femmine e i 29% (89) maschi con una età media di 23,4 anni (DS 6,8). L’82,6% ha conseguito il diploma, per il 94,2% si tratta di studenti universitari e il 52,3% ha un reddito al di sotto della media (< 25.000). Il 16% nell’ultimo mese spesso non si è sentito in grado di controllare le cose importanti della vita, il 42,6% spesso non è stato in grado di gestire i problemi personali, il 17,4% spesso ha sentito che erano tali da non poterli superare ed il 49% solo qualche volta ha sentito che le cose stavano andando bene. Il 51,9% giudica buona la qualità della propria vita, il 45,5% è soddisfatto della propria salute, il 44,2% è soddisfatto di sé stesso, il 32,6% è soddisfatto del posto in cui vive ed il 46,5% è molto soddisfatto delle proprie relazioni interpersonali.
CONCLUSIONI
Da una prima analisi dei dati si individua un livello di stress percepito generalmente alto, il campione si trova spesso insoddisfatto della propria vita, delle proprie scelte o in difficoltà nell’affrontare le problematiche quotidiane. Quando si tratta da valutare la qualità della vita la maggior parte non si ritiene né soddisfatto né insoddisfatto con una variabile frequenza delle risposte agli estremi (molto soddisfatto o molto insoddisfatto). Dividendo il campione tra maschi e femmine si è inoltre evidenziato che le donne hanno un valore di stress percepito più alto rispetto agli uomini ed hanno minore fiducia nella propria capacità di superare le avversità della vita quotidiana.
Abstract
INTRODUZIONE
Il contesto familiare in cui cresce il bambino rappresenta uno dei fattori che più influenza lo stile di vita, l’alimentazione e di conseguenza lo stato ponderale del bambino stesso. Pertanto, obiettivo di questo studio era indagare il potenziale effetto mediatore fra l’adozione di uno stile di vita salutare dei genitori (aderenza alla dieta mediterranea e praticare attività fisica almeno due volte alla settimana) e le condizioni staturo-ponderali dei figli.
MATERIALI E METODI
Il reclutamento dei genitori è stato effettuato presso le palestre frequentate dai figli per l’attività sportiva (pallavolo). Le caratteristiche socio-demografiche, l’attività fisica e l’aderenza alla dieta mediterranea, sono state raccolte attraverso un apposito questionario. L’Indice di Massa Corporea è stato usato quale indicatore di adiposità sia per le madri che per i figli, per questi ultimi la classificazione in normopeso, sovrappeso e obeso è stata effettuata adottando la metodologia proposta da Cacciari (2006). A causa della mancanza di soglie specifiche per la stima delle condizioni staturo-ponderali non sono stati presi in considerazione i bambini di età inferiore a 6 anni e i bambini sottopeso sono stati inglobati nella categoria normopeso.
RISULTATI
Hanno aderito allo studio 287 genitori (67,9% mamme) di età media pari a 41,7±7,9 anni. Il 56.1% dei genitori era diplomato e il 28,9% laureato. Il 38,5% delle mamme erano casalinghe, il 24,6% impiegate. Fumavano rispettivamente il 20,5% delle mamme e il 32,2% dei papà. Praticavano attività fisica regolarmente il 25,1% delle mamme e il 31,0% dei papà. Il 65,9% dei bambini normopeso aveva genitori normopeso. I genitori con una buona aderenza alla dieta mediterranea (34,8%) avevano più frequentemente figli appartenenti alla classe normopeso. Non sono state evidenziate differenze significative fra le condizioni staturo-ponderali dei figli di mamme che praticavano attività fisica rispetto alle mamme che non la praticano.
CONCLUSIONI
I risultati del nostro studio hanno messo in evidenza che solo un terzo della popolazione indagata aveva una buona aderenza alla dieta mediterranea e, quindi, buone conoscenze nutrizionali. Pertanto, in considerazione delle implicazioni che questo comporta anche in termini di ricaduta sui figli è auspicabile che siano implementati interventi volti al miglioramento delle conoscenze nutrizionali delle mamme per promuovere la scelta di cibi salutari e buone abitudini alimentari.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Educazione alla Salute, uno degli ambiti lavorativi dell’assistente sanitario, rappresenta un’attività rivolta alle persone sane (individui singoli e collettività), finalizzata all’acquisizione di nuove conoscenze in grado di modificare atteggiamenti e comportamenti inerenti la salute. Si è realizzato un progetto sull’alimentazione rivolto a bambini di età dell’asilo nido ed ai loro genitori e/o caregivers.
MATERIALI E METODI
È stata contattata un’Associazione privata di Roma che gestisce una sezione per bimbi di età 12-36 mesi. Dopo aver ricevuto informazioni sull’eterogeneità delle abitudini alimentari dei bambini, sulle attività ludiche svolte dagli stessi al di fuori delle ore trascorse nella sezione nido, è stato proposto un progetto durato da settembre 2018 ad aprile 2019 che prevedeva attività differenziate. Con i bambini (n. 12) e le educatrici (n. 4) sono stati realizzati laboratori sugli alimenti in particolare sulle forme, i colori ed i sapori del cibo e sui processi di trasformazione. La cadenza è stata settimanale. Ai genitori, ed alle altre tipologie di caregiver (baby sitter, nonni, parenti) sono stati proposti incontri mirati sull’alimentazione, sui significati nutrizionali e relazionali. Si è approfittato anche per tenere un incontro dimostrativo sul primo soccorso e sulla disostruzione delle vie aeree.
RISULTATI
I bambini, spinti dalla curiosità visiva, olfattiva e tattile, hanno iniziato ad avere un rapporto diverso con il cibo e gli appuntamenti nutrizionali quotidiani: colazione, merenda, pranzo e cena. Così come, attraverso I’aspetto ludico dei laboratori, hanno realizzato che esistono passaggi di trasformazione dell’alimento in qualcosa di diverso nella forma. nel colore e nel gusto.
Gli incontri dedicati ai genitori e/o a chi svolge il ruolo di caregiver ha creato uno spazio in cui acquisire nozioni sull’alimentazione basate su evidenze scientifiche, ma soprattutto uno spazio di confronto e condivisione tra adulti di esperienze e difficoltà legate all’alimentazione dei bambini. Ciò ha favorito un processo di revisione delle abitudini o di routine scorrette che nel tempo sono state sostituite da altre molto più salutari e soprattutto condivise con gli altri genitori ed in continuità con il contesto educativo.
CONCLUSIONI
L’Educazione alla Salute e la promozione di stili di vita salutari possono essere proposti fin dalla primissima infanzia. Nei contesti educativi si possono realizzare attività, rivolte sia ai bambini che ai loro genitori con l’obiettivo di prevenire malattie legate alla cattiva alimentazione ed allo scarso movimento fisico.
Abstract
INTRODUZIONE
L’importanza delle vaccinazioni durante la gravidanza, come atto di prevenzione primaria sicura ed efficace sia per la madre sia per il nascituro, è riportata nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019, ulteriormente enunciata nella circolare ministeriale del 7 agosto 2018, e divulgata attraverso documenti condivisi dalle principali società scientifiche che operano in campo perinatale e di sanità pubblica, associazioni professionali e associazioni di cittadini. Lo scopo del presente studio è quello di indagare le conoscenze, le convinzioni e i comportamenti degli operatori sanitari che seguono la donna durante l’età fertile, la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino, in materia di prevenzione vaccinale e salute materno-infantile.
MATERIALI E METODI
Il Gruppo di Lavoro “Vaccinazioni” della Consulta degli Specializzandi della SItI indagherà attraverso un questionario le conoscenze e i comportamenti riguardo l’importanza della salute materno-infantile, comprese le vaccinazioni in gravidanza. Il questionario sarà validato e sottoposto ad approvazione del Comitato Etico; verrà successivamente somministrato online e in forma anonima a ostetriche, assistenti sanitari, ginecologi, medici di medicina generale, pediatri e igienisti, ed altri professionisti che operano per la tutela della salute materna ed infantile. Nella fase di arruolamento è previsto il coinvolgimento della Consulta degli Operatori della SItI.
RISULTATI
L’indagine porterà ad una stima della adesione del personale sanitario alle raccomandazioni fornite nei documenti ministeriali e divulgate da diverse società scientifiche, non solo per quel che riguarda le vaccinazioni in età fertile e in previsione di una gravidanza, ma anche durante il periodo di gestazione.
CONCLUSIONI
I risultati permetteranno di ottenere una più precisa stima delle conoscenze e attitudini del personale sanitario e valuteranno l’opportunità di successiva realizzazione di eventi formativi rivolti agli stessi operatori sanitari, con l’obiettivo di colmare l’eventuale gap conoscitivo e ribadire l’importanza delle vaccinazioni come sicuro ed efficace strumento di prevenzione in questa particolare condizione di vita.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione anti-papillomavirus (HPV) risulta essere offerta attivamente e gratuitamente in più di 60 Paesi dal 2006 ad oggi, sebbene i dati sul burden della patologia, dopo 10 anni dall’introduzione della stessa, sono ancora limitati in letteratura internazionale.
L’obiettivo principale del presente studio è stato quello di valutare l’andamento delle ospedalizzazioni delle patologie HPV-correlate nei primi dieci anni dopo l’introduzione della vaccinazione universale anti-HPV in Regione Sicilia.
METODI
È stato condotto uno studio osservazionale che ha analizzato le SDO siciliane dal 2007 al 2017. I codici diagnostici ICD-9-CM utilizzati per quantificare le patologie HPV correlate sono stati: 078.11 (Condiloma acuminato), 140.0-149.9, 195.0, 230.0, 235.1 (tumori distretto testa-collo), 154.2-154.8, 230.5-230.6 (tumori anali), 180.0-180.9, 233.1,622.1,654.6,795.0-795.1 (tumori cervicali), 184.0-184.8 (cancri genitourinari: vagina, labbra, clitoride) e 187.1-187.9,233.5 (tumori penieni). Inoltre, per migliorare la sensibilità della stima, sono stati aggiunti i codici di intervento: 67.2 (conizzazione cervice), 67.32 (demolizione lesione della cervice mediante cauterizzazione), 67.33 (demolizione lesione della cervice mediante criochirurgia). In accordo con i dati di letteratura, la percentuale di patologie correlabili al papillomavirus sono: 88% dei tumori anali, 50% dei tumori penieni, 26% dei tumori della testa e del collo, 77% dei tumori del tratto genitourinario femminile, 100% del cancro della cervice e verruche genitali.
RISULTATI
In totale si sono verificati 43.531 ospedalizzazioni per patologie HPV-correlate in Sicilia. Per le patologie della cervice si sono verificati un totale di 30.430 ricoveri con un tasso di ospedalizzazione medio di 106 per 100.000 e con una diminuzione da 167 a 63 casi per 100.000 (APC = 9.95%). L’età mediana è pari a 45 anni (IQR 36-54), con un trend in incremento dai 43 anni del 2007 ai 47 del 2017. Il tasso di ospedalizzazione per le forme invasive della cervice si è ridotto del 56% nella fascia d’età ≥ 35 anni, rispetto ad una riduzione dell’8% tra le donne < 35 anni. Il tasso di ospedalizzazione per le patologie della cervice non invasive si è ridotto dell’87% nella fascia d’età 15-24 anni, del 69% nella fascia 25-34 anni e del 66% nella fascia 35-44 anni.
Tra le altre patologie HPV correlate, l’orofaringe (APC = 9,1) ed il pene (APC = 4,8) sono quelle che diminuiscono più velocemente.
CONCLUSIONI
La riduzione dei tassi di ospedalizzazione per patologie HPV-correlate della cervice uterina e l’incremento dell’età mediana al momento del ricovero potrebbero essere associabili ad un iniziale effetto dei programmi di prevenzione primaria (vaccinazione) e secondaria (screening) implementati negli ultimi 10 anni in Regione Sicilia.
Abstract
INTRODUZIONE
La donna che abita in montagna vive in un ambiente fisico, sociale e familiare che condiziona i suoi tempi di vita e lavoro e può influenzare anche il suo stile di vita e la sua salute cardiovascolare.
MATERIALI E METODI
Si sono confrontati gli stili di vita ed i fattori di rischio cardiovascolare della popolazione femminile residente in zone montane e di pianura dell’Azienda ULSS 7 Pedemontana utilizzando le interviste PASSI 2007-2017. Per la classificazione dei Comuni montani si è fatto riferimento alla definizione dell’ISTAT.
RISULTATI
Le donne (n = 672) che risiedono in montagna e nelle valli prealpine mostrano più frequentemente un cattivo stato di salute psicologica rispetto a quelle che vivono in pianura (n = 2.799). In particolare, le donne di mezza età (35-49 anni) fumano di più (23% vs 17%), sono più frequentemente in eccesso ponderale (34% vs 26%) o francamente obese (11% vs 7%), mentre non mostrano differenze apprezzabili rispetto al livello di attività fisica ed al consumo di frutta e verdura. Queste donne hanno anche una prevalenza più elevata di ipertensione (43% vs. 37%), ipercolesterolemia (25% vs 15%) e diabete (NSS). Infine, esse accedono allo screening cervicale in maniera ottimale (91%) e del tutto identica alle donne di pianura.
CONCLUSIONI
È opportuno estendere questa osservazione ad altre Aziende e Regioni, valutando anche le possibili strategie di intervento territoriale integrato da parte di medici o operatori delle professioni sanitarie appositamente formati (cure primarie, vaccinazioni, screening oncologici). In sede locale lo screening cervicale offre un setting interessante per valutare congiuntamente gli stili di vita e lo stadio motivazionale e per proporre un programma di cambiamento dello stile di vita della donna.
L’azione settoriale sanitaria va considerata in un contesto più ampio di promozione della salute della comunità, cui le donne possono contribuire in maniera rilevante.
Abstract
INTRODUZIONE
Sebbene diversi studi abbiano indagato il ruolo della dieta quale fattore di rischio e/o protettivo nei confronti del cancro alla tiroide, sia considerando singoli alimenti che gruppi di alimenti, i risultati non sono coerenti. Scopo dello studio era indagare la relazione fra le abitudini alimentari e il rischio di carcinoma tiroideo.
MATERIALI E METODI
I casi e i controlli sono stati reclutati presso l’AOU “G. Rodolico” di Catania. Le abitudini alimentari dei partecipanti allo studio sono state indagate tramite il questionario sugli Stili di Vita validato dall’Osservatorio Epidemiologico dell’Istituto Superiore di Sanità. La frequenza di consumo delle diverse tipologie di alimenti è stata riportata tramite una scala a 4 livelli (mai, 1 volta a settimana, 2–3 volte a settimana, 6 volte a settimana), infine le tipologie di alimenti sono state raggruppate come di seguito riportato:
gruppo 1: pane, pasta, riso;
gruppo 2: biscotti, brioches, snack confezionati, cibi pronti e salse;
gruppo 3: cavolo, broccoli, cavolfiore, rucola, soia, spinaci, lattuga;
gruppo 4: legumi, cereali, verdure e frutta;
gruppo 5: carni rosse, uova, salumi, latte, formaggi freschi e stagionati;
gruppo 6: pesci, molluschi e crostacei.
Modelli di regressione logistica sono stati utilizzati per stimare gli ORs e i loro intervalli di confidenza al 95% aggiustati per età e IMC. L’analisi statistica dei dati è stata condotta usando il programma IBM SPSS Statistics 21.0.
RISULTATI
Sono stati diagnosticati 106 casi (91,2% CA tipo papillare) e 217 controlli. È stato confermato l’incremento del rischio di CA tiroideo all’aumentare dell’IMC (OR: 1,085; IC 95% = 1,022-1,152). Un maggior consumo di carboidrati complessi (pane, pasta, riso ecc.) comportava un incremento del rischio (ORadj: 2,324; IC 95%: 1,364-3,960). I soggetti che dichiaravano di avere un basso consumo di legumi, cereali, patate, frutta e verdura avevano un rischio doppio (ORadj: 2,285, IC 95%: 1,330-3,926). Il consumo di dolci si riduceva con l’età (Rho:-0,445, n = 318, p = 0,000), però a parità di età i casi avevano un consumo maggiore dei controlli, con un consumo più elevato nella classe di età fra 39 e 52 anni.
CONCLUSIONI
I risultati di questo studio confermano in generale un ruolo delle abitudini alimentari sul rischio di cancro tiroideo, e spingono a studiare ulteriormente il possibile effetto combinato di diversi nutrienti al fine di chiarire i meccanismi che associano la dieta al rischio di cancro alla tiroide.
(Questa ricerca è stata finanziata dal Piano di Ricerca Interdipartimentale 2016/2018 del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Tecnologiche Avanzate “ G.F. Ingrassia”, numero 5C722012104).
Abstract
INTRODUZIONE
Un sistema di monitoraggio clinico-epidemiologico è fondamentale per migliorare la qualità delle cure, aumentando l’aderenza alle più aggiornate linee guida basate sull’evidenza e riducendo la variabilità nel percorso diagnostico-terapeutico, ed evitare al tempo stesso l’utilizzo improprio delle risorse. In Italia, attualmente, non esiste un set di indicatori di qualità (IQ) di riferimento per il melanoma.
L’obiettivo del nostro lavoro è la definizione e il calcolo di IQ tratti dalla letteratura per valutare la qualità dell’assistenza per il melanoma in Umbria e offrire uno strumento di monitoraggio e di governo del percorso diagnostico-terapeutico.
MATERIALI E METODI
A seguito di una revisione della letteratura, è stato definito un set preliminare di IQ sulla base delle linee guida AIOM ed ESMO. Per ciascuno degli IQ identificati, è stata effettuata una valutazione di fattibilità in base ai dati disponibili nel Registro Tumori Umbro di Popolazione in merito a diagnosi e trattamento chirurgico del melanoma. Attraverso la selezione di campioni casuali è stato effettuato un controllo di validità degli IQ.
RISULTATI
Nel 2014 sono stati diagnosticati 233 nuovi casi di melanoma cutaneo. Il 60,1% erano melanomi sottili, mentre il 15,8% presentavano metastasi linfonodali o sistemiche alla diagnosi. In almeno il 94% dei referti erano segnalati spessore di Breslow, presenza/assenza di ulcerazione, presenza/assenza di mitosi, stato dei margini, numero dei linfonodi asportati; la presenza/assenza di regressione era segnalata nel 67.4% dei casi. Il 20,5% delle biopsie escissionali sono state effettuate con margini < 2 mm. Le riescissioni presentavano margini tra 1 e 2cm nel 10.9% dei melanomi T1-T2 e margini ≥ 2 cm nel 78.3% dei melanomi T3-T4. La biopsia del linfonodo sentinella e la linfadenectomia sono state eseguite rispettivamente nel 56.1% e 94.6% dei casi ritenuti appropriati, con linfonodi positivi rispettivamente nel 27.6% e 33.3% dei casi. La mediana per il tempo di attesa tra prima biopsia e referto anatomopatologico era 14 giorni e tra referto della prima biopsia diagnostica e riescissione 31 giorni.
CONCLUSIONI
Poiché la chirurgia gioca un ruolo primario nel trattamento dei melanomi cutanei, standardizzazione e qualità sono prerequisiti imprescindibili per un approccio chirurgico efficace e per una lunga sopravvivenza libera da malattia dei pazienti. L’analisi dei processi attraverso il monitoraggio di IQ deve diventare parte integrante della valutazione dei servizi oncologici, dando impulso allo sviluppo di una cultura clinica basata sull’evidenza e alla strutturazione di un percorso diagnostico-terapeutico dedicato.
Abstract
BACKGROUND
Neuromedin U is a hypothalamic neuropeptide with several functions, considered to be a potential therapeutic target for obesity and diabetes mellitus. The aim of this study was to analyse the association between epigenetic and genetic variants in genes encoding Neuromedin U pathway proteins and cardiovascular risk, in Italian adults from the general population recruited for the Moli-sani study.
METHODS
A case-cohort design nested in the Moli-sani cohort study was used. A subcohort of 1,146 subjects (mean ± SD age 55.3 ± 11.7 years; men 47.7%) was randomly selected from the whole study population (n = 24,325; recruitment years 2005-2010, Molise Region). All CVD events occurred during a median follow-up of 4.3 years (n = 534 validated myocardial infarctions or strokes; 5.1:1,000 person-years), were selected as case group. Biobank samples were used to genotype 14 single nucleotide polymorphisms (SNPs) in the genes NMU (encoding for Neuromedin U), NMUR1 and NMUR2 (receptors) and NMS (Neuromedin S). Methylation levels at 17 CpG sites of two NMU regions (promoter and intergenic) were measured using pyrosequencing. The laboratory analyses are on-going. The associations between SNPs (codominant model) or methylation sites (z-scores) and fatal or non-fatal CVD events were calculated (hazard ratios - HR, adjusted for age, sex, BMI, blood pressure, glucose, lipid levels and CVD history) using SAS software. Multivariate analyses (backward elimination) were performed and a score was computed using beta estimates of risk variants associated with the events at p < 0.1.
RESULTS
Laboratory tests for a subsample of 394 subjects (subcohort, with 12 CVD events occurred in 5.6 years; 5.4:1,000 person-years) and 41 CVD events (case group) were available for this preliminary analysis. Three SNPs (NMU rs62310886, NMUR1 rs3769987 and rs6754952) and three NMU CpG sites (CpG 3 and CpG 4 of 32 region, CpG 8 of 76 region) showed a statistically significant association with CVD (p from < 0.0001 to 0.037), independently from CVD risk factors. A total of eight genetic and epigenetic biomarkers were associated with the events at p < 0.10 and were included in the score. The HR for 1 score SD was 5.84 (95% CI: 3.17-10.76). A HR of 4.01 (95% CI: 2.37-6.78) was found comparing the 3rd vs the 1st tertile of the score.
CONCLUSIONS
Italian adults carrying epigenetic and genetic variants in genes from the NMU pathway are at increased CVD risk. The association independent from classical risk factors suggests a potential clinical application for NMU biomarkers when added to current algorithms for CVD risk assessment.
Abstract
INTRODUZIONE
La mortalità evitabile (ME) rappresenta la quota di decessi che avviene in età precoce (0-74 aa) per cause contrastabili con interventi di sanità pubblica o misure di assistenza sanitaria. Scopo del lavoro è stato elaborare un Piano strategico aziendale di intervento per la riduzione della ME individuando le azioni prioritarie locali sulla base dei dati epidemiologici e socio-sanitari dell’azienda.
MATERIALI E METODI
È stato costituito un gruppo di lavoro aziendale con Dirigenti del Dipartimento di Prevenzione, dei Sistemi Informativi Sanitari e del Distretto; strumenti operativi utilizzati sono stati: i dati epidemiologici correnti del Dipartimento di Epidemiologia Regione Lazio “Stato di Salute Lazio”, il data base del Re.N.Ca.M. sulla mortalità generale (2014-2016) ed il profilo di salute dalle sorveglianze aziendali di popolazione Okkio alla Salute, Passi e HBSC Lazio. Il numero dei morti evitabili è stato quantificato utilizzando i criteri adottati in Italia dai gruppi di lavoro ERA e MEV, mutuati dalla letteratura internazionale.
RISULTATI
Nella ASL Roma2 nel triennio 2014-2016 si sono registrati circa 1.900 decessi evitabili l’anno, la ME rappresenta circa il 16% della mortalità totale e nel 60% dei casi è a carico del sesso maschile. Il 51% della ME è legata a neoplasie, il 27% a malattie cardio-vascolari, il 10% a traumi ed avvelenamenti. Un preliminare confronto dei tassi standardizzati aziendali di prevalenza e incidenza con i valori regionali, evidenzia criticità aziendali per alcune patologie: prevalenza BPCO (114 vs 107), incidenza Neoplasia mammella (174 vs 153), incidenza Neoplasia polmonare (71 vs 65). In termini di prevalenza/incidenza si evidenziano, a livello Distrettuale, criticità specifiche secondo un grading articolato su due livelli in base ad uno scarto rispetto ai valori regionali. Stili di vita non corretti sono diffusi almeno nel 30 % della popolazione e sono più frequenti nei nuclei familiari con basso livello di istruzione e che riferiscono difficoltà economiche.
CONCLUSIONI
Pur considerando i limiti intrinseci di una stima puntuale dei dati ed i possibili bias in un processo di inferenza, è stato possibile identificare delle priorità nella programmazione di interventi di prevenzione primaria e secondaria e di miglioramento dell’assistenza sanitaria strutturati in un Piano Strategico aziendale di contrasto della mortalità evitabile, che tenga conto delle specifiche criticità dei diversi Distretti, articolato in obiettivi generali, obiettivi operativi ed azioni corredati da indicatori per la valutazione, nel prossimo biennio, di processo e, laddove possibile, di esito.
Abstract
INTRODUZIONE
È ormai noto che lo screening del carcinoma del colon-retto abbia un importante impatto sulla riduzione dell’incidenza e della mortalità. I fattori predittivi di partecipazione all’esame di I livello dello screening per carcinoma del colon-retto (sangue occulto nelle feci) sono stati ampiamente analizzati, mentre ha ricevuto minore attenzione l’adesione alla successiva colonscopia diagnostica. L’obiettivo dello studio è andare ad identificare i determinanti socio-demografici che incrementano il rischio di mancata adesione all’esame di II livello.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio trasversale utilizzando il database dell’Area Vasta 2 dell’ASUR Marche. Sono stati inclusi tutti i pazienti risultati positivi al test di I livello nel biennio 2017-2018, di cui è stata valutata la successiva aderenza alla colonscopia diagnostica. Le differenze tra i gruppi sono state valutate mediante test del chi-quadro. Il livello di significatività è stato fissato a 0,05. È stato poi costruito un modello di regressione logistica multivariata con cui sono stati ottenuti gli Odds Ratio (ORs) aggiustati ed i relativi intervalli di confidenza (IC) al 95%.
RISULTATI
Sono stati inclusi 2.738 pazienti risultati positivi al test di I livello. La non aderenza alla colonscopia è stata complessivamente del 30,13%% (IC 95% 28,41-31,89). Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative in base al sesso [M = 24,30% (IC 95% 24.01-28.79); F = 26,35%(IC 95% 22.05-26.70)] (p > 0.05), alla nazionalità [Italiani 25,41% (IC 95% 23,73-27,14); Stranieri 23,84% (IC 95% 17,29-31,44)] (p > 0.05), al Paese di origine, relativamente agli stranieri, utilizzando la Classificazione OCSE basata sul livello medio di reddito pro capite (p > 0.05), e alla Zona Territoriale di Appartenenza (p > 0.05). Sono poi state considerate 4 fasce di età (50-54;55-59;60-64;65-69) ed è stata osservata una riduzione dell’adesione nei pazienti più anziani, in particolar modo nella fascia 65-69 anni (29,15% IC 95%25,9-32,51%)(p < 0.05),risultato poi confermato anche dalla regressione logistica in cui tale fascia presenta un OR per la non adesione di 1,38 (IC 95% 1,08-1,76) rispetto alle fasce più giovani incluse nello screening.
CONCLUSIONI
Il principale determinante correlato statisticamente alla non adesione al test di II livello è l’età avanzata, mentre non si riscontrano differenze significative per i determinanti socio-economici (Nazionalità, Zona di residenza). Occorre quindi definire e mettere in atto idonee strategie educative di prevenzione rivolte ai soggetti più anziani. A tale scopo l’UOC Screening dell’AV2 ha già avviato nel 2019 un programma di promozione della salute che prevede incontri con i cittadini, tenuti da medici e assistenti sanitari presso vari Circoli ricreativi per anziani, allo scopo di sensibilizzare all’importanza degli screening oncologici.
Abstract
INTRODUCTION
Between August 2016 and October 2016, a series of earthquakes hit Central Italy causing important damages and over 11.000 people evacuees Previous reports have shown that, after natural disasters, glycemic control of diabetic patients deteriorates. After a disaster, in absence of guidelines, there could be an access to medical facilities, medications limited, leading to a worsening of diabetes and its comorbidities. With our study, based on 73 diabetic patients followed between 2016 and 2018, we wanted to evaluate how they, after a training by the Diabetes Centre of Camerino Hospital, responded to these events, and how their condition was affected.
METHODS
We analyzed the glycosylated hemoglobin, triglycerides, total cholesterol, HDL and LDL cholesterol parameters before the earthquake, after 3-6 months and after two years. Being the diabetic therapy, an important factor influencing our results, we decided to analyze how each patient’s therapy changed during the study period, if it was modified in any way (increase/decrease of the dose) or if it remained the same.
RESULTS
Many of 73 diabetic patients had to evacuate their houses because of the damages and find another accommodation (hotels and camping along the coast). The 75% are males and the remaining 25% females, 11% of them are aged between 38 and 59, 58% are aged between 60 and 79 and 28% are aged between 80 and 92. Even if a significant statistical association with the paired Student’s t-test (at p < 0.05) has not be showed for all parameters before and after earthquake, the 45% of patients had their therapy changed with an increase in the dose, the 44% had their therapy unvaried and the 11% had their therapy changed with a decrease of the dose.
CONCLUSIONS
Considering all the results, we can see that there is maintenance of the values. Observing that also the Glycosylated Hemoglobin is not worsened in a group of diabetic patients following a life-changing event such as a serious earthquake, means that they were followed and treated with alacrity and professionalism by the hospital. We know that diet and physical exercise are fundamental for diabetes, but the therapy is, of course, the most important support for these patients.
Given the results of our study, and in collaboration with the Hospital of Camerino, we tried to elaborate a guideline on how to support and instruct diabetic patients in these delicate and difficult situations, to avoid a degeneration of their state.
Abstract
INTRODUZIONE
Le stime di numerosità delle popolazioni sono fondamentali in epidemiologia poiché permettono il calcolo di misure di frequenza e di rischio. Vi è tuttavia il sospetto che stime di popolazione poco accurate possano influenzare differenze tra i tassi di incidenza osservati in periodi diversi. Obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’impatto che potrebbe avere la variabilità della numerosità di popolazione, legata a stime potenzialmente inaccurate, sui tassi di incidenza tra anni consecutivi.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati dati ISTAT che hanno incluso per il 2002-2015 stime di popolazione ottenute dai bilanci demografici comunali e per il 2002-2011 stime intercensuarie, ottenute sulla base della ricostruzione della popolazione tra i censimenti 2001 e 2011. Per la simulazione, sono stati considerati gli anni dal 2011 al 2014. Per ogni anno (“anno indice”), si sono calcolati casi fittizi di outcome applicando tassi di incidenza fissati arbitrariamente (da 1/100.000 a 1.000/100.000) ed il numero di casi riscontrato nell’anno indice è stato utilizzato come numeratore per l’anno successivo. Per ciascun confronto tra anni consecutivi, si sono calcolati i rischi relativi (RR) e IC95%.
RISULTATI
Dal 2002 al 2011 il confronto annuale tra dati di ricostruzione intercensuale e dati comunali evidenzia una notevole discrepanza tra le due fonti, pari a 1.261.752 residenti. Nel 2012 si è registrata una diminuzione della popolazione in tutte le regioni italiane (da – 4,0% per il Lazio a – 0,73% per il Trentino-Alto Adige) mentre nel 2014 tutte le regioni hanno registrato un aumento della popolazione che va dal + 5,6% (Lazio) a + 0,38% (Basilicata). La simulazione ha evidenziato che con tassi di incidenza > 100/100.000 sia nel 2012 che nel 2014, a parità di casi rispetto all’anno indice, si sono ottenute differenze significative sia per l’Italia che per molte regioni italiane.
CONCLUSIONI
La simulazione condotta in questo studio sembra confermare che, quando si valutano malattie con tassi di incidenza > 100/100.000, si possono trovare differenze significative imputabili ad inaccuratezza nella stima della numerosità della popolazione. Va notato che l’ISTAT ha chiarito che, tra il 2011 e il 2014, la variabilità delle dimensioni della popolazione potrebbe essere attribuibile ad alcune discrepanze tra dati del censimento e popolazione legale dei comuni. Il presente studio evidenzia pertanto che negli studi epidemiologici l’attenzione rivolta all’accertamento dell’accuratezza del numeratore non può essere considerata sufficiente a garantire stime accurate quando i denominatori sono fluttuanti e potenzialmente inaccurati.
Abstract
INTRODUZIONE
La situazione nutrizionale e le abitudini alimentari sono importanti determinanti della salute. Scopo del nostro studio è stato quello di investigare possibili associazioni tra i disordini alimentari e la presenza di alcuni fattori di rischio precoci e tardivi.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio osservazionale da marzo a aprile 2019, attraverso la somministrazione a individui tra i 18 e i 35 anni di entrambi i sessi, di un questionario online ad hoc basato sul KIDMED test e specificatamente disegnato per la ricerca di informazioni anagrafiche, determinanti sociali e abitudini di vita (alimentazione del soggetto, attività fisica) e sfera emotivo-relazionale. Le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando il software R.
RISULTATI
È stato analizzato un campione di 310 giovani (età media di 22,88 ± 6,50 anni). Il campione è stato stratificato in relazione al BMI: grave magrezza (6,43%), visibilmente (6,75%) e leggermente sottopeso (6,43%), normopeso (53,38%), sovrappeso (19,29%) e obeso (5,79%). Dall’analisi dei dati socio economici emergono dei tratti in comune tra soggetti con deficit e eccesso ponderale: sesso femminile, livello di istruzione secondario, basso reddito e familiarità per deficit nutrizionali nei soggetti sottopeso e per eccesso ponderale nei soggetti sovrappeso/obesi. La valutazione del profilo alimentare mostra ulteriori similitudini: fin dall’infanzia emergono abitudini scorrette come saltare la prima colazione o altri pasti nella giornata e lo scarso consumo di frutta/verdura che persistono nella vita adulta. Valutando il KIDMED test si evince uno score < 3 rispettivamente nel 36% dei sottopeso, 32% dei sovrappeso/obesi e 18% dei normopeso. Tratto distintivo tra i due gruppi è il diverso consumo di cibo spazzatura preponderante negli obesi e assente negli altri; i primi, inoltre, consumano i propri pasti nell’ambiente familiare mentre i secondi insieme ai propri amici. Entrambi i profili ponderali si associano all’incapacità di controllare alcuni aspetti della propria vita, all’ insicurezza e all’ insoddisfazione personale, economica e a problematiche nelle relazioni interpersonali. Infine, differente è il livello di attività fisica svolto maggiormente dai soggetti con deficit nutrizionali e/o normopeso e moderatamente dai soggetti con eccesso ponderale.
CONCLUSIONI
I disordini alimentari sono un problema attuale e importante: il mondo affronta una epidemia di obesità, specie in paesi ad alto reddito per cui il monitoraggio continuo nella popolazione generale e interventi atti a modificare i comportamenti individuali rappresentano misure fondamentali di prevenzione; dall’altra parte la sotto-nutrizione colpisce soprattutto le giovani generazioni dove essere magri è simbolo di realizzazione estetica e di successo.
Abstract
INTRODUZIONE
In Europa e Nord America, il melanoma è il secondo tumore più comune negli uomini e il quarto tumore più comune nelle donne tra 20 e 39 anni e il sesto tumore più comune in entrambi i sessi di tutte le età. I tassi di incidenza del melanoma cutaneo maligno sono aumentati costantemente negli ultimi decenni, sia in Europa che negli Stati Uniti. Questa malattia è quindi un importante problema di salute pubblica con rilevanti implicazioni economiche. Il presente studio è volto ad accertare se il livello d’istruzione dei pazienti sia associato allo stadio alla diagnosi del melanoma ed alla relativa sopravvivenza e ai costi diretti sostenuti per la presa in carico dei pazienti.
METODI
Sono stati presi in considerazione 599 casi di melanoma diagnosticati nel 2015 in quattro province della Regione Veneto, identificati e stadiati dal Registro Tumori del Veneto. È stata valutata la sopravvivenza a tre anni di questi pazienti. Inoltre sono stati calcolati i costi diretti entro un anno dalla diagnosi, secondo la prospettiva del Servizio Sanitario Nazionale italiano, includendo i costi sanitari diretti relativi alle seguenti prestazioni: ricoveri, accessi in pronto soccorso, degenze in hospice, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, apparecchiature mediche. Diverse tecniche di analisi multivariata sono state applicate a seconda della natura della variabile dipendente.
RISULTATI
Un maggior livello d’istruzione è risultato essere associato ad uno stadio più basso di melanoma alla diagnosi (OR 0,39; IC 95%: 0,17-0,85). Il modello di regressione di Cox ha rivelato che lo stadio alla diagnosi è l’unica variabile significativamente associata alla sopravvivenza a 3 anni. Infine, anche aggiustando per lo stadio alla diagnosi, è emerso che i pazienti con un più alto livello d’istruzione hanno costi diretti più bassi dei pazienti con livelli d’istruzione inferiori.
CONCLUSIONI
Lo stadio alla diagnosi è associato al livello di istruzione, e a parità di stadio, un livello d’istruzione inferiore è associato a costi diretti più alti. Questo studio suggerisce l’importanza di campagne di promozione della salute indirizzate alla popolazione, anche allo scopo di ridurre le diseguaglianze di salute e di accesso ai servizi determinate dai diversi livelli di istruzione.
Abstract
INTRODUZIONE
Il mesotelioma è una neoplasia fortemente associata all’esposizione ad amianto.
Dal 2003 è attivo in Umbria il Centro Operativo Regionale (COR) del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) che raccoglie informazioni sull’esposizione all’amianto dei malati di mesotelioma maligno (MM) attraverso indagini anamnestiche svolte da medici dei Servizi Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL.
Scopo del lavoro è analizzare tra i residenti dell’UslUmbria1 la mortalità per MM e descrivere l’eventuale esposizione ad amianto dei malati di mesotelioma stesso.
MATERIALI E METODI
Mortalità per MM dal Registro Nominativo delle Cause di Morte (ReNCaM) nel quinquennio 2012-2016. Analisi dell’esposizione ad amianto dei malati di mesotelioma segnalati dal COR nel periodo 2003-2018, applicando i criteri del ReNaM. Confronto con i dati regionali e nazionali pubblicati nel VI rapporto ReNaM (anni 1993-2015).
RISULTATI
Dai dati ReNCaM emerge che tra i residenti dell’USLUmbria1 il tasso st. di mortalità x 100.000 per MM nel 2012-2016 è 3,32 per i maschi e 0,6 per le femmine. I dati sono in linea con quelli medi regionali.
È stato possibile valutare 81 dei 105 casi di MM segnalati dal COR dal 2003 al 2018. Prevale il sesso maschile (81,5%), l’età media alla diagnosi è 70,1 anni (64,5 femmine; 71,4 maschi). Per il 97% la diagnosi risulta certa. La localizzazione è prevalentemente pleurica (89%), 9% peritoneale, 1 caso nella vaginale del testicolo e 1 splenico. L’87% dei casi è risultata esposta ad amianto, 76% professionalmente (vs 86,8% Umbria e 69,3% nazionale). L’11% ha presentato esposizione non professionale (vs 4,6% Umbria e 10,8% nazionale).
L’esposizione professionale è avvenuta principalmente in edilizia (36,6%) così come in Italia, dove la stessa rappresenta invece il 15,5%. Tra le altre esposizioni, le più frequenti sono state nell’industria della lavorazione minerali non metalliferi (8,3%) e nella produzione di energia elettrica (6,7%), che a livello nazionale pesano rispettivamente per l’1,2% e l’1,6%. Seguono quelle nel settore delle trasformazioni alimentari, in metalmeccanica, in metallurgia, nella difesa, ciascuna pari al 5%. Settori tradizionalmente ad alto rischio, quali industria del cemento-amianto e riparazione di rotabili ferroviari, hanno riguardato singole unità.
CONCLUSIONI
L’analisi dei dati disponibili è coerente con il quadro nazionale e regionale oltre che con il tessuto produttivo del territorio. La valutazione dell’esposizione fornisce un contributo all’individuazione delle strategie preventive sull’amianto, accrescendo le conoscenze sulla distribuzione locale del rischio, sulle popolazioni lavorative esposte e su i settori a maggior criticità.
Abstract
INTRODUCTION
It was estimated that ~570,000 women developed cervical cancer and 260,000 died in 2018. Human Papillomavirus Virus (HPV) infection is associated with the occurrence of pre-malignant and malignant cervical lesions. The high HPV-related morbidity and mortality rates have been affected by the implementation and scale-up of national vaccination programs, early diagnosis, and appropriate clinical management. However, an increased 2-year risk of recurrence (5%-10%) was shown in patients who underwent a surgical intervention. Aim of the present study was to evaluate the recurrence rate in patients immunized with HPV vaccine one month before or after a loop electrosurgical excision procedure (LEEP) for cervical intraepithelial neoplasia (CIN1-3).
METHODS
It was carried out an observational retrospective, monocentre study. 503 women with a diagnosis of cervical dysplasia and treated with a LEEP intervention between January 2012 and October 2018 were consecutively enrolled in the University Hospital of Sassari, Italy. Only 285 were considered for the current analysis owing to a follow-up of at least 24 months. HPV vaccination was offered to patients following the recommendations of the national immunization program.
RESULTS
Individuals exposed to HPV vaccine were significantly younger (median [IQR]: 41 [36-49] vs 37.5 [30-45]; p value = 0.0004). 182 (63.9%) and 103 (36.1%) women were and were not immunized, respectively. No differences were found in terms of margins of resection. Recurrence was diagnosed in 30 women (13.3%): 17 (16.5%) were vaccinated and 13 (7.1%) were not vaccinated (p value = 0.01). The majority of cervical recurrences (19/30, 63.3%) were severe (CIN2/3) lesions. Logistic regression analysis showed that HPV vaccination was the only protective covariate for recurrence occurrence (OR = 0.4; p value = 0.02).
CONCLUSIONS
The administration of HPV vaccine immediately before or after LEEP significantly reduced the risk of recurrence by ~60%. Based on its observational nature, confounding factors (e.g., severity of the lesions at baseline, type of HPV vaccine, HPV genotype, etc.) could have biased the findings of the study. Experimental studies, based on randomized, and well-balanced designs, are needed and could confirm the preventative role of HPV vaccines.
Abstract
L’approccio multidisciplinare e multiprofessionale nella gestione dello scompenso cardiaco è altamente raccomandato dalle linee guida nazionali e internazionali per il miglioramento della qualità della vita e della prognosi.
Nell’AUSL di Reggio Emilia è attivo dal 2016 un PDTA dedicato ai pazienti affetti da scompenso cardiaco stadio C, che prevede un approccio integrato territoriale ed ospedaliero. Nelle fasi di stabilità il paziente è seguito a livello ambulatoriale con il coinvolgimento integrato di Medici di Medicina Generale (MMG), specialisti e Infermieri della Cronicità (IC). Nelle fasi di instabilità può essere invece necessaria un’assistenza più intensiva, ospedaliera o domiciliare. I professionisti coinvolti utilizzano un gestore informatico (GPA), che facilita la comunicazione e la continuità dell’assistenza.
Scopo del presente lavoro è valutare, attraverso dati estrapolati dal GPA, alcuni indicatori di processo, che permettano di analizzare il grado di implementazione del percorso e l’effettiva presa in carico da parte del MMG e dell’IC dei pazienti arruolati.
Dal 2016 al 31/03/2019 i pazienti arruolati nel percorso sono stati 372, con un trend positivo negli anni dei nuovi arruolamenti; la copertura dei Nuclei di Cure Primarie (NCP) è quasi completa, con 282 MMG formati su 321 totali. Dei MMG formati, 156 (55%) risultano avere almeno un assistito arruolato nel percorso. Tuttavia, solo 107 di questi (70%) sono attivi sul GPA; il restante 30% in parte non è ancora abilitato per motivi tecnici, in parte è reticente all’utilizzo dello strumento.
Sul totale dei pazienti arruolati, la quota di quelli presi in carico da parte del MMG, tramite chiamata attiva entro le tempistiche previste dal PDTA e refertati sul GPA, è circa il 66%, mentre raggiunge quasi il 100% la quota di pazienti presi in carico con le stesse modalità da parte dell’IC.
I risultati evidenziano un’ottima performance della figura dell’IC nella presa in carico attiva del paziente. Il dato è confermato anche dagli stessi pazienti che, nel corso di un Focus Group eseguito alcuni mesi dopo l’attivazione del PDTA, si sono dichiarati soddisfatti, soprattutto in relazione al prezioso lavoro svolto dall’infermiere di aggancio e supporto nelle varie fasi del percorso.
Anche la presa in carico da parte del MMG, considerati i tempi tecnici per l’entrata a regime dei nuovi NCP formati, appare soddisfacente.
Tuttavia, ulteriori sforzi devono essere fatti per incentivare l’identificazione degli assistiti candidabili e l’invio allo specialista per l’arruolamento e soprattutto per promuovere l’utilizzo dello strumento informatico, quale elemento essenziale per il buon funzionamento del PDTA.
Abstract
INTRODUZIONE
L’osteoporosi comporta un aumentato rischio di frattura per traumi anche minimi. Il 23% delle donne di oltre 40 anni e il 14% degli uomini con più di 60 anni sono affetti da osteoporosi. Dati e stime della situazione europea mostrano che il numero di fratture nelle donne aumenterà da 300.000 nel 2000 a quasi 800.000 nel 2050. “Persistenza” e “Aderenza” alla terapia sono presupposto fondamentale per l’efficacia di quest’ultima. Obiettivo dello studio era stimare la compliance nelle donne in post-menopausa in trattamento farmacologico per la prevenzione primaria e secondaria delle fratture osteoporotiche.
MATERIALI E METODI
Sono state reclutate 36 donne in post-menopausa, tra i 45 e 80 anni in trattamento per osteoporosi. “Aderenza”, “persistenza”, “motivazioni della non aderenza” e i possibili “predittori” sono stati valutati tramite il questionario ADEOS insieme alla domanda “Ha mai interrotto la terapia di sua iniziativa?”.
RISULTATI
L’età mediana delle donne intervistate era pari a 70 anni (IQR 61-75). Le pazienti che vivevano con la famiglia aderivano alla terapia più frequentemente (78,6%) di quelle che vivevano da sole (21,4%). Inoltre, tra le aderenti alla terapia il 39,3% dichiarava di avere un titolo di studio pari alla licenza media inferiore. Valutando la “persistenza” alla terapia, è stata evidenziata una difficoltà ad assumere la terapia con costanza legata a scelte autonome o dimenticanze. Il 50% delle donne con una bassa aderenza alla terapia ha risposto “abbastanza” alla domanda “La mia terapia per l’osteoporosi è importante per la mia salute”, questo dato era associato ad una carenza di informazione e di consapevolezza sull’importanza della terapia stessa, a differenza della quasi totalità delle donne con una aderenza ottimale o sub-ottimale che si è dimostrata conscia dell’importanza della terapia.
CONCLUSIONI
Tale studio ha dimostrato come una paziente aderente alla terapia sia una donna tendenzialmente attenta alla propria salute, pertanto, incentivare programmi di educazione alla salute che possano migliorare la comprensione della diagnosi e puntare sulla qualità della comunicazione medico-paziente potrebbe essere una strategia ottimale per il miglioramento del livello di aderenza e persistenza alla terapia prescritta.
Abstract
INTRODUZIONE
La Borragine (Borago officinalis L.) è un’erba spontanea annuale comunemente consumata da numerose popolazioni: in Germania viene utilizzata nella preparazione della salsa di Francoforte, a Creta e in Italia (Liguria) per la preparazione di ravioli, in Spagna viene servita con patate. La Borragine è usata anche nella medicina tradizionale, per le sue proprietà diuretiche ed espettoranti, nel trattamento della sindrome premestruale, del raffreddore, dell’influenza, della bronchite, dell’artrite reumatoide e dell’infiammazione renale. Come integratore viene consigliata per aumentare la produzione di latte. Malgrado questo ampio uso, nessun trial clinico scientificamente valido ha supportato le attività sopraelencate.
Al contrario, numerosi studi hanno indicato che la specie è ricca in alcaloidi pirrolizidinici, metaboliti secondari con riconosciute attività epatotossiche, genotossiche e citotossiche. Altri studi hanno, invece, messo in evidenza interessanti proprietà antiossidanti, probabilmente ascrivibili all’elevato contenuto in composti fenolici.
Con il presente lavoro si vuole contribuire a definire il profilo di sicurezza della Borragine. A tale scopo sono state eseguite prove in vitro di citotossicità e genotossicità di estratti acquosi di parti aeree della pianta, comunemente utilizzate a scopo alimentare o per la preparazione di tisane e integratori.
MATERIALI E METODI
Le prove sono state condotte utilizzando cellule umane di derivazione epatica (HepG2) che esprimono enzimi di fase I e fase II.
Dopo raccolta, essiccazione e frantumazione, 2g di B. officinalis L. sono stati posti in infusione con acqua calda (100°C) per 5, 15 e 30 minuti. Gli infusi sono stati filtrati, liofilizzati e la polvere è stata risospesa nel terreno di coltura delle HepG2. Le cellule sono state trattate per 4 ore con concentrazioni scalari dell’estratto acquoso; la vitalità cellulare è stata analizzata attraverso la colorazione con DAPI e Arancio di Acridina, mentre la genotossicità è stata valutata utilizzando il test della cometa.
RISULTATI
I risultati hanno evidenziato una spiccata citotossicità solo alla dose più alta saggiata (50 mg/ml): nelle prove condotte con gli estratti ottenuti dopo 30 minuti di infusione la vitalità delle HepG2 è risultata di poco inferiore al 40%. Relativamente alle prove di genotossicità, solo la più alta dose saggiata (25 mg/ml), indipendentemente dai tempi di infusione, è risultata marcatamente genotossica.
CONCLUSIONI
Nelle condizioni sperimentali applicate, i risultati mostrano che concentrazioni non citotossiche di estratti di B. officinalis L. risultano in grado di provocare danno al DNA. Sono necessari ulteriori studi per meglio caratterizzare il profilo tossicologico della Borragine.
(Finanziato dal PSR per l’Umbria 2014/2020).
Abstract
INTRODUZIONE
Il cambiamento climatico è uno dei più importanti problemi a livello globale ed esercita un forte impatto sulla salute pubblica. La correlazione tra cambiamento climatico e salute pubblica è una questione che preoccupa tutta la comunità scientifica e richiede un approccio interdisciplinare. Tuttavia, la necessità di intervenire sul cambiamento climatico a volte contrasta con le politiche nazionali e locali, con la formazione dei professionisti coinvolti e con l’educazione dei cittadini. Per fare fronte a queste sfide, la “Consulta Specializzandi” della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) ha deciso di creare uno specifico Gruppo di Lavoro.
MATERIALI E METODI
Gli obiettivi principali sono la formazione degli specializzandi e degli operatori di salute pubblica sul tema cambiamento climatico, la divulgazione dell’argomento nella SItI e la creazione di reti interdisciplinari col fine di promuovere ed estendere le attività del gruppo. L’obiettivo secondario è lo sviluppo di uno studio col fine di identificare il divario tra evidenze scientifiche, raccomandazioni e linee guida e le politiche europee, nazionali e locali, con l’obiettivo di promuovere ricerche bottom-up e buone pratiche nella gestione del cambiamento climatico.
RISULTATI
Il gruppo è stato creato nel gennaio 2019; le attività sono iniziate in marzo. In primo luogo sono state definite le priorità e le modalità lavorative. Successivamente sono state analizzate le evidenze scientifiche ed è stata promossa l’auto-formazione sul legame tra ambiente e cambiamento climatico e sull’impatto di quest’ultimo sulla salute pubblica e individuale. Infine, attraverso la partecipazione a workshop ed eventi scientifici, si è dato inizio all’attività formativa rivolta ad altri specializzandi e professionisti di salute pubblica e alla creazione di reti con altre società scientifiche, centri di ricerca e accademie straniere, col fine di promuovere la ricerca internazionale, il sostegno e la comunicazione tra le diverse istituzioni riguardo le relazioni tra cambiamenti climatici e salute pubblica.
CONCLUSIONI
Il gruppo ha già parzialmente raggiunto i suoi obiettivi principali, in particolare aumentando la sensibilizzazione e la formazione sul cambiamento climatico e le problematiche correlate. Ulteriori attività consentiranno di rafforzare le reti interdisciplinari e di passare agli obiettivi secondari.
Abstract
INTRODUZIONE
La corretta alimentazione è fondamentale ed il cibo non è solo nutrimento ma parte integrante della terapia stessa. Ad affermarlo sono le linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera ed assistenziale del 2011. La ristorazione ospedaliera deve dunque divenire un momento di cura per il paziente e di educazione per i dipendenti che accedono a mensa.
MATERIALI E METODI
L’ospedale ha avviato nel 2017 un processo di cambiamento che ha riguardato la reingegnerizzazione della cucina, la standardizzazione delle procedure operative impiegate nell’ attività produttiva, la ricerca di una qualità sensoriale oltre che igienico sanitaria, il monitoraggio del grado di soddisfazione del consumatore, la riduzione del consumo di plastica.
L’analisi ed il cambiamento della ristorazione collettiva nella nostra struttura sono stati conseguiti grazie al lavoro multidisciplinare delle varie Funzioni Ospedaliere L’obiettivo perseguito è stato quello di fornire qualità anche attraverso la mensa ospedaliera ed il vitto offerto ai pazienti.
RISULTATI
Dal monitoraggio del gradimento del servizio di ristorazione rivolto alle famiglie si è registrato un incremento della percentuale di soddisfazione dei pazienti di circa il 18% tra il 2018 e l’anno precedente. Lo stesso trend si è riscontrato dai controlli sul vitto svolti nei reparti con il coinvolgimento delle dietiste e del personale sanitario dell’U.O. selezionata.
Anche il servizio di ristorazione aziendale ha registrato un buon gradimento secondo i dati dell’indagine interna condotta. Di fatto per gli items inerenti all’aspetto qualitativo è stato rilevato un 41% di soddisfazione; un 40% di soddisfazione media ed un 19% di insoddisfazione. Per l’aspetto quantitativo invece il 3% degli utenti ha ritenuto abbondanti le porzioni somministrate; il 75% le ha ritenute adeguate, mentre sono risultate scarse dal 22% degli intervistati. In riferimento all’aspetto organolettico il cibo offerto è stato ritenuto idoneo per il 68%, troppo condito per il 10% e poco condito per il 22%.
La scelta di sostituire i materiali monouso con quelli riutilizzabili ha prodotto un notevole impatto greenIn mensa la produzione di plastica è scesa di un 70%, mentre in cucina dove permane l’uso della plastica per particolari situazioni, la riduzione del consumo di plastica è comunque calato di un 80%.
In generale dunque emergono alcuni punti di forza delle scelte aziendali perseguite sebbene persistano aree di miglioramento.
CONCLUSIONI
Quanto realizzato sulla sede ospedaliera può essere esteso ad altri presidi nell’ottica di un processo di standardizzazione del servizio offerto e quindi di equità.
Abstract
INTRODUZIONE
L’isola di Murano, in Venezia centro storico, è conosciuta in tutto il mondo per la sua famosa e unica Ciascun maestro del vetro ha una “ricetta segreta” che contiene, a parte la materia prima principale come sabbia silicea, agenti di fusione, stabilizzanti, agenti raffinanti e diversi minerali con la funzione di coloranti, in alcuni casi contenenti metalli e metalloidi critici dal punto di vista tossicologico.
Lo studio illustra l’approccio messo in atto per tenere sotto controllo i determinanti di salute e migliorare la qualità ambientale dell’isola, compromessa a causa delle ricadute su suoli e atmosfera delle emissioni delle produzioni del vetro artistico attive nell’isola da centinaia di anni.
MATERIALI E METODI
Viene illustrato il percorso seguito dagli Enti e dai Servizi della Sanità Pubblica per affrontare la complessa situazione ambientale presentata dall’isola, a partire dalla raccolta ed analisi degli elementi conoscitivi inerenti lo stato delle matrici ambientali, in particolare aria e suoli, in relazione alla diffusione delle fonti di pressione attive sull’isola. Si passa quindi ad una disanima delle conseguenti iniziative messe in atto al fine di migliorare la qualità ambientale dell’isola.
Un particolare ruolo viene svolto in questo campo dall’applicazione dell’obbligo di autorizzazione secondo REACH all’impiego di Ossidi dell’Arsenico nella produzione del vetro, che ne ha comportato la completa conseguente dismissione dell’impiego nel settore. Le azioni di informazione e coinvolgimento delle parti interessate e le iniziative di controllo sviluppate in ambito REACH hanno comportato la messa a punto di buone pratiche di collaborazione tra enti e imprese.
RISULTATI
Gli esiti del complesso delle attività congiunte messe in atto hanno consentito il miglioramento della qualità dell’aria al 99% per il parametro Arsenico, il quale presenta ora valori di concentrazione inferiori agli obiettivi di qualità, ma rimangono ancora elementi di preoccupazione per quanto attiene la concentrazione del Cadmio aerodisperso nell’atmosfera dell’isola, fenomeno in merito al quale sono in corso attività di controllo e ricerca mirate. La sorveglianza epidemiologica della popolazione prosegue con lo studio SEI in atto in tutto il territorio della ex ULSS 12 Veneziana.
CONCLUSIONI
Lo studio riveste interesse per la comunità degli igienisti perché prende in considerazione e approfondisce diversi argomenti e buone pratiche inerenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico e la gestione ambientale al fine della tutela della salute e dell’ambiente tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate.
Abstract
INTRODUZIONE
La produzione, l’utilizzo e lo smaltimento come rifiuto dei prodotti a base di plastica determinano l’immissione nell’ambiente di “parti/frammenti” di questi prodotti. Il termine microplastiche identifica, tra questi, le particelle e le fibre più piccole. L’inquinamento da microplastiche è presente nei mari, nelle acque dolci, nei suoli, nei pesci e mammiferi e negli alimenti. Esso rappresenta, pertanto, un fattore di rischio ambientale non trascurabile per la salute dell’uomo e della fauna. Lo scopo dello studio è valutare il grado di conoscenza e consapevolezza in un campione di studenti delle Professioni Sanitarie in relazione al tema “inquinamento da microplastiche”, per poter valutare il grado di preparazione dei futuri operatori sanitari verso una problematica emergente di sanità pubblica evidenziando le loro esigenze di informazione, formazione e aggiornamento sulla specifica problematica.
MATERIALI E METODI
La popolazione oggetto dello studio è rappresentata da 117 studenti delle Professioni Sanitarie. È stato elaborato un questionario di 13 domande, sulla base della letteratura scientifica di settore. Il questionario è strutturato in 3 parti: 10 domande preliminari, seguite da un opuscolo informativo e da altre 3 domande. Le informazioni sono state poi codificate e inserite in un database per l’elaborazione statistica.
RISULTATI
Il primo preoccupante risultato è che solo il 10,2% dei partecipanti ha sentito parlare “SPESSO” del problema microplastiche e il 65,9% ha reperito informazioni tramite internet. Più di un terzo del campione valuta le proprie conoscenze rispetto al tema microplastiche come nullo e identifica “I fenomeni fisici (attrito e disgregazione) dei materiali in plastica immessi nell’ambiente come rifiuti o presenti nei reflui civili e industriali” come primo fenomeno all’origine delle microplastiche.
La preoccupazione sul tema microplastiche della popolazione oggetto di studio, rispettivamente prima e dopo la lettura dell’opuscolo informativo, è risultata in media pari a 6 e a 8.
Inoltre, circa un terzo degli studenti indica la risposta “Informare la popolazione sulla problematica delle microplastiche” come principale intervento per risolvere il problema.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti mostrano una diffusa disinformazione e una scarsa percezione del problema da parte degli studenti delle Professioni Sanitarie. Sarebbe auspicabile realizzare interventi di didattica formativa adeguata e aggiornata, che colmi le lacune riscontrate. Tali interventi risultano fondamentali per introdurre nel mondo del lavoro personale sanitario competente e in grado, quando necessario, di intraprendere politiche preventive di informazione sulla popolazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel 2015, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha classificato la carne rossa come “probabilmente cancerogena per l’uomo” e la carne processata come “cancerogena per l’uomo”. Obiettivo del presente studio è stato quello di valutare le abitudini alimentari e le conoscenze relativamente alle carni rosse e alle carni processate tra le persone che frequentano le palestre, e di individuare fattori sociodemografici e abitudini sportive che fossero in grado di influenzarle.
MATERIALI E METODI
Nel 2018 è stata condotta un’indagine cross-sectional in 20 palestre della città di Torino. In totale sono stati raccolti 298 questionari, composti da 48 items. I dati sono stati analizzati attraverso regressioni lineari e regressioni logistiche. Il livello di significatività è stato fissato a p ≤ 0.05.
RISULTATI
Il campione ha un BMI medio di 22.9 ± 3.3 ed è rappresentato per il 54% dal genere femminile. L’età media è di 37. ± 14.5. Il 56.6% del campione dichiara di essere a dieta, e la motivazione riportata più frequentemente è “rimanere in salute” (41.4%). Il consumo medio settimanale di carne rossa e processata è rispettivamente di 240.6 g ± 436 e 106. g ± 157.9. Il 64.16% del campione pratica sollevamento pesi. Solamente il 55.7% del campione ritiene che nitriti e nitrati di sodio/potassio possano essere cancerogeni.
Il genere femminile (coef. – 150.64, p = 0.026) e il praticare sport anche fuori dalla palestra (coef. – 147.81, p = 0.012) sono associati negativamente al consumo di carne rossa, mentre il praticare attività agonistica è associato positivamente (coef. 279.61, p = 0.002). Il consumo di bevande alcoliche (OR = 1.13, p = 0.011) è associato positivamente alla probabilità di assumere più di 700 g di carne rossa a settimana. I soggetti che dichiarano di praticare sport per mantenersi in salute hanno una minore probabilità di rispondere erroneamente alla domanda relativa alla cancerogenicità di nitriti/nitrati di sodio e potassio (OR = 0.30, p = 0.043).
CONCLUSIONI
Poiché la cura dell’alimentazione ha un ruolo importantissimo nella salute pubblica appare necessario attivare campagne informative sul territorio nazionale in modo da prevenire uno scorretto ed eccessivo consumo di carne rossa e processata, specialmente nei gruppi a rischio come la popolazione che si allena in palestra.
Abstract
INTRODUZIONE
La prevalenza della popolazione vegana/vegetariana, in Italia, è in costante aumento. I dati Eurispes 2019 in Italia identificano il 5,4% di vegetariani e l’1,9% di vegani nella popolazione. Non si hanno riferimenti certi riguardo l’età pediatrica. L’indagine conoscitiva ha inteso identificare la prevalenza di bambini V/V in Calabria.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto a mezzo di questionari anonimi, a risposta multipla, volti a conoscere le abitudini alimentari della popolazione target. Sono stati reclutati 1.283 genitori, nelle scuole e nei reparti pediatrici ospedalieri, di una popolazione di età compresa tra i 3 ed i 18 anni. Il numero totale degli intervistati è pari a 5.183.
RISULTATI
La percentuale di popolazione vegetariana che rispetta i criteri di inclusione è risultata pari allo 0,25%; rapporto M:F uguale 2:1, età media 11 anni. Tra di essi i vegani rappresentano lo 0,1%.
La concentrazione maggiore di V/V si localizza nella città di Catanzaro, capoluogo di regione, piuttosto che nelle altre province.
Tutti i V/V risultati allo studio sono figli di genitori anch’essi V/V.
Lo studio ha evidenziato un dato serendipity, ovvero la presenza di due casi di fenilchetonuria
CONCLUSIONI
In Calabria la prevalenza di bambini V/V è risultata essere minore rispetto ad altre regioni.
Solamente il 76% dei bambini V/V fa supplementazione vitaminica.
Il 64% della totalità di genitori intervistati dichiara di non aver condizionato le scelte alimentari dei propri figli, di non seguire le indicazioni dietetiche del PLS e di avvalersi di informazioni sull’alimentazione ricavate dai social: internet/media, altre.
Abstract
INTRODUZIONE
Diversi autori hanno ipotizzato che la presenza nel latte vaccino di testosterone, 17β-estradiolo e progesterone possa influenzare i processi di insorgenza e progressione di tumori ormono-sensibili, come quello alla mammella e alla prostata, costituendo un rischio per i consumatori. Tuttavia, l’entità con la quale queste molecole sono presenti nel latte, e l’attività biologica che ne consegue, può dipendere da diversi fattori, tra cui l’alimentazione della vacca e la tipologia di allevamento.
MATERIALI E METODI
In questo studio è stata valutata, in una linea cellulare umana di adenocarcinoma mammario (MCF7), la capacità di modificare la distribuzione del ciclo cellulare da parte di sieri di latte proveniente da quattro diverse tipologie di allevamento: allevamenti intensivi; allevamenti che fanno uso di insilati; allevamenti che non fanno uso di insilati; allevamenti che producono latte fieno biologico. Ogni campione è stato saggiato alle seguenti dosi, espresse in percentuale rispetto al volume totale di trattamento: 2,5%; 5,0%; 7,5%; 10,0%; 20,0%. Valori di p < 0,05 sono stati considerati indice di differenze statisticamente significative.
RISULTATI
Il trattamento con latti da allevamenti intensivi, allevamenti che non utilizzano insilati e latte fieno produce una riduzione statisticamente significativa delle cellule in fase Sub-G1 rispetto al controllo solvente (acetato di sodio, pH = 7,4). Le concentrazioni più basse dei latti prodotti senza insilati (2,5%) e del latte fieno (2,5% e 5%) producono, inoltre, un incremento significativo della percentuale delle cellule in fase G0-G1 rispetto al solvente.
Confrontando tra loro le diverse tipologie di latte, emerge che nei campioni trattati con latte fieno la concentrazione più alta determina un incremento significativo di cellule in fase G0/G1, e un decremento significativo di cellule in fase S rispetto ai campioni trattati con latte da allevamenti che utilizzano insilati. Il latte fieno induce, inoltre, una riduzione significativa della percentuale di cellule in fase S (concentrazioni 7,5% e 20,0%) rispetto al latte da allevamenti che non fanno uso di insilati.
CONCLUSIONI
In conclusione, il trattamento con latti prodotti con diverse tecniche di allevamento può condurre a differenze significative nella distribuzione del ciclo cellulare delle cellule MCF7. In particolare, il latte fieno si evidenzia come la tipologia che ha mostrato le più interessanti attività biologiche, determinando un blocco pre/post-replicativo del ciclo cellulare.
(La ricerca è stata finanziata da Alce Nero S.p.A.).
Abstract
INTRODUZIONE
Le normative in costante evoluzione impongono alle organizzazioni sanitarie adeguamenti strutturali degli ambienti per il rispetto dei requisiti, determinando la frequente presenza di cantieri. Evidenze di letteratura pongono particolare attenzione al contenimento delle polveri nelle fasi del cantiere interno all’ospedale, con particolare attenzione alla dispersione di spore di Aspergilluss spp. Solo alcune analizzano le condizioni microclimatiche, la possibile contaminazione della rete idrica (a seguito di ristagno) e l’efficacia della sanificazione delle superfici a seguito di lavori.
L’obiettivo dello studio è stato quello di redigere ed attuare un protocollo di sorveglianza ambientale nelle aree sottoposte a cantiere presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS (FPG).
MATERIALI E METODI
Nella FPG dal 2017 ad oggi, sono stati attivati 10 cantieri presso i reparti di degenza, gli ambulatori ed i blocchi operatori.
I monitoraggi ambientali sono stati effettuati al termine delle attività cantieristiche, prima della ripresa delle attività assistenziali ed in conformità alle procedure aziendali.
La sorveglianza della rete idrica ha previsto il monitoraggio ambientale di campioni idrici per la ricerca di Legionella spp. (A2) e Pseudomonas aeruginosa (A3).
I parametri microclimatici (M1) monitorati sono quelli dei requisiti per le strutture sanitarie della Regione Lazio (Allegato C del D.C.A. 8/2011 e s.m.i.)
La verifica di un’eventuale contaminazione sulle superfici (C3) è stata effettuata secondo le Linee Guida HPA (UK, 2010) per il parametro della carica batterica totale (CBT).
RISULTATI
Dei 50 campioni di acqua calda sanitaria analizzati (A2), 3 sono risultati positivi per la presenza di Legionella pneumophila (6%).
Il prelievo per A3 è stato effettuato su 81 campioni di acqua fredda prelevati dai rubinetti. Di questi, 30 sono colonizzati da Pseudomonas aeruginosa (24.3%).
Delle 142 superfici campionate, 3 (4.3%) sono risultate superiori al limite di Accettabilità (LA) per CBT.
I 37 ambienti monitorati per M1, sono risultati conformi ai requisiti richiesti.
Sono stati emanati dei pareri con indicazione di misure correttive da effettuare sia per quanto concerne la rete idrica (iperclorazione, disincrostazione, disinfezione e/o sostituzione dei terminali) sia per quanto riguarda la corretta sanificazione delle superfici attraverso la formazione del personale.
CONCLUSIONI
L’applicazione di specifiche procedure aziendali evidence based ha permesso una continua sorveglianza ambientale dei cantieri, permettendo una verifica dell’efficacia degli interventi tecnici adottati. Il monitoraggio ambientale risulta, un adeguato strumento di sorveglianza indispensabile per l’individuazione dei potenziai rischi derivanti dalla presenza di cantieri e per valutare l’efficacia delle misure di contenimento indicate.
Abstract
INTRODUZIONE
L’11-12-2018 il SISP della ASL ROMA 1 è stato allertato per partecipare alla gestione della emergenza per un incendio nell’impianto Trattamento Meccanico Biologico (TMB) Salario, dove si provvede al trattamento di rifiuti indifferenziati per separare cartone, legno e plastica (sopravaglio) dalla parte umida (sottovaglio) destinata alla trasformazione nella FOS (Frazione Organica Stabilizzata). L’impianto può accogliere e trattare rifiuti per un massimo di 234 mila tonnellate all’anno (750 tonnellate al giorno
MATERIALI E METODI
Si è preceduto all’esame delle relazioni di servizio e dei verbali delle riunioni svolte e delle comunicazioni ufficiali intercorse tra gli enti coinvolti nell’emergenza, nonché ai risultati delle rilevazioni ambientali effettuate dall’ARPA Lazio, per ricostruire quanto avvenuto e procedere ad un’analisi critica della gestione dell’emergenza con particolare attenzione al ruolo svolto dal SISP.
RISULTATI
Operatori del SISP sono intervenuti sul luogo dell’incendio, dove era stata convocata una “unità di crisi” con esponenti degli enti coinvolti, ed hanno proceduto al controllo delle zone residenziali circostanti. Non sono pervenute né dai cittadini né dai P.S. degli ospedali segnalazioni di irritazione e/o infiammazione delle vie aeree o della cute. I dati delle rilevazioni delle centraline di rilevamento più vicine hanno attestato il rapido rientro nei limiti di concentrazione media giornaliera previsti per il particolato aerodisperso (PM 10). I dati orari dei parametri di biossido di azoto, monossido di carbonio, biossido di zolfo e benzene misurati durante l’evento, sono risultati in linea con quelli misurati nelle giornate precedenti e al di sotto dei limiti di legge. La situazione relativa ai Micro Inquinanti Organici (DIOSSSINE IPA e PCB) ha mostrato un aumento dei valori misurati dal campionatore posto nelle immediate vicinanze dell’impianto (30 metri dall’epicentro), mentre invece i valori, registrati dai rilevatori posti a maggiore distanza hanno rilevato per le diossine e i furani dello stesso ordine di grandezza del valore guida definito dal WHO.
CONCLUSIONI
Nel coso dell’evento non si sono evidenziate situazioni e/o condizioni di esposizione ambientale meritevoli di specifici provvedimenti per la tutela della salute, tuttavia si è registrata una situazione di notevole preoccupazione e ed allarme sociale nella popolazione residente nelle adiacenze dell’impianto Si evidenza che la mancanza di specifiche disposizioni, indicazioni o linee guida, a livello regionale o comunale, per la gestione e il coordinamento di simili situazioni emergenziali, ha creato disguidi ed incertezze operative, e soprattutto ha ostacolato e ritardato una adeguata e tempestiva azione di comunicazione ed informazione alla popolazione
Abstract
INTRODUZIONE
Il cioccolato è da sempre apprezzato per il suo sapore gradevole e per gli effetti benefici sulla salute (attività antipertensiva, antinfiammatoria, antitrombotica, metabolica, prebiotica) mediati dalla componente lipidica e antiossidante (polifenoli, in particolare flavonoidi). Mancano, ad oggi, studi integrati sulla composizione di un determinato cioccolato e le specifiche caratteristiche organolettiche, cinetiche e sintomatologiche a livello gastrointestinale.
Scopo dello studio è valutare le caratteristiche organolettiche, gli effetti sulla motilità e i sintomi gastrointestinali in una coorte di soggetti sani testati con cioccolato e pasto standard.
METODI
È stato utilizzato cioccolato fondente al 70% contenente lipidi 42% (principalmente burro di cacao: 33% acido oleico, 33% acido stearico, 25% acido palmitico), carboidrati 36,5%, fibre 9,4%, proteine 8,7%. Sono stati arruolati 9 soggetti sani normopeso (BMI: 21,9 ± 1,86; età 25,5 ± 2,24). Al giorno 1 è stato eseguito uno studio delle percezioni organolettiche con scale semiquantitative (1-5) per caratteristica visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e tattile. Successivamente, per lo studio ecografico della motilità gastrointestinale (svuotamento gastrico e colecistico) e del tempo di transito oro-cecale (OCTT) con BreathTest-H2 lattulosio, venivano somministrati in due giorni diversi randomizzati due pasti isovolumetrici isolipidici: a) Nutridrink 200 ml (12 g grassi, 300 Kcal) + lattulosio 15 ml; b) 28,6 g di cioccolato (12 g grassi, 167 Kcal) + lattulosio 15 ml. Contestualmente venivano monitorati i principali sintomi gastrointestinali durante le 3 ore di osservazione (Visual Analogue Scale): senso di ripienezza, sazietà, meteorismo, nausea, dolore/bruciore restrosternale (reflusso acido), dolore addominale, n. di evacuazioni e caratteristiche dell’evacuato (Bristol Stool Scale).
RISULTATI
Gli scores organolettici hanno evidenziato apprezzamento per colore e lucentezza (4 ± 0,5 e 3,5 ± 1), “snap” alla rottura (4.0±0,5), sentore di cacaoso e tostato (4±0,5 e 3±0,3), liscio e vellutato sulla lingua (4 ± 0,5 e 3,5 ± 0,2) e amaro (3,5 ± 0,5) al gusto. I due pasti, pur isolipidici/isovolumetrici, avevano effetto diverso: il cioccolato induce una contrazione della colecisti ridotta e lenta rispetto al pasto standard (volume residuo 10,1 ± 2,5 ml vs 7,2 ± 1.6; T50 53,4 ± 12,4 vs 18,5 ± 2,9 min). Per lo stomaco, i dati sono risultati sovrapponibili tra i due pasti. L’OCTT era più lento con cioccolato rispetto al pasto standard (90 ± 10 vs 65 ± 9 min). Nessuno dei pasti causava un significativo incremento dei sintomi esaminati.
CONCLUSIONI
Una modica quantità di cioccolato fondente, oltre ad essere apprezzato, ha un discreto effetto cinetico sulla colecisti e sul transito intestinale, senza alterare la cinetica gastrica. Ulteriori studi sono necessari al fine di individuare possibili applicazioni in ambito sanitario, come per le patologie metaboliche.
Abstract
INTRODUCTION
The study was aimed to assess the association between protein intake and physical performance in a general Italian population sample.
METHODS
Researchers investigated the association between the participants’ dietary information and their physical performance using the six-minute walking test and the distance walked in meters (6MWD) as main outcome measure. Information on dietary intake was collected using the validated European Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) Food Frequency Questionnaires (FFQ). Then, daily intake of energy and macronutrients were estimated by means of the NAF software (Nutritional Analysis of FFQ). Linear regression models were used to evaluate the associations between vegetable, animal and total protein intakes and the 6MWD. The models were adjusted for socio-demographic features, total fats and available carbohydrate intakes.
RESULTS
The participants were 223 subjects (57% females) aged between 23 and 68 years. After adjusting for all the potential confounders, there was a significant increase of 20.0 (95% CI 0.8; 39.2) meters in the distance walked for an increase in 10 g/day of vegetable proteins and non-significant variations of – 1.8 (95% CI – 9.3; 5.7) meters for an increase in 10 g/day of animal proteins and of 0.5 (95% CI – 6.8; 7.7) for an increase of 10 g/day of total proteins.
CONCLUSIONS
Our result suggests a positive role of vegetable proteins on physical performance. Whether this result is related to the high protein intake itself or may be a consequence of the other properties of plant-based foods, deserves further investigation.
Abstract
INTRODUZIONE
In Fondazione Poliambulanza (FP) la produzione degli alimenti destinati ai degenti e ai dipendenti è affidata ad un’azienda esterna che fornisce circa 1.000 pasti al giorno e si impegna a rispettare la normativa relativa all’igiene degli alimenti. FP effettua le verifiche sui principi di buona prassi igienica.
MATERIALI E METODI
Al fine di vigilare sul mantenimento di standard adeguati è stato predisposto un cruscotto Key Performance Indicator (KPI) composto da tre sezioni.
La prima fornisce esito delle verifiche effettuate mensilmente da personale interno mediante l’utilizzo di check-list appositamente predisposte. Vengono utilizzati 70 item suddivisi in 5 categorie:
ricevimento e conservazione delle materie prime;
processo produttivo;
lavorazione delle materie prime;
organizzazione del servizio;
igiene del personale e dei luoghi.
Ad ogni item viene assegnato l’esito di conformità, parziale conformità o non conformità e ad ogni categoria è definita una percentuale soglia per la non conformità.
La seconda modalità di verifica riguarda la gestione delle segnalazioni degli utenti a cui viene dato un peso da 1 a 3 in base alla gravità e alla possibilità di azione correttiva.
Infine vengono somministrati questionari di gradimento agli utenti (suddivisi in 3 categorie: self-service, pazienti e dipendenti che consumano il pasto in reparto) con cadenza semestrale. Il punteggio finale è compreso tra 1 e 4 considerando idoneo un risultato superiore a 3.
RISULTATI
I controlli mensili effettuati da gennaio 2018 ad aprile 2019 hanno evidenziato due superamenti di soglia, entrambi relativi alla categoria “organizzazione del servizio”.
Il punteggio relativo alle segnalazioni si è mantenuto nel range di accettabilità (< 80/quadrimestre) nei quattro quadrimestri presi in considerazione.
I questionari di gradimento mostrano un progressivo miglioramento in tutte e tre le categorie, con un apprezzamento maggiore da parte dei pazienti (3,36) seppure con una maggior delusione da parte dei dipendenti che consumano il pasto in reparto (2,74), dovuto probabilmente a differenze nelle tipologie e modalità di preparazione delle pietanze.
CONCLUSIONI
La metodologia di verifica del servizio di ristorazione permette di mantenere monitorata l’adesione alle normative da parte dell’azienda che fornisce il servizio, l’attuazione di misure preventive o correttive in caso di parziale conformità o non conformità, di mantenere nel range di accettabilità il numero di segnalazioni e un miglioramento della soddisfazione da parte degli utenti.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse nei confronti della Vitamina D, della sua carenza e della sua relazione con una vasta gamma di patologie (osteoporosi, sarcopenia, malattie reumatiche infiammatorie, neoplasie, malattie neurologiche). I recettori per la Vitamina D sono presenti in quasi tutti i tessuti e ciò giustifica i suoi effetti sistemici.
La sua carenza è comune in alcune zone del Mondo o per la mancanza di esposizione solare o per meccanismi alterati di sintesi e trasporto. Nella Unione Europea è stimato che il 32,1% di donne in menopausa presentano livelli di 25(OH)D inferiori a 20 ng/ml. Sebbene l’integrazione vitaminica sia raccomandata, è necessario tener presente che il sovradosaggio determina fenomeni di tossicità.
Scopo del presente lavoro è stato quello di verificare i possibili effetti antiproliferativi della Vitamina D proveniente da tre diverse fonti (fegato di suino, fungo Shitake e prodotto farmaceutico). I test sono stati condotti utilizzando tre linee cellulari tumorali di derivazione umana (MCF7 - tumore mammario; HT-29 - adenocarcinoma di colon; LNCaP - tumore prostatico).
MATERIALI E METODI
Le tre linee cellulari sono state trattate con tre concentrazioni scalari dei campioni in studio. In base alla durata del ciclo cellulare, il trattamento delle linee MCF7 e HT-29 è stato protratto per 30 ore, quello della linea LNCaP per 48 ore. Al termine la vitalità e il ciclo cellulare sono stati analizzati utilizzando il sistema automatizzato NC-3.000 (ChemoMetec, Allerød, Denmark).
RISULTATI
I dati hanno mostrato che le concentrazioni più basse di prodotto farmaceutico (DIBASE® < 40 ng/ml) inibiscono la proliferazione delle cellule MCF7 e HT-29, mentre tale effetto non si osserva per le concentrazioni più alte saggiate. Il campione derivato dal fegato di suino ha mostrato potenziali effetti proliferativi nei confronti delle cellule HT-29 e LNCaP, mentre le concentrazioni più basse del campione derivato dal fungo hanno aumentato la proliferazione delle cellule LNCaP.
Relativamente al ciclo cellulare, nessuno dei prodotti analizzati è stato in grado di determinare differenze significative nella distribuzione delle cellule nelle diverse fasi.
CONCLUSIONI
Gli effetti osservati nella proliferazione cellulare delle diverse linee indicano che non è possibile generalizzare un eventuale effetto antiproliferativo della Vitamina D ad ogni organo o tessuto. I diversi comportamenti in relazione alle diverse concentrazioni saggiate confermano un andamento ormetico nelle attività esercitate dalla Vitamina D.
Va infine sottolineato che la complessità della matrice dei campioni naturali potrebbe aver modulato l’effetto della Vitamina D in essi contenuta.
(Finanziato da “ABOCA Spa”).
Abstract
INTRODUZIONE
Lo studio, attraverso un’analisi descrittiva della mortalità negli anni 1981-2015 e con l’applicazione di metodi standardizzati ed indicatori uniformi, ha lo scopo di valutare lo stato di salute della popolazione residente nella regione Basilicata, in differenti aree geografiche, ridefinite in base alle criticità ambientali verificatesi negli anni, conseguenti a fenomeni naturali o attività antropiche.
MATERIALI E METODI
In relazione al rischio ambientale supposto o accertato, i 131 comuni di entrambe le province della regione Basilicata sono stati aggregati in 10 differenti aree comprendenti le città di Potenza e Matera ed altri 8 ambiti composti da raggruppamenti omogenei di popolazione. I dati di riferimento regionali e provinciali annuali, riferiti al periodo in studio, sono stati ricavati dall’archivio I.S.T.A.T.. Sono state esaminate 12 cause di decesso con i relativi codici, classificate in base alle diverse versioni I.C.D. adottate in Italia. Per la regione Basilicata sono stati calcolati i tassi standardizzati diretti x10.000 abitanti con riferimento alla popolazione europea standard suddivisi per sesso, per periodi quinquennali e per le aree prese in esame, con riferimento alla regione negli stessi anni, sono stati calcolati i rapporti standardizzati per età con il metodo indiretto, con intervalli di confidenza al 90%.
RISULTATI
L’analisi degli indicatori di struttura della popolazione lucana conferma la tendenza ad un notevole aumento dell’indice di vecchiaia per tutte le aree analizzate. Nella regione Basilicata, i tassi standardizzati di mortalità per età con la popolazione europea, per le varie aree e per tutte le cause, risultano in calo in modo abbastanza sovrapponibile in tutte le aree della regione indagate. I tassi standardizzati per età, risultano essere in calo per tutte le fasce d’età considerate, sia nel sesso maschile che nel sesso femminile. Gli andamenti degli S.M.R.% per causa specifica nei periodi e nelle aree prese in esame mostrano elevati valori di mortalità nel comune di Potenza ed in aree ritenute a maggiore a rischio ambientale di natura antropica, rispetto ad altre aree della regione.
CONCLUSIONI
Lo studio dimostra correlazione tra appartenenza a differenti aree della regione Basilicata e stato di salute delle popolazioni con differenze nella distribuzione della mortalità in zone diverse del territorio preso in esame condotta su periodi pluriennali.
Abstract
INTRODUZIONE
Il 20 marzo 2019 il comune di Cattolica (provincia di Rimini) segnalava all’U.O. di Igiene e Sanità Pubblica (ISP) una grande moria di pesci, sulle spiagge comunali. Preoccupati per un possibile inquinamento delle acque marine che poteva avere importanti ripercussioni sulla salute pubblica in un territorio a vocazione prettamente turistico-balneare, l’ISP ha attivato l’U.O. Veterinaria e consultato l’Arpae. Il nostro Dipartimento da alcuni anni si è dotato di specifiche procedure per le emergenze ambientali indispensabili per l’Accreditamento del DSP stesso. Lo studio evidenzia come l’applicazione delle procedure abbia facilitato le modalità di intervento e definito i ruoli di ogni ente intervenuto.
MATERIALI E METODI
La compilazione dei vari moduli previsti dalla procedura per le emergenze ambientali ha evidenziato tra l’altro che la moria dei pesci interessava tutto il litorale adriatico della nostra provincia. L’U.O. Veterinaria allertata dal medico igienista, si è raccordata con la Capitaneria di porto. Il medico di Igiene, ha inoltre contattato la responsabile della struttura oceanografica Daphne.
È stato effettuato quindi un sopralluogo sulle spiagge sia per le verifica di quanto segnalato sia successivamente per controllare le modalità di smaltimento delle carcasse spiaggiate.
RISULTATI
Le ispezioni effettuate dagli operatori del Dipartimento hanno fatto rilevare che l’evento aveva interessato esclusivamente cefali tutti tra l’altro della medesima taglia/età. Successivamente sono stati consegnati 10 campioni da far esaminare all’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna con sede in Forlì.
Il risultato dell’esame anatomopatologico ha dato come esito su tutti i campioni “Congestione delle branchie, congestione viscerale, vescica natatoria intatta” mentre l’esame batteriologico è risultato positivo per Aeromonas da branchie solo nel campione numero 1.
CONCLUSIONI
L’ISP avendo competenze specifiche sull’evento ha effettuato il sopralluogo e coordinato i flussi informativi tra la Capitaneria, l’Arpae, i Comuni e l’U.O. Veterinaria.
L’esito dell’esame anatomopatologico e microbiologico ha escluso che i cefali fossero morti perché rigettati in mare dopo la pesca (vescica natatoria intatta) o che fossero deceduti a seguito di un inquinamento marino. La causa probabilmente era da imputare alla consistente mareggiata verificatasi durante la notte precedente che ha sorpreso e spiaggiati i cefali che in questo periodo dell’anno si raggruppano per la riproduzione in grossi branchi nei pressi della riva (acque basse). Si è pertanto potuto escludere qualunque ipotesi relativa ad inquinamento dell’ecosistema marino; dando corrette informazioni ai media, ai cittadini e ai Comuni che per l’episodio si erano profondamente preoccupati
Abstract
INTRODUZIONE
I cambiamenti climatici, con costante aumento delle temperature, associati allo sviluppo degli scambi turistici e commerciali globali, stanno favorendo in Europa la diffusione degli insetti vettori di malattie il cui comportamento, tasso di sopravvivenza e riproduzione sono assicurati dall’idoneità degli habitat locali. Fino al 13 dicembre 2018 nell’Unione Europea sono stati segnalati 1503 casi umani di infezioni da West Nile virus (WNV), dei quali 576 in Italia. Durante il 2018 nell’Unione Europea sono stati segnalati 285 focolai negli equidi, dei quali 149 in Italia.
MATERIALI E METODI
In Friuli Venezia Giulia (FVG) viene attuata la sorveglianza integrata per individuare precocemente la circolazione del WNV sul territorio negli insetti e mammiferi per valutare il rischio di trasmissione della malattia all’uomo e mettere in atto misure per prevenire la trasmissione, intese come monitoraggio laboratoristico delle donazioni di sangue ed emocomponenti, organi, tessuti e controllo del vettore.
RISULTATI
Da giugno a novembre 2018 in FVG sono stati segnalati al sistema di sorveglianza 9 casi di WNV nella forma neuro-invasiva, di cui 4 deceduti, 10 casi a Pordenone di febbre confermata per WNV e 1 riscontro di laboratorio in un donatore di sangue a Udine.
La sorveglianza negli equidi ha confermato un caso con sintomi clinici riferibili ad infezioni da WNV nella provincia di Gorizia. La sorveglianza sugli uccelli selvatici non ha rilevato positività su organi prelevati da uccelli stanziali appartenenti alle specie bersaglio; anche la sorveglianza su altri uccelli selvatici non ha rilevato positività. La sorveglianza entomologica ha confermato la presenza di WNV in 4 pool di zanzare Culex Pipiens (3 a Pordenone e 1 a Udine). Le analisi molecolari effettuate nell’ambito della sorveglianza entomologica hanno identificato la circolazione Lineage 2 del WNV.
Nel 2018, per la prima volta in FVG, per gestire le situazioni locali di emergenza sanitaria in presenza di casi umani confermati di WNV, è stato necessario attuare interventi di disinfestazione straordinaria, mediante adulticidi, larvicidi e di eliminazione dei focolai larvali in un’area definita a seguito di ispezione del territorio ove si sono manifestati i casi di contagio. A completamento dell’intervento ambientale sono state condotte attività di informazione alla cittadinanza; il monitoraggio del vettore è svolto di routine con trappole collocate sul territorio regionale.
CONCLUSIONI
Il sistema di sorveglianza delle arbovirosi in FVG nel 2018 ha consentito una rapida azione di sanità pubblica, assumendo che la salute umana, animale e dell’ecosistema sono legati indissolubilmente tra loro con l’approccio one-health.
Abstract
INTRODUZIONE
La Legionella pneumophila, principale agente eziologico della legionellosi, forma morbosa polmonare normalmente acquisita per via respiratoria mediante inalazione di aerosol contenente il batterio, viene ormai considerata un germe emergente.
Dal 2002 il Laboratorio di Microbiologia dell’ARPA FVG di Udine è il Laboratorio di Riferimento Regionale per la diagnosi ambientale della legionellosi e svolge con le Aziende per l’Assistenza Sanitaria (AAS), al fine di garantire un’adeguata sorveglianza epidemiologica della malattia sul territorio regionale, un’attività di monitoraggio in strutture comunitarie, in strutture sanitarie e socioassistenziali ed in strutture correlate a casi di legionellosi. Tale monitoraggio è stato inizialmente avviato con campionamenti svolti dalle AAS della provincia di Udine, per ampliarsi nel tempo con il coinvolgimento delle altre AAS della Regione.
MATERIALI E METODI
Dal 2002 al 2016 sono stati analizzati 19.119 campioni ambientali per la ricerca di Legionella pneumophila, corrispondenti a 3855 osservazioni, provenienti da 707 diversi siti campionati dalle AAS.
Per ottenere l’analisi descrittiva, il cui obiettivo è quello di dare un quadro delle caratteristiche salienti dei dati attraverso grafici e statistiche descrittive, i dati raccolti in file formato Excel sono stati: processati con software statistico R (https://www.r-project.org), geolocalizzazione con OpenStreetMap Nominatim (http://nominatim.openstreetmap.org), successivamente importati nel database relazionale PostgreSQL (https://www.postgresql.org).
L’analisi descrittiva comprende: statistiche sul numero complessivo di campioni e di osservazioni, sulla distribuzione geografica dei siti, sulle osservazioni per categorie, su trend temporali, statistiche per anno e per provincia, andamento e distribuzioni delle indagini ambientali.
CONCLUSIONI
Dalla distribuzione geografica risulta che la provincia di Udine è quella che presenta il maggior numero di siti controllati nei quali sono stati effettuati il maggior numero di campionamenti.
I dati statistici sottolineano che il maggior numero di osservazioni, in cui è stato riscontrato almeno un campione positivo, riguarda le strutture sanitarie con 402 positività, delle quali il 12% presenta una concentrazione > 10.000 UFC/L. Il trend temporale in relazione ai principali tipi di strutture (turistiche, sanitarie e socioassistenziali) indica che quelle sanitarie presentano, nel tempo, la maggior percentuale di campioni positivi.
Questa base dati potrà essere utilizzata in futuro per mantenere un quadro sempre aggiornato della diffusione del batterio nella Regione FVG, in modo da consentire un’azione mirata ed efficace sulla prevenzione del rischio. Sarebbe altresì utile un confronto tra i dati relativi alle indagini ambientali svolte nelle strutture correlate ai casi di legionellosi ed i dati relativi ai pazienti dei casi stessi, per approfondire origine, diffusione ed eventuali mutazioni della Legionella.
Abstract
INTRODUZIONE
Centinaia di virus e batteri sono correlati a infezioni respiratorie; i virus influenzali (IV) e il virus respiratorio sinciziale (RSV) hanno un impatto epidemiologico rilevante nelle sindromi simil-influenzali (ILI). L’obiettivo di questo studio è stato quello di analizzare le caratteristiche epidemiologico-molecolari di IV e RSV nei casi di ILI durante la stagione 2018/2019.
MATERIALI E METODI
Dalla settimana 46/2018 alla settimana 17/2019, i medici sentinella della Lombardia hanno raccolto 464 tamponi oro-faringei provenienti da individui con ILI nell’ambito della rete italiana di sorveglianza dell’influenza. La tipizzazione (A/B) e la sottotipizzazione (H1N1pdm09/H3N2) di IV, e la rilevazione del genoma di RSV sono state eseguite con real-time RT-PCR. I campioni RSV-positivi sono stati tipizzati (A/B) mediante RT-nested-multiplex-PCR. Il 30-50% dei campioni IV- e RSV-positivi è stato sottoposto a sequenziamento e analizzato filogeneticamente.
RISULTATI
IV è stato rilevato nel 55,2% dei campioni e RSV nell’8,4%. Tutti i campioni IV-positivi erano di tipo A: il 58% era A(H3N2) e il 42% era A(H1N1)pdm09. I campioni RSV tipizzati erano 50% RSV-A e 50% RSV-B.
La frequenza di infezione più elevata da IV è stata osservata nella fascia d’età 5-14 anni (71,9%). A(H3N2) ha colpito principalmente i bambini in età scolare (5-14 anni; 51,6%), seguiti dagli anziani (≥65 anni; 37,2%). La percentuale di persone con infezione da virus A(H1N1)pdm09 è risultata maggiore nelle fasce d’età 15-44 anni (26,8%) e 45-64 anni (27,0%). La frequenza di infezione da RSV è risultata più elevata nei bambini < 4 anni (25,9%), seguita dagli anziani (≥65 anni) (9,3%).
Dall’analisi filogenetica di IV è emerso che tutti i ceppi A(H1N1)pdm09 sequenziati appartenevano al sottogruppo genetico 6B.1, che includeva il ceppo vaccinale per la stagione 2018/2019. I ceppi A(H3N2) sequenziati si distribuivano in due sottogruppi: 3C.2a (51,4%), che includeva il ceppo vaccinale della stagione 2018/2019, e 3C.3a (48,6%), che includeva varianti driftate. L’analisi filogenetica di RSV è in corso.
CONCLUSIONI
Seppur IV sia stato il patogeno maggiormente implicato nei casi di ILI nella stagione 2018/2019 soprattutto nei bambini in età scolare, anche RSV ha avuto un impatto epidemiologico non trascurabile soprattutto tra i bambini < 4 anni e tra i ≥ 65 anni. La caratterizzazione molecolare e l’analisi filogenetica di questi virus rappresentano un valido strumento per la sanità pubblica sia per aumentare le conoscenze epidemiologiche sia per meglio definire le strategie preventive e di controllo.
Abstract
INTRODUZIONE
Tra i fattori di rischio che favoriscono un aumento dei casi di legionellosi acquisita in comunità, negli ultimi anni sono stati considerati anche i cambiamenti climatici, in particolare l’incremento della temperatura. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare la presenza di Legionella nelle reti idriche e la distribuzione dei casi di legionellosi nelle strutture turistico-ricettive della regione Puglia attraverso un’analisi climatica e geostatistica.
MATERIALI E METODI
Nel periodo 2001-2017, la ricerca di Legionella è stata effettuata in 6.638 campioni di acqua provenienti da 495 strutture pugliesi. Nello stesso periodo sono stati esaminati tutti i casi di legionellosi associati alle stesse strutture. Per la sorveglianza ambientale, è stata studiata l’associazione tra concentrazione di Legionella nella rete idrica e temperatura dell’aria nel giorno di campionamento dell’acqua. Inoltre, è stato effettuato uno studio caso-controllo per verificare differenze statisticamente significative tra campioni positivi e negativi. La sorveglianza clinica è stata condotta analizzando i parametri climatici (temperatura dell’aria, escursione termica, umidità relativa, precipitazioni giornaliere) rilevati nel periodo di incubazione della malattia e nel mese di insorgenza dei sintomi.
I punti di campionamento dell’acqua e le strutture turistiche esaminate sono stati georeferenziati con analisi “hot-spot”. L’analisi statistica è stata effettuata mediante software R version 3.5.1 (p < 0.05 statisticamente significativo).
RISULTATI
Legionella è stata isolata nel 37% dei campioni di acqua, con un valore medio di 10.755,3 CFU/L. L’aumento della temperatura dell’aria e dell’escursione termica è risultato direttamente proporzionale alla carica microbica. L’analisi geostatistica ha rivelato che l’area con concentrazione più elevata di Legionella nelle reti idriche coincideva con quella con il maggior numero di casi di malattia.
Per quanto riguarda l’analisi climatica, si è verificato un maggior numero di casi (1 caso/123.628 arrivi) in autunno (settembre-ottobre) (p < 0.0001), in coincidenza con maggiori precipitazioni ed escursioni termiche.
CONCLUSIONI
Gli operatori sanitari dovrebbero essere vigili sui casi di polmonite acquisita in comunità e tra la popolazione turistica durante determinate condizioni climatiche (piogge intense ed elevata escursione termica). L’approccio innovativo geo-statistico potrebbe essere applicato anche in altri contesti per valutare gli effetti delle condizioni climatiche sull’incidenza delle malattie infettive aerodiffuse e per definire il territorio su cui intervenire.
Abstract
INTRODUZIONE
In Italia, la lotta all’AIDS e all’infezione da HIV rimane una priorità di Sanità Pubblica, come peraltro rimarcato dal nuovo PNAIDS. Dati della sorveglianza europea e italiana mostrano un aumento del numero di soggetti di età > 50 anni con nuova diagnosi/infezione da HIV (23% delle notifiche in Italia nel 2017). Inoltre, recenti studi hanno evidenziato che, nelle fasce d’età più adulte, sintomi suggestivi di infezione da HIV AIDS vengono spesso sottovalutati o misconosciuti e che la risposta immunitaria risulta significativamente ridotta, così come l’efficacia della terapia.
Obiettivo dello studio è stato quello di valutare le caratteristiche clinico-epidemiologiche degli ultracinquantenni con nuova diagnosi/infezione da HIV in Puglia.
METODI
Sono stati analizzati i dati del Sistema di Sorveglianza delle nuove diagnosi/infezioni da HIV in Puglia negli anni 2007-2018.
I dati relativi ai soggetti di età > 50 anni sono stati analizzati e confrontati con quelli della fascia 15-49 anni mediante l’utilizzo del software STATA.
RISULTATI
Complessivamente, sono state segnalate 1.976 nuove diagnosi/infezioni da HIV. Il 14% di tutte le notifiche (n = 277) riguardava soggetti ultracinquantenni, con un’incidenza media di 1,4 casi/100.000 abitanti. Si trattava prevalentemente di maschi (82,7%) italiani (94,2%). Nel 52,7% dei casi, la trasmissione dell’infezione è avvenuta per via eterosessuale (37,9% maschi, 14,8% femmine) e nel 28,5% attraverso rapporti tra MSM (maschi che hanno rapporti sessuali con maschi).
I principali motivi di effettuazione del test risultavano: presenza di sintomi suggestivi di HIV/AIDS (35,4%), accertamenti per altra patologia (22,4%) e screening (14,8%).
Tra i > 50 anni, il 39,7% risultava già in AIDS alla diagnosi rispetto al 19,2% della fascia 15-49 anni (p < 0,001). Inoltre, una quota significativamente maggiore di > 50 anni (71,8%) rispetto ai 15-49 anni (56,7%) presentava un numero di linfociti < 350 cell/ml (p < 0,01).
CONCLUSIONI
I dati della sorveglianza hanno evidenziato come gli ultracinquantenni abbiano contratto l’infezione prevalentemente per via eterosessuale rispetto alla fascia 15-49 anni, in cui prevaleva la trasmissione tra MSM. La presentazione tardiva o in AIDS di questi soggetti suggerisce sia una scarsa percezione del rischio per HIV di questo target di popolazione, sia la sottovalutazione dello stesso da parte degli operatori sanitari che considerano i “grandi adulti” non più sessualmente attivi. L’aumento dell’aspettativa di vita ha indotto profondi cambiamenti negli stili di vita anche di questi soggetti. È necessario, pertanto, promuovere campagne di prevenzione mirate anche a questa popolazione target e implementare la formazione degli operatori sanitari sulla base del modificato pattern epidemiologico dell’infezione da HIV.
Abstract
INTRODUZIONE
Ancor prima dell’avvio della vaccinazione antivaricella alcuni studi avevano dimostrato l’innalzamento dell’età di prima infezione. Successivamente, le non ottimali coperture per questa vaccinazione hanno comportato un’accentuazione di tale fenomeno. L’elevato rischio di diffusione a pazienti non immuni e l’incremento di forme gravi/complicate di varicella negli adulti, impongono lo screening degli Operatori Sanitari e la vaccinazione dei sieronegativi per i quali Varicella, Morbillo, Parotite, Rosolia costituiscono un rischio occupazionale.
MATERIALI E METODI
In un reparto ad alta intensità di un P.O. dell’ASL Lecce nella primavera del 2019 si sono osservati n. 2 casi di varicella in 2 operatori sanitari (Infermieri professionali).
Dopo indagine epidemiologica, il Medico Competente del P.O. ha disposto a tutti gli Operatori Sanitari esposti, l’effettuazione dello screening per varicella. La ricerca degli anticorpi è stata effettuata con tecnologia immunoenzimatica e i risultati riportati come “negativo”, “dubbio”, “positivo”. Ai sieronegativi è stata proposta la vaccinazione.
RISULTATI
L’indagine epidemiologica ha evidenziato:
caso indice un paziente affetto da Herpes Zoster;
complessivamente n. 43 contatti stretti: 8 sul territorio (famiglia/amici), 35 operatori sanitari.
L’adesione allo screening negli operatori sanitari è risultata insufficiente (19 = 54,3%); il 45,7% degli interessati non l’ha eseguito neanche dopo sollecito. Tra quelli che lo hanno effettuato il 73,7% (14) è risultato immune, il 26,3% (5) non immune.
Solo 2 operatori sanitari (familiari di un caso), hanno effettuato la vaccinazione post-esposizione in attesa dell’esito sierologico. Uno dei due, risultato successivamente positivo per IgM, ha manifestato una forma lieve di malattia. I restanti Operatori sieronegativi non hanno aderito alla vaccinazione.
I contatti familiari (n. 8), dapprima rifiutavano la vaccinazione post-esposizione; di questi soggetti 2 divenivano sintomatici (1 bambino 5 aa. vaccinato con 1 dose e un adulto con ricordo anamnestico positivo). Alla riproposizione della vaccinazione aderivano altri 4 soggetti e 2 rifiutavano riferendo ricordo di malattia.
CONCLUSIONI
Il cluster descritto conferma l’innalzamento dell’età di prima infezione per varicella. L’adozione di misure igienico-sanitarie rigorose nell’assistenza dei pazienti con Herpes Zoster risulta fondamentale per minimizzare il rischio di contagio di soggetti non immuni per varicella.
Lo screening routinario negli operatori sanitari s’impone all’atto dell’assunzione insieme all’offerta attiva della vaccinazione ai sieronegativi, per un’attenta valutazione dell’idoneità all’attività lavorativa e per le possibili implicazioni sotto il profilo del risk management ciò anche nella post-esposizione. L’esperienza conferma altresì la scarsa attendibilità del ricordo anamnestico per malattia e l’utilità della profilassi post-esposizione che, se tempestivamente effettuata, consente anche ai soggetti contagiati di manifestare forme pauci-sintomatiche.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinovigilanza è l’insieme delle attività di farmacovigilanza relative alla raccolta, valutazione, analisi e comunicazione degli eventi avversi che seguono l’immunizzazione (AEFI) e rappresenta uno strumento utile per il monitoraggio dei vaccini perché permette, anche dopo l’approvazione e l’immissione in commercio, di controllarne efficacia e tollerabilità. La segnalazione degli AEFI può avvenire spontaneamente oppure mediante progetti di farmacovigilanza attiva. Il progetto multiregionale “Sorveglianza attiva delle reazioni avverse da vaccino”, cui ha aderito l’AUSL di Ferrara, è volto a sensibilizzare alla segnalazione di AEFI, mediante telefonia mobile-SMS, i genitori dei bambini che hanno effettuato almeno una vaccinazione nei primi 24 mesi di vita, secondo il calendario vaccinale regionale.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata un’analisi dei dati dei primi sei mesi del progetto (marzo-agosto 2018) nell’area ferrarese, per valutare l’efficacia dello strumento di segnalazione e tipologia e frequenza degli AEFI.
I dati anonimizzati sono stati analizzati per numerosità, genere, età, vaccino, evento avverso, gravità ed esito. Per l’analisi statistica sono stati utilizzati il test di Pearson e quello esatto di Fisher.
RISULTATI
Nel periodo oggetto dell’analisi, hanno aderito al progetto i genitori di 651 bambini (adesione media del 70,7%).
Le vaccinazioni effettuate sono state 1.484 (29% esavalente, 28,6% PCV13, 15,6% Men-B, 13,2% anti-rotavirus, 6,4% MPR/MPRV e 7,2% altri vaccini).
Sono stati validati 310 AEFI che includono una o più manifestazioni.
La maggior parte delle segnalazioni sono relative a “Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione” (56,3%), seguite da “Disturbi psichiatrici” (20,6%) e “Disturbi metabolici e della nutrizione” (7,1%).
La maggior parte dei casi di AEFI ha riguardato il vaccino anti-meningococco-B (48,9%), nel 43,4% l’anti-rotavirus e nel 37,9% MPR/MPRV.
Non emerge un’associazione statisticamente significativa tra incidenza di AEFI e numero di vaccini somministrati nella stessa seduta, mentre risulta significativa quella tra tipo di vaccino e frequenza di eventi avversi. L’incidenza più alta si ha in caso di co-somministrazione di Men-B e anti-rotavirus.
Il totale degli AEFI è stato classificato “non grave” e nell’88,1% vi è stata risoluzione completa; nei casi rimanenti gli AEFI sono risultati in risoluzione o il dato è mancante.
CONCLUSIONI
Gli AEFI segnalati durante l’intero periodo presentano caratteristiche in linea con la letteratura.
La segnalazione mediante SMS è uno strumento valido di vaccinovigilanza, poiché coinvolge gli utenti e riduce le tempistiche tra la seduta vaccinale e la segnalazione, contribuendo al miglioramento qualitativo e quantitativo delle informazioni trasmesse.
Abstract
INTRODUZIONE
L’influenza colpisce annualmente il 4-15% della popolazione italiana rendendosi responsabile di potenziali sequele e di decessi, in particolare in alcuni sottogruppi della popolazione. La conoscenza del burden of disease rappresenta un presupposto importante per l’indirizzamento delle strategie vaccinali contro l’influenza. Questo lavoro ha avuto l’obiettivo di sintetizzare l’evidenza circa le complicanze e la mortalità associate all’influenza stagionale nella popolazione italiana.
MATERIALI E METODI
È stata condotta una revisione sistematica di letteratura sulle banche dati PubMed, WoS e Embase per identificare gli studi sull’influenza, pubblicati fino al 20 febbraio 2019, che valutassero le complicanze e/o la mortalità associate all’influenza nella popolazione italiana totale. Nel processo di selezione dei lavori eleggibili, avvenuta sulla base di titolo e abstract prima e del full text in seguito, sono stati esclusi gli studi sull’influenza pandemica e i case study. I risultati degli studi sono stati sintetizzati narrativamente con riferimento alle classi di età pediatrica, adulta e anziana.
RISULTATI
La revisione sistematica della letteratura ha restituito un totale di 7424 lavori, di cui 10 sono stati selezionati ed inclusi nella revisione. Due lavori sono stati condotti sulla popolazione pediatrica e hanno restituito informazioni riguardo alle complicanze: in entrambi la più frequente è risultata l’otite media acuta (presente nel 10,8-13,9% dei casi) seguita dalle affezioni a carico del tratto respiratorio inferiore con la polmonite riportata in uno dei due studi nell’8,1% dei casi. Due lavori sono stati condotti su gruppi selezionati di pazienti adulti a rischio rilasciando una frequenza di complicanze complessive del 20% circa e di polmoniti del 5%. I quattro studi riportanti dati sulla popolazione anziana hanno restituito stime eterogenee del rischio di ospedalizzazione ed evidenziato una probabilità di sviluppo di complicanze che raggiunge un massimo di 57,8%. Due studi hanno infine affrontato il tema della mortalità legata a influenza consentendo di stimare che l’eccesso di mortalità medio legato all’infezione, standardizzato per età, si attesta su 1,9-2,2 per 100.000 quando vengono considerate esclusivamente influenza e polmonite e su 11,6-18,6 per 100.000 contemplando tutte le cause.
CONCLUSIONI
Questo lavoro sintetizza per la prima volta i dati di letteratura italiani relativi al burden dell’influenza stagionale, in termini di complicanze, ospedalizzazioni e decessi, facendo un distinguo tra le diverse fasce di età. Il quadro che ne emerge mette in risalto che la frequenza con cui si sviluppano complicanze nelle diverse fasce di età è rilevante, così come importante risulta l’eccesso di mortalità legato all’infezione.
Abstract
INTRODUZIONE
In letteratura numerosi studi descrivono le ospedalizzazioni da Herpes Zoster (HZ) ma in misura minore viene valutato il volume degli accessi al Pronto Soccorso (PS) di tale patologia. Obiettivo dello studio è analizzare il burden delle ospedalizzazioni e degli accessi al PS da HZ in Sicilia.
MATERIALI E METODI
È stato condotto uno studio osservazionale analizzando le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) e gli accessi al PS dal 2012 al 2017 della Regione Sicilia. Sono stati considerati i codici ICD9CM 053.0-9 per identificare i casi di HZ e di NPE. L’indice di Charlson (IC) è stato usato per valutare la complessità dei pazienti ricoverati, suddividendoli in pazienti senza (IC = 0), con moderate (IC = 1), gravi (IC = 2) e veramente gravi (IC ≥ 3) comorbilità.
Il software RStudio v1.2.1335 è stato usato per le analisi con un valore di significatività a due code per tutti i test.
RISULTATI
Complessivamente sono stati osservati 5.523 accessi al PS per HZ, di cui 420 per NPE (8%). Il 49% (n = 2.702) erano di sesso femminile e l’età media 60 anni (SD= 21,1). Il tasso medio di accesso al PS è stato di 18 per 100.000 aumentando gradualmente a partire dai 50-60 anni in poi con classe di età più rappresentata tra 95-100 anni (114 per 100.000). Nell’84% dei casi i pazienti sono stati dimessi al domicilio (n = 4.630), nell’8% inviati ad ambulatori territoriali e nel 5% dei casi si è avuto un successivo ricovero ospedaliero (n = 282). Nello stesso periodo sono stati rilevati 2.106 ricoveri con HZ, di cui 473 con NPE (22%). Il 53% (n = 1.114) erano di sesso femminile e l’età media di 65 anni (SD = 19). Sulla base dell’IC, il 27% (n = 585) aveva gravi o veramente gravi comorbilità. Il tasso medio di ospedalizzazione è stato di 7 per 100.000. Aumenta dai 50-60 anni in poi con classe di età più rappresentata tra 85 e 90 anni (26 per 100.000). La durata media del ricovero è stata di 9 giorni (SD = 9,5) e 24 pazienti sono deceduti (1%).
DISCUSSIONE
Il tasso medio di ospedalizzazione da HZ rilevato è in linea rispetto alla letteratura (7,7 per 100.000), mentre il tasso medio di accesso al pronto soccorso è inferiore. Così si stima un numero di accessi al medico di medicina generale per HZ di circa 210.600 pazienti all’anno. Per ridurre tale burden di patologia appare necessario implementare le attuali scarse coperture vaccinali in Regione Sicilia (< 1%).
Abstract
INTRODUZIONE
Conflitti, persecuzioni, disastri naturali e povertà sono responsabili dei flussi migratori dal sud del mondo verso i paesi più sviluppati. Recentemente una delle aree più interessate è stata l’Europa che, principalmente attraverso le coste meridionali italiane, ha assistito a un consistente arrivo di migranti dal nord e centro Africa e dall’Asia. Ciò ha creato notevole allarme nelle popolazioni ospitanti, anche in relazione all’impatto sanitario dovuto alla potenziale reintroduzione di malattie infettive ormai da decenni sotto controllo nei paesi sviluppati. Lo studio epidemiologico ha valutato le condizioni sanitarie dei migranti sbarcati nel porto di Messina nel quinquennio 2014-2018 ed è stato affiancato da un sondaggio per valutare la percezione del rischio infettivo della popolazione residente.
MATERIALI E METODI
Sono state valutate le schede elaborate da gennaio 2014 a luglio 2018 dal personale sanitario degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF) per identificare e selezionare i soggetti che necessitano di immediato ricovero da quelli da inviare ai Centri d’accoglienza come previsto dalla Regione Sicilia al momento degli sbarchi. Informazioni circa i ricoveri ospedalieri di migranti nello stesso periodo erano fornite dall’UO di Epidemiologia del Dipartimento di Prevenzione dell’ASP di Messina. La percezione del rischio della popolazione residente veniva registrata mediante un sondaggio su un quotidiano online.
RISULTATI
Nel periodo 2014-16 si registrava un netto incremento degli sbarchi seguito da un decremento nel 2017-18. Complessivamente i migranti erano 38.608 di cui 78,4% maschi, 14,1% donne e 7,4% bambini mentre le salme sbarcate erano 40 (0,1%). Solo il 3,4 % dei migranti era ospedalizzato. I ricoveri riguardavano soprattutto donne gravide (44,7%), soggetti con patologie respiratorie (11,0%) e soggetti con traumi (7,9%). Le notifiche di malattia infettive erano ridotte ad eccezione della scabbia (7,5%) e della TB (44 casi, prevalentemente nel periodo 2016-18). La percezione del rischio sanitario nei residenti era inversamente correlata al livello d’istruzione.
CONCLUSIONI
Considerato che i migranti provengono da zone ad elevate endemia di TB, è piuttosto alta la probabilità di conversione da infezione latente a riattivazione (TB aperta), anche imputabile alle peggiorate condizioni di vita durante il soggiorno nel Nord Africa, prima degli imbarchi. È quindi importante monitorare all’arrivo i migranti per promuovere il loro livello di salute e impedire la trasmissione in sacche più emarginate di popolazione nei paesi d’arrivo.
Abstract
INTRODUZIONE
I rotavirus (RV) rappresentano l’agente eziologico più frequente di gastroenterite grave nel bambino, oltre ad essere causa di rilevanti costi, sia diretti che sociali. I dati epidemiologici disponibili sulla popolazione italiana evidenziano un’eterogeneità su base geografica, conseguente anche alle diverse strategie vaccinali adottate. In Umbria la vaccinazione contro rotavirus è offerta sotto l’anno di età a partire dai nati nel 2018. In prospettiva della valutazione dell’impatto dell’introduzione della vaccinazione, obiettivo del presente studio è la sorveglianza epidemiologico-molecolare delle gastroenteriti da RV in età pediatrica nella provincia di Perugia.
MATERIALI E METODI
È stato preso in considerazione il numero di campioni positivi per RV appartenenti ai pazienti in età pediatrica (< 15 anni) che hanno effettuato un accesso per gastroenterite presso i pronto soccorso della provincia di Perugia con successiva ospedalizzazione o osservazione breve, a partire da Settembre 2007 fino ad Agosto 2018. Sono stati quindi calcolati i tassi di incidenza per 100.000 considerando come denominatore la popolazione pediatrica (< 15 anni) residente ogni anno nella provincia di Perugia, estrapolabile dai bilanci demografici disponibili in Demo-Istat.
RISULTATI
Nel corso del decennio di sorveglianza sono stati raccolti 663 campioni di feci positivi per RV: il trend epidemiologico nella provincia è risultato fluttuante, con tassi d’incidenza che hanno raggiunto un massimo di 89,7 per 100.000 abitanti nella stagione 2010/2011 ed un minimo di 34,8 per 100.000 abitanti nel 2017/2018. Il tasso d’incidenza è risultato superiore nei maschi rispetto alle femmine e nella fascia sotto i 5 anni (Min: 81,6 per 100.000 nella stagione 2017/2018; Max: 222,1 casi su 100.000 nella stagione 2010/2011). Tra i genotipi comuni, G1P[8] è stato prevalente nella maggior parte degli anni e solo occasionalmente sono stati riscontrati in maggior numero G9P[8] e G4P[8]. Per la prima volta nella sorveglianza, nella stagione 2012/2013, la circolazione di G12P[8], classificato come non comune, è stata preponderante, rimanendo alta, sebbene discontinua e fluttuante, anche negli anni successivi.
CONCLUSIONI
Il presente studio riporta i dati di una delle più lunghe attività di sorveglianza condotte nel centro Italia, offrendo un utile osservatorio temporale dell’epidemiologia delle gastroenteriti da RV in età pediatrica. Tali dati, sebbene non raffiguranti in maniera esaustiva il quadro epidemiologico della gastroenterite da RV, potranno risultare utili per valutare l’impatto dell’introduzione della vaccinazione nella provincia di Perugia, resa attiva con il recepimento del Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-19.
Abstract
Migrant populations have specific health needs often due to social vulnerability. Furthermore, the massive migration flows and cross-border populations’ transit of last decades impose the planning, implementation, and evaluation of new integrated services and programs to promote equity in health-care systems. The incredible advances in the field of Information and Communication Technology (ICT) and Digital Health could be an important resource to promote efficiency and quality. Nevertheless, no conclusive evidence exists on the great potential offered by ICT to promote health-care in migrant populations. To fill this gap, we focused on researching evidence of digital health applications in the field of communicable diseases control.
We carried out a systematic review following the Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analysis (PRISMA) guidelines to retrieve, pool and critically appraise all the available evidence on the effectiveness of ICT-based interventions to promote the communicable diseases control in migrant and in-transit populations. We searched the electronic databases Medline and Embase, relevant grey literature and consulted with experts in the field. We restricted the area of interest to EU/EEA countries and included only studies with original data published before the 31st of January 2019.
Out of 127 retrieved records, 52 articles focused on ICT-based interventions to improve migrant health, and 29 (56%) met the inclusion criteria for Communicable Diseases control. The majority of the studies contained interventions of prevention (76%), while just a minority had interventions of diagnosis (7%) and follow-up (17%), and no-one proposed therapies. The countries of implementation were mainly Germany and the United Kingdom, (5 studies each), while only 1 study was implemented in Italy. The most interesting results referred to data sharing, health promotion and the use of social networks or websites to reach specific subgroups at risk. The most targeted single topics were Sexually Transmitted Infections (including HIV), Tuberculosis and Vaccine Preventable Diseases.
Selected ICT-based interventions have been implemented in Europe to promote health-care in migrant populations, and the control of Communicable Diseases occupies an important quota in here. However, in most cases, no monitoring and evaluation exist on the effectiveness and cost-effectiveness of such interventions. With the common aim of protecting in-transit populations’ health, more specific action is needed to identify effective interventions and share best practices. To note, the research on digital health applications for migrant health has been growing exponentially since the last years, so new and innovative results are expected to come.
Abstract
INTRODUZIONE
La Tick Borne Encephalitis (TBE) è un’infezione acuta causata dal TBE-virus, appartenente alla famiglia degli arbovirus; viene trasmessa all’uomo principalmente attraverso la puntura di zecca e colpisce il sistema nervoso centrale. In relazione ad un decorso clinico che spesso esita in sequele e all’assenza di una terapia specifica, la TBE rappresenta un problema di sanità pubblica che potrebbe essere sostanzialmente ridotto con la vaccinazione. In Europa, la malattia è endemica e l’incidenza è di circa 0.5 casi *100.000 abitanti; in Italia i casi vengono registrati principalmente nelle Regioni del Nord-Est. Negli ultimi decenni l’incidenza è aumentata, probabilmente sia grazie al miglioramento delle conoscenze, sia grazie all’implementazione di un sistema di sorveglianza; nonostante ciò rimane un’importante sottonotifica. Lo scopo del presente studio è stimare il tasso di ospedalizzazione correlato alla TBE e l’andamento temporale nella regione Veneto.
MATERIALI E METODI
Dal 01/01/2007 al 31/12/2018 sono state estratte le schede di dimissione ospedaliera (SDO) con TBE specifica in prima diagnosi (codice ICD9-CM 063.XX) e sono stati calcolati i tassi di ospedalizzazione rapportando il numero annuale di ricoveri alla popolazione residente nella Regione Veneto. La significatività del trend è stata valutata come variazione percentuale media annua (AAPC).
Le SDO sono state incrociate con le notifiche del flusso SIMI-web ed è stato applicato il metodo cattura-ricattura per stimare sia i casi persi sia la completezza di ciascuna fonte calcolata dividendo il numero di casi di TBE per il numero di casi stimati dal metodo.
RISULTATI
Durante il periodo in studio, il tasso di ospedalizzazione annuale è stato di 0,33 ricoveri per 100.000 abitanti, il più elevato nella provincia di Belluno (4,3 per 100.000 abitanti). Complessivamente il trend non ha registrato variazioni significative (AAPC: 4,2, IC 95%: - 9,9; 20,4), anche se è aumentato nell’ultimo quinquennio (AAPC: 18,1, IC 95%: - 8.0; 51.8).
Sono stati osservati 281 casi, 155 (55,2%) presenti in entrambe le fonti, 89 (31,7%) solo in SIMI-web e 37 (13,2%) nelle SDO. Il metodo cattura-ricattura ha stimato 21 casi persi e la completezza stimata risulta del 80,8% per SIMI-web e del 63,6% per le SDO.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari confermano i dati di letteratura che mostrano un trend in aumento. Al fine di ottenere un quadro epidemiologico più preciso potrebbe essere utile implementare un sistema di sorveglianza coinvolgendo i reparti di malattie infettive e/o i laboratori di microbiologia.
Abstract
INTRODUZIONE
Il virus Toscana (TOSV) è un arbovirus appartenente alla famiglia dei Bunyaviridae. Trasmesso agli esseri umani dai flebotomi del genere Phlebotomus, TOSV causa meningite asettica e meningoencefalite con marcata stagionalità. Casi di infezioni sintomatiche da TOSV sono stati segnalati in Toscana sin dalla prima identificazione della malattia umana nei primi anni ‘80 e le indagini di sieroprevalenza tra la popolazione residente hanno rivelato positività agli anticorpi anti-TOSV fino al 30%. Descriviamo le caratteristiche cliniche, microbiologiche ed epidemiologiche di due cluster verificatisi in Toscana tra luglio e settembre 2018.
MATERIALI E METODI
Un caso confermato è stato definito come il rilevamento di IgM anti TOSV nel campione di siero, in presenza di manifestazioni cliniche tipiche. Abbiamo integrato i dati provenienti dalle indagini epidemiologiche, dagli esami di laboratorio e dalle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati. Abbiamo inoltre condotto un’intervista telefonica di follow-up a 6 mesi per integrare le informazioni mancanti e valutare eventuali sequele.
RISULTATI
Un’indagine epidemiologica è stata avviata nel settembre 2018 in seguito all’individuazione di 7 casi di meningo-encefalite da TOSV con esordio tra il 30 agosto e il 12 settembre. Un’analisi retrospettiva ha identificato un secondo cluster di 5 pazienti verificatosi tra il 4 e il 12 luglio. L’età dei 12 pazienti era compresa tra 22 e 51 anni (mediana 39,8), otto erano maschi. Nei 15 giorni precedenti l’esordio i pazienti hanno riportato di essere stati, per lavoro (2 lavoratori stagionali nell’equitazione e 2 nel rimessaggio barche) o tempo libero (tra cui un viaggiatore internazionale), all’isola d’Elba (8 casi) o in zone rurali della Toscana meridionale (provincia di Livorno). Tutti i pazienti si sono presentati in pronto soccorso (3 casi per due volte) e, tranne due, sono stati ricoverati in ospedale con degenza media di 5 giorni. Idratazione e terapia corticosteroidea sono state le terapie più comuni. Non è stato registrato alcun decesso, al follow-up due pazienti riportavano astenia e disturbi visivi.
CONCLUSIONI
TOSV è endemico in Toscana e, in estate, sono possibili casi in persone esposte a morsi di flebotomi. Nel contesto di un aumento generalizzato delle malattie trasmesse da vettori in Italia, il TOSV dovrebbe essere considerato nella diagnosi differenziale di pazienti che presentano sintomi di meningite asettica, compresi i viaggiatori di ritorno che riferiscono un soggiorno in Toscana. Gli interventi di controllo del vettore nelle aree più frequentate e la sensibilizzazione della popolazione a rischio all’uso delle misure di protezione rimangono le opzioni preventive più efficaci disponibili.
Abstract
INTRODUZIONE
L’acqua è un importante veicolo di trasmissione di numerose malattie. I controlli effettuati per garantirne la sicurezza microbiologica permettono di tutelare la salute dei cittadini (D. Lgs 31/2001), tuttavia possono non essere completamente efficaci nella rilevazione di forme “vitali ma non coltivabili” (VBNC) indotte da trattamenti di disinfezione. Per contro, i metodi di rilevazione in PCR risultano positivi anche in presenza di batteri non vitali. L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’applicabilità di un metodo di viability PCR che impiega un intercalante a base di propidio-monoazide (PMAxx), e le possibili criticità, nell’identificazione molecolare di cellule vitali di P. aeruginosa, in seguito ad inattivazione con due comuni metodi di disinfezione: cloro e calore.
MATERIALI E METODI
P. aeruginosa ATCC 27853 (106 CFU totali) è stato sottoposto a disinfezione mediante ipoclorito di sodio (5 ppm) o calore (58°C) per 1 h. La vitalità è stata determinata in parallelo mediante: (a) piastraggio su Pseudomonas Agar Base; (b) colorazione vitale con propidio ioduro e acridine orange seguita da osservazione microscopica in fluorescenza; (c) trattamento con PMAxx, successiva fotoattivazione, estrazione del DNA e real-time PCR specie specifica (viability PCR). Alcune prove sono state ripetute con un ceppo di Escherichia coli.
RISULTATI
La capacità di discriminazione tra microrganismi vitali o meno offerta dal metodo di viability PCR si basa sul criterio dell’integrità di membrana, che risulta compromessa nei batteri uccisi. In questo studio il trattamento con intercalante è stato in grado di inibire, anche se non completamente, l’amplificazione del DNA dei microrganismi non vitali, permettendo comunque la discriminazione, a parità di concentrazione, tra microrganismi vivi e inattivati con entrambi i metodi di disinfezione (delta Ct). È stato anche possibile identificare microrganismi vivi presenti in un elevato background di morti (1:100). Tuttavia si è osservato un effetto aspecifico di inibizione di amplificazione anche sulle cellule vitali, sia di P. aeruginosa che di E. coli, facendo ipotizzare una possibile permeabilità di membrana al propidio indipendente dalla specie batterica. Le prove in microscopia hanno confermato tale ipotesi.
CONCLUSIONI
L’uso del PMAxx risulta essere sicuramente efficace nella discriminazione tra cellule vitali o meno, ma poco specifico perché determina inibizione anche nelle vive.
Ciò potrebbe dipendere dallo stato fisiologico dei batteri utilizzati per le prove in vitro.
La diffusione delle applicazioni della viability PCR nella routine diagnostica è limitata da alcune criticità e richiede pertanto ulteriori studi per standardizzare il sistema e trovare le condizioni più appropriate per un’efficace discriminazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Le infezioni di influenza e pertosse sono causa di morbilità e mortalità nei neonati di tutto il mondo. La misura preventiva raccomandata è l’immunizzazione materna durante la gravidanza, in quanto offre una protezione diretta alla gestante, riduce la trasmissione materno-fetale dell’infezione e fornisce immunità passiva al neonato. Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 e la Regione Emilia-Romagna raccomandano di offrire gratuitamente alle donne in gravidanza la vaccinazione contro pertosse ed influenza.
MATERIALE E METODI
Nella provincia di Reggio Emilia sono stati registrati 3.126 parti nell’anno 2018. L’AUSL di Reggio Emilia ha promosso le due vaccinazioni tramite più azioni coordinate. Ha realizzato un opuscolo informativo, recante le semplici modalità di accesso alla prestazione e le corrette tempistiche in rapporto al periodo gestazionale. L’opuscolo è stato distribuito a partire da novembre 2018 negli ambulatori del Servizio Igiene e Sanità Pubblica, nei consultori, nei reparti e negli ambulatori ospedalieri di Ostetricia, ai Medici di Medicina Generale e ai Pediatri di Libera Scelta. Ai professionisti dell’AUSL è stato chiesto di promuovere le vaccinazioni, enfatizzandone le motivazioni e la sicurezza. La campagna vaccinale è stata inoltre promossa sul sito internet aziendale e sui quotidiani locali. A tutte le donne che hanno aderito alla campagna “Mi proteggo per proteggerci”, è stato regalato un cordino portachiavi che le stesse hanno potuto fotografare e condividere sui canali social con l’hashtag #miproteggoperproteggerci per diffondere l’iniziativa.
RISULTATI
Sono state confrontate le vaccinazioni contro pertosse ed influenza somministrate alle gravide prima e dopo la campagna vaccinale in tutta la provincia di Reggio Emilia. Nel periodo compreso tra il 13/11/2017 e il 21/05/2018, cioè prima della campagna vaccinale, sono state effettuate 151 vaccinazioni contro la pertosse e 20 contro l’influenza. Nel periodo compreso tra il 12/11/2018 ed il 20/05/2019, dopo la campagna vaccinale, sono state effettuate 620 vaccinazioni contro la pertosse e 125 contro l’influenza. La copertura vaccinale approssimativa sulle gravide, considerando 1500 parti per un periodo di 6 mesi, è pertanto aumentata dal 10% al 41% per la pertosse e dall’1% all’8% per l’influenza.
CONCLUSIONI
La campagna vaccinale ha permesso di incrementare in modo sostanziale il numero di vaccinazioni effettuate in gravidanza. Dopo la campagna è stato registrato un incremento significativo del numero di vaccinate contro pertosse ed influenza. Il successo dell’intervento può essere ascritto alla sensibilizzazione delle future mamme, degli operatori e della popolazione generale, nonché al miglioramento dei percorsi di presa in carico delle donne gravide.
Abstract
INTRODUZIONE
Si definisce AEFI qualsiasi evento medico indesiderato che segue l’immunizzazione, non necessariamente in relazione causale con la somministrazione del vaccino. In Puglia, l’Osservatorio Epidemiologico Regionale (OER) e il Centro Regionale di Farmacovigilanza (CRF) coordinano in modo sistematico dal 2012, le attività di sorveglianza post-marketing al fine di migliorare la performance del sistema di vaccinovigilanza, nonché aggiornare costantemente il profilo di safety ed effectiveness dei vaccini.
Disponibile dal 2007 Il vaccino anti-papilloma virus è offerto in modo attivo e gratuito a tutti i soggetti nel 12° anno di vita e ad in modo attivo ad alcuni sottogruppi di popolazione (PNPV 2017-2019).
Il presente studio sintetizza i dati della sorveglianza di AEFI dopo vaccinazione anti-papillomavirus (bi-quadri-novevalente) in Puglia dal 2012 al 2018.
METODI
Il numero di dosi somministrate nel periodo 2012-2018 è stato ottenuto dall’anagrafe vaccinale regionale informatizzata (GIAVA) mentre gli AEFIs sono stati indagati dalla Rete Nazionale di Farmacovigilanza; agli AEFIs gravi è stato applicato l’algoritmo del causality assessment raccomandato dall’OMS.
RISULTATI
Dal 2012 al 2018 sono state somministrate in Puglia 450.829 dosi di vaccino anti-HPV. Nello stesso periodo, sono stati notificati 76 AEFIs con un reporting rate (RR) di 17,3 x 100.000 dosi, di cui 43/76 (56,6%) dopo vaccino bivalente, 30/76 (39,5%) dopo quadrivalente e 3/76 (3,9%) dopo novevalente.
L’età media alla vaccinazione dei soggetti con AEFIs è stata di 15,4 ± 6,0 anni (range 10-42 anni):
Sono stati segnalati 55/76 (72,4%) AEFIs non gravi (RR = 12,2x100.000 dosi), mentre 17/76 (22,4%) AEFIs gravi (RR = 3,8x100.000 dosi) e 4/76 (5,2%) indefiniti; tra gli AEFIs gravi in 12/17 casi (70,6%) è stata necessaria l’ospedalizzazione.
Per gli AEFI gravi è stata effettuata la valutazione del nesso di causalità: 7/17 (41,2%) AEFIs sono risultati correlabili (RR = 1,6x100000 dosi), 7/17 (41,2%) non correlabili (RR = 1,6x100.000 dosi) e 3/17 (17,6%) inclassificabili (RR = 0,6x100000 dosi).
Dalla distribuzione dei segni/sintomi riportati negli AEFIs gravi correlabili risulta che in 3/7 (42,8%) casi si è trattato di reazioni allergiche e/o (edema della glottide, fame d’aria, orticaria), 2/7 (28,6%) casi di sintomi neurologici (cefalea, vertigini, debolezza) e 2/7 (28,6%) reazioni vaso-vagali.
Per tutti gli eventi avversi gravi correlabili è stato effettuato un follow-up, che ha accertato la completa risoluzione dell’evento avverso.
CONCLUSIONI
Il nostro studio delinea un profilo di sicurezza coerente con i dati di pre-registrativi e non sono stati rilevati segnali emergenti. La sensibilità del sistema di sorveglianza ed il sistematico utilizzo dell’algoritmo del causality assessment dovrebbero essere implementati, tramite l’attivazione di programmi di sorveglianza attiva.
Abstract
INTRODUZIONE
L’introduzione della vaccinazione attiva e gratuita per il virus del papilloma umano (HPV) nei maschi undicenni è stata una delle novità del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019. Questo studio si pone l’obiettivo di confrontare le coperture vaccinali (CV) della coorte di introduzione del vaccino per l’HPV nei maschi con la coorte vaccinata di femmine nel 2008 (anno di introduzione in Toscana), nella zona empolese dell’ASL Toscana Centro (ASL TC).
MATERIALI E METODI
Sono state analizzate tramite Sistema Informativo Sanitario della Prevenzione collettiva (SISPC) le CV per ciclo completo di HPV della zona empolese per la coorte 2006 di maschi e confrontate con quelle della coorte 1997 di femmine, riportate sul flusso regionale al 31/12/2009. Sono stati inoltre confrontati i valori di CV della zona empolese con le CV delle rispettive coorti di nascita e sesso dell’ASL TC. I dati preliminari, aggiornati a maggio 2019, sono stati analizzati mediante un’analisi statistica descrittiva, utilizzando il test F di Fisher (p < 0,05).
RISULTATI
Per la zona empolese, su 1.059 adolescenti maschi della coorte 2006 il 59% risulta vaccinato con un ciclo completo a due dosi, contro l’80% di femmine della coorte 1997 su un totale di 1.027 ragazze dodicenni nel 2008 (p < 0,05). La CV per HPV negli adolescenti maschi residenti in ASL TC risulta inferiore rispetto alla zona empolese, infatti tra i 7.251 residenti della corte 2006, solo il 31% ha completato la vaccinazione, evidenziando una differenza di 28 punti percentuali (p < 0,05). Infine, la CV media per la coorte 1997 di femmine vaccinate in tutta l’ASL TC risultava allo stesso modo inferiore rispetto alla zona empolese, infatti il 75% delle 6.260 adolescenti femmine aveva completato il ciclo a tre dosi.
CONCLUSIONI
Dallo studio emerge come le CV siano state più elevate per la prima coorte di introduzione del vaccino anti-HPV nelle femmine rispetto ai maschi, nonostante il ciclo completo fosse di 3 dosi invece di 2. Si evidenzia la necessità di implementare campagne di informazione sull’importanza del vaccino anti-HPV in entrambi i sessi. La maggiore adesione alla vaccinazione anti-HPV sia per femmine che per maschi nell’esperienza empolese è dovuta ad una scelta organizzativa di chiamata attiva a domicilio e di coinvolgimento dei pediatri di famiglia. Questo ha contribuito ad aumentare la compliance alla vaccinazione e può essere un modello da proporre anche alle altre realtà territoriali avvalendosi di software in grado di auto-generare gli inviti.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione degli operatori sanitari (OS) riduce il rischio delle infezioni professionali, previene la trasmissione nosocomiale e garantisce la continuità delle cure sanitarie durante le epidemie di malattie vaccino-prevenibili. Nonostante le raccomandazioni del Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017-2019, la copertura vaccinale degli OS in Italia risulta molto bassa. Scopo dello studio è valutare lo stato vaccinale e immunitario degli OS del Policlinico Universitario di Palermo.
MATERIALI E METODI
Un questionario anonimo è stato somministrato online tra Settembre e Dicembre 2018 agli OS del Policlinico Universitario di Palermo. Il questionario era suddiviso nelle seguenti sezioni: dati socio-demografici, dati sull’attività lavorativa (mansione lavorativa, U.O. di appartenenza) e sull’anamnesi vaccinale e immunitaria relativa alle malattie vaccino-prevenibili. Tutte le analisi sono state condotte con un livello di significatività a due code (p < 0,005).
RISULTATI
Su un totale di 1.755 OS, 1.570 hanno risposto al questionario (89,4%) di cui il 52,4% di sesso femminile. L’età media era di 52 anni (DS ± 9,01), il 52,3% erano infermieri, assistenti sanitari e ostetriche, il 34,3% medici e il 13,5% altri tecnici sanitari.
I livelli più alti di immunizzazione sono stati osservati negli OS più giovani (< 39 anni) contro morbillo (51,8% vs 45,4%; p ≥ 0,05); Varicella (60,9 % vs 49,7%; p < 0,001) ed Epatite B (89,3% vs 67,7%; p < 0,001). Le donne avevano livelli di immunizzazione più elevati contro Morbillo (50,8% vs 40,6%; p < 0,001), Parotite (44,5% vs 36,2%; p < 0,001) e Rosolia (53,1% vs 39 %) rispetto agli uominiIl personale che operava nelle unità a rischio (es. terapie intensive, chirurgie, neonatologie, etc.) ha mostrato livelli di immunizzazione significativamente più elevati contro Epatite B (76,8% vs 64,4%; p < 0.001) e Rosolia (49,2% vs 43,8%; p < 0,05) ed una copertura vaccinale significativamente inferiori contro l’influenza (19,8% VS 24,3%; p < 0,05); nonostante, quest’ultima abbia mostrato un trend in aumento dalla stagione 2015/2016 (8,5%) alla 2017/2018 (19,7%).
CONCLUSIONI
I dati di copertura vaccinale ed immunitaria del campione in studio hanno evidenziato tassi ben al di sotto dei valori raccomandati dal PNPV, sebbene un miglioramento si sia osservato grazie all’introduzione della valutazione dello stato immunitario anti-rosolia in età fertile e della vaccinazione contro l’Epatite B nei soggetti nati dal 1979 in poi. Nello specifico, i dati confermano la maggiore percezione negli OS del rischio personale di contrarre le malattie vaccino-prevenibili (elevati livelli di immunizzazione contro l’HBV) e la bassa percezione del rischio di trasmettere le patologie vaccino-prevenibili ai propri pazienti (bassa copertura vaccinale contro influenza, DTP, MPRV).
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione anti-influenzale negli operatori sanitari (OS) rimane ancora una grossa sfida per la sanità pubblica in molti paesi. Il valore di questa vaccinazione spesso viene sottovalutato dagli OS che in larga maggioranza credono che l’influenza non rappresenti un serio rischio per se stessi e sottovalutano largamente il rischio per i loro assistiti. In questo lavoro riportiamo i risultati di una esperienza di offerta attiva della vaccinazione contro l’influenza agli operatori vaccinali dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (AOUP).
MATERIALI E METODI
A partire dalla stagione 2017/2018 è stato avviato nella AOUP un progetto di offerta attiva comprendente una campagna informativa e la somministrazione della vaccinazione direttamente in reparto. I dati sulle dosi di vaccino somministrate sia in ambulatorio (metodo tradizionale) che in reparto (offerta attiva) sono stati raccolti e le coperture analizzate utilizzando un apposito database presso l’unità operativa di medicina preventiva del lavoro.
RISULTATI
Nel corso della stagione 2016/17, quella precedente l’avvio della campagna informativa e del progetto di offerta attiva, in tutto erano state somministrate 450 vaccinazioni, per una copertura totale del 7,8%. Nella stagione 2017/18 il numero totale di vaccini somministrato è salito a 508, per una copertura del 8,8%. Di questi, 187 (36,8%) era stato somministrato attraverso l’offerta attiva in reparto. Nel corso della stagione 2018/19 il numero di vaccinazioni somministrate è salito a 711 (copertura 12,3%), di cui 374 (52,6%) somministrate in reparto.
CONCLUSIONI
Al termine della stagione 2018/19 il programma integrato di informazione ed offerta attiva in reparto ha dimostrato un buon livello di successo nell’AOUP. Mentre nella stagione precedente il numero di dosi somministrate nonostante l’offerta attiva in reparto aveva portato solo ad uno scarso aumento della copertura vaccinale totale, nella ultima stagione i risultati sono stati più evidenti. Il fatto che più della metà delle dosi siano state somministrate in reparto dimostra come gli operatori abbiano ampiamente gradito questo tipo di offerta. Resta comunque importante sottolineare che, nonostante gli sforzi fatti, il livello di copertura generale contro l’influenza negli OS rimane drammaticamente basso.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 individua, tra gli interventi prioritari, l’immunizzazione del personale sanitario e l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni nelle popolazioni a rischio, anche attraverso forme di miglioramento della logistica del sistema vaccinale, che rappresenta uno dei determinanti di esitazione vaccinale.
MATERIALI E METODI
A dicembre 2019 il SISP della ASL Brindisi ha istituito, in via sperimentale, un ambulatorio vaccinale all’interno del P.O. Perrino, allo scopo di favorire la vaccinazione degli Operatori Sanitari (OS) e dei pazienti a rischio, includendo anche un’attività di vaccinazione itinerante” presso le UU.OO. dell’ospedale. Al fine di informare tutti gli OS del P.O. di tale iniziativa, è stato organizzato un Hospital Meeting. Inoltre, è stato comunicato al medico competente della struttura la possibilità di poter inviare gli OS suscettibili presso il nuovo ambulatorio.
RISULTATI
Da gennaio a maggio 2019 presso l’ambulatorio vaccinale del P.O. Perrino si sono sottoposti a vaccinazione per dTap 51 OS, per MPR 23 OS suscettibili, per varicella 6 OS suscettibili, per epatite B 13 suscettibili. Hanno usufruito della vaccinazione itinerante per dTap 15 operatori sanitari del reparto di Terapia Intensiva Neonatale (CV 50%) su richiesta del Primario. I medici della U.O. Reumatologia hanno avviato al programma vaccinale 7 pazienti candidati alla terapia biologica. Sono state vaccinate per dTap, dietro raccomandazione dei ginecologi della U.O: Ginecologia, due donne alla 28° settimana e una donna alla 30° settimana ricoverata presso lo stesso reparto. Hanno richiesto la vaccinazione per HPV due donne di età compresa tra 30 e 35 anni risultate positive al pap test e la cui vaccinazione è stata raccomandata dagli specialisti della U.O. Ginecologia del P.O., così come un completamento vaccinale per MPR in una donna in età fertile. Infine, si è sottoposta a vaccinazione una paziente splenectomizzata, operatrice sanitaria dello stesso presidio.
CONCLUSIONI
Tutti i pazienti durante il counselling vaccinale hanno riferito di sentirsi tranquillizzati dalla presenza dell’ambulatorio vaccinale all’interno dell’ospedale e di avere la sensazione che fosse un percorso in continuità con quello intrapreso con il proprio specialista.
Tra gli operatori sanitari vaccinati, l’80% ha affermato di aver apprezzato la possibilità di vaccinarsi durante una pausa all’interno del turno di lavoro. Emerge, quindi, come la vaccinazione al di fuori dei canonici Servizi sia una pratica da incentivare, anche al fine di diffondere una “cultura vaccinale” negli operatori sanitari anche in ambito ospedaliero in un clima di rinforzo istituzionale che può solo giovare al “sistema prevenzione”.
Abstract
INTRODUZIONE
La malattia da Neisseria meningitidis è un serio problema di Sanità Pubblica anche nei Paesi sviluppati per il suo alto tasso di letalità (8-15%) e l’elevata frequenza di sequele invalidanti che affliggono i soggetti sopravvissuti (fino al 60%). La malattia colpisce prevalentemente i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti, e pertanto, queste categorie di soggetti dovrebbero essere il target primario delle strategie vaccinali.
Attualmente, uno dei principali problemi dei servizi sanitari dei Paesi sviluppati è il reperimento delle risorse economiche per implementare nuovi interventi preventivi. In questo contesto assumono particolare importanza le valutazioni economiche che permettono di analizzare le diverse strategie vaccinali al fine di massimarne i benefici.
L’obiettivo dello studio era valutare i costi e i benefici della vaccinazione anti-meningococco B con il vaccino ricombinante, adsorbito, contenente fHbp di Neisseria meningitidis sierogruppo B, sottofamiglia A e sottofamiglia B, negli adolescenti a confronto con la non vaccinazione nell’attuale scenario epidemiologico italiano.
MATERIALI E METODI
Un modello markoviano lifetime a stati di salute esclusivi rappresenta la coorte di undicenni, dalla vaccinazione fino all’estinzione della coorte. La strategia “vaccinazione” è stata comparata con la “non vaccinazione” considerando la schedula a 2 dosi (0-6 mesi). Il modello assume la protezione del vaccino dopo la II dose, con un decadimento di protezione nel tempo. Tre fasi della malattia sono state definite: fase acuta (1 mese), fase post-acuta (fino a sei mesi) e fase a lungo termine (dal sesto mese in poi).
Sono state considerate due prospettive: Servizio Sanitario Nazionale (SSN) (costi diretti) e sociale (costi diretti e indiretti). I costi sono contabilizzati al 2018, applicando un tasso di sconto del 3,5%. Dati epidemiologici, costi e utilità di salute sono stati reperiti dalla letteratura nazionale e internazionale.
RISULTATI
Il rapporto incrementale di costo-utilità (ICER) è risultato di € 7.907,08 per la prospettiva del SSN e di € 7.757,73 per la prospettiva della società dimostrando la costo-efficacia dell’introduzione della vaccinazione negli adolescenti in Italia. La vaccinazione permette di risparmiare per ogni caso evitato € 21.923 per la fase acuta e € 168.107 per le sequele.
CONCLUSIONI
Il modello dimostra che la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti può ridurre l’impatto clinico della malattia, riducendo i costi diretti e indiretti e, di conseguenza, determinare un benefico globale sulla collettività.
Abstract
INTRODUZIONE
In seguito all’emanazione della Circolare del 07.08.2018 del Ministero della Salute relativa alle Vaccinazioni raccomandate per le donne in età fertile e in gravidanza, i servizi territoriali e i dipartimenti di prevenzione sono stati richiamati a dare attuazione alla nuova raccomandazione del PNPV 2017-2019 che prevede la vaccinazione con dTpa delle gestanti al terzo trimestre (intorno alla 28° settimana).
L’UF IPN Valdera - Alta Val di Cecina ha introdotto un canale dedicato in open-access per favorire l’accesso e la compliance di questa particolare tipologia di pazienti stabilendo anche una collaborazione con la UO di Ginecologia del P.O. di Pontedera.
Scopo dello studio è una valutazione dello stato dell’arte dell’attuazione di tali disposizioni nel territorio.
MATERIALI E METODI
Al fine di valutare il livello di attuazione del programma vaccinale e l’incisività del nuovo assetto organizzativo abbiamo proceduto all’estrazione dei dati dal software gestionale della Regione Toscana SISPC, tramite il quale vengono registrate le vaccinazioni effettuate. È stato quindi estratto un report tabellare con l’individuazione delle donne in gravidanza come categoria di rischio ed evidenziata l’attività svolta per zona distretto della USL Toscana Nord-ovest.
RISULTATI
A partire da Agosto 2018, entrata in vigore della Circolare, presso gli ambulatori IPN della zona VDE-AVC sono state vaccinate con dTpa 112 donne in gravidanza. È stato osservato un trend in forte aumento a partire dagli ultimi mesi del 2018, ed un ulteriore incremento da marzo 2019, del numero di vaccinazioni mensili alle gestanti. Partendo dal dato più recente (Relazione Sanitaria 2017 Azienda USL Toscana Nord-Ovest), che stima il numero di parti mensili nella stessa zona in 81,5 possiamo affermare che nell’ultimo trimestre di osservazione (mar-mag 2019) il numero di donne immunizzate sia pari a circa 25% del totale delle gravide.
CONCLUSIONI
Questi primi dati evidenziano un progressivo aumento della percentuale di aderenza al programma vaccinale delle donne gravide dimostrando il successo del nuovo assetto organizzativo, oltre che dell’attività di corretta informazione relativamente alla vaccinazione con dTpa in gravidanza. In questo senso la zona VDE-AVC si pone come avanguardia all’interno dell’Azienda USL Toscana Nord-Ovest per questa tipologia di vaccinazioni, prima per numero assoluto con oltre 1/5 delle somministrazioni effettuate sul territorio dell’intera USL.
L’obbiettivo deve essere, tuttavia, quello di ampliare e strutturare meglio la collaborazione fra centri nascita e servizi vaccinali e l’informazione alle gestanti, al fine di incrementare i livelli di immunizzazione in gravidanza.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel corso della stagione influenzale 2017/2018 le coperture vaccinali (CV) riscontrate nella Provincia di Parma in merito alle vaccinazioni raccomandate alla popolazione over 65 dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 sono risultate insoddisfacenti, sia rispetto al dato nazionale che a quello regionale. L’AUSL di Parma ha pertanto coinvolto attivamente i medici di medicina generale (MMG) nella campagna vaccinale contro influenza stagionale, pneumococco ed Herpes zoster. Scopo del presente studio è valutare le relative conoscenze, attitudini e comportamenti (KAP) dei MMG attivi nella provincia di Parma.
MATERIALI E METODI
Nell’Ottobre 2018 è stato distribuito un questionario strutturato, a tutti i 274 MMG dell’AUSL di Parma, relativo ad influenza stagionale, pneumococco ed herpes zoster ed esplorante l’attitudine alla raccomandazione vaccinale. L’associazione fra quest’ultima e fattori individuali, compresi livello di conoscenza e percezione del rischio, era analizzata tramite modello di regressione logistica multivariata, determinando i corrispondenti Odds Ratio multivariati (mOR).
RISULTATI
Il questionario è stato compilato da 73 MMG (26,6% del campione iniziale). Il 41,1% dei rispondenti ignorava l’effettiva composizione a virus vivo-attenutato del vaccino anti-zoster, il 95% e il 78,1% esibiva una corretta conoscenza dei vaccini antinfluenzali e antipneumococcici. Il 72,6% era a conoscenza della possibile cosomministrazione tra vaccini antinfluenzali e antipneumococcici, ma solo il 12,3% sapeva che l’anti-zoster è cosomministrabile con l’antinfluenzale. La percezione di efficacia e sicurezza era soddisfacente per tutte e tre le vaccinazioni (media > 8/10). Fra i partecipanti, il 60,3% ha dichiarato di essersi vaccinato contro l’influenza nella stagione precedente, mentre il 98,6% dichiarava di aver somministrato i vaccini antinfluenzali, il 93,2% di avere erogato i vaccini antipneumococcici ai propri pazienti e il 95,5% manifestava la propria disponibilità ad eseguire la vaccinazione anti-herpes zoster, sebbene solo il 65,6% dei medici dichiarasse di raccomandare spesso o regolarmente tale vaccinazione. Dall’analisi multivariata i principali determinanti di vaccinazione del vaccino anti-pneumococco risultavano essere la pregressa vaccinazione contro l’influenza stagionale (OR = 5,44; IC95% 1,08-27,31) e un’attitudine favorevole verso la vaccinazione anti-zoster (OR = 13,67; IC 95% 2,41-77,64).
CONCLUSIONI
Nonostante un’attitudine complessivamente favorevole alle vaccinazioni, i MMG esibivano incertezze conoscitive meritevoli di interventi appropriati. Tuttavia, la mancanza di relazione fra stato di conoscenza e promozione delle vaccinazioni evidenzia il ruolo di fattori individuali più complessi, non completamente definiti dall’Health Belief Model proprio delle indagini KAP.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 raccomanda nelle donne in gravidanza la vaccinazione anti difterite-tetano-pertosse (dTpa) e l’antinfluenzale per la protezione della donna e del nascituro.
Le vaccinazioni, anche se raccomandate, spesso sono percepite dalla donna in gravidanza come non prioritarie o pericolose per il feto. La vaccinazione presso ambulatori ospedalieri dedicati è una delle possibili strategie previste per aumentare la compliance alla vaccinazione. Si riportano i risultati di 6 mesi di attività di un ambulatorio dedicato alle vaccinazioni in donne in gravidanza attivato dalla U.O.C. Igiene presso l’A.O.U.C. Policlinico di Bari.
METODI
L’ambulatorio ospedaliero “Vaccinazioni in gravidanza” on-site, attivo da novembre 2018, è ubicato presso le UU.OO.CC. Ginecologia e gestito dalla U.O.C Igiene. Le donne che afferiscono all’ambulatorio ricevono counselling personalizzato seguito dalla somministrazione delle vaccinazioni dTpa (tra 27a e 36a settimana di gestazione) e antinfluenzale (II o III trimestre di gravidanza) durante la stagione influenzale. Inoltre, vengono consegnati attestato vaccinale e materiale informativo sulle vaccinazioni in Puglia. A distanza di 48-72 h dalla vaccinazione le donne vengono ricontattate telefonicamente per monitorare l’eventuale comparsa di reazioni avverse.
RISULTATI
Tra novembre 2018 e aprile 2019 sono stati registrati 152 accessi da parte di 92 donne (34 hanno eseguito doppio o triplo accesso). Sono stati somministrati 76 vaccini dTpa (88,4% di tutte le donne afferite nel III trimestre) e 55 antinfluenzali (78,3% delle donne nel II o III trimestre). Nel 26% dei casi è stata effettuata co-somministrazione. Tre donne hanno rifiutato l’antinfluenzale, due per timore di reazioni avverse e una per mancata percezione del rischio di malattia. Tra le pazienti vaccinate con l’antinfluenzale, due hanno riferito febbricola, 27 dolore nel sito di inoculo e 26 nessuna reazione avversa. Delle pazienti vaccinate con dTpa, 38 hanno riferito dolore nel sito di inoculo e 38 nessuna reazione avversa. Nessuna paziente si è rivolta dal proprio medico a seguito di reazioni avverse.
CONCLUSIONI
Le donne in gravidanza dovrebbero essere sempre accompagnate da un percorso di prevenzione in tutte le fasi della gestazione. L’esperienza di vaccinazione on-site del Policlinico di Bari conferma che la sinergia tra diverse figure professionali (igienista, ginecologo, pediatra, ostetrica) e la costruzione di percorsi strutturati possono contribuire all’empowerment della donna in gravidanza. La presenza di un ambulatorio in ospedale, l’inserimento all’interno del percorso nascita del counselling e delle vaccinazioni e il contatto telefonico offerto alle donne vaccinate ha consentito di ottenere una buona adesione alle vaccinazioni raccomandate.
Abstract
INTRODUZIONE
L’influenza è un importante problema di Sanità Pubblica. Ogni anno, è responsabile di circa 50 milioni di casi di malattia e di 15.000-70.000 morti nei Paesi dell’Unione Europea. Le complicanze sono più frequenti negli anziani e nei bambini di età <1 anno. La vaccinazione rappresenta lo strumento più efficace per prevenire la malattia e le sue complicazioni; tuttavia, l’efficacia sul campo (IVE) dei vaccini varia di anno in anno a causa principalmente del mismatching tra gli strains virali contenuti nel vaccino e quelli circolanti.
Uno studio caso-controllo con disegno test-negativo è stato condotto per misurare l’IVE dei vaccini influenzali stagionali nel prevenire casi di influenza confermata in laboratorio (LCI) in Liguria durante la stagione 2018/19.
METODI
21 medici (16 medici di medicina generale e 5 pediatri) afferenti al network coordinato dal CIRI-IT hanno monitorato una popolazione di circa 28.000 assistiti, suddivisa per classi d’età. La popolazione dello studio comprendeva pazienti di età ≥ 6 mesi, senza controindicazioni per la vaccinazione antinfluenzale, che consultavano il medico per sintomatologia simile all’influenza (ILI). Per ciascun soggetto arruolato, il medico ha raccolto dati demografici, clinici, informazioni relative alle co-morbosità e altri fattori di rischio, lo status vaccinale e il tipo di vaccino utilizzato. Ogni soggetto è stato sottoposto a tampone orofaringeo per l’analisi virologica. La ricerca del virus influenzale e la tipizzazione è stata eseguita mediante test di biologia molecolare. Tutti i dati sono stati inseriti nel sistema informatico del CIRI-IT (piattaforma web protetta da credenziali di accesso).
La stima di IVE è stata calcolata mediante la formula VE = (1-OR) x 100%.
RISULTATI
Durante il periodo di studio, 1120 soggetti hanno consultato il medico per ILI. 280 soggetti erano vaccinati contro l’influenza (25%). L’analisi virologica ha rivelato che 386 (34,5%) tamponi erano positivi: il 96,89% apparteneva al tipo A (A/H1N1: 39,84% e A/H3N2: 60,16%). Solo 12 (3,11%) tamponi sono risultati positivi al virus B. Dei 386 soggetti positivi 70 erano vaccinati e 316 non vaccinati. Nel gruppo dei controlli (734) 210 erano vaccinati e 524 non vaccinati. La stima globale di IVE è risultata del 46%.
CONCLUSIONI
La stagione 2018/2019 è stata dominata dai virus influenzali A, in accordo con i risultati ottenuti dalla sorveglianza nazionale. L’efficacia sul campo della vaccinazione è risultata in linea con quella osservata in altri studi. Successivamente sarà eseguita un’analisi di regressione logistica lineare e/o multivariata per una valutazione più approfondita e specifica (età, variabili di confondimento, tipo di vaccino utilizzato).
Abstract
INTRODUZIONE
Gli operatori sanitari (OS) hanno un maggior rischio di esposizione ai virus influenzali. Gli OS di residenze sanitarie assistenziali (RSA), vivendo a stretto contatto con gli anziani, possono rappresentare una fonte di infezione per questi soggetti fragili. Mentre la copertura vaccinale (CV) antinfluenzale è soddisfacente negli anziani, quella degli OS risulta completamente insoddisfacente, nonostante le raccomandazioni internazionali. Scopo del presente lavoro è di valutare quali interventi risultano più utili per aumentare l’adesione alla vaccinazione negli OS delle RSA.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata una revisione sistematica nei database elettronici: Pubmed, Cochrane Database of Systematic Reviews, Health Evidence, Web of Science, Cinahl. Non sono stati applicati limiti temporali. Sono stati inclusi studi primari, revisioni sistematiche e meta-analisi in lingua inglese, analizzati da tre revisori indipendenti e da un quarto ricercatore in caso di discrepanze. Gli articoli sono stati valutati utilizzando lo strumento EPHPP di valutazione della qualità.
RISULTATI
Tra i 1.104 articoli selezionati, 25 soddisfacevano i criteri di inclusione. Il 52% degli studi sono stati eseguiti negli Stati Uniti, 32% in Europa, 12% in Canada e 4% in Australia, nessuno studio in paesi in via di sviluppo. La maggior parte degli studi riportava interventi multipli in tre diverse aree: migliorare l’accesso alla vaccinazione, eliminare le barriere individuali o introdurre interventi di politica sanitaria diretti a imporre la vaccinazione negli OS. Sei studi sono risultati di qualità “forte”, quattro “moderata” e 15 “debole”. Gli interventi basati sul sistema sanitario variano notevolmente nei vari Paesi e nelle diverse tipologie di RSA ed è difficile stabilire quali interventi sono più utili. Il nostro studio suggerisce che i migliori risultati nell’adesione alla vaccinazione negli OS sono ottenuti combinando più interventi in diverse aree. In effetti, le campagne educative (es. Vaccine Day) sono una strategia efficace per aumentare la CV tra gli OS delle RSA, specialmente quando coinvolgono infermieri preparati e dopo aver analizzato specifiche barriere. Le principali motivazioni per la mancanza di adesione al vaccino sono: idee sbagliate o carenza di conoscenza e mancanza di un comodo accesso al vaccino. L’intervento singolo più rilevante risulta l’introduzione di una politica di vaccinazione obbligatoria per gli OS.
CONCLUSIONI
Le organizzazioni sanitarie dovrebbero promuovere strategie per aumentare la consapevolezza nei confronti della vaccinazione antinfluenzale. A causa della transizione epidemiologica verso l’invecchiamento e la cronicità della popolazione, nel prossimo futuro, le RSA rappresenteranno un ambiente ideale per realizzare interventi preventivi multi-approccio.
Abstract
INTRODUZIONE
L’influenza è un grave problema di Sanità Pubblica; infatti, in Italia il sistema di sorveglianza segnala, ogni anno, dai 6 agli 8 milioni di casi di influenza-like Illness (ILI). La vaccinazione è il mezzo più efficace per contrastare la malattia e le sue complicanze, tuttavia a causa della variabilità del virus influenzale l’efficacia della vaccinazione varia da stagione a stagione.
All’interno di un progetto europeo (DRIVE) è stato condotto, nella stagione 2018/19, uno studio di coorte per valutare l’effectiveness dei vaccini antinfluenzali negli operatori sanitari in 2 regioni italiane (Liguria e Lombardia). Lo studio è stato coordinato dal Centro Interuniversitario di Ricerca sull’Influenza e le altre Infezioni Trasmissibili (CIRI-IT).
MATERIALI E METODI
La popolazione dello studio comprendeva operatori sanitari di età compresa tra 18 e 65 anni. I soggetti sono stati arruolati tra la 40a e la 51a settimana del 2018 e seguiti fino alla 17a settimana del 2019. Per ogni soggetto arruolato sono stati raccolti i dati demografici, informazioni sulla presenza di patologie croniche, altri fattori di rischio e status vaccinale compreso il tipo di vaccino utilizzato. Su tutti i soggetti che sviluppavano una ILI e contattavano lo staff del CIRI-IT era eseguito un tampone oro-faringeo. La ricerca dei virus influenzali era eseguita tramite test di biologia molecolare.
RISULTATI
Sono stati arruolati 4.483 operatori sanitari (2.270 a Genova e 2.213 a Milano) di cui 1.459 erano vaccinati (32,5%). Sono stati raccolti 309 tamponi oro-faringei e 72 (23,3%) risultarono positivi. Nei gruppo dei vaccinati 157 soggetti hanno contattato il CIRI-IT per ILI: 35 di questi sono risultati positivi per influenza. Tutti i campioni positivi appartenevano al tipo A (H1N1: 39 e H3N2: 33). Nessun caso di virus B è stato osservato.
CONCLUSIONI
Il nostro studio di coorte ha evidenziato un incremento dell’adesione alla vaccinazione negli operatori sanitari a dimostrazione dell’importanza di condurre campagne di sensibilizzazione “tailor-made”.
La stagione 2018/2019 è stata dominata dai virus influenzali A, in accordo con i risultati ottenuti dalla sorveglianza nazionale. Solo il 2,4% dei vaccinati ha sviluppato influenza confermata in laboratorio.
Abstract
INTRODUZIONE
L’immunizzazione attiva del personale sanitario rappresenta uno degli interventi più sicuri ed efficaci per il controllo delle infezioni nosocomiali e comporta benefici per effetto diretto sui soggetti vaccinati, e in modo indiretto, riducendo la circolazione di patogeni.
MATERIALI E METODI
La ASL Brindisi a dicembre 2017 ha avviato un programma di sensibilizzazione alla vaccinazione negli operatori sanitari (OS) con diversi step. In occasione della campagna vaccinale antinfluenzale 2017/18 è stata deliberata l’apertura di un ambulatorio vaccinale dedicato agli OS della stessa Azienda. Tale apertura è stata comunicata tramite vari mezzi (mail aziendale, portale del dipendente, avvisi esposti sui marcatempo). Sono quindi stati coinvolti i medici competenti della ASL che hanno promosso tutte le vaccinazioni previste da Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 e raccolto il consenso e il dissenso informato alla vaccinazione. Infine a dicembre 2018 è stata deliberata l’apertura sperimentale di un ambulatorio vaccinale presso il P.O. Perrino di Brindisi e promossa la vaccinazione itinerante nei reparti dello stesso Presidio.
RISULTATI
Nel corso dell’anno 2017 nessun OS suscettibile per morbillo, parotite, rosolia o varicella ha aderito alla vaccinazione, solo 2 OS suscettibili per epatite B si sono vaccinati, nessuno ha aderito alla vaccinazione per pertosse, il 3.6% degli OS ha aderito alla vaccinazione antinfluenzale. Nel corso dell’anno 2018 hanno aderito alla vaccinazione per epatite B 7 OS risultati suscettibili, per morbillo, parotite, rosolia 16 OS risultati suscettibili, per varicella 2 OS risultati suscettibili, e per pertosse 56 operatori sanitari. Per quanto attiene la campagna di vaccinazione antinfluenzale 2018/19, sono stati vaccinati 408 OS (CV 11,7%). Da gennaio 2019 a maggio 2019 presso l’ambulatorio vaccinale del P.O. Perrino si sono sottoposti a vaccinazione per MPR 23 operatori suscettibili, per varicella 6 operatori, per epatite B 13 suscettibili, 51 OS per dTap. Inoltre, nel mese di dicembre 2018 hanno usufruito della vaccinazione itinerante per dTap 15 OS del reparto di Terapia Intensiva Neonatale (CV 50%).
CONCLUSIONI
Le azioni intraprese dal SISP hanno portato ad un significativo incremento degli accessi vaccinali da parte degli OS. L’attivazione di ambulatori dedicati, la vaccinazione in ospedale, ovvero all’interno della stessa sede lavorativa, il lavoro sinergico con la figura del medico competente, l’utilizzo del dissenso informato alla vaccinazione, hanno influito notevolmente sull’adesione alle vaccinazioni raccomandate. Un limite del presente studio è rappresentato dalla mancata conoscenza del numero di operatori suscettibili per malattia, che non permette il calcolo delle coperture vaccinali.
Abstract
INTRODUZIONE
La pertosse è una malattia infettiva altamente contagiosa, ma prevenibile da vaccinazione. Tuttavia, la pressione immunologica esercitata dai vaccini e la mancata persistenza a lungo termine della protezione immunitaria hanno determinato, oltre alla riduzione dell’incidenza, un ruolo epidemiologico importante di adolescenti e adulti. Questi possono rappresentare una significativa sorgente di infezione per i neonati non vaccinati o vaccinati in modo incompleto, nei quali la pertosse può avere un decorso clinico molto grave. Scopo dello studio è stato quello di valutare l’evoluzione epidemiologica della pertosse, soprattutto a carico di questo gruppo di popolazione particolarmente sensibile all’infezione.
MATERIALI E METODI
Lo studio, osservazionale retrospettivo, ha analizzato il database delle Schede di Dimissione Ospedaliera relative ai ricoveri per pertosse registrati in Italia tra il 2002 e il 2016, con particolare attenzione per la fascia di età < 1 anno. Lo slope della retta di regressione ha rappresentato lo strumento di analisi per il trend temporale delle frequenze e dei tassi di ospedalizzazione, e delle coperture vaccinali. Il coefficiente di correlazione di Pearson è stato utilizzato per valutare la correlazione tra tassi di ospedalizzazione e coperture vaccinali. È stato assunto un livello di significatività statistica del 5%.
RISULTATI
Le ospedalizzazioni nei bambini di età < 1 anno hanno rappresentato il 63.39% (5954/9393) del totale delle ospedalizzazioni per pertosse verificatesi nei 15 anni oggetto di studio. Per tale fascia di età, è emerso un tasso medio di ospedalizzazione più di un ordine di grandezza più elevato rispetto alle altre fasce d’età, con un valore pari a 74,60 x 100000 bambini. Entro l’anno di vita, il trend temporale è risultato in aumento sia per le frequenze (β = 1,37; p<0,001) che per i tassi di ospedalizzazione (β = 1,87; p = 0,186), sebbene per questi ultimi sia stata evidenziata una significatività statistica solo a partire dal 2008 (β = 4,66; p = 0,016). Il coefficiente di correlazione di Pearson ha messo in luce una correlazione negativa (– 0.745; p = 0.001) tra coperture vaccinali e tassi di ospedalizzazione per i bambini di età < 1 anno.
CONCLUSIONI
Dallo studio è emerso che i bambini entro l’anno di vita risultano essere i più interessati dalle ospedalizzazioni per pertosse, con tassi che si correlano negativamente con le coperture vaccinali. Ciò deve spingere verso l’attuazione di strategie ad hoc volte sia a proteggere questo gruppo di popolazione estremamente sensibile all’infezione pertossica, sia a mantenere elevate le coperture vaccinali, non solo per quel che riguarda le dosi obbligatorie, ma anche le dosi booster raccomandate, evitando la formazione di sacche suscettibili.
Abstract
INTRODUZIONE
Le evidenze scientifiche disponibili relative all’efficacia sul campo del vaccino antinfluenzale (VE) nel prevenire la mortalità e la morbosità legate alle infezioni causate dai diversi sottotipi di virus influenzale negli anziani sono deboli. Obiettivo dello studio è stato misurare la VE negli anziani nei confronti degli esiti d’infezione più grave.
MATERIALI E METODI
Abbiamo condotto uno studio caso-controllo multicentrico, con disegno test-negative (TND), durante la stagione invernale 2017/18, coinvolgendo gli ospedali di riferimento di quattro grandi città italiane (Genova, Siena, Roma e Bari). La popolazione dello studio ha ricompreso individui di età superiore ai 65 anni ricoverati in ospedale con un’infezione respiratoria grave (SARI). Per ciascuno dei pazienti arruolati sono stati raccolti i dati demografici, clinici, quelli relativi alla presenza di co-morbosità e di altri fattori di rischio e all’effettuazione della vaccinazione antinfluenzale nella stagione corrente, compreso il tipo di vaccino utilizzato. Tutti i pazienti arruolati sono stati sottoposti a tampone naso-faringeo per la ricerca e tipizzazione dei virus influenzali attraverso metodiche di biologia molecolare. La VE è stata stimata per sottotipo di virus e specificamente per il vaccino antinfluenzale trivalente adiuvato con MF59 (TIVadj). Un modello di regressione logistica multivariata è stato applicato per correggere la VE rispetto ai possibili confondenti positivi e negativi.
RISULTATI
Sono stati arruolati complessivamente 502 pazienti con SARI: 118 (23,5%) sono risultati positivi e 384 (76,5%) sono risultati negativi alla ricerca di virus influenzale. Poiché il 94% dei pazienti arruolati aveva ricevuto il TIVadj, è stato possibile calcolare la VE specifica del tipo di vaccino. La VE corretta osservata per tutti i tipi di vaccino è risultata pari al 48,5% e comparabile alla VE corretta del vaccino TIVadj (48,3%). La VE corretta del vaccino TIVadj è stata del 67,5% nei confronti delle SARI causate dai virus influenzali di tipo A(H1N1)pdm09 e del 44,5% nei confronti delle SARI causate da virus di tipo B.
CONCLUSIONI
I risultati dello studio mostrano una moderata VE del TIVadj contro tutti i virus, con buone performance nei confronti dei ceppi di tipo A(H1N1)pdm09 e una moderata VE contro i ceppi di tipo B, nonostante il mismatch verificatosi tra il lignaggio di tipo B circolante e quello incluso nella composizione vaccinale. Ciò è probabilmente dovuto alla cross-protection tra i diversi ceppi di tipo B indotta dal TIVadj nei pazienti anziani inclusi nella nostra valutazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinazioni 2017-2019 raccomanda la vaccinazione contro morbillo (M), rosolia (R), parotite (P) e varicella (V) in soggetti affetti da condizioni cliniche che li espongono ad aumentato rischio di complicanze rispetto alla popolazione generale.
Questo studio ha valutato la sieroprevalenza per MPRV in pazienti a rischio per patologia, inviati dalle Unità Operative specialistiche all’ambulatorio dell’U.O. Igiene, per la valutazione delle vaccinazioni del caso.
MATERIALI E METODI
Sono stati selezionati pazienti immunocompromessi (con infezione da HIV, trapiantati o in attesa di trapianto di organo solido e soggetti con immunodepressione primitiva/iatrogena) o asplenici, per i quali sia stata eseguita almeno una valutazione sierologica per M, P, R o V, da gennaio 2016 a maggio 2019.
RISULTATI
Sono stati valutati 711 pazienti (M:F 5:3) età media 54,2 (DS 12,65), mediana 55 (IQR 47-63 anni), così di seguito ripartiti: 52,0% (370/711) con infezione da HIV, 22,4% (159/711) candidati o trapiantati di organo solido, 5,9% (42/711) asplenici e 19,7% (140/711) con immunodepressione primitiva/iatrogena.
Nei soggetti con infezione da HIV, il 7,8% (28/359) è risultato sierologicamente negativo per M, il 21,6% (72/334) per P, l’11,6% (43/370) per R e l’8,5% (31/367) per V; nei pazienti in attesa di trapianto/trapiantati sono stati riscontrati titoli anticorpali non protettivi nell’1,9% (2/104) per M, nel 9,7% (9/93) per P, nel 3,2% (4/124) per R e nel 8,2% (13/159) per V; fra gli asplenici il 4,9% (2/41) era suscettibile per M, il 10,3% (4/39) per P ed il 4,8% (2/42) per R; dei soggetti con immunodepressione il 7,1% (10/140) era sieronegativo per M, il 17,7% (23/130) per P, l’8% (11/138) per R ed il 5,3% (7/132) per V. Complessivamente, il 36% (164/536) dei pazienti cui è stato fatto lo screening sierologico completo (MPRV) era suscettibile ad almeno una di queste patologie. Il 27% (150/555) era meritevole di vaccinazione contro MPR, che è stata offerta se non controindicata. A questo si aggiunge che il 9,7% (54/555) è risultato dubbio/debole positivo al test sierologico per almeno una tra le patologie MPR e, di conseguenza, da rivalutare sierologicamente.
CONCLUSIONI
Al fine di garantire la massima protezione dei pazienti a rischio, la valutazione sierologica al primo accesso ambulatoriale è indispensabile per un counselling appropriato e per l’eventuale proposta vaccinale ai familiari e conviventi. La tempestività è cruciale soprattutto in coloro che devono essere inseriti in lista attiva di trapianto o iniziare terapia immunosoppressiva a lungo termine.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Calendario Vaccinale del Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017-2019 (PNPV) includespecifiche indicazioni vaccinali per difterite-tetano-pertosse acellulare (dtpa) per adulti e soggetti a rischio. Il PNPV prevede altresì di garantire l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, incluso il richiamo decennale dTpa, anche attraverso forme di revisione e miglioramento dell’efficienza dell’approvvigionamento e della logistica del sistema vaccinale aventi l’obiettivo di raggiungere e mantenere le coperture previste, trovando anche le occasioni opportune per tale offerta. La ex ASL 11 di Empoli, confluita nella Azienda USL Toscana Centro, si propone di realizzare e gestire una rete integrata di servizi sanitari di prevenzione, ed in tale ambito si colloca il modello organizzativo per l’allargamento dell’offerta attiva della vaccinazione dTpa nel soggetto adulto e a rischio che viene presentato in questa sede.
MATERIALI E METODI
A partire dal 1995 la ex ASL 11 di Empoli ha attivato una campagna per la vaccinazione antitetanica dei soggetti in età 50+, con invito scritto a recarsi presso i centri vaccinali aziendali. Successivamente, la vaccinazione è stata affidata ai medici di medicina generale (MMG) cui è stata data indicazione per l’utilizzo del vaccino dTpa e per la vaccinazione anche dei soggetti appartenenti a categorie a rischio, comprese le donne in gravidanza. Attualmente i cittadini si rivolgono prevalentemente al proprio MMG, e solo in alternativa ai centri vaccinali ASL. In particolare presso alcune Case della Salute (CS) è stato attivato un modello di offerta attiva della vaccinazione dTpa in base al quale i soggetti che necessitano del richiamo vengono contattati e informati: in caso di adesione alla proposta, la vaccinazione viene poi effettuata e registrata nell’Anagrafe Vaccinale Regionale informatizzata (SISPC). I vaccini vengono forniti dalla ASL alle CS che provvedono al loro adeguato stoccaggio e contabilizzazione. La governance della vaccinazione rimane presso la ASL, come previsto dal PNPV.
RISULTATI
L’allargamento dell’offerta del richiamo decennale dTpa ai soggetti 50+ ed ai soggetti a rischio alle CS ha permesso di aumentare le relative coperture vaccinali. Purtroppo il sistema SISPC, di recente introduzione, non consente ancora di rilevare tutte le vaccinazioni pregresse e generare metriche precise di efficienza del sistema.
CONCLUSIONI
L’allargamento dell’offerta vaccinale alle CS permette al cittadino/paziente di ottimizzare la logistica della vaccinazione e di avvalersi per questa del proprio medico curante. La registrazione nel SISPC permette di monitorare l’andamento delle coperture e popolare l’anagrafe vaccinale con i soggetti adulti.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione antinfluenzale rappresenta un intervento semplice ed efficace per proteggere operatori e pazienti soprattutto nei setting dove elevato è il numero di pazienti fragili (come le RSA) per i quali l’influenza rappresenta una grave minaccia per la salute. A fronte dei dati di efficacia in Italia lo staff ospedaliero raggiunge bassa adesione (tra il 15 e il 28%) mentre scarse sono le evidenze nel contesto delle RSA. Obiettivo del presente studio è mostrare alcuni risultati preliminari sull’aderenza alla vaccinazione nelle RSA e confrontare la popolazione di vaccinati e non vaccinati rispetto ad alcuni potenzialmente importanti determinanti.
MATERIALI E METODI
Tramite revisione della letteratura è stato costruito un questionario volto a indagare l’aderenza alla vaccinazione, se è stata consigliata da un medico e 13 items finalizzati a valutare su una scala Likert a 5 punti conoscenze su influenza e vaccinazione, preoccupazione per gli EA, livello informativo sui benefici della vaccinazione, accessibilità e opinione rispetto all’introduzione dell’obbligo vaccinale per lo staff. Le Percentuali di Risposta Positive (PPR, Likert 4/5) sono state confrontate tra vaccinati e non vaccinati valutandone la significatività (test esatto di Fisher).
RISULTATI
Su 437 questionari distribuiti ne sono stati compilati 166 (38% di risposta). L’89,4% hanno dichiarato di non essersi mai vaccinati negli ultimi 3 anni e solo il 3,3% di averla eseguita annualmente. La distribuzione dei PPR è risultata significativamente diversa (p < 0.001) tra vaccinati - non vaccinati per gli items il vaccino antinfluenzale è efficace (PPR 43.8 vs 20.2%), se mi vaccino proteggo la mia famiglia (68.8 vs 22.7%), se mi vaccino proteggo i residenti (75.0 vs 26.0%); non risulta significativa la differenza tra gli items il rischio di contrarre l’influenza è molto alto nel setting delle RSA (62.5% vs 39.1%, p = 0,146), l’influenza è una malattia potenzialmente pericolosa (PPR 43.8% per vaccinati e non-vaccinati, p = 0,119) e nella RSA dove lavoro è semplice farsi fare la vaccinazione (81,3 vs 77,5%, p = 0,916). La preoccupazione per gli EA mostra una tendenza alla significatività (p = 0,085) con PPR 13,3% vs 31,0%, così come l’adeguatezza delle informazioni mediche ricevute (66.7 % vs 41.9, p = 0,067) e l’essere stato consigliato da un medico (62.5 vs 36.6%, p = 0,059). Significativamente maggiore anche la percentuale di vaccinati favorevoli all’obbligo (37.50 vs 6.20%, p < 0.000).
CONCLUSIONI
Le analisi (preliminari a causa del numero ridotto di vaccinati) permette di individuare alcuni aspetti relativi a conoscenze/informazioni sui quali fare leva per promuovere la vaccinazione antinfluenzale nel setting delle RSA.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli operatori sanitari (OS) rappresentano la categoria professionale maggiormente esposta al rischio di contrarre malattie infettive vaccino-prevenibili. La vaccinazione dell’OS è strumento di protezione individuale, garantisce la continuità dei servizi assistenziali e consente di prevenire la trasmissione degli agenti patogeni.
Le coperture vaccinali negli OS restano basse e di conseguenza esitano casi di trasmissione di malattie vaccino-prevenibili da OS a paziente.
METODI
Da dicembre 2017 è attivo presso l’UOC Igiene dell’AOU Policlinico Bari un ambulatorio per la profilassi delle malattie infettive per gli OS che, nell’ambito delle attività di sorveglianza sanitaria curate dall’UOC di Medicina del Lavoro, sono sottoposti a valutazione dello stato di immunità/suscettibilità per morbillo, parotite, rosolia, varicella e HBV. Inoltre, viene valutato lo storico vaccinale e predisposto un programma di vaccinazione individuale. Gli OS possono esprimere il dissenso all’esecuzione delle vaccinazioni proposte.
L’analisi prende in considerazione i dati relativi al periodo dicembre 2017/gennaio 2019.
RISULTATI
Nel periodo considerato sono stati esaminati 449 OS, di cui 181 (40,3%) appartenevano a UOC ad elevato rischio per meningite meningococcica.
235/449 (52,3%) OS erano infermieri, 96/449 (21.4%) medici, 111/449 (24.7%) appartenevano ad altre categorie professionali. Di 7/449 (1,6%) OS non si conosceva la professione.
Il certificato vaccinale era disponibile per 228/449 (50,8%) OS. Tra questi, 137/228 (60,1%) necessitava di una dose booster di vaccinazione anti-dTap, proposta a 126/137 (92,0%).
103/449 (22,9%) erano suscettibili per HBV, 29/449 (6,5%) per Morbillo, 48/449 (10,7%) per Rosolia, 35/449 (7,8%) per Parotite e 42/449 (9,4%) per Varicella. Tra questi sono stati vaccinati 42/103 (40,8%) per HBV, 10/29 (34,5%) per Morbillo, 17/48 (35,4%) per Rosolia, 8/35 (22,9%) per Parotite e 17/42 (40,5%) per Varicella.
Il tasso di sieroconversione dopo dosi vaccinali è risultato alto per tutti i vaccini (> 80%).
La vaccinazione anti-meningococco ACYW135 è stata offerta a 71/181 (39,2%) OS afferenti a UOC ad elevato rischio, mentre la vaccinazione anti-meningococco B a 81/181 (44,8%). Tra questi il 23,1% ha rifiutato.
In totale, 183/449 (40,8%) OS necessitavano di vaccinazione e tra questi, 28/183 (15,3%) hanno espresso il proprio dissenso ad almeno uno dei vaccini offerti.
CONCLUSIONI
Nonostante le numerose raccomandazioni, ottenere alti livelli di immunizzazione negli OS resta una sfida. È fondamentale quindi implementare l’informazione al fine di promuovere l’aggiornamento degli OS. In futuro, resta da valutare se il rifiuto della vaccinazione da parte dell’OS possa determinare possibili conseguenze sulla formulazione del giudizio di idoneità del lavoratore, oggetto di costante dibattito.
Abstract
INTRODUZIONE
Ancora oggi, soprattutto nei soggetti adulti le coperture vaccinali sono sub-ottimali rispetto all’atteso, in particolar modo nelle categorie a rischio.
Il PNPV 2017/2019 ha individuato nella vaccinazione dell’adulto un asset centrale nelle strategie vaccinali nazionali e stabilito che i “programmi di vaccinazione devono essere oggetto di attenta programmazione, organizzazione e gestione da parte delle strutture sanitarie. Devono essere altresì monitorati attraverso l’istituzione di un’anagrafe vaccinale che alimenti il relativo sistema informativo e di sorveglianza.”
L’ASP di Reggio Calabria ha avviato una collaborazione pubblico-privata che permette, attraverso una dotazione tecnologica, di ottimizzare l’organizzazione dell’attività vaccinale attraverso un sistema di monitoraggio web-based, delle coperture vaccinali che:
rileva l’efficienza dell’attività vaccinale in tempo reale;
mantiene in costante allineamento tutti gli attori coinvolti (Medici Vaccinatori dei Centri Vaccinali e MMG) verificando le vaccinazioni effettuate dall’avvio del progetto e in corso.
Gli obiettivi erano:
informatizzazione dell’intero processo di vaccinazione;
creazioni di campagne vaccinali con generazione automatica delle coorti eleggibili;
semplificazione del processo vaccinale con la messa in rete tra Centri Vaccinali e MMG;
sicurezza e riservatezza dei dati tramite crittografia;
monitoraggio in tempo reale delle vaccinazioni delle singole campagne vaccinali.
MATERIALI E METODI
La partnership pubblico-privato ha permesso la realizzazione di un’anagrafica vaccinale digitalizzata che identifica i soggetti adulti eleggibili alla vaccinazione per età e/o condizione di rischio, registra le coperture vaccinali e rende disponibile a tutti gli attori coinvolti, un’informazione completa.
Il progetto ha previsto la messa in rete dell’ASP RC, dei Centri Vaccinali e di tutti i Medici di Medicina Generale aderenti al progetto.
Sono state identificate 4 campagne vaccinali: antinfluenzale, anti-Herpes Zoster, anti-pneumococco e anti-difterite tetano pertosse con relativi obiettivi da raggiungere. Difatti la piattaforma ARCA è in grado di monitorare in tempo reale l’andamento della campagna vaccinale e di valutare nel tempo i livelli di copertura raggiunti.
L’innovazione tecnologica è proseguita con la realizzazione di un APP per i Medici Vaccinatori che registra l’atto vaccinale in modo semplice, veloce e direttamente nella piattaforma ARCA; con due semplici “click” il medico inserisce il dato vaccinale (scansione del codice fiscale del vaccinato e scansione della fustella del vaccino effettuato).
RISULTATI
La Collaborazione pubblico-privata ha consentito di rispondere in maniera innovativa a quanto richiesto dal PNPV e PRPV, con la creazione di una “storia digitale” del percorso vaccinale per i soggetti adulti afferenti all’ASP RC e di semplificare, in termini di risparmio di tempo e complessità, il lavoro del Medico Vaccinatore.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli studenti dei Corsi di Laurea dell’area sanitaria presentano un aumentato rischio di contrarre infezioni in seguito all’esposizione a virus, batteri, miceti, durante e a causa della propria attività di tirocinio formativo presso i reparti nosocomiali.
Scopo dello studio è di valutare l’adesione vaccinale degli operatori sanitari in due diverse fasi: in assenza di percorsi assistenziali predisposti ad hoc e a seguito dell’attivazione di appositi percorsi assistenziali.
MATERIALI E METODI
Il modello dello studio è di tipo osservazionale retrospettivo. Sono stati arruolati gli studenti della Scuola di Medicina dell’Università degli Studi di Bari frequentanti i corsi di Laurea in Infermieristica e Fisioterapia attivi presso la sede di Brindisi. Sono state raccolte le schede anamnestiche degli studenti sottoposti a screening, prima e dopo l’applicazione del “Protocollo per lo screening del rischio biologico e la vaccinazione degli studenti della Scuola di Medicina”.
RISULTATI
Sono stati arruolati 257 soggetti appartenenti al “gruppo pre-approvazione del protocollo” (età media 21,6 ± 3,6 anni) e 329 soggetti appartenenti al “gruppo post-approvazione del protocollo” (età media 21 ± 2,98 anni). Confrontando il numero di studenti suscettibili per morbillo e/o parotite e/o dei due gruppi si osserva un numero maggiore di studenti screenati appartenenti al gruppo post-approvazione (78,4%), con un 91,4% che ha eseguito il rititolo degli anticorpi dopo la vaccinazione. Stessa cosa risultata statisticamente significativa negli studenti suscettibili a varicella (91%), con il 76% che ha effettuato il rititolo anticorpale. Per quanto riguarda l’Epatite B, il numero di soggetti sottoposti a vaccinazione e di soggetti che hanno eseguito il rititolo degli anticorpi non risulta statisticamente significativo, differentemente per quanto riguarda la media dei giorni trascorsi tra la somministrazione dell’ultima dose di vaccino e l’esecuzione della valutazione del titolo anticorpale anti HBs (483,85 ± 313,65 nel gruppo pre, 71,29 ± 125,71 nel gruppo post), che risulta essere migliore nel gruppo post. La somministrazione del richiamo decennale anti difterite-tetano-pertosse, tra i due gruppi risulta essere statisticamente significativa (18,6% nel gruppo pre, 41,2% nel gruppo post).
CONCLUSIONI
I dati mostrano un’adesione più alta alla vaccinazione da parte dei soggetti appartenenti al campione post-protocollo, con una totale assenza, nel gruppo pre-protocollo, della titolazione degli anticorpi specifici dopo vaccinazione. Il tempo trascorso tra la somministrazione dell’ultima vaccinazione anti-epatite B e il rititolo degli anticorpi anti-HBs è più favorevole nei soggetti appartenenti al campione del post-protocollo, evidenziando l’importanza della presenza di un protocollo di sorveglianza sanitaria.
Abstract
INTRODUZIONE
Le sindromi respiratorie acute gravi (SARI) sono in parte causate da virus influenzali (VI), la cui prevenzione è basata prevalentemente sulla vaccinazione. Lo studio è stato condotto presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Andrea di Roma (AOUSA), nell’ambito del Progetto Europeo DRIVE (Development of Robust and Innovative Vaccine Effectiveness) finanziato da H2020-IMI2. Obiettivo dello studio è stato la valutazione della frequenza di SARI da VI e l’impatto in termini preventivi della vaccinazione antinfluenzale in soggetti ospedalizzati a partire dai 6 mesi di età.
MATERIALI E METODI
Durante la stagione influenzale 2018-19 sono stati arruolati tutti i pazienti ricoverati presso l’AOUSA che rispondevano alla definizione di SARI. Le informazioni clinico epidemiologiche e quelle relative alla vaccinazione anti-influenzale sono state raccolte attraverso un questionario. Tutti pazienti arruolati sono stati sottoposti ad un tampone nasale per la ricerca di VI sia mediante test rapido cromatografico che con metodica real-time PCR. È stata condotta una analisi descrittiva e univariata per definire l’associazione fra vaccinazione e rischio di positività per VI. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’AOUSA.
RISULTATI
Sono stati arruolati 148 pazienti con età media pari a 66,5 anni (range: 0-98) e nel 57,4% di sesso maschile. In totale, 25 pazienti (16,8%) sono risultati positivi alla ricerca di VI. Nello specifico, 24 campioni sono risultati positivi al test PCR, di questi solo 8 (33%) anche al test rapido. In un solo caso risultato positivo al test cromatografico non è stato possibile ripetere il test anche in PCR. In tutti i casi esaminati il VI riscontrato è stato di tipo A. Nella fascia di età pediatrica (media 3 anni, range 0-16 anni), dei 18 pazienti reclutati 11 sono risultati positivi al VI. I soggetti vaccinati sono risultati 65 (43.9%, con età media 78.6 anni, range 16-98 anni); di questi, 3 sono risultati positivi per VI. Considerando la mancata vaccinazione come fattore di rischio per un riscontro positivo al tampone faringeo di VI, l’Odds Ratio è risultato 7.45 (p < 0,05).
CONCLUSIONI
Lo studio ha evidenziato l’esclusiva circolazione di VI di tipo A nella popolazione afferente all’AOUSA, risultato sovrapponibile a quello osservato in tutta Italia. Il test cromatografico ha dimostrato bassa sensibilità rispetto all’esame in PCR, che si conferma gold standard per la diagnosi di SARI da VI. Lo studio, dimostra che i pazienti non vaccinati presentano una probabilità sensibilmente maggiore rispetto ai non vaccinati di risultare positivi alla ricerca di VI.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli antibiotici sono tra i farmaci maggiormente prescritti nelle unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN), in particolare nei neonati ≤ 28 settimane di età gestazionale e con peso alla nascita ≤ 1.000 g. In questi pazienti, la terapia antibiotica è frequentemente somministrata empiricamente o come profilassi già nelle prime ore di vita e prolungata per diverse giornate, anche in assenza di una chiara diagnosi d’infezione. Lo scopo di questo studio è analizzare la prevalenza di utilizzo di questa terapia antibiotica precoce e prolungata e le variabili ad esso associate.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati retrospettivamente i dati della sorveglianza attiva condotta sui neonati transitati presso la TIN dell’A.O. Ospedali Riuniti di Ancona dal 2008 al 2018. Sono stati selezionati pazienti nati fino alla 28° settimana di gestazione e con peso alla nascita ≤ 1.000 g (Extremely Low Birth Weight, ELBW). Si è definita precoce (Early) la terapia antibiotica iniziata entro 72 h dalla nascita e prolungata (Prolonged) quella proseguita per almeno 5 giorni. Sono state analizzate le prevalenze dei soggetti che hanno ricevuto Early and Prolonged Antibiotic Therapy (EaPr) nei vari anni in studio e sono state ricercate possibili associazioni tra EaPr e altre variabili, tramite analisi bivariate e multivariate. Il livello di significatività statistica è stato fissato a 0,05.
RISULTATI
Sono stati inclusi nel campione in studio 276 neonati. La percentuale complessiva di pazienti che ha ricevuto EaPr è stata del 30,8%, registrando tuttavia negli anni ampie oscillazioni (MIN 9,1% nel 2014, MAX 53,3% nel 2018). Solo il 5,9% dei pazienti che ha ricevuto EaPr è deceduto contro il 18,3% di chi non l’ha ricevuta (p < 0,05). EaPr è stata più frequente nelle femmine (37,7%) rispetto ai maschi (29,9%) (p < 0,05). Tramite regressione logistica, aggiustando per presenza di evento infettivo, utilizzo di ventilazione meccanica e device vascolari, la somministrazione di EaPr è risultata protettiva (OR 0,24; IC95% 0,07-0,84; p < 0,05), così come il sesso femminile (OR 0,37; IC95% 0,14-0,98; p < 0,05) rispetto all’outcome decesso.
CONCLUSIONI
Questo studio ha permesso di quantificare il ricorso alla terapia antibiotica precoce e prolungata, mostrando, in questa fascia di pazienti particolarmente a rischio, un’associazione tra essa e una diminuzione della mortalità globale. Sarebbe opportuno condurre ulteriori studi per meglio valutare questa associazione e pesare l’importanza della precocità e del prolungamento della terapia antibiotica presi singolarmente.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel corso dell’esercizio 2016 è stato condotto uno studio descrittivo su 3.772 ricoveri, volto a sperimentare una metodologia per determinare il consumo di risorse nei ricoveri per sepsi, sepsi severa e shock settico mediante l’utilizzo di una checklist realizzata ad hoc. In considerazione dei bias rilevati ed al fine di confermare i risultati precedentemente ottenuti, è stato condotto un approfondimento che ha preso in esame 925 ricoveri prodotti nell’anno 2017 da 22 Strutture Ospedaliere afferenti al territorio di ATS Milano e recanti in diagnosi principale i codici di sepsi, sepsi severa, shock settico e setticemia.
MATERIALI E METODI
Sulla base delle indicazioni fornite dalle Linee Guida Internazionali sulla sepsi del 2012 e tenuto conto delle Linee Guida di codifica della Regione Lombardia (DGR IX/2057/2011) è stata costruita una nuova e più dettagliata checklist volta ad individuare la presenza dello stato settico (parte a) e a stabilire il consumo di risorse effettivo in termini di prestazioni sanitarie, strumentali e farmacologiche di ogni singolo ricovero (parte b). Quest’ultimo punto è stato valutato assegnando ad ogni item un valore da 1 a 5 a seconda della complessità della prestazione eseguita definendo così 3 livelli di consumo in base allo score ottenuto: basso (1-10), medio (11-20) e alto (21-37).
RISULTATI
Su un totale di 925 casi, 253 (27,3%) risultavano essere effettivamente sepsi, 366 (39,5%) sepsi severa e 303 (32,7%) shock settico, 3 casi sono stati scartati. Dall’analisi dei dati emerge un differente consumo medio di risorse in relazione alle tre diagnosi: sepsi 8,6, sepsi severa 12,6 e shock settico 19,5. Tale andamento risulta omogeneo tra le diverse strutture, confermando i dati emersi dal precedente studio.
CONCLUSIONI
Lo studio quindi, attraverso la sola analisi della documentazione sanitaria, ha permesso di evidenziare il consumo di risorse nella casistica in esame, sottolineando come lo shock settico determini un consumo medio maggiore in linea con la complessità del quadro clinico. Sono stati inoltre valutati l’impatto della setticemia sul consumo di risorse, la tipologia dei microrganismi isolati e l’antibioticoterapia adottata. Tali risultati, a nostro avviso suggerirebbero la possibilità di revisione delle attuali regole di codifica.
Abstract
INTRODUZIONE
Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono il più frequente evento avverso in ambito ospedaliero con un trend epidemiologico in progressione ed un impatto clinico ed economico rilevante. L’obiettivo di questo studio è stato quello di condurre un’indagine di prevalenza puntuale all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di Roma con lo scopo di stimare la prevalenza delle ICA e dell’uso di antimicrobici, e identificare le maggiori aree critiche su cui programmare interventi per il miglioramento della qualità dell’assistenza.
MATERIALI E METODI
Per la raccolta dei dati, avvenuta nel mese di novembre 2018, è stata utilizzata la versione più recente del protocollo dell’indagine di prevalenza puntuale dell’ECDC, che fornisce una metodologia standardizzata per la raccolta di informazioni relative ai reparti di degenza, ai pazienti, all’utilizzo di antimicrobici, alle ICA e alle resistenze antimicrobiche. È stata condotta un’analisi descrittiva di tutte le variabili disponibili. L’analisi univariata è stata eseguita per valutare possibili associazioni tra tali variabili e l’insorgenza di ICA. Le variabili con un livello di significatività inferiore a p = 0.25 sono state inserite in un modello di regressione logistica multivariata.
RISULTATI
Dei 799 pazienti inclusi nello studio il 13.3% presentava almeno un’ICA al momento della rilevazione dei dati. Il numero totale di ICA riscontrate è stato di 123 e di queste 38 erano device correlate. Le infezioni più frequentemente diagnosticate sono state quelle del torrente ematico (30.9%). Dei 125 microrganismi isolati, il 32.0% apparteneva alla famiglia delle Enterobacteriaceae e tra questi Klebsiella pneumoniae è stato il microrganismo più comunemente associato alla presenza di ICA. Inoltre al momento della survey, il 49.1% dei pazienti stava ricevendo terapia antimicrobica e il 21.7% degli antibiotici prescritti appartenevano alla classe delle penicilline. L’analisi multivariata ha evidenziato un’associazione significativa tra la presenza di ICA e l’utilizzo di device (OR = 34.30; IC95%:3.69-318.66), la durata di degenza (OR = 1.01; IC95%:1.00-1.02), l’esposizione a profilassi antimicrobica (OR = 0.23; IC95%:0.11-0.47).
CONCLUSIONI
Dai risultati dello studio è emersa una prevalenza di ICA di circa il doppio rispetto alla media europea. L’indagine, mediante l’utilizzo di una metodologia standardizzata, ha permesso non solo di stimare la prevalenza puntuale di ICA e l’utilizzo di antibiotici ma anche di identificare reparti critici ad alto rischio per lo sviluppo di ICA dove implementare misure di prevenzione e controllo delle infezioni e dove effettuare un monitoraggio continuo per valutare l’efficacia di questi interventi.
Abstract
INTRODUZIONE
A seguito dei richiami di enti governativi, relativi alla segnalazione di oltre 120 casi nel mondo di infezione invasive da M. chimaera in pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici, numerosi avvisi di sicurezza sono stati emanati dai principali produttori di HCU, dispositivo incriminato nella trasmissione dell’infezione. La contaminazione in fase di produzione di questi dispositivi è stata dimostrata per Livanova Stockert, con associati il maggior numero di casi. Il Ministero della Salute, attraverso la circolare n.0000674/2019, ha emanato le raccomandazioni per il controllo delle infezioni da M. chimaera, richiedendo la sorveglianza microbiologica di tutte le HCUs.
MATERIALI E METODI
Con il Decreto n.3822/2019, la Regione Toscana ha individuato il laboratorio di riferimento e il protocollo per il monitoraggio delle HCUs presenti nei quattro centri di cardiochirurgia.
In conformità alle istruzioni per l’uso, in due centri sono stati implementati i protocolli di manutenzione e disinfezione, al fine di ridurre il rischio di colonizzazione da M. chimaera e altri micobatteri atipici (NTMs). In particolare, nelle 3T Heater-Cooler System, LivaNova, è stata incrementata la frequenza di disinfezione, con cicli settimanali di trattamento con acido peracetico al 4,5% e l’aggiunta di perossido di idrogeno al 22% in fase di mantenimento. È stata inoltre effettuata la sostituzione dei tubi e dei connettori delle vasche, per eliminare la presenza di biofilm al loro interno.
RISULTATI
Sono state incluse nella sorveglianza 21 HCUs (9 3T-Heater-Cooler System, LivaNova, 3 1T-Heater-Cooler System, LivaNova, 1 HX2-Heater-Cooler, Terumo e 8 Heater-Cooler Unit HCU 40, Maquet). L’acqua utilizzata nelle HCU è risultata conforme agli standard previsti dal D.Lgs. 31/2001 s.m.i., ad eccezione della presenza di P. aeruginosa nel 33% (7/21) delle HCUs e della carica microbica > 100 UFC/ml nel 76% (16/21) delle HCUs. La ricerca di NTMs ha dato esito positivo nel 52% (11/21) delle HCUs, con l’identificazione di M. chimaera strain CP015272.1 nel 72% (8/11) e M. gordonae strain FJ643457.1 nel 27% (3/11). Tra i dispositivi indagati, uno ha rilevato cariche elevate di M. chimaera (4050±3350 UFC/L). Tutti i campioni di aerosol sono risultati negativi.
Dopo l’implementazione del protocollo di manutenzione e disinfezione non è stata riscontrata la presenta di NTMs ad eccezione del mese di novembre 2018, gennaio e febbraio 2019, durante i quali una HCU è risultata positiva in tre diversi centri di cardiochirurgia.
CONCLUSIONI
L’implementazione delle procedure di manutenzione e disinfezione dei dispositivi HCUs è in grado di ridurre il rischio di aerosolizzazione di M. chimaera.
Abstract
INTRODUZIONE
La contaminazione della rete idrica delle strutture sanitarie da Legionella spp. rimane ancora oggi una questione molto importante, nonostante sia dibattuta la diretta correlazione con l’incidenza di legionellosi nosocomiali.
Di seguito riportiamo l’esperienza acquisita nel nostro ospedale (1.200 posti letto) dopo l’introduzione del nuovo Protocollo di Campionamento e Controllo della Rete Idrica dal 2017 e i risultati ottenuti con l’applicazione di diversi metodi di decontaminazione, con un focus sulle aree considerate ad alto rischio.
MATERIALI E METODI
L’Ospedale Policlinico San Martino è la struttura terziaria di riferimento in Liguria. Al suo interno contiamo 21 edifici di differenti dimensioni, struttura e funzione, 7 dei quali sono considerati ad alto rischio in accordo con le Linee Guida sul controllo e la prevenzione della legionellosi.
La frequenza dei campionamenti si basa sul profilo di rischio dell’edificio, per tipologia d’interventi ivi effettuati o per la maggiore suscettibilità dei pazienti ricoverati, e su eventuali positività riscontrate precedentemente. Il calendario dei campionamenti è stato modificato nel 2017 al fine di garantire una maggior concentrazione sui punti critici della rete.
Sono state utilizzate diverse tecniche di disinfestazione secondaria sia sistemiche (monoclorammina, diossido di cloro) che localizzate (filtri sul sito di erogazione) e a breve termine (iperclorazione); queste ultime solo nel caso di contaminazioni superiori a 104 CFU/l.
RISULTATI
Nel 2017 e nel 2018 sono stati eseguiti rispettivamente 201 e 119 campionamenti di acqua calda, distribuiti tra i sette edifici ad alto rischio dell’ospedale.
Confrontando i due anni si osserva un aumento dei campionamenti negativi da 69.7% a 74.8%.
Contemporaneamente i campioni positivi oltre il livello di 103 CFU/l (soglia di positività raccomandata per interventi di disinfezione acuti) sono passati da 21.9% a 9.2% del totale.
Il sierotipo più frequentemente isolato nei campioni positivi è Legionella sg3, presente nel 98.2% dei campioni.
CONCLUSIONI
Il nuovo Protocollo di Campionamento e controllo della Rete Idrica ha comportato una riduzione significativa della contaminazione da Legionella negli edifici ad alto rischio del nostro ospedale. La sorveglianza costante e continua ha permesso di sviluppare un protocollo efficace sia per interventi ordinari sia straordinari, grazie alla stretta collaborazione delle Unità d’Igiene Ospedaliera e delle Attività Tecniche.
Abstract
INTRODUZIONE
L’efficacia della preparazione preoperatoria della cute, misura di prevenzione cruciale delle infezioni del sito chirurgico in fase preoperatoria, dipende sia dall’antisettico utilizzato e sia dalla metodica di applicazione dell’antisettico stesso. L’Obiettivo del nostro studio è stato quello di verificare la modalità e correttezza delle procedure di antisepsi del campo operatorio e di individuare gli errori più frequentemente commessi.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto nel periodo settembre-dicembre 2018 nell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona. La raccolta dei dati è avvenuta mediante compilazione di una scheda di rilevazione da parte del personale infermieristico afferente ai Blocchi Operatori e dalle infermiere della SOD di Igiene Ospedaliera, al momento dell’esecuzione dell’antisepsi del campo operatorio.
Il campionamento è avvenuto con modalità casuale semplice e l’analisi statistica è stata effettuata in ambiente Excel e STATA versione 15.
RISULTATI
Sono state analizzate 1776 schede di rilevazione, di cui il 20,8% (n = 369) sono risultate incomplete nella compilazione. Dall’analisi delle schede compilate correttamente è emerso che nel 17,4% dei casi (n = 309) la preparazione preoperatoria della cute è stata eseguita rispettando tutti i momenti fondamentali riportati in letteratura, mentre nel 61,8% dei casi (n = 1.098) non tutti i momenti sono stati osservati. In particolar modo le cause di non corretta attuazione sono così distribuite: nel 1,7% (n = 19) delle rilevazioni, la soluzione non è stata applicata tramite tampone di cotone imbevuto, nel 14,3% (n = 157) dei casi la frizione non è stata applicata tramite cerchi concentrici, il 49,4% (n = 543) degli operatori ha rimosso la soluzione prima dei tempi di asciugatura della stessa ed infine il 65,7% (n = 721) non ha ripetuto la procedura. Il numero di esecuzioni esatte è risultato maggiore in tre branche specialistiche: Chirurgia Pediatrica 11,3% (n = 35), Clinica di Urologia 9,4% (n = 29), Chirurgia Maxillo-facciale 9,1 (n = 28).
CONCLUSIONI
I dati confermano quanto riscontrato in letteratura, ovvero che la mancanza di una corretta codifica della metodologia esecutiva dell’antisepsi del campo operatorio, determina una disomogenea modalità operativa tra gli attori coinvolti nella procedura.
In particolar modo si riscontrano mancanze in tutti i livelli fondamentali della procedura di antisepsi e difformità nei numeri di corretta esecuzione a seconda della specialità. Si evince come risulti fondamentale la stesura di linee guida e protocolli condivisi, per migliorare l’appropriatezza di esecuzione dell’atto e massimizzare la sua efficacia preventiva.
Abstract
INTRODUZIONE
Come è noto, un’appropriata antibiotico-profilassi peri-operatoria ha un ruolo importante nella prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (ISC), ma richiede una scelta accurata del tipo antibiotico, il rispetto dei tempi di somministrazione e della durata della profilassi antibiotica. Risulta, di conseguenza, cruciale il ruolo svolto dagli operatori sanitari coinvolti nell’antibiotico-profilassi peri-operatoria nel prevenire le ISC. Pertanto, l’obiettivo di questo studio è quello di valutare le conoscenze, le attitudini e i comportamenti dei medici in formazione specialistica in tema di profilassi antibiotica peri-operatoria.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta, da marzo ad aprile 2018, in un campione di 350 medici in formazione specialistica in anestesia ed in chirurgia (generale e specialistica). I dati sono stati raccolti mediante la compilazione di un questionario auto-somministrato inviato ai medici via mail.
RISULTATI
L’analisi preliminare dei dati relativi a 350 soggetti ha evidenziato che l’età media è di 30.6 anni, poco più della metà è di genere femminile e 173 è il numero medio di procedure chirurgiche alle quali hanno assistito nell’ultimo anno. Relativamente alle conoscenze, solo il 19% conosce i fattori che costituiscono l’Infection Index Risk e il 53.6% la classe d’intervento chirurgico per cui è richiesta la profilassi antibiotica. Poco più di tre quarti (77.9%) degli intervistati concordano con l’affermazione che le ISC sono prevenibili ed il 75.6% che l’utilizzo inappropriato degli antibiotici può promuovere lo sviluppo di resistenza batterica. Inoltre, l’80.2% ritiene che la profilassi antibiotica deve essere somministrata entro 60 minuti prima dell’incisione chirurgica e il 33.1% la ritiene molto utile nella prevenzione delle ISC. La percezione media della preoccupazione che un paziente possa sviluppare una ISC è 7.2 in un range compreso tra 1 e 10. Inoltre, il 77.3% del campione dichiara che negli interventi a cui ha assistito, sono state seguite le indicazioni fornite dalle linee guida per l’antibiotico-profilassi. La scelta dell’antibiotico è risultata appropriata nell’11.4% dei tre scenari di procedure chirurgiche proposti. Il modello di regressione logistica multipla ha evidenziato che la scelta dell’antibiotico per la profilassi peri-operatoria era maggiormente appropriata tra i medici in formazione di chirurgia generale e specialistica rispetto ai medici in formazione in anestesia.
CONCLUSIONI
Dai dati preliminari risulta che la scelta dell’antibiotico nella profilassi peri-operatoria da parte dei medici in formazione non è sempre appropriata. Pertanto, si ravvisa la necessità di programmi formativi per implementare le conoscenze in tema di antibiotico-profilassi peri-operatoria.
Abstract
INTRODUZIONE
La resistenza agli antibiotici rappresenta oggi il problema a maggior impatto epidemiologico ed economico nel nostro Paese, per il quale sono urgenti azioni di prevenzione e controllo. L’Italia è infatti al primo posto in Europa per numero di infezioni e di decessi attribuibili all’antibiotico-resistenza. Da novembre 2017 è stato adottato il Piano Nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR 2017-2020); obiettivo di questo lavoro è stata una prima autovalutazione dei progressi compiuti nella realizzazione delle attività previste a livello centrale e locale.
METODI
Lo strumento di audit interno è stato perfezionato nel corso dell’Azione congiunta europea sull’antimicrobico-resistenza (AMR). L’approccio utilizzato è stato quello dell’analisi SWOT (punti di forza, punti di debolezza, opportunità e minacce), di cui si sintetizzano i risultati.
RISULTATI
Punti di forza: i) supporto istituzionale, leadership professionale, responsabilità e coordinamento migliorati a ogni livello; ii) esperti One Health nel Gruppo Tecnico di Coordinamento e nel Tavolo tecnico regionale di coordinamento e monitoraggio del PNCAR; iii) nuovo protocollo per la sorveglianza nazionale dell’AMR (AR-ISS 2019) a maggior copertura territoriale dei laboratori con i requisiti minimi; iv) sorveglianze AMR e ICA da includere nel sistema di notifica obbligatoria delle malattie infettive; v) prescrizione elettronica dei farmaci veterinari obbligatoria dal 2019; piani della comunicazione e della formazione definiti con cronoprogramma.
Punti di debolezza: i) laboratorio di microbiologia accreditato non presente in tutti gli ospedali; ii) segnalazione dei casi di batteriemie da CRE e MRSA non in tempo reale; ii) informazioni sulla dispensazione di antibiotici senza prescrizione e sulla diagnosi/case-mix del paziente non disponibili; iii) aderenza delle reti di sorveglianza agli indicatori strutturali minimi benchmark internazionali non uniforme; v) operatori poco consapevoli dei principi dell’igiene delle mani; vi) onerosità della realizzazione di campagne e attività formative mirate a diversi/numerosi target.
Opportunità: i) aumentare il senso di urgenza tra medici prescrittori, stakeholder e popolazione generale; ii) migliorare l’utilizzo dei dati dei sistemi di sorveglianza; iii) informare operatori sanitari, decisori politici e cittadini sulla necessità di azioni specifiche e sui progressi compiuti; iv) allearsi con FNOMCeO, Università e società scientifiche per l’organizzazione/promozione di interventi formativi multidimensionali.
Minacce: i) mancanza di indicazioni sul finanziamento per l’attuazione del PNCAR a livello nazionale e regionale; ii) attività a regia nazionale non ancora uniformemente tradotte in azioni concrete a livello locale.
CONCLUSIONI
L’approccio utilizzato, in aggiunta agli indicatori sintetici, ha consentito di individuare i principali ostacoli incontrati e le soluzioni adottate nel primo anno di attività del PNCAR.
Abstract
INTRODUZIONE
L’antibiotico-resistenza e la rapida diffusione di microrganismi multiresistenti è ormai una emergenza globale anche a causa di un uso inappropriato di antibiotici. Gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi (CRE), tra cui Klebsiella pneumoniae (KP), sono tra i patogeni emergenti. In Italia, in particolare, è riportato un allarmante trend in aumento di ceppi invasivi di KP produttori di carbapenemasi (KP-CP). A partire dal 2013, la Regione Puglia ha attivato un protocollo di sorveglianza epidemiologica e controllo delle CRE. Scopo del lavoro è stato quello di analizzare i dati della sorveglianza e le caratteristiche molecolari di ceppi di KP-CP isolati nelle principali strutture ospedaliere della Regione.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato eseguito su ceppi di KP fenotipicamente resistenti ai carbapenemi isolati da pazienti con sepsi tra luglio 2013 e aprile 2019. Su tutti i ceppi sono stati ricercati, mediante Real-Time PCR, i geni blaKPC, blaVIM, blaNDM, blaOXA-48 e blaIMP, maggiormente responsabili della resistenza ai carbapenemi. Su un campione di ceppi di KP-CP è stata eseguita l’analisi delle varianti geniche mediante PCR e successivo sequenziamento. Inoltre, l’analisi mediante Multilocus Sequence Typing (MLST) è stata utilizzata per l’identificazione dei cloni circolanti. Infine, alcuni ceppi appartenenti ai sequence type (ST) 101, 307 e 512, sono stati ulteriormente caratterizzati mediante core-genome MLST (cgMLST) e sottoposti a genomica comparativa.
RISULTATI
Durante il periodo di studio sono stati collezionati 974 ceppi di KP-CP, il 39,8% dai reparti di terapia intensiva. Complessivamente, il 92,7% dei ceppi è risultato produttore di KPC, il 2,7% di VIM, lo 0,3% di NDM e lo 0,1% di OXA-48. Quattro ceppi (0,4%) presentavano resistenze multiple. L’analisi delle varianti genetiche è stata eseguita sul 7% dei ceppi KPC-positivi e, di questi, l’87,8% era KPC-3. Il clone ST512-KPC è stato identificato nel 44,5% dei ceppi caratterizzati mediante MLST, il clone ST101-KPC nel 19,9% e il clone ST307-KPC/VIM nel 17,8%. Dall’analisi genomica comparativa è emerso che i cloni ST101 e ST307 mostravano un maggior numero di determinanti genetici di virulenza rispetto al clone ST512 maggiormente diffuso.
CONCLUSIONI
La sorveglianza di 6 anni ha evidenziato la diffusione del clone epidemico ST512 tra gli isolati di KP-CP in tutti gli ospedali pugliesi e la circolazione dei cloni emergenti ST101 e ST307, recentemente definiti “ad alto rischio” e solo sporadicamente segnalati in altre regioni italiane. Pertanto, risulta fondamentale continuare l’attività di sorveglianza epidemiologico-molecolare di KP-CP al fine di individuare tempestivamente l’espansione di cloni epidemici con spiccate caratteristiche di virulenza e contenerne la diffusione.
Abstract
INTRODUZIONE
Klebsiella pneumoniae resistente a carbapenemi e colistina rappresenta un rilevante problema di sanità pubblica a livello mondiale. Il presente studio ha riguardato la valutazione delle relazioni clonali in ceppi carbapenemi-resistenti isolati nel Presidio Ospedaliero “A. Cardarelli”, Molise. È stata, inoltre, valutata la prevalenza di determinanti genici, quali beta-lattamasi a spettro esteso (blaCTX-M, blaTEM e blaSHV) e carbapenemasi (blaKPC, blaGES, blaVIM, blaIMP, blaNDM, blaOXA-48) e implicati nella resistenza alla colistina (mcr-1,2,3,4 e mgrB).
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati 26 ceppi multi-resistenti (57,7% dalla Terapia Intensiva), il 53% (n = 14) resistente anche alla colistina. Gli isolati sono stati tipizzati mediante XbaI-PFGE e MLST. Sono stati condotti saggi di PCR per la ricerca di geni di resistenza ed il sequenziamento di mgrB.
RISULTATI
Tutti i ceppi presentavano blaKPC. È, inoltre, emersa un’elevata prevalenza di blaSHV (96,2%), blaTEM (88,5%) e blaVIM (69,0%) rispetto a blaCTX-M (7,7%). Nessun ceppo colistina-resistente (col-R) è risultato mcr-1,2,3,4 positivo, mentre nel 42,8% (n=6) è stata osservata una Sequenza di Inserzione (IS) in mgrB (36%: IS5-like; 7%: ISKpn14). Un ceppo col-R presentava una delezione Δg19 in mgrB con mutazione frameshift e prematura terminazione della proteina, mentre altri ceppi mostravano mutazioni missenso T21N (n = 1) e V32G (n = 5).
Il Sequence Type prevalente è stato ST512 (50%), seguito da ST101 (38,5%) e ST307 (7,6%). In un ceppo è stato identificato un nuovo ST. La PFGE ha evidenziato 18 pulsotipi al 95% di similarità, con un Simpson’s Index di 95% rispetto al 61% di MLST. È stato, inoltre, studiato un outbreak costituito da ceppi ST512, col-R (IS5-like in mgrB) e blaTEM/blaSHV/blaVIM/blaKPC positivi.
CONCLUSIONI
La metà dei ceppi è stata tipizzata come ST512, variante monoallelica di ST258, il più virulento e diffuso. I risultati hanno confermato l’endemicità di blaKPC e l’elevata prevalenza di blaTEM/blaSHV nel contesto ospedaliero nazionale. Le varianti plasmidiche di mcr non sono state identificate in accordo con i dati italiani; al contrario, in linea con le evidenze disponibili, la resistenza alla colistina è ascrivibile perlopiù a IS in mgrB e ad altre mutazioni che causerebbero la perdita di funzionalità della proteina. Ulteriori studi sono necessari per accertare la presenza del nuovo ST e per meglio indagare la resistenza alla colistina nel ceppo che non ha mostrato mutazioni in mgrB.
Abstract
INTRODUZIONE
L’antimicrobico-resistenza (AMR) rappresenta, ad oggi, un problema di elevato impatto globale, per il quale sono necessarie urgenti azioni di contrasto e controllo. L’aumento della resistenza è principalmente dovuto ad un uso inappropriato e/o elevato di antibiotici, soprattutto in ambito comunitario. Nell’ambito delle attività del Piano Regionale della Prevenzione 2014-2018 della Regione Molise, è stato valutato il consumo di antibiotici a livello territoriale e ospedaliero nel periodo 2014-2017, al fine di valutare le dimensioni del fenomeno nel contesto locale.
MATERIALI E METODI
Il consumo per classe di antibiotici, secondo il sistema di classificazione Anatomico, Terapeutico e Chimico per uso sistemico (ATC gruppo J01), è stato misurato in termini di Defined Daily Dose (DDD, Dose definita giornaliera). In particolare, il consumo territoriale è stato espresso come DDD/1.000 abitanti die, mentre quello ospedaliero come DDD/1.000 ricoveri in regime ordinario e DDD/1.000 giornate di degenza in regime ordinario.
RISULTATI
Nel 2017, è stato osservato un consumo a livello comunitario di antibiotici (21,1 DDD/1.000 abitanti die) in diminuzione rispetto agli anni precedenti (22,1 nel 2016; 23,7 nel 2015; 24,5 nel 2014). Il consumo più elevato è stato evidenziato per la classe “Associazione di penicilline, inclusi inibitori delle beta-lattamasi” (8,4 DDD/1.000 abitanti) e per il principio attivo ‘Amoxicillina+inibitori enzimatici’.
A livello ospedaliero, il consumo in relazione ai ricoveri in regime ordinario, risultato pari a 2.684,6 DDD/1.000 ricoveri, è invece risultato in aumento nel 2017 rispetto agli anni precedenti (2.654,9 nel 2016; 2.573,2 nel 2015; 2.453,08 nel 2014). Nel 2017, il consumo ospedaliero è stato più elevato anche in relazione alle giornate di degenza in regime ordinario (353,4 DDD/1.000 giornate di degenza) rispetto a 325,1 nel 2016; 319,0 nel 2015; 307,1 nel 2014.
CONCLUSIONI
Lo studio ha evidenziato che nel 2017 il consumo di antibiotici in ambito comunitario in Molise è in linea con le stime europee disponibili per lo stesso anno dall’European Centre for Disease Prevention and Control (21,8 DDD; range 10,1-33,6) e leggermente più basso rispetto alla media nazionale (23,4 DDD). Il monitoraggio del consumo di antibiotici, sia in ambito comunitario, sia a livello ospedaliero consente di migliorare l’appropriatezza prescrittiva e di ridurre il rischio legato all’AMR. Pertanto, lo sviluppo di interventi coordinati per misurare e migliorarne il consumo rappresenta l’elemento centrale dei programmi di “antimicrobial stewardship” a tutti i livelli, che indirizzino verso la priorità di un uso responsabile, soprattutto di antimicrobici ad ampio spettro ed ultima linea.
Abstract
INTRODUZIONE
Il Physical Fitness (PF) è un insieme di qualità health-or skill-related e può essere interpretato come una misura della capacità di svolgere un’attività fisica e/o un esercizio fisico. Sovrappeso e obesità nei bambini rappresentano un importante problema di salute pubblica a livello mondiale e, vista l’elevata prevalenza di queste condizioni nel nostro Paese, risulta fondamentale elaborare dei programmi di promozione della salute mirati a ridurle. Considerato inoltre che la prevenzione in età scolare determina un vantaggio economico per il Sistema Sanitario Nazionale, è importante individuare strumenti che valutino l’efficacia degli interventi stessi.
A tal fine è stata studiata l’associazione tra Body Mass Index (BMI) e PF in un campione di bambini partecipanti ad uno studio cross-sectional condotto in Friuli Venezia Giulia (FVG) tra i partecipanti ai programmi di educazione motoria proposti dalla scuola.
MATERIALI E METODI
È stato selezionato un campione casuale di 2000 bambini di 6-7 anni in buona salute e frequentanti le Scuole Primarie del FVG. Sono state raccolte 2 misure antropometriche (peso e altezza) e 6 Fitness test, adatti ai bambini. Per la classificazione dello stato ponderale si sono utilizzati i valori soglia di BMI desunti da Cole, aggiornati al 2012. I parametri antropometrici e di PF sono quindi stati valutati rispetto al genere ed alle classi di stato ponderale tramite test di tipo non parametrico (Wilcoxon Mann-Whitney e Kruskal-Wallis), con livello di significatività α = 5%.
RISULTATI
È emersa una differenza statisticamente significativa (p < 0.05) tra la performance dei soggetti obesi rispetto ai normopeso in 4 test su 6. Tendenzialmente nei test che prevedono uno spostamento della massa corporea i soggetti obesi sono risultati penalizzati. Infatti, mantengono la posizione di equilibrio per un tempo significativamente inferiore rispetto ai normopeso (10.2 sec vs 15.0 sec), nel test del Salto in Lungo ricoprono una distanza minore (86.0 cm vs 101.0 cm) e nel test Léger completano solamente il primo livello (i Normopeso raggiungono il secondo livello). Questo è probabilmente dovuto al fatto che loro forza muscolare viene influenzata negativamente dal tessuto adiposo.
CONCLUSIONI
Il PF è risultato associato al BMI e bambini con elevato BMI hanno presentato livelli di PF inferiori. L’utilizzo di test per la rilevazione del PF già in età scolare potrebbe rivelarsi uno strumento utile negli studi di intervento incentrati sull’attività fisica e sulla riduzione di peso in quanto facili da proporre e da somministrare all’interno di programmi di educazione motoria innovativi o già in essere in ambito scolastico.
Abstract
INTRODUZIONE
L’elaborazione del materiale comunicativo (MC) sanitario è un processo dinamico, che prevede il continuo rimaneggiamento di forma e contenuti mirato all’ottimizzazione della sua comprensione. Questa risulta dall’interazione tra qualità dell’informazione, fattori personali e socio-culturali. Comunicare un programma di screening alla popolazione comporta la difficile coniugazione tra l’obbiettivo implicito di aumento/mantenimento dell’adesione, e quello esplicito di empowerment, specialmente per lo screening mammografico (SM) che presenta tra i suoi limiti quello della sovradiagnosi. Alla luce della Legge Regionale 23/2015, ATS Città Metropolitana di Milano ha realizzato del MC uniformato per i territori ad essa afferenti, osservando le raccomandazioni dell’Osservatorio Nazionale Screening e del Center for Disease Control statunitense (CDC).
METODI
Gruppi di lavoro interdisciplinari hanno elaborato tre MC: lettere (invito, esito negativo, reinvito), opuscolo informativo e set domande e risposte destinato alla pubblicazione online (Q&A). Il MC è stato pre-testato attraverso un approccio mixed method, combinando analisi quantitativa (test di leggibilità GULPease), analisi semiquantitativa di adeguatezza e comprensibilità (strumento SAM+CAM) e analisi qualitativa della percezione attraverso interviste “think aloud” in un campione opportunistico con caratteristiche demografiche analoghe alla popolazione target del SM (donne, 40-74 anni, residenza nel territorio ATS), stato di adesione allo SM specifico per tipo di MC, includendo diverse fasce di età ed health literacy. I risultati sono stati analizzati mediante analisi tematica. Al termine di ciascuna delle fasi elencate abbiamo rielaborato il MC fino a raggiungimento degli standard predefiniti di leggibilità/qualità e ad adeguamento alle aspettative raccolte. Abbiamo testato il MC definitivo in un secondo round di interviste su un nuovo campione, includendo anche pazienti esperte.
RISULTATI
I test di leggibilità (soglia GULPease ≥ 60) hanno registrato un miglioramento (opuscolo: 56.1 " 62.3), o un lieve peggioramento (Q&A: 61.2 " 60.2), mantenendo stabilmente livelli ≥ 70 solo per testi brevi (lettere). Abbiamo osservato per Q&A e opuscolo un miglioramento della qualità, che risultava ottima per tutte le versioni finali dei MC (SAM + CAM ≥ 80). Tra primo (34 interviste, 476 commenti, media 14, range 1-38) e secondo round (10 interviste, 96 commenti, media 9.6, 2-14) sono emersi quattro temi principali: emozioni negative (miglioramento dopo re-framing dei contenuti), incomprensione, perplessità riguardo tempi e modalità dello SM, informazioni mancanti/inappropriate (miglioramento dopo tailoring delle Q&A).
CONCLUSIONI
Sviluppare MC attraverso un percorso integrato quali-quantitativo con coinvolgimento della popolazione target ha consentito un equilibrio tra informazione trasparente e bilanciata e nudging. Sono emerse alcune barriere personali e socio-culturali allo SM meritevoli di ulteriori approfondimenti.
Abstract
INTRODUZIONE
L’interprofessional education (IPE) e l’interprofessional collaboration (IPC) stanno acquisendo sempre maggiore riconoscimento tra i professionisti e le istituzioni che si occupano di organizzare i servizi sanitari. Dall’analisi della letteratura si evince che il lavoro in team interprofessionali aiuti a massimizzare e rafforzare le competenze dei singoli professionisti, migliorare l’efficienza e garantire la continuità delle cure soprattutto nella gestione di pazienti cronici. L’obiettivo di questo studio è quello di valutare l’impatto di interventi di IPE e/o IPC rispetto al trattamento standard su pazienti affetti da cronicità.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata una ricerca sistematica della letteratura secondo il modello PICO, consultando le seguenti banche dati: Medline, Scopus e Web of Science fino a maggio 2019. Tutte le ricerche sono state effettuate senza restrizioni di lingua. Lo screening dei titoli e degli abstract e l’estrazione dei dati sono stati effettuati da tre autori separatamente. I tre autori hanno valutato la qualità degli studi inclusi in modo indipendente ed opinioni divergenti circa l’inclusione degli articoli sono stati risolti con il consenso. Per la valutazione della qualità metodologica, sono stati utilizzati i criteri raccomandati dalla National Institutes of Health Study Quality Assessment Tool.
Gli interventi descritti sono stati classificati in funzione dell’outcome e suddivisi in base all’ indicatore di esito o di processo utilizzato.
RISULTATI
Di un totale di 1963, 30 studi hanno soddisfatto i criteri di inclusione. Gli indicatori più studiati sono stati quelli di processo dove abbiamo riscontrato un aumento significativo degli outcome in seguito a interventi di IPE e/o IPC nel 58% dei casi e solamente nel 4% dei casi un peggioramento. Un impatto positivo è stato rilevato anche sugli indicatori di esito. Due articoli hanno valutato interventi di IPE cui è seguita una attività di IPC, mostrando risultati tra loro contrastanti: da una parte viene riscontrato un miglioramento se si analizzano gli indicatori di processo, mentre l’intervento sembra ininfluente sugli indicatori di esito; il secondo articolo invece conclude per l’inesistenza di un guadagno in riferimento alla usual care, eccezion fatta per un incremento della copertura vaccinale nella popolazione target dell’intervento.
CONCLUSIONI
L’IPC è una strategia innovativa per affrontare i complessi bisogni di salute dei pazienti cronici. C’è tuttavia una mancanza di evidenze sull’impatto che l’IPE può avere sul trattamento delle cronicità. Sono quindi necessari ulteriori studi sia per valutare il ruolo dell’IPE nel favorire la collaborazione interprofessionale che nel miglioramento dei risultati nei pazienti cronici.
Abstract
INTRODUZIONE
Nell’adolescenza è frequente l’insorgenza di disturbi mentali, spesso persistenti in età adulta. La letteratura sulla salute mentale nell’adolescente è tuttavia limitata. L’obiettivo di questa indagine è valutare i cambiamenti nella salute mentale e negli stili di vita degli adolescenti.
MATERIALI E METODI
Lo studio di coorte “Be teen”, iniziato nell’a.s. 2017/2018, comprende un campione di studenti di istituti scolastici secondari di secondo grado della provincia di Brescia. Gli operatori dell’indagine somministrano agli studenti una volta all’anno, per 5 anni, i medesimi questionari. Alla prima somministrazione ad ogni studente è assegnato un codice identificativo alfanumerico, necessario per associare i questionari dei diversi anni. Nella presente analisi sono stati inclusi gli studenti che hanno compilato i questionari nei primi 2 anni. Il benessere psicologico è stato indagato tramite le scale CES-DC e SDQ, standardizzate e validate a livello internazionale. In entrambe un punteggio elevato è indicativo di malessere psicologico.
RISULTATI
Si sono analizzati i questionari di 786 studenti, di cui 450 (57,3%) femmine, il 96,8% tra i 14 e i 15 anni al primo anno di valutazione, dai 16 istituti aderenti. È aumentata la percentuale di soggetti con punteggi indicativi di malessere psicologico: tra i maschi alla CES-DC da 1,3% a 4,9% e alla SDQ da 3,6% a 4,8%, tra le femmine alla CES-DC da 12,5% a 16,1% e alla SDQ da 10,0% a 12,8%.
Sono aumentati gli studenti che fumano, da 10,1% a 18,5% tra i maschi e da 14,4% a 22,7% tra le femmine, che bevono alcolici, da 21,0% a 36,6% tra i maschi e da 13,7% a 29,6% tra le femmine, e che usano i social media, da 6,0% a 12,2% tra i maschi e da 21,3% a 29,5% tra le femmine.
Restringendo l’analisi agli studenti i cui stili di vita non cambiano nei due anni, sia nei maschi che nelle femmine punteggi maggiori alle scale di salute mentale sono associati a bullismo attivo e passivo, mancanza di fiducia nel prossimo, utilizzo assiduo di social media, abitudine fumatoria e dipendenza da tabacco.
CONCLUSIONI
Queste prime osservazioni suggeriscono un aumento, seppure limitato, della percentuale di studenti con comportamenti a rischio e/o con malessere psicologico.
Abstract
INTRODUZIONE
La vaccinazione antinfluenzale costituisce uno strumento utile ed efficace nel diminuire la trasmissione del virus non solo ai pazienti, ma anche agli altri operatori sanitari (OS). I medici in formazione specialistica (MFS), nelle strutture Ospedaliere Universitarie, sono parte integrante dell’assistenza e della cura dei pazienti. Il presente studio descrive l’organizzazione e l’efficacia della campagna di vaccinazione condotta nel 2018 all’interno del Presidio Ospedaliero Universitario (POU) di Udine e l’adesione da parte dei MFS iscritti presso l’Università degli Studi di Udine.
MATERIALI E METODI
Il Gruppo Operativo di Gestione e Controllo del Rischio Infettivo, in collaborazione con i MFS di Igiene e Medicina Preventiva, ha organizzato la campagna di vaccinazione antinfluenzale 2018 all’interno del POU di Udine. Il calendario individuato prevedeva un ambulatorio vaccinale bisettimanale e altre 16 giornate dedicate di vaccinazione direttamente nei reparti, entrambi durante il cambio turno per massimizzare l’adesione degli OS. L’offerta attiva ha avuto luogo dal 30 ottobre al 7 dicembre 2018. In aggiunta, rispetto al 2017, sono stati organizzati due incontri educativi, tenuti da esperti di malattie infettive e sanità pubblica, rivolti ai link professional (LP) del POU per promuovere la vaccinazione e per supportare l’attività di diffusione da parte dei LP nei reparti di appartenenza. In particolare, ai MFS la promozione della campagna di vaccinazione è stata fatta tramite l’invio del calendario vaccinale tramite mail.
RISULTATI
Nel 2018, su un totale di 358 MFS iscritti presso l’Università degli Studi di Udine, il 45,3% (162) ha aderito alla campagna di vaccinazione, di cui il 41,4% di sesso maschile e il 58,6% di sesso femminile. L’età media dei vaccinati è risultata essere di 29,33 (± 3,07) anni. L’incremento percentuale di adesione rispetto al 2017 è stato del +19.3%; p < 0,001. La percentuale di MFS vaccinati suddivisa per area medica, chirurgica e dei servizi clinici è stata rispettivamente del 47,3% (+21,2% rispetto al 2017), 34,9% (+15,8% rispetto al 2017) e 50% (+18% rispetto al 2017).
CONCLUSIONI
L’offerta attiva di vaccinazione con le metodologie sopra descritte ha avuto un impatto positivo sul numero di MFS vaccinati sia in totale sia per singola area. Tuttavia, nonostante l’incremento percentuale raggiunto, si rimane ben lontani dall’obiettivo minimo del 75% identificato dall’OMS. Si evidenzia quindi la necessità di attuare ulteriori strategie di promozione al fine di avvicinare ulteriormente tale target.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità una malattia sociale che sta aumentando a livello mondiale in modo preoccupante, sia in popolazione adulta che pediatrica/adolescenziale. Scopo dello studio è di descrivere gli stili di vita e la distribuzione di sovrappeso/obesità in un campione di bambini e adolescenti della regione Calabria.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha previsto la somministrazione di un questionario ai genitori di un campione di età compresa tra i 6 e i 18 anni durante l’anno scolastico 2018/2019 per la raccolta di informazioni socio-anagrafiche e relative a: stato di salute, stili di vita e abitudini alimentari dei propri figli, presenza di sovrappeso/obesità definiti utilizzando le tabelle percentili dell’indice di massa corporea (IMC) sviluppate per soggetti dai 6 ai 20 anni di età dalla Società Italiana di Pediatria di Diabetologia ed Endocrinologia (SIEDP), che forniscono i percentili di crescita in relazione all’età, al sesso e all’area geografica. Particolare attenzione è stata posta nell’indagare lo svolgimento di attività fisica, quali tipi di sport sono praticati (resistenza, alternati, destrezza, potenza), l’aderenza alla dieta mediterranea tramite KIDMED test, il tempo trascorso a guardare la televisione (TV), a giocare ai videogiochi o ad usare il personal computer (PC).
RISULTATI
Sono stati inclusi nello studio 1397 soggetti. L’età media era di 10.6 anni (± 2.3 DS) ed il 50.6% dei soggetti era di sesso femminile. Solo il 17.6% dei soggetti non praticava attività fisica, mentre il 45.2% la svolgeva con una frequenza maggiore ai 3 giorni a settimana; gli sport di destrezza, come arti marziali o danza, risultavano i più frequenti (24.3%). Riguardo l’aderenza alla dieta mediterranea: si osservava che ben il 44.6% presentava una bassa aderenza, mentre solo il 10.7% alta. Il 23.9% del campione mostrava una condizione di sovrappeso/obesità. All’analisi bivariata, tale condizione era significativamente maggiore tra i soggetti di genere maschile, più giovani e che non praticava attività fisica. I soggetti in sovrappeso/obesi erano più frequentemente coloro che non svolgevano sport di destrezza, quali il calcio e la pallacanestro, e coloro che utilizzavano la TV per una durata giornaliera superiore alle 3 ore.
CONCLUSIONI
I risultati del presente lavoro evidenziano e confermano il ruolo fondamentale dell’attività fisica per il mantenimento del giusto peso corporeo. Inoltre, ribadiscono la necessità di sorvegliare l’IMC nella popolazione pediatrica per identificare ed implementare interventi di provata efficacia tali da affrontare il fenomeno e prevenire precocemente il sovrappeso e l’obesità.
Abstract
INTRODUZIONE
La valutazione dello stress lavoro correlato (SLC) è divenuta obbligo di legge in Italia con l’introduzione del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 28 D.Lgs. 81/2008). Tra le categorie più a rischio di SLC risultano gli operatori sanitari: l’intensa attività lavorativa, i crescenti adempimenti burocratici, le maggiori attese dei pazienti e le forti responsabilità sono cofattori della possibile insorgenza di stress. Valutazioni quantitative relative agli indicatori oggettivi e alla valutazione individuale nel comparto sanità in Italia sono ancora limitate. Obiettivo del presente studio è valutare alcuni indicatori di stress in gruppi omogenei di lavoratori dipendenti dell’ASL1 Abruzzo, come previsto dalla valutazione preliminare disposta nella metodologia INAIL 2017, e il livello di rischio SLC attraverso la somministrazione del questionario HSE management standards work-related stress indicator tool (IT).
MATERIALI E METODI
Sulla base dei dati forniti dall’U.O.C. del Personale, la valutazione preliminare relativa all’anno 2018 prende in esame il numero di infortuni, il numero di giornate lavorative perse per malattia, il numero di giorni di ferie non godute, il numero di trasferimenti dei dipendenti del P.O. di Avezzano, in rapporto al numero totale dei dipendenti aziendali. A partire dal 1° gennaio 2019 è stata avviata, secondo quanto stabilito nella Riunione Periodica del 24 luglio 2018, la valutazione approfondita attraverso il questionario HSE management standards work-related stress indicator tool (IT) su un primo campione di 62 dipendenti suddivisi in gruppi omogenei per mansione lavorativa.
RISULTATI
Per quanto riguarda la valutazione preliminare, questa prima fase di analisi degli infortuni occorsi nello stesso ambito lavorativo in cui abbiamo svolto la rilevazione individuale (782 lavoratori) mostra un significativo aumento nel 2018 rispetto al 2017: +58%. L’analisi dei dati derivanti dal questionario HSE per la valutazione approfondita rileva un’area critica nelle dimensioni “Relazioni e Sostegno dei colleghi” e “Ruolo”, con punteggi inferiori al 20° percentile dello standard in diversi item proposti e nel totale di area.
CONCLUSIONI
Dalla analisi dei dati raccolti, possiamo affermare che l’incremento dell’indicatore infortuni giustifica pienamente l’adozione della valutazione individuale. I risultati derivanti dai questionari HSE-IT suggeriscono che i rapporti con i colleghi e il ruolo sembrano essere gli stressors più significativi. È necessario, comunque, ampliare l’analisi agli altri indicatori per la valutazione preliminare ed espandere il campione sottoposto al questionario per la valutazione approfondita, al fine di confermare i dati emersi finora.
Abstract
INTRODUZIONE
Gli SDGs e l’Agenda 2030 rappresentano programmi di sviluppo condivisi a livello internazionale di carattere interprofessionale. L’attenzione ai temi legati alla sostenibilità da parte della formazione accademica risulta essenziale nel promuovere una loro conoscenza capillare e conseguente applicazione in ogni ambito professionale. Obiettivo di questo studio è valutare conoscenze, fonti e aspettative nei confronti di SDGs e Agenda 2030 tra le 4300 matricole di tutti i Corsi di Laurea dell’Università degli Studi di Udine.
MATERIALI E METODI
Un questionario online anonimo di 70 domande a scelta multipla è stato distribuito alle matricole dal 22 marzo al 4 giugno 2019. L’invito alla compilazione e il link sono stati inviati via e-mail a tutte le matricole, promuovendo la partecipazione tramite affissione di locandine riportanti il QR Code per l’accesso tramite smartphone o tablet nelle aule didattiche e aree comuni. Le 3 sezioni costituenti il questionario esaminano conoscenze e fonti di informazione rispetto allo sviluppo sostenibile e aspettative riferite all’avviato percorso di studi. Le informazioni raccolte includono età, Corso di Laurea, studi precedenti, eventuali corsi specifici. I dati sono stati analizzati tramite i test di Wilcoxon e Kruskal-Wallis.
RISULTATI
Sono pervenute le risposte di 155 matricole. Il 51% degli studenti (79) non ha mai sentito nominare SDGs e Agenda 2030; l’8% (12) li conosce da studi precedenti e il 28% (43) ha frequentato attività didattiche dedicate. Sono state rilevate significative differenze di interesse tra diverse aree di studio in termini di punteggi mediani, in particolare per: disuguaglianze di salute (p = 0.0026; massimo: 4 per aree sanitaria e umanistica; minimo: 2 per area matematico-informatica); Benessere Equo e Sostenibile (p = 0.0111; massimo: 3 per area economica; minimo: 2 per area matematico-informatica); Protocollo di Kyoto (p = 0.0083; massimo: 4 per area economica; minimo: 2 per area matematico-informatica). Una migliore conoscenza è risultata associata a una precedente frequenza di attività didattiche o corsi attinenti (p = 0.0163). Il 33% degli intervistati (51) nutre aspettative formative nei riguardi dell’Università per l’acquisizione di competenze relative agli SDGs per cultura personale, il 50% (77) perché ritenute utili per l’attività professionale futura.
CONCLUSIONI
Le risposte raccolte evidenziano una scarsa conoscenza di SDGs e Agenda 2030, tranne per quella quota di studenti che ha partecipato ad attività specifiche in precedenza. Attualmente l’acquisizione di competenze risulta delegata all’auto-apprendimento o alla formazione post-laurea. L’attenzione a questi temi nei programmi di formazione universitaria attraverso l’implementazione di iniziative strutturate appare un elemento meritevole di considerazione.
Abstract
L’infermiere è spesso l’operatore sanitario con cui avviene il primo ed il più frequente contatto del cittadino con il servizio sanitario. Le competenze comunicative e relazionali sono pertanto determinanti. L’obiettivo dello studio è stato verificare l’opinione dei coordinatori infermieristici riguardo la percezione delle competenze comunicative negli staff infermieristici nei setting territoriali e ospedalieri.
MATERIALI E METODI
I coordinatori e i dirigenti infermieristici delle Marche sono stati invitati a rispondere ad un questionario on-line che proponeva alcune tematiche sulle quali esprimere un’opinione riguardo l’importanza nella professione, la competenza degli infermieri neolaureati, la necessità di potenziare la formazione.
Per il nostro studio abbiamo considerato le domande relative alla comunicazione (capacità di comunicazione efficace, di educare il paziente/cittadino, di lavorare in team multidisciplinare e multiprofessionale, atteggiamento verso i colleghi). Le risposte sono state confrontate in base al setting di lavoro del coordinatore (ospedale o territorio).
RISULTATI
Sono stati compilati finora 154 questionari.
Gli item selezionati hanno mostrato una buona affidabilità (alfa di Cronbach = 0,822). In generale, le competenze comunicative sono risultate fondamentali. La capacità di comunicazione efficace viene giudicata estremamente importante da oltre il 97% dei coordinatori sia sul territorio che in ospedale (p = 0,647), così come la capacità di lavorare in team multidisciplinari (100% e 97%, p = 0,581), e multiprofessionali (96,4% e 94,6%, p = 0,684). Invece, la capacità di educare il paziente e il cittadino è risultata necessaria in particolare agli operatori del territorio, rispetto a quelli ospedalieri (96,5% e 90,1%, p = 0,028).
L’atteggiamento verso i colleghi si è dimostrato meno rilevante, risultando importante solamente per il 39,2% dei coordinatori territoriali e per il 33,9% dei coordinatori ospedalieri (p = 0,369).
Riguardo all’adeguatezza delle competenze degli infermieri neolaureati, il 22% dei coordinatori ospedalieri ritiene che il proprio staff presenti delle carenze gravi e tutti i coordinatori del territorio riferiscono carenze lievi (p = 0.292) in almeno una delle competenze comunicative. In particolare, la capacità di una comunicazione efficace è risultata critica nel setting ospedaliero rispetto a quello territoriale (p = 0.014).
Oltre il 97% dei coordinatori sente il bisogno di migliorare le competenze comunicative per interventi di educazione sanitaria a pazienti e cittadini nei diversi setting assistenziali.
CONCLUSIONI
I risultati della nostra indagine, seppur non definitivi, rilevano che la metodologia per una comunicazione efficace è una competenza considerata necessaria in tutti i setting assistenziali, ma ancora carente. Il percorso formativo dovrebbe pertanto garantire competenze comuni a tutti gli operatori sulla metodologia per interventi di promozione della salute basati sulle evidenze scientifiche.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Indice di massa corporea (IMC) espresso in percentili è uno dei parametri più utilizzati per identificare l’eccesso di tessuto adiposo. Nei bambini, la classificazione di sovrappeso/obesità può essere effettuata utilizzando i criteri proposti dall’International Obesity Task Force (IOTF) o i criteri proposti dall’OMS. Un ulteriore parametro sempre più utilizzato per identificare l’obesità è il rapporto circonferenza vita/altezza (waist-to-height ratio-WHtR).
Obiettivo: stimare, in un campione di bambini della scuola primaria, la percentuale di bambini in eccesso di peso utilizzando entrambe le classificazioni (IOFT e OMS) e quelli a rischio utilizzando il waist-to-height ratio (WHtR).
METODI
Studio trasversale condotto tra maggio e giugno 2017 presso la scuola primaria di Calderara di Reno (Bologna) in bambini di età compresa tra 6 e 11 anni.
RISULTATI
Sono stati raccolti i dati antropometrici (peso, altezza, circonferenza vita) relativi a 501 bambini della scuola primaria di Calderara di Reno dalla classe 1° alla classe 5°. Il 78,2% dei bambini è risultato normopeso secondo i criteri IOFT mentre con la classificazione OMS il 69,9%. La percentuale di bambini in sovrappeso è simile con entrambe le classificazioni (17,2% IOTF; 18,4% OMS), mentre risulta essere molto diversa nella categorizzazione dei bambini come obesi: 4,6% IOFT versus 11,8% OMS. L’88,8% dei bambini ha un WtHR non a rischio (< 0,5) mentre il restante 11,2% risulta essere a rischio (WtHR ≥ 0,5).
CONCLUSIONI
I valori soglia dell’OMS nella categorizzazione dell’obesità risultano complessivamente più restrittivi di quelli proposti dallo IOFT. Di conseguenza, a parità di IMC, la percentuale dei bambini obesi risulta essere, con i criteri OMS, più che doppia. Tali risultati sono in linea con quelli riportati in un altro studio di sorveglianza condotto in Italia. I criteri proposti dall’OMS si basano su dati raccolti in USA nel 1977 e aggiornati con dati raccolti in Brasile, Ghana, India, Norvegia, Oman e Stati Uniti e rielaborati poi con modelli statistici nel 2007. I criteri proposti dallo IOFT si basano su dati raccolti nel 2000 in Brasile, Gran Bretagna, Hong Kong, Paesi Bassi, Singapore e Stati Uniti. Questi ultimi Paesi presentano probabilmente un quadro epidemiologico più simile all’attuale popolazione infantile italiana. Negli studi che vogliano valutare l’efficacia degli interventi collettivi di promozione della salute nei bambini, la raccolta del dato sulla circonferenza vita può essere importante e informativo quanto quella dell’IMC e pertanto sempre raccomandabile.
Abstract
INTRODUZIONE
Si stima che entro il 2020 gli stili di vita inadeguati saranno responsabili dei due terzi del carico globale di malattia, in modo particolare delle malattie croniche non trasmissibili. In Italia sin dal 2005 il contrasto alle patologie croniche è riconosciuto come obiettivo prioritario, da perseguire anche tramite la promozione della medicina di iniziativa, quale modello assistenziale orientato tra l’altro, all’assunzione del bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia. Scopo dello studio è valutare l’attenzione degli operatori sanitari agli stili di vita della popolazione adulta.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati i codici deontologici degli operatori sanitari (medico, infermiere, fisioterapista ecc.) ed i principali piani nazionali vigenti (della prevenzione e della cronicità). È stata utilizzata la sorveglianza PASSI quale fonte di dati nazionali sull’attenzione degli operatori sanitari agli stili di vita degli adulti. È stata consultata la banca dati Medline (PubMed) per la ricerca di articoli scientifici, utilizzando parole chiave come “lifestyle medicine”, “behaviour change”, “medical education”.
RISULTATI
I codici deontologici prevedono che i professionisti sanitari promuovano corretti stili di vita e i piani nazionali contemplano strategie di prevenzione primaria in gruppi a rischio. Tuttavia dall’analisi dei dati PASSI 2015-2018, è emerso che ha ricevuto il consiglio di fare più attività fisica il 38,5% degli intervistati sovrappeso o obesi; di perdere peso il 47,5% delle persone in eccesso ponderale; di smettere di fumare il 51,4% dei fumatori; di bere meno alcol il 6,4% dei bevitori a maggior rischio. Alcuni articoli mostrano come in altri Paesi la maggioranza degli operatori sanitari non effettui regolarmente l’identificazione o l’assistenza dei loro pazienti nella modifica degli stili di vita a rischio per ragioni riconducibili all’inadeguata formazione specifica, alla mancanza di fiducia nelle potenzialità della medicina dello stile di vita, alla riluttanza nel consigliare comportamenti che non perseguono personalmente.
CONCLUSIONI
La promozione di stili di vita sani rappresenta l’arma più valida per combattere le malattie croniche, ma nonostante le indicazioni contenute nei codici e nei piani, l’attenzione degli operatori sanitari agli stili di vita risulta ancora insoddisfacente. Per questo è auspicabile includere l’educazione alla medicina dello stile di vita nella formazione di base, post-base e continua dei sanitari. In aggiunta, sarebbe utile pensare all’introduzione di una figura specifica adeguatamente formata che abbia il ruolo di professionista dello stile di vita, previa analisi economica che valuti i relativi costi ed i benefici in termini di riduzione delle ospedalizzazioni, disabilità e mortalità correlate alle malattie croniche.
Abstract
INTRODUZIONE
Frutta e verdura sono alla base di un’alimentazione sana ed equilibrata. Consumarle permette di fornire al nostro organismo un apporto insostituibile di sali minerali, acqua, vitamine, fibre, antiossidanti e sostanze bioattive che aiutano a mantenere il benessere del nostro organismo riducendo il rischio di malattie cardiovascolari, tumori, altre patologie croniche. L’educazione ad una buona alimentazione deve contribuire al processo di crescita, in modo che i bambini imparino fin da piccoli quali siano i corretti comportamenti alimentari. Tra i diversi progetti regionali e locali, nelle Marche compare “Il mercoledì della frutta” che coinvolge alunni di diverse scuole. È stato ideato e diffuso a cura dei Servizi Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, considerati i dati di Okkio alla salute 2008 che avevano evidenziato un consumo a scuola di merenda equilibrata nutrizionalmente molto basso nella regione e bassissimo nella Provincia di Pesaro-Urbino: rispettivamente il 7% e il 3% dei bambini campionati. Ha come obiettivo molto concreto quello di far consumare frutta a merenda, ponendo le basi per l’acquisizione di abitudini alimentari corrette.
MATERIALI E METODI
Tale Progetto costituisce un’Azione semplice, ma non semplicistica, inserita nei Piani Regionali della Prevenzione dal 2010, basata sul coinvolgimento diretto mediante: proposta adesione agli istituti scolastici; diffusione materiali informativi, eventuali incontri diretti; impegno liberamente assunto da parte delle famiglie a fornire ai propri figli frutta per merenda a scuola, almeno un giorno a settimana per tutto l’anno scolastico; sostegno teorico-pratico da parte degli insegnanti; monitoraggio dell’effettivo consumo attraverso rilevazione in classe. Al progetto in AV1 partecipano alunni di scuole primarie e secondarie 1° grado, di età compresa tra i 6 e i 13 anni.
RISULTATI
Per l’AS 2018-19 nell’Area Vasta 1 hanno aderito 21 istituti scolastici con 298 classi (prevalentemente primarie, ma anche secondarie di 1° grado) per un totale di 5487 alunni. I dati dei consumi effettivi di frutta a merenda, analizzati per rilevare l’efficacia del programma e valutare il raggiungimento dell’obiettivo, saranno disponibili al termine dell’anno scolastico e verranno esposti nella comunicazione definitiva.
CONCLUSIONI
Nei 10 anni trascorsi, il consumo di frutta da parte dei bambini/adolescenti nella merenda a scuola si è incrementato, ad es. nell’Area Vasta 1 passaggio dal 20% al 75% nell’AS 2013-14, ma necessita di costanti stimoli. Progetti come “Il mercoledì della frutta” sono dunque inseribili tra le buone pratiche per favorire corrette abitudini alimentari e accrescere la consapevolezza dell’importanza di una sana alimentazione a partire dai primi anni di vita.
Abstract
INTRODUZIONE
La violenza sugli operatori sanitari è un fenomeno in rapida crescita universalmente riconosciuta come un importante problema di salute pubblica globale. Le conseguenze delle aggressioni subite sono consistenti e attengono a diverse sfere della vita privata e professionale. Scopo dello studio è stato quello di valutarne la prevalenza esplorando le caratteristiche organizzative dell’ospedale.
MATERIALI E METODI
Il disegno dello studio è di tipo osservazionale multicentrico. Una survey online anonima è stata inviata ai medici iscritti nella mailing list dell’Ordine dei Medici Chirurghi inviata alle regioni del nord Italia. I dati raccolti sono stati archiviati in modo anonimo in un database informatizzato. Il questionario è stato strutturato in due parti, tra cui un’introduzione con informazioni socio-demografiche, numero di anni di lavoro nel settore sanitario e Unità operativa di appartenenza e una seconda parte che indagava sull’aggressione verbale e fisica sul lavoro negli ultimi 12 mesi e la sensazione di sicurezza personale nei luoghi di lavoro. È stata eseguita una regressione logistica multivariabile, considerando come variabile dipendente “Sei mai stato vittima di aggressione fisica al lavoro negli ultimi 12 mesi?”, al fine di valutare il ruolo delle altre variabili del questionario.
RISULTATI
Il campione è composto da 4545 operatori sanitari (età media 49,79 ± 12,63). Il 51,54% del campione riferisce di essere stato vittima di aggressione verbale e il 3,94% di aver subito un’aggressione fisica sul luogo di lavoro negli ultimi 12 mesi. L’analisi mostra che il rischio di subire un’aggressione fisica sul luogo di lavoro è significativamente associato alle seguenti variabili indipendenti: genere maschile (aOR 2,04, IC 95% 1,48-2,80); prestare il proprio servizio presso una struttura pubblica (aOR 2,51, IC 95% 1,73-3,65); essere stato vittima di un’aggressione verbale sul luogo di lavoro negli ultimi 12 mesi (aOR 22,70, IC 95% 11,08-46,51).
CONCLUSIONI
L’aggressione sul luogo di lavoro può essere considerato un rischio lavorativo, al pari di quelli biologico, fisico o chimico. L’esposizione alla violenza sul luogo di lavoro è in grado non solo di minare la salute del lavoratore, ma anche di abbassare il livello del benessere organizzativo. In Italia non sono sviluppate sufficienti strategie standardizzate per prevenire il fenomeno, pertanto sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire le conseguenze sulla salute a breve e a lungo termine sugli operatori sanitari. È necessario identificare e implementare validi strumenti preventivi agendo a livello organizzativo e individuale fornendo strategie specifiche per affrontare episodi di violenza.
Abstract
INTRODUZIONE
Il tema della comunicazione in campo vaccinale è un problema che preoccupa la Sanità italiana, europea e mondiale a causa dello sbilanciamento dell’informazione verso siti che forniscono informazioni non corrette e talvolta una vera e propria controinformazione. Nonostante le iniziative promosse dal Ministero della Salute, è necessario un largo impegno al fine di presidiare il web e contrastare la continua diffusione di informazioni distorte. In tale ottica, nell’ambito del network di Vaccinarsi, il sito internet “Vaccinarsinsardegna.org” vuole rappresentare un canale di comunicazione, attraverso il quale è possibile informare gli utenti circa le corrette indicazioni sulle malattie prevenibili e sulle vaccinazioni, con particolare riferimento alle specifiche regionali (epidemiologia, accessibilità ai servizi ecc), per sostenere un’adesione ancor più consapevole ai programmi di immunizzazione da parte di tutta la popolazione. Il presente lavoro analizza la compliance degli utenti al sito dal momento del suo avvio.
MATERIALI E METODI
Gli accessi del periodo 10 novembre 2017-26 maggio 2019 sono stati analizzati attraverso il tool “All web site Data” di Google Analytics permettendo di quantificare e valutare le performance del sito e i relativi trend di visualizzazione.
RISULTATI
Nel suddetto periodo il sito, visitato da 16.626 utenti (92,21% dall’Italia, il 3,76% America, 2,87% resto d’Europa e 1,16% Oceania) dei quali l’88% nuovi visitatori, ha mostrato un marcato incremento dei contatti. Il numero di sessioni è risultato di 22.207 con una media di 1,34 sessioni per utente ed 1’ e 45” di consultazione. La lingua maggiormente rappresentata risulta essere l’Italiano (92,62%), seguita dall’Inglese (5,3%). Più del 60% delle visualizzazioni sono state effettuate da dispositivi mobili. Le pagine del sito più seguite sono state: “ambulatorio vaccinale”, “vaccino anti-Hpv” e “anti-influenzale”; la maggior frequenza di consultazione risulta nella prima metà della giornata dei giorni feriali.
CONCLUSIONI
Dalle analisi emerge, da parte della popolazione, una crescente frequenza di contatti per ottenere informazioni su logistica dei servizi e fare chiarezza sulle malattie infettive prevenibili con la vaccinazione. Ne sono esempio i picchi di visualizzazioni in concomitanza con casi di Meningite, in occasione dei quali nell’ottica dell’outrage management il team di vaccinarsi ha prodotto e pubblicato dettagliati articoli, grazie ai quali gli utenti hanno potuto informarsi e trovare risposte ai dubbi più comuni. La presenza nel web di riferimenti affidabili e valutabili in campo di comunicazione vaccinale è indispensabile per poter fornire informazioni corrette, chiare e aggiornate utilizzando, al contempo, un linguaggio semplice e di immediata comprensione.
Abstract
INTRODUZIONE
Sono note varie difficoltà professionali per i neoabilitati alla figura di Medico Competente, sbocco lavorativo per medici igienisti o medici legali in possesso di apposito Master di II° livello, oltre che per medici del lavoro, secondo il D.Lgs. 81/2008. Il GdL della Consulta dei Medici in Formazione Specialistica (MFS) SItI “La Figura del Medico Competente” è nato con l’obiettivo di cooperare con le Consulte dei MFS in Medicina del Lavoro e Medicina Legale nella stesura delle linee di indirizzo sulla condotta professionale del Medico Competente e indagare lo status dell’arte sulla tematica della medicina del lavoro nelle Scuole di Specializzazione di Igiene e Medicina Preventiva.
MATERIALI E METODI
Il GdL ha proposto ai MFS delle diverse Scuole di Specializzazione in Igiene un questionario con l’obiettivo di valutare la conoscenza dei MFS sulla figura del Medico Competente, la loro formazione nella tematica, nonché l’interesse per questo sbocco lavorativo. I risultati del questionario saranno utili nella stesura delle linee di indirizzo sulla condotta professionale del Medico Competente. Il questionario, anonimo, è stato creato e pubblicato online tramite piattaforma internet Limesurvey. Il link è stato diffuso il 6/5/2019 ed è composto da 14 domande. Si presentano i risultati preliminari del questionario. Le linee di indirizzo saranno presentate a livello nazionale entro Ottobre 2020 (fine mandato della presente Consulta).
RISULTATI
Al 05/06/2019 hanno risposto al questionario 100 MFS di età compresa tra 26 e 53 anni, equamente suddivisi tra femmine e maschi. Il 26,0% risulta iscritto al primo anno di corso, il 33,0% al secondo anno, il 23,0% al terzo anno e il 18,0% all’ultimo anno. Il 97,0% dei MFS ha dichiarato di conoscere le possibilità offerte dal D.Lgs. 81/08, di questi il 57,7% ne è venuto a conoscenza tramite colleghi. Il 46,0% risponde di essere interessato alla medicina del lavoro. Il 53,0% dichiara che tale materia viene trattata: nel 67,9% dei casi tramite lezioni frontali, nel 45,3% tramite tirocinio obbligatorio e nel 22,6% con tirocinio opzionale. Il 70,0% dichiara di non essere a conoscenza di corsi formativi per la futura attività di Medico Competente.
CONCLUSIONI
Questa indagine dimostra l’interesse dei MFS in Igiene alla medicina del lavoro ed evidenzia la disomogeneità formativa nella materia. I risultati mostrano l’utilità della collaborazione con le Consulte di Medicina del Lavoro e di Medicina Legale nella stesura di linee di indirizzo condivise mirate al miglioramento e alla difesa della qualità della professione di Medico Competente.
Abstract
INTRODUZIONE
La carenza di iodio e i disturbi correlati sono ancora un problema per la salute nella maggior parte dei paesi del mondo. La prevalenza di gozzo e la concentrazione mediana di iodio urinario (UI) nei bambini in età scolare (11-14 anni) sono attualmente i due indicatori più utilizzati per il monitoraggio dei disturbi da carenza di iodio in aree endemiche. L’OMS e il Consiglio Internazionale per il Controllo dei Disturbi da Carenza di Iodio (ICCIDD) hanno definito come carenti di iodio le aree caratterizzate da escrezione mediana di UI < 100 µg/L e classificato il gozzo endemico in caso di aumento del volume della tiroide in più del 5% della popolazione in età scolare. Scopo di questo studio è valutare la prevalenza del gozzo nella provincia di Crotone.
MATERIALI E METODI
Identificate un’area “sentinella” tra i paesi montani del crotonese, dove precedentemente era stato rilevato uno stato di carenza iodica, ed un’area “di controllo” in un’area marina iodio-sufficiente. Alle scuole secondarie di I livello di circa 750 studenti di età 11-14anni del territorio è stato proposto di valutare ecograficamente il volume ghiandolare tiroideo e di raccogliere un campione estemporaneo di urine per determinare la ioduria agli studenti, previo consenso informato dei genitori. Successivamente si è programmata la campagna di promozione della iodoprofilassi nelle scuole per gli anni 2016-2019, al fine di diffondere l’informazione sui vantaggi della iodoprofilassi, formando gli insegnanti delle scuole e sensibilizzando gli studenti e le loro famiglie a riguardo. L’intervento è stato realizzato in coordinazione tra endocrinologi, epidemiologi e un assistente sanitario del territorio attraverso attività di laboratorio, di studio e di cooperazione.
RISULTATI
Le scuole aderenti al progetto sono state l’82%, con 400 alunni e 680 genitori coinvolti. La prevalenza del gozzo nell’area sentinella è risultata di circa il 20%, mentre l’escrezione mediana di UI è risultata < 100 µg/L nel 30-32% dei campioni raccolti. Sono stati realizzati incontri informativi rivolti agli insegnanti, ai genitori e agli studenti, mirati a sensibilizzare l’intera popolazione sui vantaggi di un’adeguata iodoprofilassi e sull’importanza di raggiungere il target ideale del 90% di adesione delle famiglie al consumo di sale da cucina iodato.
CONCLUSIONI
I risultati relativi alle patologie da carenza di iodio confermano l’alta prevalenza di gozzo nel territorio oggetto d’indagine. L’efficacia della iodoprofilassi richiede ulteriore divulgazione affinché si raggiunga il target di adesione al consumo di sale iodato. Successivamente sarà monitorata l’efficacia della campagna realizzata, per verificare la soglia effettiva raggiunta.
Abstract
INTRODUZIONE
L’obiettivo è quello di realizzare un progetto di promozione della salute con la collaborazione di strutture turistico-alberghiere. È stata realizzata una campagna di sensibilizzazione ed educazione sanitaria, denominata “Safe Sun Coast”, che fornisce nozioni sulla difesa dai danni solari conseguenti ad una esposizione non corretta, le principali misure di prevenzione contro il melanoma e i tumori della pelle, ottenendo il massimo beneficio dall’esposizione al sole, di cui si facessero promotori gli albergatori della Costiera Amalfitana.
MATERIALI E METODI
Le strutture alberghiere della Costiera Amalfitana accolgono un gran numero di turisti, sia per lunghe vacanze sia per brevi week-end già dai primi mesi primaverili, che hanno una scarsa percezione dei rischi connessi all’esposizione solare, pur presentando i più diversi fototipi con livelli di protezione differenti.
Per tale motivo sono stati coinvolti diversi albergatori che si sono fatti promotori di salute accettando di diffondere il materiale informativo della campagna di sensibilizzazione ed informazione specificamente realizzata.
Inoltre il progetto realizza un connubio di diversi aspetti come benessere, salute, prevenzione, educazione sanitaria, turismo responsabile, marketing etico e qualità dei servizi offerti per la cura e il benessere del turista, in quanto la qualità dei servizi offerti dalle strutture alberghiere si completa con attività di promozione e sensibilizzazione per la salute del turista.
RISULTATI
Hanno aderito all’iniziativa 10 alberghi di piccola-media dimensione che hanno risposto positivamente alla campagna divenendo promotori di salute.
CONCLUSIONI
La ricerca di nuove strategie di promozione di salute può e deve essere sempre percorsa.
Nel caso specifico il progetto prevede la realizzazione di una rete di albergatori che possano consorziarsi per favorire la consapevolezza della prevenzione.
Abstract
INTRODUZIONE
La prevenzione primaria fonda le sue basi sui corretti stili di vita. Molte malattie, come le cardiovascolari che detengono il primato mondiale in mortalità, potrebbero essere prevenute e dimezzate. Anche altre patologie quali: diabete, dislipidemie, malattie cronico degenerative, traggono evidenti benefici dai corretti stili di vita. Per quanto riguarda il cancro, un caso su tre potrebbe essere prevenuto. Nelle patologie già conclamate, in ambito di prevenzione terziaria, l’adozione di corretti stili di vita può migliorarne notevolmente il decorso.
Intervenire sui fattori di rischio “modificabili”: sovrappeso, sedentarietà, tabagismo, eccessivo consumo di alcol e inquinamento ambientale, è fondamentale per agire efficacemente a tutti i livelli della prevenzione e della cura. L’adozione di un corretto stile di vita comprende: corretta alimentazione, riduzione di alcol e sale, pratica di adeguata attività fisica e astensione dal fumo.
MATERIALI E METODI
L’intervento è rivolto alla popolazione dell’area metropolitana di Bari e dei paesi afferenti al Dipartimento di Prevenzione della ASL Bari. Sono stati redatti otto "Libretti della Salute" nei quali vengono trattati i concetti basilari dei corretti stili di vita, schematizzati in maniera diversa in base alla fascia di età o condizione patologica. Sono rivolti a: età pediatrica (0-5 anni), bambini e adolescenti (6-17 anni), adulti (18-65 anni), anziani (oltre i 65 anni), sportivi, donne in gravidanza, pazienti oncologici e pazienti celiaci.
RISULTATI
Il risultato atteso dalla diffusione dei Libretti della Salute, è che i corretti stili di vita (dieta sana, aumento dell’attività fisica, abolizione del fumo di sigaretta, riduzione del consumo di alcool e di sale) diventino abitudini quotidiane e diano la consapevolezza che possono prevenire patologie cronico-degenerative, compreso il cancro. Tale intervento di prevenzione primaria contribuisce ad arginare l’epidemia di malattie cronico degenerative e rappresenta un valido aiuto anche per soggetti che presentano già fattori di rischio comportamentali o intermedi.
CONCLUSIONI
Al fine di pianificare, ideare e realizzare piani che promuovano la salute e perché ognuno abbia un ruolo attivo per il proprio e l'altrui benessere, sono stati scritti i Libretti della Salute che forniscono alla popolazione mezzi semplici per comprendere ed attuare i “corretti stili di vita”.
La divulgazione di tali Libretti nell’area geografica di pertinenza, raggiunge l’obiettivo di scelte salutari, accrescere l’autoconsapevolezza nei bambini e negli adulti e la loro fiducia nell’efficacia dei comportamenti intrapresi per mantenere la propria salute nel tempo.
Abstract
INTRODUZIONE
Analizzare eventuali criticità e punti di debolezza nei processi organizzativi e assistenziali degli erogatori pubblici e privati afferenti all’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Milano, condividendo obiettivi e azioni di miglioramento.
MATERIALI E METODI
ATS ha effettuato una dettagliata analisi epidemiologica del contesto territoriale sviluppando un set di indicatori e specifici standard sulla base dei seguenti parametri: esiti e performance dei ricoveri in area medica e chirurgica, indicatori del PNE (con analisi treemap), rapporto prestazioni SSN / solvenza, tempi di attesa per priorità cliniche, Breast Unit interaziendali e percorso nascita. In aggiunta sono stati indentificati 5 specifici DRG per i quali si è registrato nel periodo 2012-18 un incremento complessivo dei volumi. L’attività di ogni struttura per tali DRG è stata analizzata per volumi, ricoveri ripetuti, mortalità a 30 gg. e ricoveri tra 18-45 anni.
Per ogni erogatore è stata quindi elaborata una scheda personalizzata con gli indicatori critici. Sulla base di tale scheda è stato richiesto a ogni struttura di fornire una proposta di adesione / rimodulazione alla stessa da condividere con ATS per essere inserita come obiettivo di budget contrattuale e di predisporre un Piano di Miglioramento.
RISULTATI
I percorsi di condivisione degli obiettivi tra ATS e le direzioni strategiche delle strutture erogatrici, associati a incentivazioni di tipo economico, hanno permesso di accrescere l’attenzione sulle performance e di indirizzare e programmare i cambiamenti clinici e organizzativi da attuare. L’analisi sanitaria a livello di sistema ha consentito di individuare sia le aree critiche su cui implementare programmi di miglioramento della qualità dell’assistenza, sia di monitorare l’andamento degli indicatori nel tempo. Inoltre l’analisi epidemiologica ha permesso di avere validi strumenti di benchmarking e di rilevare il tipo e l’entità di differenze assistenziali (analisi differenziale).
La predisposizione di Piani di Miglioramento, da parte delle strutture ospedaliere, ha consentito di avviare percorsi di appropriatezza delle cure che si sono concretizzati in tutte le strutture aderenti. Attualmente i risultati dimostrano un generale miglioramento degli standard definiti, sebbene persistano alcune criticità specifiche a cui comunque le strutture sono incentivate, anche economicamente (pay-for-performance), a porre azioni correttive.
CONCLUSIONI
La valutazione finale degli esiti permetterà ad ATS di Milano di rafforzare il proprio ruolo quale punto di riferimento sia operativo che di coordinamento organizzativo nella valutazione delle performances territoriali in ambito sanitario e permetterà di garantire percorsi di cura sempre più efficienti e correlati ai bisogni dei cittadini.
Abstract
INTRODUZIONE
La chirurgia robotica rappresenta oggi una realtà in rapida espansione: dall’arrivo della piattaforma robotica Da Vinci di Intuitive Surgical Inc, si è affermata come valida alternativa alla chirurgia laparoscopica tradizionale, offrendo al chirurgo una visione HD-3D, filtrazione del tremore e 7 gradi di libertà delle estremità.
La branca più interessata è l’urologia: a livello nazionale (2018) gli interventi robotici urologici hanno rappresentato il 67% del totale. Questo dato è concorde con la letteratura che riconosce nella prostatectomia radicale robot-assistita ad ora l’unica prestazione con un evidente vantaggio clinico per il paziente rispetto alla chirurgia laparoscopica.
Risulta quindi necessario, considerati gli elevati costi e le potenziali criticità organizzative ad esso correlate, valutare l’attività di chirurgia effettuata mediante il robot Da Vinci nel contesto del principale presidio ospedaliero della Regione Piemonte, per migliorare l’efficienza e l’accessibilità a questa innovativa tecnologia.
MATERIALI E METODI
Questo studio ha raccolto i dati dell’attività di chirurgia robotica svolta presso il Presidio Molinette dell’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino negli anni 2017 e 2018.
Sono stati analizzati gli aspetti sanitari, logistici, gestionali ed economici del nostro Presidio alla luce dei dati italiani ed internazionali presentati nella letteratura scientifica più aggiornata, nonché dai principali stakeholders della chirurgia robotica interni all’Azienda.
RISULTATI
I volumi di attività del Presidio Molinette, con 223 interventi complessivi nel 2017 e 259 nel 2018, risultano in costante aumento. La percentuale di interventi urologici e di chirurgia toracica risulta in linea col dato nazionale, mentre si riscontra una percentuale più elevata per interventi di chirurgia generale. A livello economico, rispetto all’anno 2016 si è assistito ad un calo dei costi per singola procedura (11800 euro nel 2016 vs 10200 nel 2018), dovuto all’aumento dell’attività chirurgica e alla conseguente diminuzione dell’incidenza dei costi fissi. A livello organizzativo, oltre alle criticità insite nella tecnologia stessa, emergono difficoltà logistiche legate alle peculiarità strutturali del Presidio, caratterizzato da sala operatorie situate in padiglioni e piani diversi.
CONCLUSIONI
L’Azienda A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino risulta essere tra i leader nazionali nella chirurgia robotica. L’incremento dell’attività chirurgica, in particolare urologica, potrà concorrere alla riduzione dei costi per singola procedura, garantendo inoltre la continuità della curva di apprendimento da parte del personale.
Compito della Direzione Sanitaria è tenere aggiornati i dati di efficacia e costo-efficacia, nonché riflettere sulle potenziali aree di ottimizzazione del sistema anche grazie alla comparsa di nuovi concorrenti sul mercato.
Abstract
INTRODUZIONE
Il sovraffollamento è un problema rilevante del Pronto Soccorso che ha effetti negativi sulla qualità delle prestazioni erogate, sul lavoro degli operatori sanitari e sulla percezione della popolazione sulla qualità dei servizi sanitari.
Questo lavoro si pone l’obiettivo di individuare l’impatto dell’inserimento dei Fast-Track (FT) specialistici sui tempi di attesa, sui tempi di gestione e sulla length of stay (LOS tempo triage-dimissione).
MATERIALI E METODI
Usando i flussi amministrativi aziendali, è stata quantificata la frequenza di soggetti inserita nel percorso FT rispetto al totale dei pazienti trattati in PS Generale (ottenuti escludendo gli accessi diretti al PS ostetrico, a quello pediatrico e i pazienti inviati direttamente al ricovero) e l’effetto dell’introduzione del FT sui tempi di attesa, sul tempo di gestione e sulla LOS, suddivisi per codice colore (bianco, verde e blu). Le elaborazioni sono riferite ai primi 6 mesi dell’anno 2018 durante il quale sono entrate in funzione tutte le 5 specialità coinvolte nel percorso Fast-Track al Pronto Soccorso del P.O. di Lecco: FT Otorinolaringoiatrico, Dermatologico, Oculistico, Urologico e Ortopedico. Per motivi di spazio sono riportati i dati di impatto sulla LOS.
RISULTATI
Il 6,38% di tutti gli accessi in PS ha seguito il percorso FT. In ordine decrescente: oculistico 2,65%, otorinolaringoiatrico 1,39%, dermatologico 1,14%, ortopedico 0,68% e urologico 0,52%.
Considerando il numero di utenti gestiti con Percorso FT Specialistico, rispetto ai pazienti gestiti in PS Generale, la percentuale di pazienti con accesso FT è stata del 9,42%.
L’introduzione del FT specialistico ha mostrato un impatto positivo sul tempo di attesa, sul tempo di gestione e sulla LOS dei codici verdi, blu e bianchi di chi ha utilizzato il percorso, con tempi medi di LOS per i pazienti FT compresi tra 51 e 78 minuti.
CONCLUSIONI
Questo lavoro ha messo in evidenza come i pazienti in Fast-Track specialistico hanno beneficiato positivamente del Percorso, mostrando tempi di attesa e di tempo complessivo di permanenza in Pronto Soccorso inferiori di oltre il 60% rispetto ai pazienti che non hanno usufruito dello stesso. Attualmente sono in corso analisi per verificare se l’inserimento dei percorsi Fast-Track, alleggerendo il carico del PS generale, ha influito anche sui tempi di attesa e di gestione dei pazienti del Pronto Soccorso non coinvolti nel Percorso Fast-Track.
Abstract
INTRODUZIONE
Il sovraffollamento del Pronto Soccorso è una delle principali cause che può ritardare l’erogazione di prestazioni sanitarie urgenti e rappresenta uno dei problemi del SSN.
L’obiettivo dello studio è stato quello di individuare se l’OBI venisse utilizzato in modo appropriato secondo gli standard delle Società Scientifiche e se avesse un impatto sui tempi di attesa e sui riaccessi entro le 72 ore.
MATERIALI E METODI
Le informazioni utilizzate sono state derivate dai flussi aziendali del Pronto Soccorso del PO Alessandro Manzoni di Lecco durante i primi 6 mesi di attivazione dell’OBI. Sono state descritte le caratteristiche al triage dei pazienti che accedono all’OBI.
Sono stati calcolati gli indicatori di appropriatezza dell’utilizzo dell’OBI indicati nelle Linee d’indirizzo SIMEU, inclusa la frequenza di soggetti che accede all’OBI (denominatore: accessi in PS esclusi fast-track), la destinazione di dimissione, la frequenza di soggetti con osservazione > 48 ore, la frequenza di riaccessi entro le 72 ore, in assoluto e in paragone al PS Generale.
RISULTATI
I pazienti ammessi in OBI presentano una composizione codice-colore pari a: 60,21% codice giallo, 20,97%, codice verde, 12,20% codice blu e 6,45% codice rosso.
L’OBI, nei suoi primi sei mesi di attivazione, ha una frequenza di ammissione rispetto al totale degli accessi (esclusi accessi pediatrici e fast track specialistico, che è implementato nell’Ospedale) pari al 4,94% corrispondente alla soglia inferiore degli standard raccomandati da SIMEU (5-10%). Il 77,15% dei soggetti in OBI è stato dimesso, mentre il 19,40% è stato ricoverato, il 3,5% ha avuto altro esito (trasferimento, rifiuto ricovero e 1 decesso). La % di pazienti con permanenza in OBI superiore alle 48 ore è del 5.23%, con un picco del 10,06% registrato nel mese di febbraio. La frequenza di pazienti in OBI con riaccesso in PS entro le 72 ore è stata minore rispetto a quanto osservato nel PS generale: 2,75% per l’OBI vs 4,63% del PS generale.
CONCLUSIONI
Questo lavoro ha confermato il buon funzionamento dell’OBI secondo i criteri di appropriatezza definiti dalle Società Scientifiche, evidenziando come i pazienti ammessi in OBI abbiano avuto un numero inferiore di riaccessi entro le 72 ore rispetto agli altri pazienti.
Abstract
INTRODUZIONE
La frattura del collo del femore è un evento traumatico molto frequente nella popolazione anziana.
Le linee guida internazionali indicano come miglior trattamento la riduzione della frattura o la sostituzione protesica, mentre diversi studi hanno dimostrato che per i pazienti > 65anni un’attesa per l’intervento superiore a 2 giorni vede aumentare il rischio di mortalità e di disabilità.
L’effettuazione dell’intervento rispettando questa tempistica dipende fortemente dalla capacità organizzativa della struttura in cui il paziente viene ricoverato, oltre che dalle oggettive condizioni cliniche dello stesso, spesso con comorbilità.
La Direzione Strategica dell’AOUI di Verona nel 2012 ha attuato una riorganizzazione del percorso del paziente > 65enne con frattura di femore, costantemente affinata, per riuscire ad operare i pazienti eleggibili entro 2 giorni:
l’elenco di pazienti > 65 anni accolti dal PS per frattura del collo del femore viene segnalato quotidianamente dal personale di Pronto Soccorso alla Direzione Medica Ospedaliera (DMO);
i medici della DMO si assicurano che i pazienti siano inseriti in lista operatoria in tempo utile e, in caso contrario, verificano con i clinici che le motivazioni del ritardo non siano imputabili a questioni organizzative altrimenti risolvibili;
si stabilisce che questi interventi hanno caratteristiche di urgenza e, in casi eccezionali, la priorità sull’elezione;
la DMO fornisce alla Direzione Strategica report mensili in cui vengono indicate le motivazioni che hanno portato agli eventuali sforamenti delle tempistiche; con i Direttori delle UOC di Ortopedia vengono poi discussi i casi per affrontare eventuali criticità organizzative emerse.
MATERIALI E METODI
Sono stati osservati i dati nazionali e dell’AOUI sulla percentuale di interventi di frattura del collo femore effettuati entro 2 giorni in pazienti > 65 anni forniti da AGENAS (Programma Nazionale Esiti, Ministero della Salute), del periodo 2010-2017.
RISULTATI
L’AOUI nel 2010 operava nei tempi richiesti il 20,44% dei pazienti eleggibili, il 15,41% nel 2011 ed il 21,34% nel 2012, al di sotto dei valori medi nazionali (31,31% nel 2010, 33,51% nel 2011 e 40,23% nel 2012).
In seguito alla riorganizzazione si è passati al 75,99% di rispetto (2013), livello mantenuto negli anni (79,75% nel 2017).
La media nazionale è invece migliorata in maniera costante passando dal 31,31% del 2010 al 45,62% del 2013 fino al 64,74% del 2017.
CONCLUSIONI
L’intervento di natura organizzativa messo in atto in AOUI ha permesso un marcato e duraturo miglioramento nella riduzione dell’attesa per intervento nel paziente anziano con frattura di femore.
Abstract
INTRODUZIONE
La programmazione sanitaria e l’evoluzione epidemiologica in atto hanno portato alla necessità da parte delle strutture ospedaliere di sviluppare una riorganizzazione dei percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali. La nuova tipologia di ospedale deve rispondere ai concetti di tempestività e appropriatezza con un metodo multiprofessionale e multidisciplinare, che consenta allo stesso tempo di ottimizzare l’utilizzo delle risorse a disposizione.
Lo scopo dello studio è di fotografare, attraverso una survey di tipo trasversale, lo stato dell’arte dell’implementazione dei modelli organizzativi per intensità di cura utilizzati negli ospedali pubblici della Toscana.
MATERIALI E METODI
Il sondaggio, sviluppato dall’Agenzia Regionale di Sanità Toscana, si articolava in 34 quesiti suddivisi in quattro sezioni, riguardanti l’organizzazione delle degenze, la graduazione delle cure per intensità, la strutturazione del percorso dell’emergenza e l’organizzazione dei processi di cura. Era presente anche una sezione finale dedicata all’analisi SWOT.
RISULTATI
Alla survey hanno risposto 43 (89.6%) dei 48 ospedali pubblici della Toscana intervistati. 32 di questi sono stati clusterizzati in 3 gruppi sulla base del numero di accessi annuali al Pronto Soccorso (minore o maggiore di 20.000) e del numero di posti letto (minore o maggiore di 150). Il cluster con volumi minori aveva, rispetto ai cluster con volumi intermedi e maggiori, una minor presenza di degenza sub-intensiva multidisciplinare (16.7% vs 44.4% vs 100%), di Post Anesthesia Care Unit o Recovery Room (0% vs 44.4% vs 81.8%) e di modelli di distribuzione delle risorse infermieristiche che tenessero conto dell’intensità di nursing richiesta (16.7% vs 88.9% vs 100%). Nei cluster con volumi minori il DEA non comprendeva una degenza di Medicina d’Urgenza (0% vs 22.2% vs 54.5%) e anche il percorso Fast Track era poco presente (16.7% vs 88.9% vs 100%). Nei ricoveri chirurgici del cluster con volumi minori, i percorsi di emergenza-urgenza e di chirurgia programmata utilizzavano in maniera ridotta aree di degenza e/o sale operatorie dedicate (12.5% vs 44.4% vs 72.7%). Infine il cluster con volumi minori disponeva in misura minore di procedure di bed management (8.3% vs 88.8% vs 91%) e di visual management (25% vs 55.6% vs 81.9%). Gli altri aspetti organizzativi indagati si distribuivano in modalità statisticamente omogenea tra i 3 cluster.
CONCLUSIONI
Gli ospedali che presentano volumi di attività minori non hanno ancora sviluppato completamente i modelli organizzativi per intensità di cura, che risultano invece sufficientemente implementati nei presidi a volumi intermedi e ottimamente strutturati in quelli ad attività maggiore.
Abstract
INTRODUZIONE
I disturbi ipertensivi della gravidanza, tra cui la preeclampsia (PE), sono una delle maggiori cause di morbilità e mortalità materne e perinatali in tutto il mondo. La PE colpisce il 2-8% delle donne in gravidanza e la mancata diagnosi può portare a complicanze severe per madre e feto.
La diagnosi di PE si basa su segni e sintomi aspecifici con conseguente difficile gestione delle donne in gravidanza che accedono al pronto soccorso (PS) per un innalzamento della pressione arteriosa (IPA), quale possibile segno di PE.
Questo studio vuole stimare l’impatto clinico ed economico sul SSN della gestione delle donne in gravidanza che accedono al PS per IPA e valutare il possibile beneficio dell’introduzione di un test diagnostico basato sul dosaggio di marcatori biochimici placentari (PlGF,placental growth factor).
MATERIALI E METODI
La coorte in studio è composta da donne, con gravidanza singola, che durante l’anno 2016 accedevano al PS ostetrico di un ospedale lombardo per IPA dopo la 20a settimana di gestazione. Le donne sono state seguite sino al parto, raccogliendo informazioni cliniche e costi relativi alle prestazioni erogate: successivi accessi in PS, ricoveri ospedalieri e visite ambulatoriali. L’IPA è stato classificato come “significativo” se associato a disfunzione placentare - sviluppo di PE o restrizione della crescita fetale (FGR) e “non significativo” al contrario. La valutazione economica include il costo sanitario diretto. Infine, due clinici hanno valutato i potenziali cambiamenti nella gestione delle pazienti con l’introduzione di un test diagnostico basato su PlGF.
RISULTATI
Nell’anno 2016 sono state arruolate 107 pazienti, di cui il 30% ha mostrato un IPA significativo. Le valutazioni anamnestiche, cliniche e di laboratorio eseguite durante l’accesso in PS non sono in grado di discriminare tra IPA significativo e non.
Complessivamente, il costo totale medio per la gestione clinica di una paziente sino al parto è stato di 2.634 (IC95% 2523-2756) euro. La disponibilità di un test diagnostico basato su PlGF potrebbe evitare il 18% di tutti i ricoveri ospedalieri, il 35% dei ricoveri per IPA, il 43% delle visite ambulatoriali ed il 13% degli accessi in PS, riducendo il costo medio per donna di 401 euro (IC95% 236-574).
CONCLUSIONI
La gestione delle donne in gravidanza con IPA è complessa e può portare a visite e ricoveri non necessari con conseguente elevata spesa economica. L’utilizzo di test diagnostici basati su PlGF, come indicatore obiettivo della disfunzione placentare, può migliorare la pratica clinica e ridurre i costi sanitari.
Abstract
INTRODUZIONE
L’IRCCS Ospedale San Raffaele (OSR), centro di riferimento nel campo clinico, offre 1.295 posti letto con mediamente 45.700 ricoveri/anno. A seguito degli elevati volumi, OSR nel 2003 ha istituito l’Unità Valutazione Appropriatezza (UVA), costituita da personale infermieristico formato, afferente alla Direzione Sanitaria.
In ottemperanza alla normativa sulla pianificazione dell’attività di controllo (DGR 1046/2018) nel rispetto delle regole sulla corretta compilazione della Cartella (DGR 9014/2009, Manuale della Cartella Clinica 2007 e DGR 621/2010) di appropriatezza dei ricoveri (DPCM 12.01.2017 e DGR 8078/2002), e di corretta codifica delle prestazioni (ICD9-CM del 2007 e Linee Guida), l’UVA esegue controlli di congruenza e completezza nella compilazione delle SDO, di completezza della documentazione e valuta l’appropriatezza del percorso clinico, per garantire correttezza informativa e mitigare il rischio di errori nella rendicontazione.
MATERIALI E METODI
Ciascun membro UVA è Referente di un gruppo di unità operative (UO) nelle quali svolge incontri formativi con il Referente Medico per la Qualità Documentale, il Referente Medico DRG ed il personale dedicato all’archiviazione della cartella e svolge attività di supporto ai medici nella corretta compilazione e codifica. I controlli interni gestiti dall’UVA sull’anno in corso includono: autocontrollo con campionamento casuale del 10 % della produzione mensile svolto sulle SDO dai Medici Referenti DRG sull’anno (Report SDO 10%), autocontrollo casuale di qualità documentale del 10 % della produzione mensile sul semestre e controlli mirati mensili di completezza e congruenza (Miratissimo) sull’anno.
RISULTATI
Mediamente, nel 2018, le cartelle sottoposte ai controlli sono state 446/mese (stima 5.352/anno) nel Report SDO, 756/mese (stima 4.536/semestre) nell’autocontrollo qualità documentale e circa 1.564/mese (stima 18.768/anno) nel Miratissimo, suddivise tra 34 tipologie di controlli di congruenza, codici diagnosi V.64*, DRG inappropriati, ricoveri brevi 0-1 giorno, per un totale di circa 28.656 cartelle controllate.
Tra i risultati raggiunti, si annovera l’intensa formazione sul campo dei clinici di circa 30 UO, nonché l’attività sinergica con 7 risorse infermieristiche ed amministrative dislocate nelle UO. Nel 2019 l’UVA ha ricevuto l’accreditamento ECM per due corsi formativi, “Completezza e Qualità Documentale” e “Appropriatezza e congruità delle prestazioni sanitarie”.
CONCLUSIONI
Dall’analisi emerge l’importanza dell’UVA come supporto ai clinici nella codifica e nella formazione continua e nell’attività di controllo interno e in adempimento all’esercizio di controllo di ATS, con possibili ripercussioni nell’assetto organizzativo. Alcune criticità su cui focalizzare l’attenzione, nell’ottica di miglioramento, appaiono la necessità di migliorare il sistema di reportistica rivolto ai clinici, potenziare le risorse disponibili ed incentivare il processo di informatizzazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è assistito ad un ricorso sempre maggiore a modelli di ospedali basati sul Partenariato Pubblico Privato (PPP), in cui la Pubblica Amministrazione tende a concentrare le risorse sui servizi definiti “core”, cioè più strettamente correlati all’assistenza sanitaria, appaltando a ditte esterne i servizi “no core”. Il controllo di tali servizi è fondamentale per la gestione complessiva del Presidio, in quanto determinano, seppur indirettamente, un impatto sull’assistenza. Vista l’estrema attualità dell’argomento abbiamo voluto mettere in atto una survey a livello nazionale che, all’interno di una ricerca più ampia sui nuovi ruoli del medico di Direzione Ospedaliera, ci consentisse di approfondire la tematica della gestione dei servizi esternalizzati.
MATERIALI E METODI
Abbiamo costruito un questionario attraverso l’utilizzo di un form online (jotform) messo a disposizione dalla Società Italiana per la Promozione della salute (SIPS), accessibile da apposito link e diffuso via e-mail ai medici di Direzione Ospedaliera. La diffusione è stata possibile grazie al coinvolgimento di tre importanti società scientifiche: l’Associazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere (ANMDO), la Società Italiana di Igiene (SItI) - Gruppo Italiano di Studio di Igiene Ospedaliera (GISIO) e la Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (SIMPIOS). Il questionario prevede una sezione di approfondimento sulla gestione dei servizi esternalizzati.
RISULTATI
Abbiamo ricevuto un totale di 87 risposte. Sono erogati tramite appalto i servizi di natura logistica (lavanolo, pulizie, ristorazione, rifiuti) e la manutenzione tecnica, mentre sterilizzazione, diagnostica ed erogazione dell’assistenza sono affidati a personale dipendente. Il controllo dei servizi esternalizzati è svolto per la maggior parte dalla DMPO. Le figure deputate al controllo sono figure sanitarie, eccetto per i servizi di manutenzione e logistica dove troviamo personale tecnico-amministrativo. La DMPO interviene soprattutto (89%) nella valutazione della qualità del servizio svolto. La modalità principale di attestazione dei controlli è un’attività programmata a campione su tutte le attività gestite (45%). Gli indicatori più utilizzati per la valorizzazione delle prestazioni erogate sono le prestazioni effettivamente fornite (74%).
CONCLUSIONI
Il crescente ricorso all’esternalizzazione dei servizi pone nuove problematiche sulla gestione di attività fortemente impattanti su sicurezza e controllo del rischio correlato all’assistenza, incluso quello infettivo. Risulta pertanto necessario, da parte delle DMPO, un deciso investimento, culturale e organizzativo, per assicurare un adeguato controllo del rischio e per garantire il rispetto dei determinanti di costo/efficacia alla base delle scelte di PPP.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel territorio di ATS Milano nel 2016 sono stati effettuati 2.099 ricoveri per interventi di chirurgia bariatrica in 20 strutture ospedaliere.
In questo studio sono stati analizzati 887 ricoveri, l’intera produzione del secondo semestre 2016 dei 10 Centri maggiormente rappresentativi.
L’attuale ricerca nasce dalle criticità emerse e dai possibili sviluppi suggeriti in uno studio descrittivo sul 2015 sulle medesime tipologie di ricoveri, includendo nel presente studio ulteriori 2 Strutture del territorio ATS.
Gli obiettivi sono:
effettuare un confronto dell’offerta relativamente a tali tipologie di ricovero e con i risultati della precedente ricerca;
valutare l’aderenza alle indicazioni della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (S.I.C.Ob.);
descrivere le caratteristiche dei pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia dell’obesità.
MATERIALI E METODI
Per la raccolta delle informazioni è stato esaminato il flusso delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) e il contenuto delle cartelle cliniche.
Per ciascun ricovero è stata compilata specifica checklist contenente dati socio-demografici e clinico-anamnestici dei pazienti, informazioni relative ai ricoveri, al tipo di intervento chirurgico e alle indicazioni di follow-up.
RISULTATI
Si è osservato un andamento simile al 2015 per quanto riguarda le caratteristiche dei pazienti come età (42 anni in media), sesso (76% donne) e BMI (medio 43).
La media della degenza è diminuita (da 4,2 a 3,3).
Il 57% dei pazienti che si sottopongono agli interventi è residente in Lombardia. In controtendenza l’ospedale 2 dove si evidenzia un’alta percentuale di pazienti provenienti da altre regioni (78%).
La percentuale di pazienti che presentano almeno una comorbilità correlata all’obesità è del 70%.
I principali interventi chirurgici effettuati sono: Sleeve gastrectomy (70%) in aumento rispetto al 2015 (47%), Bypass gastrico (14%), bendaggio gastrico (10%) in riduzione (21% nel 2015), in linea con le indicazioni S.I.C.Ob. aggiornate nel 2016.
Nel 7% dei casi si segnalano complicanze postoperatorie che non hanno determinato aumenti dei rimborsi o delle giornate di degenza.
Nel 90% circa delle cartelle campionate è presente l’indicazione al follow-up multidisciplinare e/o dietologico nella lettera di dimissione. Ospedale 18 e ospedale 19 (non campionati nello studio precedente) riportano una più alta percentuale di carenza di indicazioni di follow-up all’interno della cartella clinica (rispettivamente del 23% e 20%).
CONCLUSIONI
Dall’analisi dell’offerta di chirurgia dell’obesità sul territorio è possibile affermare che sostanzialmente tali ricoveri soddisfano i requisiti individuati dalla S.I.C.Ob., inoltre sono state superate le criticità dello studio precedente: sono stati infatti raccolti e analizzati dati più precisi e completi.
Abstract
INTRODUZIONE
L’emanazione della Legge Regionale n. 23/2015 ha sancito una profonda trasformazione del Sistema Socio-Sanitario Lombardo spostando in ambito ospedaliero funzioni storicamente erogate sul territorio.
Da questa situazione è nata l’esigenza di conoscere come era declinato il governo del rischio clinico nelle strutture sanitarie del territorio dovendolo gestire in maniera univoca nelle Aziende Sociosanitarie Territoriali Lombarde (ASST).
Il progetto è stato condotto grazie alla collaborazione tra Sham, 3 ASST e la Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Milano.
MATERIALI E METODI
La mappatura del rischio dei servizi interessati dal progetto è stata condotta applicando il metodo Sham. Tale metodologia prevede un’intervista ai professionisti socio-sanitari dei servizi, della durata media di 3 ore.
Lo strumento applicato è una griglia di valutazione (référentiel) costituito da 90 item, strutturato per temi e domini.
Gli item si articolano per i seguenti temi:
gestione del rischio;
gestione dei sinistri;
prevenzione rischi infettivi;
documentazione sanitaria;
prescrizione e somministrazione di farmaci;
coordinazione territorio.
E per i seguenti domini:
buone pratiche medico legali;
gestione del rischio a posteriori;
gestione del rischio a priori;
management;
sicurezza delle procedure;
valutazione;
risorse umane.
Il criterio di valutazione adottato è la scala a intervalli del rischio seguente:
soddisfazione inferiore al 60% degli item struttura a rischio elevato;
soddisfazione compresa tra il 60% e il 75% degli item struttura a rischio medio;
soddisfazione compresa tra il 75% e il 90% degli item struttura a rischio moderato;
soddisfazione superiore al 90% degli item struttura a rischio basso.
RISULTATI
Complessivamente sono state effettuate 30 mappature con 22 tipologie di servizi:
nella ASST 1 sono stati mappati 7 servizi;
nella ASST 2 sono stati mappati 13 servizi;
nella ASST 3 sono stati mappati 10 servizi.
La frequenza percentuale media di soddisfazione degli item riscontrati è pari al 72% definendo i servizi a “rischio medio”.
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei dati si evidenzia che nel Tema della Gestione del Rischio gli item relativi al management, alla formazione e alle metodologie di gestione del rischio sono da implementare ulteriormente sul territorio.
È possibile affermare che questo progetto di studio che, continuerà nei prossimi mesi su nuovi ambiti territoriali e con uno strumento più appropriato al contesto territoriale, ha contribuito ad incrementare la conoscenza delle dinamiche dei Servizi territoriali.
Abstract
INTRODUZIONE
Molti esami e trattamenti largamente diffusi, non supportati da prove di efficacia, non apportano benefici per i pazienti, ma continuano ad essere prescritti ed effettuati per svariati motivi (pressioni sui professionisti; interessi economici; medicina difensiva).
Per ridurre tale spreco di risorse sarebbe necessaria una nuova consapevolezza da parte sia dei medici che dei cittadini.
Slow Medicine ha lanciato in Italia a dicembre 2012 il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”, simile a quello già in atto negli Stati Uniti con il nome di “CHOOSING WISELY” (CW).
Ogni società scientifica che aderisce al progetto individua 5 raccomandazioni su esami diagnostici o trattamenti effettuati molto comunemente ma che non apportano benefici significativi secondo prove scientifiche di efficacia.
Le raccomandazioni delle oltre 45 Società Scientifiche aderenti sono state 220 a marzo 2018 (confluite a maggio 2018 nel Sistema Nazionale delle Linee Guida dell’ISS).
L’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana (ARS), partner di CW in Italia, è inserita in un progetto regionale, che ha tra gli obiettivi la misurazione dell’adesione alle raccomandazioni prodotte e la discussione dei risultati con i dipartimenti inter-aziendali delle AUSL.
MATERIALI E METODI
Per verificare il livello di adesione alle raccomandazioni di CW in Toscana, ARS ha formulato, con l’aiuto di esperti, degli indicatori specifici, poi calcolati con l’utilizzo dei dati dei flussi sanitari correnti regionali. Nella valutazione attuale sono state selezionate le raccomandazioni delle società scientifiche di area medica.
Ogni indicatore è aggregato per zona-distretto e rappresentato su una mappa della Toscana; per ogni indicatore è presente un trend della media regionale degli ultimi 5 anni. Per le raccomandazioni della medicina interna gli indicatori sono aggregati anche per presidio ospedaliero.
RISULTATI
Su 80 raccomandazioni, sono stati calcolati 44 indicatori (non tutti sono monitorabili con i flussi sanitari correnti). I risultati, che saranno presentati in dettaglio, mostrano una notevole variabilità tra le zone-distretto e tra i presidi ospedalieri; il trend della media toscana degli ultimi 5 anni è in genere in miglioramento.
CONCLUSIONI
La presentazione dei dati relativi all’adesione alle raccomandazioni di CW è il primo step nella comunicazione del progetto ai medici. La variabilità tra zone-distretto e tra presidi ospedalieri dimostra come la pratica clinica non è uniformata a livello regionale, prospettando ampie possibilità di intervento. La diffusione delle pratiche da evitare secondo CW è solo un piccolo tassello dell’appropriatezza, che speriamo possa diffondersi il più possibile a livello globale.
Abstract
INTRODUZIONE
Le persone che necessitano di assistenza in RSA presentano con frequenza rilevante condizioni sanitarie di rischio caratterizzate da comorbosità, severità ed instabilità clinica.
Sulla base dei flussi informativi disponibili, si è implementato un sistema per la profilazione del rischio delle unità di offerta (UDO) presenti sul territorio dell’ATS di Pavia, che tenesse in considerazione le condizioni di rischio basali degli utenti. Il ranking di rischio ottenuto, rispetto ad alcuni indicatori prescelti, è stato corretto per diversi confondenti e per le correlazioni fra utenti appartenenti alla stessa struttura, evitando possibili distorsioni dei risultati.
MATERIALI E METODI
Per ottenere un corretto ranking del rischio delle strutture rispetto all’indicatore di esito prescelto, secondo un approccio di risk adjustment che consideri le diverse caratteristiche degli utenti e delle UDO in esame, si è adottato il modello multilevel al fine di considerare la possibile correlazione esistente tra gli utenti appartenenti alla stessa struttura. La scelta delle variabili da inserire nel modello, ha cercato di identificare dei predittori che riuscissero a intercettare lo stato di salute del paziente e nello stesso tempo a standardizzare le condizioni dovute all’età, al sesso o alla durata del ricovero.
RISULTATI
Al fine di valutare l’efficacia delle cure erogate, le RSA presenti sul territorio sono state valutate rispetto a quattro outcomes, proxi della qualità del servizio erogato: presenza di lesioni da decubito, numero di accessi in Pronto Soccorso in periodo di ricovero in RSA, presenza di contenzione e presenza di cadute. I risultati del modello applicato consentono di ottenere sia un ranking di rischio delle strutture al netto dei confondenti precedentemente esposti sia un quadro dei fattori di rischio che maggiormente impattano gli outcomes clinici considerati.
Dal ranking delle RSA, rispetto a ciascuno dei quattro indicatori, si deducono quelle strutture che discostano significativamente dalla media e che quindi, potrebbero essere associate ad una minore qualità di servizio erogato rispetto alle restanti strutture.
CONCLUSIONI
Lo studio è volto a creare un sistema di valutazione delle performance delle strutture sociosanitarie a supporto delle attività di controllo dell’ATS, fornendo un quadro dei fattori di rischio maggiormente associati al fenomeno considerato.
L’approccio metodologico adottato è estendibile anche alla valutazione di altre tipologie di strutture sanitarie e sociosanitarie considerando i confondenti e gli indicatori più idonei all’analisi del fenomeno, disponibili nei debiti informativi.
Abstract
BACKGROUND
le ferite da taglienti rappresentano un pericolo occupazionale rilevante per i lavoratori del settore sanitario in quanto portano all’esposizione a liquidi biologici, con incremento del rischio di infezioni a trasmissione ematica. Al fine di minimizzare questo rischio sono stati sviluppati e introdotti nella pratica clinica routinaria i dispositivi di sicurezza (Needlestick Preventing Devices, NPD). Uno studio annuale, condotto a partire dal 1999 dal Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino nell’ambito del Progetto SIOP (Sorveglianza Incidenti Occupazionali Piemonte), ha valutato il numero di incidenti percutanei negli ospedali del Piemonte, esaminando anche l’impatto dell’introduzione degli NPD sul tasso d’incidenza di infortuni. L’obiettivo di questo studio è quindi quello di valutare l’efficacia degli NPD nella prevenzione degli infortuni da taglienti.
METODI
in 42 ospedali piemontesi partecipanti alla sorveglianza sono stati rilevati, per gli anni 2014-2017, i dati relativi agli infortuni percutanei e al consumo degli aghi e dei taglienti più comunemente usati nei reparti ospedalieri. Dopo aver considerato il trend generale degli eventi percutanei, sono stati calcolati i tassi standardizzati per 100.000 aghi sia per i dispositivi di sicurezza (con NPD) sia per quelli convenzionali. La stessa analisi è stata poi condotta anche considerando i singoli tipi di taglienti: è stato considerato nell’analisi l’effetto confondente degli aghi standard, spesso utilizzati per procedure che non prevedono il contatto con il paziente (e.g. la diluizione di farmaci) e quindi a minor rischio di infezione.
RISULTATI
il confronto tra i tassi di incidenza con gli NPD e con i dispositivi convenzionali ha mostrato un leggero effetto protettivo degli NPD negli anni 2014, 2016 e 2017, con un rapporto tra i tassi di incidenza di 0.78-0.97. Tuttavia, eliminando l’effetto confondente degli aghi standard, dall’analisi è emersa una forte evidenza statistica dell’effetto protettivo degli NPD per tutte le annate (RR = 0.28-0.63). Inoltre, il numero totale di eventi percutanei mostra un trend in diminuzione nel periodo 2014-2017.
CONCLUSIONI
i dispositivi di sicurezza hanno dimostrato di essere significativamente efficaci nel prevenire le ferite da ago o tagliente, e la loro introduzione nella pratica clinica è uno dei fattori che possono contribuire notevolmente alla riduzione degli incidenti percutanei.
Abstract
INTRODUZIONE
Nel 2018 l’Italia ha registrato un numero di casi umani confermati di malattia da West Nile Virus (WNVD) 10,9 volte superiore rispetto all’anno precedente. L’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 “Friuli Occidentale” (AAS5) ha attivato dal 2010 il Piano Nazionale di Sorveglianza Integrata per la WNVD, finalizzato all’identificazione, monitoraggio, controllo e circoscrizione dell’infezione attraverso interventi mirati di disinfestazione. Scopo dello studio è descrivere i risultati del piano di sorveglianza nell’uomo nel periodo Agosto-Ottobre 2018 nell’AAS5.
MATERIALI E METODI
A seguito delle segnalazioni di casi di sospetta infezione da Arbovirus, nel periodo Agosto-Ottobre 2018 sono state condotte specifiche indagini epidemiologiche sulla base delle indicazioni del Piano Nazionale. Per ciascun caso sono stati raccolti dati relativi a sesso, età, residenza, sintomatologia, data di insorgenza, date e luoghi di eventuali viaggi nelle 3 settimane precedenti l’insorgenza dei sintomi. La definizione di caso clinico comprendeva la presenza di febbre o almeno un sintomo neurologico specifico. Sono stati raccolti anche campioni biologici (sangue, urine, liquor) per la conferma di positività (valutazione sierologica e PCR) e, in caso di conferma, sono stati attuati interventi di disinfestazione straordinaria.
RISULTATI
Tra i 312051 residenti nell’AAS5 (49% maschi), nel periodo Agosto-Ottobre 2018 sono stati segnalati 51 casi (0.02%) di sospetta infezione da Arbovirus, contro nessun caso registrato nei 10 anni precedenti, ad eccezione di 2 casi nel 2012. Il 90% dei pazienti era sintomatico ed i sintomi più comuni sono stati: febbre (76%), cefalea (50%), mialgie (46%) e rash cutaneo (33%).
Sono state condotte 51 indagini epidemiologiche e 44 sopralluoghi. I casi confermati sono stati 16 di WNVD (31%; 65% maschi; età media 57.5 anni; range 25-86) con un’incidenza di 50/106 contro 6/106 nel 2012 e picco nel mese di agosto (10 casi), più una infezione da Usutu Virus. I restanti 16 sono risultati casi dubbi e 18 erano non casi. Tra i 16 casi confermati di WNVD (10 su 16 residenti nei Comuni Sud dell’AAS5), di cui 5 in donatori di sangue, 3 erano forme neuroinvasive. A seguito delle 16 positività confermate, sono state effettuate 19 disinfestazioni. A 30 giorni dall’insorgenza dei sintomi, 10/51 pazienti erano guariti, 17/51 migliorati e 3/51 deceduti.
CONCLUSIONI
L’Italia, e il territorio dell’AAS5 in particolare, ha registrato nel 2018 un importante aumento dei casi di WNVD. La sorveglianza e gli approfondimenti delle segnalazioni hanno permesso di identificare le situazioni in cui condurre interventi di disinfestazione straordinaria per controllare il focolaio di malattia e prevenirne la diffusione epidemica.
Abstract
INTRODUZIONE
Nell’inverno 1948-49 in Europa si sviluppò un’epidemia di influenza A che interessò anche l’Italia. Iniziata in Sardegna nei mesi di settembre-ottobre 1948, raggiunse la città di Genova dove si registrò un incremento della mortalità per malattia acuta broncopolmonare nella seconda decade del gennaio 1949.
Nella stessa stagione influenzale, comparì anche il virus B in focolai isolati e in tempi diversi.
I sintomi più comuni presentati dai soggetti affetti furono: febbre, brividi, cefalea, astenia, inappetenza e tracheite; le complicanze a carico delle vie respiratorie furono strettamente correlate ad un aumento della mortalità. L’epidemiologia della malattia e i metodi di profilassi utilizzati furono esaminati in uno studio realizzato dal medico genovese Renato Berio.
MATERIALI E METODI
La profilassi adottata all’epoca per l’influenza si basava su 4 principi fondamentali:
mezzi per interrompere la trasmissione aerea;
mezzi per inibire la fissazione del virus alle cellule dell’ospite;
mezzi per agire sui germi responsabili delle complicanze respiratorie;
vaccinazione antinfluenzale.
A Genova, la profilassi dell’influenza fu attuata in un ufficio con 55 impiegati utilizzando un innovativo preparato chimico del gruppo delle “aldeidi coperte”: la N-N-diossimetilcarbamide.
Tale preparato venne usato come metodo profilattico perché causava variazioni di carica elettrica fra gruppi aminici delle proteine bacillari, gruppi carbossilici ed enzimi microbici, che permettevano all’aldeide di sottrarre gli enzimi ossidanti che intervengono nei processi di riproduzione e sviluppo dei microrganismi.
La profilassi, iniziata dopo l’insorgenza dei sintomi in due soggetti, prevedeva 8 compresse da 0,7 gr /die da sciogliere in bocca, per un periodo di 15 giorni e fu somministrata a tutti gli impiegati. In tale modo si mantenne una concentrazione nella saliva degli impiegati da 1:50 a 1:500 di sostanza attiva.
RISULTATI
La percentuale di ammalati all’inizio dello studio era di 3,63% (2/55), alla fine del periodo di profilassi la morbilità era del 9,09% (5/55). Dopo il periodo di somministrazione non si presentarono altri casi di influenza.
La mortalità percentuale per cause influenzali in quel periodo a Genova coincideva con quella registrata a Roma, intorno al 22%, considerando la natura del virus possiamo assumere che anche la morbiltà coincidesse, ed essendo per Roma riportata una percentuale di morbilità del 25% nel 1948 (300.000 casi su 1.300.000 persone), possiamo considerare molto suggestivo il risultato ottenuto.
CONCLUSIONI
Questo metodo di prevenzione è risultato facilmente applicabile alla collettività, capace di limitare la morbilità per affezioni respiratorie acute, con conseguenze positive per la capacità produttiva della comunità.
Abstract
INTRODUZIONE
Secondo quanto previsto dal Piano nazionale di Controllo della TB, dal Protocollo per la prevenzione e controllo della tubercolosi umana nella Regione Piemonte e dal Piano di Programmazione Locale Aziendale, le attività rivolte alla sorveglianza e controllo della malattia condividono una complessa rete di flussi e scambi di informazioni indispensabili per il comune obiettivo della sorveglianza della TB. La presenza di flussi informativi routinari e specifici per la sorveglianza e per la gestione delle attività di prevenzione e controllo richiede una particolare attenzione alla riservatezza, qualità e tempestività dei flussi informativi tra i numerosi soggetti coinvolti. Nel contesto della gestione della TB (segnalazione del caso, inchiesta epidemiologica, rilevazione e controllo dei contatti, invio al II livello ecc.), è stato elaborato il Progetto di gestione informatizzata degli strumenti di raccolta dati, mirato al contenimento della diffusione della patologia attraverso l’adozione di procedure standardizzate con il fine di individuare le infezioni tubercolari latenti (ITBL) e indirizzarle al trattamento farmacologico di profilassi.
MATERIALI E METODI
A partire da gennaio 2019, secondo quanto previsto da cronoprogramma progettuale, sono state realizzate le seguenti fasi operative:
analisi degli strumenti di raccolta dati (es: diario di inchiesta epidemiologica, scheda controllo contatti, etc.) in uso presso le due sedi di Rivoli e Pinerolo, per il percorso diagnostico dei contatti;
integrazione, standardizzazione e inserimento nel percorso qualità aziendale della modulistica elaborata;
elaborazione e condivisione con il personale, di un database informatizzato unico con la raccolta dati per le principali variabili di interesse;
valutazione del database realizzato, durante un periodo pilota della durata di sei mesi.
RISULTATI
Il Gruppo di Lavoro ha elaborato, anche attraverso una revisione della letteratura e delle evidenze scientifiche, un database informatizzato con le principali variabili di interesse: dati anagrafici, categoria del contatto (stretto, regolare, occasionale), valutazione clinica (PPD, Quantiferon Test, Rx torace) a t0 e dopo 60 giorni. Sono stati inseriti dalle sedi di Rivoli e Pinerolo, a partire dal 1° gennaio 2019, 12 casi indice, con 120 contatti complessivi. Lo strumento permette l’individuazione tempestiva dei nuclei sorvegliati (caso indice e suoi contatti), lo scambio di informazione tra le sedi del Servizio e la possibilità della consultazione in remoto.
CONCLUSIONI
Il Progetto, attraverso il monitoraggio dello strumento aziendale elaborato, sarà valutato per la sua capacità di migliorare il percorso diagnostico-preventivo e la presa in carico del paziente, integrando i flussi informativi all’interno del SISP e con i database regionali (SeREMI).
Abstract
INTRODUZIONE
L’epatite E è una patologia acuta di origine virale; solitamente auto limitante, è raramente in grado di dare origine a malattia cronica. Ogni anno un terzo della popolazione mondiale è esposto al virus e circa 20 milioni di persone contraggono l’infezione da HEV; di queste, più di 3 milioni mostrano sintomi e 600.000 morti possono essere ricondotte ad HEV. In donne che contraggono il virus in gravidanza si possono verificare gravi complicanze e tassi di mortalità più elevati; le infezioni croniche, invece, sono più frequenti nei pazienti immunodepressi. Tra le manifestazioni extra epatiche più rilevanti si registrano casi di sindrome di Guillain-Barrè, mielite acuta trasversa e meningoencefalite acuta. L’HEV è in grado di causare epidemie tramite acqua e contatti interpersonali; nel 2018 sono stati notificati 49 casi di epatite E in Italia, di cui solo 4 in viaggiatori; il 67% dei pazienti erano maschi, la maggior parte con un’età superiore ai 55 anni. Il trend di notifica in costante aumento ha portato l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ad avviare una sorveglianza dedicata all’epatite E, nell’ambito della sorveglianza SEIEVA.
MATERIALI E METODI
L’ISS coordina uno studio pilota in cinque regioni italiane, tra cui il Piemonte, da gennaio a dicembre 2019; in seguito sarà esteso a tutta Italia. I criteri clinici di inclusione sono sintomi generici (quali stanchezza, dolore addominale, nausea) e almeno uno tra febbre, ittero o elevati livelli sierologici delle transaminasi; i criteri di inclusione laboratoristici sono la risposta anticorpale a IgM anti-HEV e/o HEV-RNA positivo. L’ISS raccoglierà e analizzerà i dati per valutare l’andamento, la qualità e la completezza dei casi notificati.
RISULTATI
Durante questo anno, in Piemonte, verrà testata la scheda di raccolta dati, saranno verificati i contatti con gli utilizzatori della piattaforma e promossa l’introduzione della diagnostica sierologica per Epatite E. Le ASL sperimenteranno la scheda epidemiologica e forniranno dati sulla fattibilità e sostenibilità del nuovo protocollo.
CONCLUSIONI
I centri partecipanti riceveranno un’elaborazione dei risultati ottenuti dai dati raccolti; ogni anno saranno rilasciati due bollettini e un report finale. Passato l’anno pilota, la sorveglianza sarà estesa a tutte le regioni italiane.
Abstract
INTRODUZIONE
È necessario che i viaggiatori si informino sui rischi per la loro salute legati alla situazione sanitaria del paese di destinazione e sulle appropriate misure di prevenzione per le malattie infettive. I farmacisti possono svolgere un ruolo chiave nel fornire informazioni sanitarie ai viaggiatori data la loro diffusione sul territorio ed il contatto diretto con la popolazione. Pertanto, l’obiettivo di questo studio è valutare le conoscenze, le attitudini ed i comportamenti dei farmacisti italiani in tema di prevenzione delle malattie infettive nei viaggiatori.
MATERIALI E METODI
Questo studio trasversale è stato eseguito su un campione di farmacisti selezionati casualmente dall’elenco delle farmacie italiane. Le informazioni sono state raccolte attraverso un questionario somministrato tramite intervista telefonica. L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando la regressione logistica multipla.
RISULTATI
I farmacisti intervistati avevano un’età media di 48 anni, il 55.5% era di genere femminile, il 56.4% erano titolari di farmacia e svolgevano la professione in media da 18 anni. L’85% del campione ha dichiarato di aver sentito parlare di prevenzione delle malattie infettive nei viaggiatori ed il 49.5% ritiene che la salute dei viaggiatori sia una competenza dei farmacisti. Oltre la metà degli intervistati (55.8%) è d’accordo che il farmacista possa consigliare adeguatamente il viaggiatore sugli interventi disponibili per la prevenzione ed il trattamento delle malattie presenti nel paese di destinazione e il 69% ritiene importante che il farmacista lo faccia. Il 63.1% consiglia spesso/sempre ai viaggiatori di recarsi in un ambulatorio per viaggiatori internazionali o di consultare il proprio medico curante prima del viaggio. Il modello di regressione logistica multipla ha evidenziato che forniscono questi consigli più frequentemente coloro che ritengono importante che i farmacisti informino i viaggiatori sugli interventi disponibili per la prevenzione delle malattie presenti nel paese di destinazione e coloro che ritengono che il farmacista possa consigliare adeguatamente il viaggiatore. Il 51.3% dei farmacisti utilizza Internet come fonte di informazioni sul tema e solo un quarto di essi (25.4%) acquisisce informazioni dalle riviste scientifiche. Inoltre, l’89.6% ritiene di aver bisogno di ulteriori informazioni in tema di prevenzione delle malattie infettive nei viaggiatori.
CONCLUSIONI
I risultati preliminari dello studio indicano la necessità di programmare interventi di formazione al fine di migliorare le conoscenze dei farmacisti in tema di prevenzione delle malattie infettive nei viaggiatori affinché possano informare in modo appropriato questi soggetti sui rischi per la loro salute presenti nei paesi di destinazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Il controllo del “fenomeno “ legionellosi ha assunto una dimensione importante in ambito sanitario, dove i risvolti medico-legali impongono una maggiore attenzione. Il P.O. Perrino di Brindisi è servito da un’estesa rete di distribuzione di acqua calda sanitaria (ACS) prodotta in modo centralizzato, realizzata alla fine degli anni 90 del secolo passato con tubazioni in ferro, dove si è rilevata una ingente contaminazione da Legionella pneumophila.
MATERIALI E METODI
In data 12 dicembre 2016 si è dato inizio all’impiego sperimentale di Anolyte Neutra come sistema di disinfezione in due fasi: una prima fase di infusione “shock” (con una concentrazione di circa 40 ppm di cloro libero) della durata di 3 giorni, e una seconda fase di infusione in continuo a concentrazioni più basse (concentrazione di cloro libero tra 0,004 e 1,2 ppm). Tra dicembre 2016 e marzo 2019 sono stati effettuati campionamenti di ACS presso 26 punti del P.O. Perrino di Brindisi. I campionamenti sono stati effettuati prima del trattamento, a termine del trattamento “shock” e poi in tempi specifici dopo l’inizio del trattamento in continuo: un mese, due mesi, sei mesi, un anno, due anni.
RISULTATI
I campionamenti effettuati prima del trattamento con Anolyte neutra hanno mostrato una positività per Legionella pneumophila nel 92% (24/26) dei siti analizzati (concentrazione media 34.473 UFC/L, range 99-200.000 UFC/L). Dopo la fase shock i campionamenti hanno mostrato una riduzione statisticamente significativa (p = 0,0041) della carica batterica (concentrazione media 469 UFC/L, range 99-3.900 UFC/L). La presenza di Legionella pneumophila è emersa in 16/26 campioni (61,5%) con una concentrazione < 3.900 UFC/L. Il campionamento effettuato dopo due anni di trattamento in continuo ha interessato 22 punti prelievo. Il 36% (8/22) dei campioni è risultato positivo con una concentrazione media pari a 612 UFC/L (range 99-4.600 UFC/L), riduzione statisticamente significativa (p = 0,0062).
CONCLUSIONI
L’analisi dei dati ha mostrato un abbattimento statisticamente significativo dopo la prima fase di shock con una carica batterica media di 469 UFC/L rispetto alla concentrazione media di 34.473 UFC/L di partenza. Dopo due anni di trattamento in continuo i valori medi di concentrazione batterica (612 UFC/L) sono risultati prossimi a quelli riscontrati post-trattamento “shock”. Inoltre, in quest’ultimo campionamento la percentuale di campioni positivi è passata al 36% rispetto al 92% pre-trattamento e al 69,6% post-trattamento “shock”. Inoltre l’azione di disinfezione con Anolyte neutra si è svolta senza limitare in alcun modo le attività sanitarie all’interno dell’ospedale.
Abstract
INTRODUCTION
Chronic and acute diseases disproportionately affect hard-to-reach populations, such as homelessness, migrants, or gypsies people living in regular or irregular camps. These people often face barriers in accessing health care services. Here is the description of an innovative health center (HC) developed for identifying barriers and facilitating access to healthcare services of hard-to-reach (HTR) people in Rome (Italy).
MATERIAL AND METHODS
The Community of Sant’Egidio together with the UOSD “Migrant Health Unit “of ASL Roma1, since 2016, has established a program aimed to improve health outcomes in HTR urban population
RESULTS
During 2018 the HC reached 804 new patients: 57% were homeless, immigrants, 2% were Italian poor elderly and 41% were gypsies from Bosnia, Serbia, Montenegro, Romania and Bulgaria, living in regular or irregular camps in Rome and province.
The HC is integrated in a bigger community center offering social, legal, hygiene and food assistance, this being the reason for a high number of accesses and for reduced barriers to healthcare. The program takes place two days/a week and includes an innovative figure, the “health facilitator”, from the UOSD, who is helping migrants and vulnerable people in accessing both public and charitable health services.
During 2018, a total of 1,894 interventions were classified as health assistance activities. Most common health requests were generalist clinical visits (n. 989) 52%, and free of charge drug distribution (n. 673) 35,5%. The HC assisted some children and adult TB cases, supporting them for the management and the adherence to the treatment.
Growth control and access to free formula milk was provided for 171 babies, mainly gypsies.
Prescriptions for access to public health facilities especially for diabetic and cardiologic care (n. 86) was 4,5% of the total activities.
A relevant action was performed in October-December in order to prevent influenza pandemic: in agreement with generalist associations, more than 300 HTR people resulted vaccinated in the HC.
CONCLUSIONS
In conclusion the program shows as main strengths:
including the HC in a community center already well known in the City of Rome;
close collaboration with the UOSD “Migrant Health Unit “of ASL Roma1, centered on the figure of “health facilitator”;
free of charge treatment, crucial for adherence in case of chronic diseases (e.g. hypertension, diabetes, epilepsy, hypotiroidism, etc.) as well as for TB case management;
upporting public health services in vaccination campaigns for HTR people.
Abstract
INTRODUZIONE
nell’ultimo decennio si sono affermati importanti trend culturali relativamente al management dei servizi pubblici (new public management con l’introduzione dei concetti di social audit, generazione condivisa di valore con gli stakeholders e empowerment dell’utenza), al sistema qualità (transizione dal sistema ISO al sistema di eccellenza European Fondation for Quality Management EFQM), alla comunicazione valoriale interna/esterna e all’ implementazione di sistemi di gestione lean associati al modello di Servuction di Eglier e Langerad. Di Rilievo inoltre lo shift da sistema autoritario-repressivo a “spinta gentile” secondo la Teoria dei nudge-smart regulation (Thaler premio Nobel 2017).
MATERIALI E METODI
dopo una panoramica sulle nuove dinamiche manageriali viene descritta l’esperienza pilota di una loro implementazione “on the field” nell’USMAF SASN Liguria (Ufficio periferico del Ministero della Salute con competenze di profilassi internazionale e di assistenza sanitaria ai naviganti in uno dei sistemi portuali, quale è quello ligure, tra i più importanti a livello Europeo).
RISULTATI
l’applicazione di tali strumenti è stata sviluppata- perseguendo l’obiettivo di porre in essere un’attività di controllo ufficiale ed una modulazione dei servizi sanitari resi che, nel pieno rispetto delle norme sia nazionali che europee ed OMS, garantisse un’elevata protezione della salute pubblica senza creare ostacoli di mera natura burocratica in settori nevralgici per il sistema paese come come l’import i ed il traffico crocieristico, caratterizzati da un’elevatissima tensione competitiva internazionale. Tra i principali outcomes si registrano: 1) il miglioramento del clima organizzativo interno ed una maggior consapevolezza di ruolo da parte degli operatori; 2) una revisione dei processi in un’ottica lean con una semplificazione e snellimento dei processi; 3) l’implementazione in un’ottica condivisa di importanti progetti quali il preclearing finalizzato allo sdoganamento in mare delle matrici alimentari al fine di rendere più competitivo il sistema portuale italiano continuando al tempo stesso a garantire i controlli ufficiali.
Il progetto di recupero a fini caritatevoli delle eccedenze alimentari del settore crocieristico
CONCLUSIONI
L’avvio di un percorso di new public management unitamente all’implementazione di uno stile direzionale valoriale e di nuovi modelli lean ha reso possibile, anche nel settore della prevenzione, in un’ottica di social audit/empowerment un miglioramento del clima organizzativo interno e lo sviluppo di importanti progettualità. Tale esperienza suggerisce come il management sanitario pubblico non possa prescindere dal prendere in considerazione i nuovi modelli culturali di riferimento a cui allineare comportamenti, modelli organizzativi e procedure operative.
Abstract
INTRODUZIONE
I sintomi comportamentali e psicologici (SCP) rappresentano uno degli aspetti cruciali nella gestione delle persone con demenza e uno dei principali fattori di rischio per la loro istituzionalizzazione. Diverse tipologie di intervento, complesse ed eterogenee fra loro, rivolte ai caregiver delle persone con demenza, hanno dimostrato di ridurre la frequenza o la severità dei SCP. L’obiettivo della revisione sistematica consiste nel valutare l’efficacia di interventi educativi, nei quali sia prevista la presenza di un infermiere, nell’incrementare la competenza dei caregiver nella gestione dei SCP, nel miglioramento degli stessi o nel ridurre l’istituzionalizzazione della persona con demenza.
METODI
Una revisione sistematica della letteratura è stata condotta utilizzando MEDLINE. Sono stati inclusi RCT che, attraverso l’uso di scale validate, misurano l’efficacia di interventi educativi, psicoeducativi o multicomponent, in cui la componente educativa sia preponderante, rivolti ai caregiver o alla diade caregiver-persona con demenza, rispetto a un gruppo controllo non sottoposto a nessun intervento educativo strutturato. La qualità metodologica degli studi è stata valutata utilizzando il Cochrane Risk of Bias Tool per gli RCT.
RISULTATI
Dei 4.652 articoli screenati, 13 hanno soddisfatto i criteri di inclusione e sono stati inseriti nella revisione sistematica. Due studi hanno un basso rischio di bias. 10 studi rivolgono l’intervento solo ai caregiver mentre tre alla diade caregiver-paziente. Gli interventi hanno una durata variabile da una settimana a un anno e includono pazienti con demenza in diverso stadio di avanzamento. Sebbene condividano alcuni punti in comune, come fornire informazioni sulla demenza e nuove strategie di coping, gli interventi sono eterogenei tra loro, includendo in alcuni casi componenti non educative e basandosi su framework teorici differenti. Sei studi misurano un cambiamento nelle competenze del caregiver, mostrando sempre un miglioramento significativo nelle scale utilizzate per valutarle. Fra quelli che misurano outcome sul paziente, tre su cinque mostrano una riduzione significativa dei SCP, mentre due su quattro una riduzione nel numero di istituzionalizzazioni.
CONCLUSIONI
Sebbene ci sia un generale accordo sull’efficacia degli interventi educativi nel migliorare il benessere del caregiver, l’efficacia sui sintomi comportamentali e sull’istituzionalizzazione delle persone con demenza è eterogenea e dipende da alcune caratteristiche specifiche degli studi, quali la durata, la componente educativa e la modalità di erogazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Misurare il livello di health literacy (HL) dei caregiver di anziani con deterioramento cognitivo risulta appropriato per la tutela della salute, la qualità delle cure e dell’assistenza, la qualità della vita degli assistiti.
Obiettivi: valutare il livello di HL in un campione di caregiver informali (familiari o amici che si prendono cura del soggetto) di pazienti anziani con disturbi cognitivi che vivono presso il proprio domicilio.
MATERIALI E METODI
La popolazione in studio è costituita dai caregiver che accompagnano gli assistiti all’ambulatorio dei disturbi cognitivi dell’AOU Careggi. Sono stati inclusi nello studio caregiver che, per almeno mezza giornata alla settimana, si prendono cura di soggetti anziani con diagnosi di demenza non istituzionalizzati. Il livello di HL è stato misurato mediante il Newest Vital Sign (NVS) e lo Short Test of Functional Health Literacy in Adults (S-TOFHLA). Il NVS classifica i soggetti in tre possibili categorie: alta probabilità di HL limitata (score: 0-1), possibilità di HL limitata (score: 2-3) e HL adeguata (score: 4-6). Il S-TOFHLA classifica, invece, l’HL dei caregiver in ‘’inadeguata’’, ‘’marginale’’ ed ‘’adeguata’’ sulla base del punteggio compreso tra 0-16, 17-22 e 23-36 rispettivamente. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico di Area Vasta Centro.
RISULTATI
Per 60 dei 65 caregiver informali reclutati, è stato misurato il livello di HL con entrambi i test. Di questi, 12 sono uomini e 48 donne; 21 hanno un rapporto coniugale e 39 un rapporto filiale con l’assistito. L’età media dei caregiver è di 61,4 ± 11,5 anni con una scolarità media di 12 anni. Secondo il NVS, il 48,3 % dei caregiver presenta HL adeguata. Impiegando il S-TOFHLA, invece, l’HL è stata valutata adeguata per l’83,3% dei soggetti. Dei 50 caregiver classificati con livello più alto di HL al TOHFLA, solo 29 hanno fatto registrare un valore di HL “adeguata” al NVS. Viceversa, tutti i 29 soggetti che hanno presentato HL adeguata al NVS, hanno raggiunto il più alto livello al S-TOHFLA.
CONCLUSIONI
Nella misura del livello di HL dei caregiver, strumenti diversi forniscono risultati alquanto differenti. Nello specifico, il livello di HL misurato con il S-TOHFLA risulta tendenzialmente più elevato rispetto a quello ottenuto con NVS. In conclusione, il NVS risulta maggiormente discriminante nell’individuazione dei caregiver che non possiedono capacità sufficienti per comprendere e applicare informazioni utili ad assistere soggetti in decadimento cognitivo.
Abstract
INTRODUZIONE
Le strategie di gestione dei servizi socio-sanitari territoriali richiedono innovazione dei ruoli e delle competenze. La figura dell’infermiere di comunità integrata con l’intervento sociale costituisce una delle novità più interessanti del panorama assistenziale. Il focus sulla fragilità come strumento di stratificazione del rischio di eventi negativi in soggetti residenti al proprio domicilio fornisce una chiave di intervento dei servizi integrati potenzialmente molto promettente. Il presente lavoro indaga l’impatto di un servizio socio-sanitario integrato sulla stratificazione del rischio di eventi negativi a livello individuale e di popolazione.
MATERIALI E METODI
Il servizio socio-sanitario ha somministrato questionari di valutazione della fragilità (Valutazione Funzionale Geriatrica - VFG), del rischio di caduta (Home Fall Prevention Checklist for Older Adults - HFPC) e dello statonutrizionale (Mini Nutritional Assessment - MNA) ad una coorte di 206 pazienti over 75 (76 M, 130 F).
Inoltre è stato valutato il Body Mass Index (BMI) e le capacità nello svolgimento delle Attività della Vita Quotidiana per ogni individuo. Sono state analizzate le associazioni tra le diverse variabili con analisi univariate e multivariate.
RISULTATI
L’età media dei pazienti è risultata essere 84,23 aa (SD ± 5,4). Oltre l’80% dei pazienti (165) presentava un rischio di caduta in relazione alle capacità funzionali ed alle condizioni dell’ambiente abitativo; tale rischio è associato ad una maggiore fragilità (media del punteggio del VFG 15 vs 45, p < 0,001) ed alla disabilità (percentuale di persone con rischio di caduta pari all’88,8% vs 44,1%; p < 0.001) e al rischio di malnutrizione (percentuale di persone con rischio di caduta pari all’88,5% vs 76,1%; p < 0.042). Essere sovrappeso (BMI > 25) o sottopeso (BMI < 20) non correla con il rischio di caduta in maniera significativa. L’analisi multivariata stratificata per genere ed età mette in evidenza la disabilità quale fattore associato indipendentemente al rischio di cadute.
DISCUSSIONE
L’intervento valutativo del servizio socio-sanitario integrato permette di identificare precocemente i soggetti ad elevato rischio di caduta e i fattori ad esso maggiormente connessi. La stratificazione del rischio rappresenta la base per interventi di prevenzione che riducendo l’incidenza dell’evento caduta possono migliorare la qualità della vita dei soggetti intervistati e presumibilmente riducono l’uso dei servizi di diagnosi e cura. Indagini prospettiche sono necessarie a verificare il realizzarsi di tali benefici a livello individuale, di popolazione e di uso dei servizi.
Abstract
INTRODUZIONE
La legge n. 119 del 2017 ha introdotto in Italia l’obbligo per 10 vaccinazioni. L’adempimento rappresenta un requisito per l’iscrizione alle scuole dell’infanzia e alle scuole primarie, e ha richiesto un importante impegno “in rete” tra gli operatori dell’Azienda Sanitaria Locale e il personale scolastico.
In questo contesto, lo studio si propone di indagare le attitudini e le opinioni in ambito vaccinale degli insegnanti delle scuole di un Distretto Socio Sanitario di Roma.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta attraverso la compilazione di un questionario, già utilizzato in analoghi contesti italiani. Gli insegnanti sono stati invitati a partecipare attraverso e-mail e colloqui con i dirigenti scolastici.
Sono state condotte analisi descrittive e l’associazione tra variabili è stata valutata attraverso il test Chi-quadro.
RISULTATI
A maggio 2019 sono stati raccolti 379 questionari: il campione rappresenta oltre il 30% degli insegnanti del territorio. Si tratta, in maggioranza, di donne (91%) di scuola primaria (43%) pubblica (93%); l’età media è 49 anni.
Il 58% individua come principale fonte informativa sulle vaccinazioni il pediatra (significativamente rappresentato tra coloro che hanno figli) e il medico di famiglia.
La somministrazione di vaccinazioni in formulazione polivalente è reputata sicura dalla maggioranza dei rispondenti (68%).
L’introduzione della nuova normativa sull’obbligo è valutata utile per la salute pubblica dalla maggioranza (88%). Il non riconoscere l’utilità della normativa è significativamente associato (p < 0.05) a un titolo di studio più basso, all’individuare come fonte informativa gli amici, all’insegnare presso scuole dell’infanzia e al dubitare della sicurezza della somministrazione di vaccinazioni in formulazione polivalente.
CONCLUSIONI
Gli insegnanti delle scuole del Distretto mostrano, in generale, una buona opinione circa la pratica vaccinale e un corretto atteggiamento nel riferirsi alle figure sanitarie per ottenere informazioni affidabili. Tale dato potrebbe beneficiare anche del positivo rapporto instaurato nel tempo con gli operatori sanitari del territorio, come mostrato anche dalla buona adesione al questionario proposto.
In un quadro incoraggiante occorre, tuttavia, mantenere alta l’attenzione e proseguire nell’impegno da parte delle Aziende Sanitarie per migliorare la formazione e la fiducia degli insegnanti nei confronti della pratica vaccinale e, in generale, delle iniziative di promozione della salute.
Abstract
INTRODUZIONE
tema centrale nell’ambito della qualità in Sanità, è la customer satisfaction, ossia il gradimento dell’utente. Il servizio di ristorazione rientra nelle prestazioni alberghiere che caratterizzano un Ospedale e la cui efficienza può essere valutata mediante la rilevazione del grado di soddisfazione dell’utenza. Nell’Ospedale S. Paolo (ASL BA) la preparazione e la distribuzione dei pasti è affidata in appalto ad una ditta esterna. Scopo del presente studio è stato quello di misurare il grado di soddisfazione dei pazienti sul vitto ricevuto, al fine di mettere in atto interventi migliorativi del servizio ristorazione.
METODI
al fine di raccogliere le valutazioni espresse sulla qualità percepita, il servizio Dietistico afferente alla Direzione Medica di Presidio ha elaborato un questionario, sulla base di una ricerca bibliografica, con una sezione di compilazione anagrafica ed una riguardante la ristorazione, quest’ultima costituita da domande con risposte multiple a carattere chiuso, con giudizio da “altamente insufficiente” a “ottimo” (0-3 = altamente insufficiente; 4-5 = insufficiente; 6 = sufficiente; 7-8 = buono;9-10 = ottimo) su 15 item elaborati.
Il questionario è stato somministrato nell’anno 2018 ad un campione random di 360 pazienti distribuiti in 8 diversi reparti ospedalieri. I dati sono stati raccolti su un database e analizzati con software statistico.
RISULTATI
Sono emersi giudizi positivi da “sufficiente” a “ottimo” per la qualità della frutta (73,6% degli intervistati), la presentazione del piatto (55,6%), la temperatura del pasto (51,3%), la quantità del pasto (52,7%), la varietà dei menu (51,3%), la corrispondenza della prenotazione (67%), il rispetto della dieta (72,2%), l’orario di distribuzione dei pasti (59,7%), l’aiuto per consumare il pasto (72,2%), la cortesia del personale (73,6%), l’igiene del personale e dei vassoi (68%).
Giudizi “insufficienti-altamente insufficienti” sono stati riscontrati sulla qualità dei primi piatti (60% dei soggetti campionati), secondi piatti (56,9%) e contorni (55,5%).
Il giudizio complessivo sulla ristorazione è risultato positivo per il 57% degli intervistati; di questi il 47% con giudizio “sufficiente”, 32% “buono”e 21%“ottimo”.
CONCLUSIONI
Il questionario è risultato uno strumento utile per conoscere le discordanze tra il servizio erogato e le aspettative dei degenti. Al fine di poter garantire il miglioramento del servizio di ristorazione e della qualità percepita, sono stati individuati ambiti di intervento, con incontri calendarizzati tra coordinatori infermieristici delle Unità Operative, Direzione Medica e Servizio di Ristorazione per riorganizzare e migliorare la definizione dei capitolati di appalto e della qualità del servizio di ristorazione ospedaliera.
Abstract
INTRODUZIONE
L’antibiotico resistenza (ABR) costituisce a livello globale un allarmante problema di sanità pubblica. L’erogazione di antibiotici senza prescrizione, che non è consentita dalla legislazione italiana, costituisce un importante elemento nello sviluppo dell’ABR. Si è ritenuto pertanto interessante indagare le pratiche dei farmacisti territoriali relativamente all’erogazione di antibiotici in assenza di prescrizione medica.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata effettuata attraverso la somministrazione di un questionario online anonimo inviato tramite posta elettronica ad un campione casuale di farmacisti selezionati su tutto il territorio nazionale. Il questionario mirava alla raccolta di: informazioni relative ai dati socio-anagrafici e professionali; conoscenze relative alla prescrizione di farmaci antibiotici e ai fattori predisponenti lo sviluppo di ABR; attitudini sul ruolo del farmacista nel contenimento del fenomeno dell’ABR; comportamenti relativi all’erogazione di antibiotici senza prescrizione. Risultati: Sono stati esaminati 117 questionari, 12 del Centro (10,2%), 42 del Nord (46,1%) e 63 del Sud Italia (53,8%). Il 65% dei farmacisti ha affermato di aver, almeno una volta, erogato antibiotici senza prescrizione. Nonostante questo l’86,3% dei farmacisti è a conoscenza che la somministrazione di antibiotici senza ricetta non è consentita dalla legge. Il 58,9% dei farmacisti ha anche affermato che rifiutare l’erogazione dell’antibiotico spinge il cliente a rivolgersi ad un’altra farmacia. Le condizioni cliniche per le quali più comunemente l’antibiotico viene erogato senza prescrizione includono il mal di denti (77,6%), l’ otalgia (38,1%), le malattie cutanee (34,2%), le patologie gastrointestinali (30,2%), la sindrome influenzale/raffreddore (17,1%). Le motivazioni che maggiormente spingono il farmacista ad erogare un antibiotico in assenza di prescrizione sono: la successiva presentazione della ricetta da parte del cliente (63,1%); la conoscenza personale del cliente (43,4%). L’87,2% dei farmacisti ritiene che la pratica dell’erogazione di antibiotici senza prescrizione contribuisca fortemente allo sviluppo di ABR e l’80% ritiene che tale pratica contribuisca all’utilizzo improprio di antibiotici da parte dei clienti. Infine la quasi totalità dei partecipanti allo studio (96,58%) concorda che i farmacisti dovrebbero avere un ruolo attivo ed effettivo nel contrastare il fenomeno dell’ABR.
CONCLUSIONI
Dai primi risultati emerge che il fenomeno sia ampiamente diffuso e non sempre il farmacista tenta approcci alternativi per evitare l’uso in deroga e disincentivare l’autoprescrizione. Il farmacista, che rappresenta il riferimento professionale del cittadino in caso di malessere, può svolgere un ruolo attivo nel controllo del fenomeno dell’antibiotico-resistenza, atteso che l’impiego scorretto degli antibiotici in assenza di indicazione e di prescrizione medica è il principale driver del fenomeno.
Abstract
INTRODUZIONE
Nell’ambito della promozione alla salute, è importante orientare i servizi sanitari verso lo scambio e la collaborazione con altri settori coinvolti meno direttamente nel perseguire un miglioramento dello stato di salute. In particolare, nella gestione degli screening oncologici, l’intento dell’ASL è incrementare i tassi di copertura e adesione della popolazione target allo screening, facilitando la prossimità e l’accessibilità per la propria utenza e ampliando i punti di offerta per garantire una maggiore disponibilità oraria e capillare sul territorio.” A tal fine è stata stipulata una convenzione tra ASL Roma1 e le farmacie dell’Azienda farmasociosanitaria Capitolina “Farmacap” e una collaborazione con le farmacie del gruppo Federfarma.
MATERIALI E METODI
La collaborazione tra le farmacie del gruppo Farmacap e la “ASL Roma 1”, iniziata a gennaio 2018, è stata implementata a Febbraio 2019 con l’offerta attiva in alcune farmacie di Federfarma. La ASL si impegna a formare il personale delle farmacie circa le modalità operative. È stata effettuata una calendarizzazione delle farmacie Federfarma aderenti all’iniziativa in cui il personale della UOSD Coordinamento Screening assicurava la sua presenza per informare l’utenza circa le modalità di partecipazione ai programmi. Le farmacie del gruppo Farmacap d’altro canto si impegnano a conservare i campioni per lo screening del colon retto, consegnati dai cittadini.
RISULTATI
È stata condotta un’analisi preliminare che ha messo a confronto i risultati ottenuti rispettivamente nei primi trimestri del 2018 e 2019. Per il colon retto la copertura nel primo trimestre del 2018 risultava del 22,2% mentre nel 2019 è stata del 26,7%.
Per lo screening mammografico la copertura è stata del 29,1% nel 2018 e del 40,0% % nel 2019. Per lo screening della cervice uterina era del 34% nel 2018 per arrivare al 54,9% nel 2019.
CONCLUSIONI
Le difficoltà insite in un percorso di screening quali l’eterogeneità delle informazioni fornite agli utenti, la disomogenea accessibilità dei poliambulatori sul territorio che ostacola l’aderenza ai programmi, la difficoltà di informare la popolazione che, pur rientrando nelle fasce target, non si è mai sottoposta a un test di screening, possono essere sicuramente migliorate grazie alla collaborazione con le farmacie. Essendo la copertura un indicatore diretto di efficacia delle azioni di reclutamento dei programmi di screening, la nostra esperienza dimostra che tale collaborazione è vantaggiosa per favorire la copertura ai programmi di screening oncologici con un incremento in 3 mesi anche di 10 punti percentuale rispetto al trimestre precedente. È necessario incrementare ulteriormente questi dati preliminari per ottenere un significativo impatto sulla salute della popolazione.
Abstract
INTRODUZIONE
Il fumo di sigaretta è un’abitudine prevalente in Italia e i fumatori sono il 22,3% della popolazione. La legge 16 gennaio 2003 n. 3 (detta legge Sirchia) è stato il primo di una serie di interventi legislativi volti a ridurre il consumo di sigarette e regolare il comportamento dei fumatori. Uno degli aspetti delle leggi antifumo è il divieto di fumo nei luoghi di lavoro, anche per limitare l’esposizione al fumo di seconda mano. Purtroppo, è dimostrato che il divieto nei luoghi di lavoro non sia osservato: questo studio vuole valutare la percezione dell’osservanza di tale divieto e quali possono essere degli interventi efficaci.
MATERIALI E METODI
Questo studio osservazionale è stato effettuato in collaborazione con le ASL de territorio laziale nel periodo 2010-2014. Utilizzando il software SPSS è stata effettuata un’analisi descrittiva ed analisi uni- e multivariata per valutare la relazione fra percezione del divieto e variabili socio-demografiche e status di fumatore.
RISULTATI
Dei 7200 questionari consegnati, 6.996 sono entrati nell’analisi: il 56,3% dei lavoratori, provenienti da 59 aziende, crede che il divieto non sia rispettato nei luoghi di lavoro. Il 28,8% dei lavoratori è fumatore, 14,9% ex fumatore e il 56,3% non fumatore. II fumatori tendono a percepire il divieto come rispettato, molto di più rispetto agli ex/non fumatori (AOR: 1,420; 95% CI: 1,278-1,576), mentre questo ultimi si sentono maggiormente esposti al fumo passivo (AOR: 0,693; 95% CI: 0,614-0,781). Viene sentita dai non fumatori una mancanza di controllo e di politiche aziendali efficaci e di rispetto. Il 55% dei fumatori, comunque, parteciperebbe a programmi di cessazione del fumo offerti dall’azienda.
CONCLUSIONI
La differente percezione tra fumatori e non è un dato interessante in quanto delinea una opposta visione della realtà tra i due gruppi. Rassicurante è la volontà di molti fumatori di smettere di fumare anche attraverso degli interventi di supporto forniti dai datori di lavoro: molti studi, infatti, sottolineano come un corretto stile di vita possa essere stimolato anche nel luogo di lavoro e con il confronto con i colleghi non fumatori. I risultati di questo studio possono essere usati come punto di partenza per indirizzare interventi per promuovere la cessazione del fumo.
Abstract
INTRODUZIONE
L’Accademia Lombarda di Sanità Pubblica (ALSP), Associazione no-profit fondata nel 2017, ha come obiettivo quello di promuovere il progresso in Sanità Pubblica (SP) attraverso il coinvolgimento di studiosi impegnati a vario titolo nei molteplici ambiti della SP come quello dell’igiene, dell’epidemiologia, della prevenzione, dell’ambiente, della direzione sanitarie, dell’edilizia sanitaria, del management, del diritto e dell’economia sanitaria. A tale scopo l’Accademia ha promosso, all’inizio del 2019, l’iniziativa Academy of Young Leader in Public Health (AYLPH). Si tratta di un percorso didattico-scientifico di un anno rivolto a 10 giovani con background formativo differente, fortemente motivati a sviluppare competenze di leadership in SP e già avviati a carriere professionali e di ricerca.
METODI
Questo percorso formativo per i 10 giovani, selezionati con bando competitivo aperto ai soci, basa il suo metodo didattico-formativo su incontri con riconosciuti leader nazionali e internazionali di SP; visite a istituzioni; collaborazione a progetti di ricerca; training specifico sulla scrittura di lavori scientifici; opportunità di partecipare a convegni nazionali internazionali e a corsi brevi ad hoc.
RISULTATI
A metà programma, le attività condotte sono state: esperienza di team building in località montana; incontro con alcune importanti figure impegnate, a vari livelli, nella sanità pubblica come l’ex Ministro della salute Beatrice Lorenzin, l’Editor-in-chief della rivista European Journal of Public Health Peter Allebeck, il Presidente EUPHA Natasha Azzopardi-Muscat oltre ai past-Presidenti EUPHA Walter Ricciardi e Martin Mc Kee. Ha fatto seguito un corso intensivo sulle revisioni sistematiche che ha visto l’attivazione di 6 gruppi di ricerca coinvolti in altrettanti progetti di revisione sistematica della letteratura. Ulteriori attività sono state: la partecipazione all’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la partecipazione al Deans’ and Directos’ Retreat dell’ASPHER e al Congresso Americano di Sanità Pubblica (APHA). Sono in programma anche un corso di Public speaking, presso l’Università di Pisa ed alcuni incontri ad hoc.
CONCLUSIONI
Nel contesto attuale, in cui la salute delle persone è minata da un senso di sfiducia nei confronti delle Istituzioni, dalla mancata equità nell’accesso alle cure e da stili di vita scorretti, la SP ha necessità di formare nuovi leaders in grado di promuovere valori e guidare al cambiamento individuale, organizzativo e politico. La AYLPH rappresenta un’occasione formativa di alto livello per giovani professionisti interessati a conoscere e attuare strategie di leadership in SP.
Abstract
BACKGROUND
Haed and Neck Cancer (HNC) is the 6th most frequent cancer in men and the 13th in women worldwide. Several factors are known to be associated with an increase of mortality, such as advanced tumour stage, HPV infection, diet, smoking status and alcohol consumption. Growing amount of evidence on other type of cancers suggest higher BMI as being positively associated with survival. Nevertheless little is known about HNC. We aim to investigate relationship between BMI and survival in HNC.
METHODS
A pooled analysis of cohort studies participating to the INHANCE Consortium was conducted. Descriptive analysis has been conducted to describe the population included in the analysis. Survival was considered as overall survival (OS) and disease specific survival (DSS). The impact of BMI on HNC-survival was calculated using the Cox’s proportional hazards model both in the univariate and in multivariate analysis.
RESULTS
A total of 5,835 patients recruited by five study centres met the inclusion criteria: Canada participated with 2161 cases (37%), Brasil with 2,482 (42.5%), United States with 599 (10.3%), Japan with 291 (4,99%) and Argentina with 90 (1.54%). The mean age was 59 years old (SD 11). 81.3% (n = 4673) were men, 60.9% (n = 3260) of patients were diagnosed a tumor in stage I or II. Regarding risk factors, 50.5% (n = 2,648) were overweight (36.6%, n = 1,839) or obese (13.9%,n = 809) with 6.8%(n = 340) being underweight. 75.2% (n = 3,764) were current (48.4%, n = 2,423) or former drinkers (26.8%, n = 1341), and 81.8% (n = 4,685) were current (44.6%, n = 2552) or former (37.2%, n = 2,133) smokers. HPV status was positive in 662 of patients. When considering OS, the Cox-regression analyses showed that normal BMI, overweightness and obesity were associated to an increased OS compared to underweight status, irrespective of the site of tumor (normal: HR 0.61, 95% CI 0.51-0.73; overweight: HR 0.50, 95% CI 0.41-0.60; obese: HR 0.50, 95% CI 0.39-0.62). Also when considering DSS, normal BMI, overweightness and obesity were positively associated to DSS in HNC overall (respectively HR 0.59, 95% CI 0.47-0.73; HR 0.51, 95% CI 0.40-0.65; HR 0.51, 95% CI 0.38-0.68) and in oropharynx localization (respectively HR 0.55, 95% CI 0.36-0.84; HR 0.35, 95% CI 0.21-0.57; HR 0.40, 95% CI 0.22-0.72).
CONCLUSIONS
Our study leads us to conclude that being obese or overweight increases survival probably because being underweight increases the risk of complications in patients who can not feed well (due to dysphagia) with a progressive organic deterioration and already debilitated
Abstract
INTRODUZIONE
Promuovere la standardizzazione e la qualità del percorso diagnostico terapeutico delle donne affette da tumore della mammella migliora gli outcomes, riduce le disuguaglianze e limita l’uso inappropriato di procedure o test, determinando una migliore allocazione delle risorse per il sistema sanitario. Tuttavia, lo sviluppo e la diffusione di linee guida e protocolli condivisi, che guidino i medici nella gestione delle pazienti lungo tutte le fasi del percorso, è insufficiente senza strategie robuste volte a misurarne e a monitorarne l’implementazione nella pratica clinica.
La scopo del lavoro è valutare per il percorso diagnostico terapeutico di una coorte di donne trattate in Umbria per cancro della mammella negli anni 2012-2014 calcolando un set di indicatori di qualità (IQ).
MATERIALI E METODI
Gli IQ sono stati selezionati in base alle linee guida dell’European Society of Breast Cancer Specialists (EUSOMA) e del Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMA).
Il Registro Tumori Umbro di Popolazione ha implementato un cruscotto per il calcolo di 21 indicatori di diagnosi, appropriatezza della chirurgia, trattamento loco-regionale e sistemico, stratificabili per anno, periodo di diagnosi, fasce di età, ospedale di diagnosi/trattamento chirurgico o ASL di residenza.
RISULTATI
L’84,4% delle pazienti trattate in Umbria è stata operata con una diagnosi certa di tumore maligno e il 45,6% ha atteso il trattamento chirurgico o neoadiuvante oltre 6 settimane; meno dell’80% dei referti anatomo-patologici descriveva i principali parametri prognostici predittivi. L’87% delle operate per tumore invasivo ha effettuato un solo intervento per neoplasia primaria e in circa il 13% dei carcinomi in situ è stata eseguita dissezione dei linfonodi ascellari. Il 90,6% delle donne trattate con chirurgia conservativa ha ricevuto radioterapia post-operatoria; in meno del 70% delle pazienti trattate con mastectomia con coinvolgimento dei linfonodi ascellari è stato effettuato un trattamento radiante. Riguardo ai trattamenti sistemici adiuvanti, esclusa la somministrazione dell’ormonoterapia nei pazienti ormonosensibili, tutti gli indicatori presi in esame mostrano valori inferiori allo standard, mentre registriamo dati ampiamente superiori nelle persone di età più giovani (cut-off: 70 anni)
CONCLUSIONI
La “misurazione” di IQ ad alta risoluzione e il confronto benchmarking permettono di valutare la congruità delle attività svolte rispetto alle linee guida. I risultati osservati mostrano una buona appropriatezza dei trattamenti loco-regionali, ma si registrano alcune criticità in merito ai tempi di accesso alla chirurgia e al trattamento sistemico delle pazienti anziane, che si pongono come sfide per il miglioramento della qualità dell’assistenza nell’ambito della Rete Oncologica Regionale.
Abstract
INTRODUZIONE
L’azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento (APSS), attraverso il Dipartimento di Prevenzione e nello specifico il Servizio Promozione ed Educazione alla salute da anni offre alle classi terze delle scuole secondarie di primo grado di tutta la provincia di Trento il progetto “Educazione socio-affettiva e sessuale”. Tale progetto attualmente segue l’indirizzo offerto dal documento guida “Progetto per interventi di educazione socio-affettiva e sessuale per le scuole medie inferiori e superiori” elaborato nel 2005. L’intervento, molto apprezzato dalla scuole trentine ne copre l’86% delle stesse. Per realizzare la progettualità l’APSS annualmente deve reclutare professionisti esterni all’APSS che rappresentano il 90% dei professionisti coinvolti. Nell’autunno del 2018 è stato individuato un gruppo di miglioramento trasversale ed interdisciplinare affinché si impegnasse nella “Riprogettazione dell’intervento di educazione socio affettiva e sessuale nelle scuole”. L’obiettivo assegnato al GdM è di rieditare l’intero progetto alla luce delle più recenti indicazioni, si propone di offrire ai professionisti interni ed esterni all’organizzazione aziendale strumenti e contenuti che garantiscano uniformità e qualità degli interventi.
MATERIALI E METODI
Il GdM è composto dal team del servizio Promozione con due assistenti sanitarie e il responsabile medico, le coordinatrici ostetriche dei consultori familiari presenti sul territorio e uno psicologo della APSS. I lavori hanno avuto avvio a dicembre 2018 e si concluderanno entro agosto 2019.
Il time plane prevede:
condivisione con il GdM obiettivi e metodi;
revisione della letteratura e buone pratiche;
costruzione eventi formativi: coinvolgimento di tutti gli operatori impegnati nel progetto nelle scuole, nella rilettura e rivisitazione del progetto attraverso strumenti partecipativi (focus group, brainstorming);
costruzione degli eventi formativi per i professionisti;
riprogettazione della nuova struttura del progetto socio affettivo sessuale: lavori in sottogruppi;
analisi finale e produzione del lavoro di sintesi.
RISULTATI
Il progetto è in fieri ma i risultati sono già apprezzabili:
impegno progettuale interdisciplinare e intersettoriali con forte coesione e produzione materiale;
tre eventi formativi: sono stati formati nel primo 40, nel secondo 90 e nel terzo 63 operatori esterni ed interni.
CONCLUSIONI
Il GdM si propone di rivedere la progettualità e di rieditarla offrendo al termine del lavoro:
un documento- guida del progetto di educazione socio affettiva nelle scuole a nome del Dipartimento di prevenzione;
un documento integrativo ad uso dei professionisti contenente anche schede per le attività didattiche (supporto con contratto scuola, questionario pre-post, “attivazioni”).
Abstract
INTRODUZIONE
Gli operatori sanitari (OS) rappresentano una delle categorie maggiormente esposte al rischio di contrarre e diffondere infezioni a colleghi e pazienti più frequentemente rispetto alla popolazione generale.
In Italia le coperture vaccinali degli OS non raggiungono l’obiettivo minimo desiderabile per nessuna delle vaccinazioni previste per la categoria professionale.
Scopo principale dello studio è la valutazione dei tassi di copertura vaccinale negli OS in formazione dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro prima e dopo l’attivazione di un ambulatorio vaccinale “on-site”. Ulteriori obiettivi saranno: indagare tra i soggetti che hanno accettato di vaccinarsi, i motivi della mancata vaccinazione prima dell’attivazione dell’ambulatorio “on-site” e, tra i soggetti che rifiutano la vaccinazione, i motivi del rifiuto.
MATERIALI E METODI
Il campione in studio è costituito dagli studenti dei corsi di Laurea di aria sanitaria e delle Scuole di Specializzazione e Dottorati di area medica sottoposti a visita di sorveglianza sanitaria nel periodo dicembre 2018 - dicembre 2019, dopo l’attivazione dell’ambulatorio vaccinale all’interno della struttura sanitaria dove vengono svolte le attività formativa.
Per ciascun soggetto incluso nello studio vengono raccolti i dati socio-anagrafici e clinici mediante revisione della cartella sanitaria, valutata l’eleggibilità alle diverse vaccinazioni mediante revisione della scheda vaccinale in relazione anche ad età e condizioni cliniche e proposte le vaccinazioni per le quali i soggetti risultano eleggibili.
RISULTATI
I risultati preliminari derivano da un campione di 526 OS costituito per il 77% da studenti di Medicina e delle professioni sanitarie, per il 14% da Medici in formazione specialistica e per il 9% da Dottorandi di area sanitaria.
Solo il 5% non era eleggibile per alcun vaccino, il 97% era eleggibile per DTPa, il 34% per MPR e relativamente alla Varicella il 60% aveva contratto l’infezione e tra gli eleggibili il 93% ha accettato di effettuare la vaccinazione. Solo il 5% degli OS non aveva mai effettuato la vaccinazione antiepatite B e il 40% dei vaccinati presentava un titolo non protettivo. Tutti hanno iniziato il ciclo vaccinale o effettuato una dose booster anti-epatite B.
Il tasso di adesione alla vaccinazione è stato circa il 95% e la più frequente motivazione per non aver effettuato precedentemente la vaccinazione sono state le dimenticanze e la mancata proposta.
CONCLUSIONI
Dai primi risultati emerge che la presenza di un ambulatorio vaccinale all’interno della struttura ospedaliera rappresenta uno strumento efficace per facilitare il raggruppamento degli obiettivi di copertura vaccinale previsti per gli operatori sanitari.