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. 2013 Mar 4;18(1):1–12. [Article in Italian] doi: 10.1016/S1283-0771(12)63945-0

Rianimazione e prevenzione delle infezioni nosocomiali

F Philippart a,b,c, A Max a, C Couzigou d, B Misset b,e,
PMCID: PMC7148748

Abstract

I servizi di rianimazione devono organizzare la prevenzione delle infezioni nei loro pazienti in modo minuzioso, in quanto i pazienti sono spesso immunodepressi e subiscono gesti invasivi molteplici, realizzati da personale differente, spesso in situazioni di urgenza e a qualsiasi ora del giorno o della notte. Le principali infezioni che bisogna tentare di prevenire sono le polmoniti batteriche acquisite sotto ventilazione meccanica (PAVM), le infezioni su cateteri intravascolari e le infezioni urinarie su catetere vescicale. L’incidenza di queste infezioni è diminuita nella maggior parte dei servizi che ne effettuano un monitoraggio su base numerica, in particolare nel quadro di programmi di miglioramento della qualità. Le tecniche di prevenzione sono molteplici e devono essere applicate simultaneamente. Esse riguardano delle misure globali, come le modalità di prevenzione della trasmissione crociata (igiene delle mani, in particolare) o di utilizzo degli antibiotici nella prospettiva di ridurre la pressione di selezione di batteri resistenti agli antibiotici, così come delle misure specifiche relative al posizionamento e all’utilizzo di ciascuno dei dispositivi invasivi. Numerose tecniche si sono dimostrate efficaci in studi di buon livello metodologico (igiene delle mani, medicazioni dei cateteri, ecc.) mentre altre sono ancora oggetto di controversie, portando a raccomandazioni nazionali e internazionali regolarmente aggiornate in funzione dei nuovi dati scientifici. Queste misure, implementate in modo ragionato nel quadro di programmi di miglioramento della qualità, consentono di ottenere dei tassi molto bassi per quanto riguarda le infezioni dei cateteri vascolari e dei risultati meno buoni per le PAVM, illustrando la necessità di proseguire la ricerca in questo settore.

Parole chiave: Prevenzione, Infezione, Nosocomiale, Rianimazione, Polmoniti, Ventilazione meccanica, Catetere urinario, Catetere, Qualità

Introduzione

Le infezioni nosocomiali sono un problema di salute pubblica persistente malgrado le numerose misure attuate. La loro importanza in rianimazione, a causa del carattere invasivo delle procedure e della fragilità del terreno dei pazienti ricoverati nelle strutture di terapia intensiva, diminuisce solo lentamente, e questi parametri rendono impossibile una completa assenza di rischio. È opportuno, tuttavia, prevenire quanto più spesso possibile la comparsa di tali infezioni. È, quindi, indispensabile una conoscenza dei fattori e delle situazioni a rischio, così come dei mezzi di prevenzione di questi rischi.

Epidemiologia delle infezioni nosocomiali

Le infezioni acquisite in strutture di cure sono note dal xix secolo, quando i lavori di Oliver Holmes e di Ignaz Semmelweiss avevano permesso di evidenziare la trasmissione della febbre puerperale alle partorienti attraverso le mani sporche dei medici, quando la nozione di agente patogeno era ancora ignota. L’implicazione di queste infezioni e la loro importanza nella gestione dei pazienti è stata sottolineata rapidamente, in particolare in rianimazione [1].

Queste infezioni erano inizialmente considerate delle infezioni contratte da un paziente in uno stabilimento di cure dopo il suo ricovero, i cui sintomi comparivano durante o dopo il suo soggiorno [2]. La definizione sarà secondariamente rivista e precisata, individuando in particolare le infezioni legate alle cure. L’infezione nosocomiale è, per convenzione, un’infezione che compare più di 48 ore dopo il ricovero in ospedale e può essere indipendente o legata direttamente o indirettamente a un intervento di cura [3].

L’incidenza delle infezioni nosocomiali è dell’ordine del 12-14% ed è stabile negli ultimi anni [4]. La densità di incidenza globale è di 13-50 infezioni per 1 000 giorni-pazienti di rianimazione [5]. In rianimazione, si raccomanda di controllare e di studiare i quattro tipi di infezioni nosocomiali più spesso riscontrati, che sono la polmonite nosocomiale, le infezioni urinarie, le infezioni su catetere e le batteriemie [6].

L’incidenza e la gravità potenziale delle PAVM sono tali che «il primo obiettivo dei medici che prendono in carico dei pazienti ventilati dovrebbe essere la prevenzione della comparsa di polmoniti nosocomiali» [7], [8]. Le PAVM costituiscono la prima causa di infezioni nosocomiali nei servizi di rianimazione. Il loro tasso di incidenza è di 15-25 per 1 000 giorni di ventilazione meccanica, e il numero dei pazienti affetti è pari al 15-20% dei pazienti ventilati [9]. Occorre, tuttavia, tenere a mente che il rischio associato alla comparsa di una PAVM varia nel corso del tempo: inizialmente elevata, essa decresce progressivamente fino al 15o giorno, quindi il rischio aumenta nuovamente oltre il 35o giorno [10]. L’incidenza di comparsa di una PAVM nei pazienti di rianimazione ventilati è dell’8-28%, in funzione degli studi e dei criteri fissati per la diagnosi [8], [11], [12]. Infine, il rischio di recidiva di una PAVM nel corso dello stesso ricovero è superiore al 25%.

Le infezioni urinarie rappresentano circa il 23% delle infezioni legate alle cure in rianimazione [13], con un’incidenza del 5-8% [9], [13]. Le batteriurie asintomatiche sono frequenti e possono colpire il 9-12% dei pazienti cateterizzati [14] e la densità di incidenza è dell’ordine di 12 per 1 000 giorni di cateterismo. Il loro tempo di comparsa è variabile, in funzione del terreno e della patologia acuta, ma potrebbe situarsi intorno alla seconda settimana di cateterismo [14]. Le infezioni urinarie sono, d’altra parte, responsabili di più del 15% degli episodi di batteriemie nosocomiali [13].

Al di fuori delle infezioni batteriche, che riguardano Escherichia coli, Enterococcus spp, Pseudomonas aeruginosa e Klebsiella pneumoniae [9], le infezioni urinarie nosocomiali possono anche essere dovute a Candida, in particolare albicans [13]. D’altra parte, se le infezioni da batteri Gram negativi sono quantitativamente più frequenti, le infezioni da stafilococco sono associate a un rischio più elevato di batteriemia [13].

La densità di incidenza delle infezioni di cateteri arteriosi e di cateteri venosi centrali è di 3-13 per 1 000 giorni di cateterismo [9], [15], [16], [17], [18]. Il rischio di insorgenza di un’infezione del catetere venoso centrale è legato alla durata di esposizione al catetere [19] e la mediana di comparsa di questa infezione è dell’ordine di 9 giorni [9]. Le infezioni dei cateteri associate a una batteriemia sono, dal canto loro, 2-8 per 1 000 giorni-catetere [19], [20] e le infezioni senza disseminazione ematogena rappresentano 1,5-3 per 1 000 giorni di cateterismo [19].

La colonizzazione del catetere è più elevata, di 10-15 per 1 000 giorni di cateterismo, e può colpire il 35% dei cateteri [18]. In uno studio prospettico recente sui cateteri di dialisi, la densità di incidenza della colonizzazione arrivava a 40-50 per 1 000 giorni di cateterismo e le infezioni su catetere erano dell’ordine di 2 per 1 000 giorni di cateterismo [21]. Valori più bassi sono riscontrati in un altro studio francese, in pazienti di rianimazione che hanno allo stesso tempo un catetere di dialisi e un catetere venoso centrale [22].

I cateteri arteriosi polmonari pongono gli stessi problemi di infezione degli altri cateteri venosi. L’incidenza della loro colonizzazione è del 5-14% dei cateteri, in funzione del tempo di mantenimento in sede, e le batteriemie il cui punto di partenza sembra essere il catetere sono dell’ordine dell’1%.

Il conteggio delle batteriemie ha un significato più complesso, poiché queste possono essere secondarie a un focolaio infettivo localizzato o alla colonizzazione di un catetere oppure possono essere considerate «primitive». Se il tasso di incidenza delle batteriemie «legate al ricovero» è dell’ordine di 4 per 1 000 giorni di soggiorno in rianimazione, quello delle batteriemie associate ai cateteri è dell’ordine di 1 per 1 000 giorni di cateterismo [4].

Morbilità e mortalità associate alle infezioni nosocomiali in rianimazione

La morbilità delle PAVM è elevata [11], ma le loro conseguenze sulla sopravvivenza dei pazienti sono ancora discusse. La mortalità grezza di questi pazienti varia tra un quarto e più di tre quarti dei pazienti [11], [23]; essa è due o tre volte più importante che nel gruppo dei pazienti che non hanno sviluppato PAVM durante il loro soggiorno [11]. La mortalità attribuibile alle PAVM è molto più difficile da evidenziare a causa della gravità di questi pazienti [23]. Tuttavia, la PAVM è riconosciuta come fattore prognostico infausto nei pazienti di rianimazione [24].

Le batteriurie che insorgono nei pazienti cateterizzati, così come le batteriemie su catetere vascolare, sono associate a un aumento della durata del ricovero [25] o, anche, della durata di ventilazione meccanica. L’infezione urinaria nosocomiale è associata anche a un aumento del rischio di mortalità [9], il più delle volte secondario a una batteriemia che complica l’infezione delle vie urinarie [26]. L’entità di questo aumento della mortalità è, tuttavia, sempre controversa [27].

Le batteriemie primitive e quelle che complicano le infezioni del catetere sono associate anche a un aumento della gravità e della mortalità dei pazienti [28], [29]. Occorre, tuttavia, notare che l’aggiustamento sui parametri di intensità nei giorni successivi al ricovero porta a una scomparsa del legame tra l’aumento della mortalità e la batteriemia su catetere [29]. Più recentemente, una metanalisi incentrata sulle batteriemie su catetere ha riscontrato un aumento significativo della mortalità ospedaliera (odds ratio: 1,96 [1,25-3,09]) e la mortalità attribuibile all’episodio infettivo variava dal 4% al 25% in funzione degli studi [25].

Infine, queste infezioni nosocomiali, in particolare nelle loro forme più gravi, sono associate a un notevole aumento della spesa, allo stesso tempo in termini finanziari e in termini di carico di lavoro per i curanti [12], [30].

Fattori coinvolti nella comparsa delle infezioni nosocomiali in rianimazione

Terreno

Il terreno svolge un ruolo centrale nel rischio di infezione nosocomiale. L’età del paziente, in particolare oltre i 60 anni, il sesso maschile e la presenza di una comorbilità sono associati a un aumento del rischio di infezioni respiratorie o di infezione su catetere [16].

Nel contesto chirurgico, la nozione di tabagismo, la durata della ventilazione meccanica, la gravità dello stato del paziente, valutata con il punteggio acute physiology and chronic health evaluation-II (APACHE-II), l’albuminemia, la durata del ricovero che precede l’intervento, la durata dell’intervento e la regione interessata (torace o parte superiore dell’addome) sono dei fattori che favoriscono la comparsa della PAVM [11]. La chirurgia in sé è un fattore indipendente di infezione in rianimazione [31], in particolare di infezioni respiratorie basse [11]. Tra gli interventi chirurgici, la neurochirurgia e la chirurgia toracica sembrano essere i fattori più strettamente associati [5], [32]. Anche la patologia acuta sembra svolgere un ruolo nel rischio di insorgenza di un’infezione del catetere. Così, la presenza di un trauma, di uno shock cardiogeno o di un distress respiratorio potrebbe aumentare il rischio di insorgenza di una batteriemia su catetere [33].

La persistenza di un’iperglicemia, in particolare nel quadro di un diabete, è associata a un aumento del rischio di infezione nosocomiale, ma anche di evoluzione infausta nei pazienti politraumatizzati [34]. Il controllo della glicemia è, viceversa, associato a una riduzione delle infezioni batteriemiche così come della mortalità, almeno in alcuni pazienti chirurgici.

Alterazione dello stato nutrizionale e immunitario [35]: la denutrizione è associata a un aumento del rischio di insorgenza di un’infezione nosocomiale [5]. Viceversa, anche gli apporti nutrizionali non fisiologici sono associati al rischio di insorgenza di un’infezione nosocomiale.

Il ruolo dell’alterazione dello stato immunitario è meno chiaro nella misura in cui la risposta iniziale è associata a un’alterazione della produzione di citokine proinfiammatorie al momento di un’ulteriore stimolazione dei monociti circolanti [35] e a un’alterazione dell’espressione di human leucocyte antigen-DR (HLA-DR) del complesso maggiore di istocompatibilità-II (CMH-II), in quanto questi due fenomeni sono correlati a un’evoluzione infausta dell’infezione [36]. Si osservano anche un’alterazione della risposta dei neutrofili e un aumento importante dell’apoptosi linfocitaria [37]. Questi elementi tendono a sottolineare l’importanza della modificazione della risposta infiammatoria nella comparsa delle infezioni nosocomiali [32], [38], ma è opportuno tenere a mente la persistenza delle capacità di fagocitosi e di clearance batterica dei monociti/macrofagi nel corso delle infezioni [39], così come il beneficio potenziale di un’esposizione precedente a delle strutture batteriche come il lipopolisaccaride della parete esterna dei batteri Gram negativi nella battericidia.

Fattori legati all’ospedalizzazione

La nutrizione enterale è associata a un aumento della colonizzazione gastrica [40] e questa porta secondariamente a un aumento della colonizzazione tracheale [32], ovvero delle PAVM. La nutrizione parenterale favorisce le infezioni fungine e batteriche, in particolare per aumento del rischio di contaminazione endoluminale del catetere [41].

La durata di un cateterismo venoso centrale è, in sé, un fattore di rischio di colonizzazione e di infezione batterica [5] e, indipendentemente dalla nutrizione parenterale, è un fattore di rischio di infezione da Candida [42].

L’importanza della terapia antibiotica è più discussa nella misura in cui essa è tipicamente associata a un rischio aumentato di insorgenza di infezione nosocomiale e, in particolare, di PAVM [11], mentre gli articoli più recenti tendono a sottolineare il carattere protettivo di questo fattore, tanto nel quadro di una profilassi della patologia infettiva nosocomiale [11], [43] che nel quadro del trattamento di un processo infettivo [43].

Viceversa, la durata della terapia antibiotica è associata al rischio di comparsa di un’infezione successiva con degli agenti patogeni con sensibilità agli antibiotici diminuita [11].

Il mancato rispetto delle misure di igiene è un elemento importante nella persistenza del rischio infettivo in rianimazione, tanto a causa del rischio di infezione del paziente che, soprattutto, a causa del rischio di trasmissione di agenti patogeni con sensibilità agli antibiotici diminuita [44]. Una recente revisione della letteratura mostra che la compliance alle raccomandazioni concernenti l’igiene delle mani è del 30-40% in rianimazione, ancora più bassa prima di un gesto terapeutico che dopo questo e più spesso omessa dai medici che dal personale di assistenza [45]. Un carico di lavoro elevato è associato a una più scarsa applicazione dell’igiene delle mani [45]. L’adesione all’igiene è più importante quando le precauzioni di «contatto» sono state decise per un dato paziente [46]. L’utilizzo dei guanti non sembra modificare l’applicazione di queste regole [46], tanto più che le mani possono essere contaminate nel corso della rimozione dei guanti [30].

Oltre alla trasmissione interumana diretta, esiste anche una trasmissione per mezzo di strutture inerti [30], [44]. Così, in uno studio della trasmissione degli enterococchi resistenti alla vancomicina (ERV), lo stato di portatore del batterio per un paziente nei 15 giorni precedenti o la positività di un prelievo nella camera sono dei fattori indipendenti di rischio di contaminazione [47].

Altri fattori, organizzativi, svolgono un ruolo nella comparsa di un’infezione nosocomiale. Fra questi fattori, il carico di lavoro dei sanitari, illustrato dal rapporto del numero di pazienti per infermiere nei 2-4 giorni che precedono l’infezione nosocomiale, svolge un ruolo fondamentale, in particolare per le PAVM tardive [48]. Analogamente, l’aumento del numero di pazienti trattati dall’infermiere è associato a un aumento significativo dell’incidenza delle infezioni su catetere [41]. La disponibilità degli infermieri misurata per il numero di ore per paziente per un infermiere è associata a una riduzione del rischio di insorgenza di un’infezione su catetere e di PAVM, così come a una riduzione della mortalità [49]. L’aumento del carico di lavoro è associato al rischio di trasmissione di batteri con sensibilità diminuita (stafilococco aureo resistente alla meticillina [MRSA] ed ERV) e a un aumento del rischio di infezione da MRSA e della durata del ricovero [50].

Fattori ambientali

L’acqua del servizio di ospedalizzazione è chiamata in causa da un certo numero di lavori. La contaminazione dell’acqua e dei rubinetti delle stanze da P. aeruginosa non è rara [51], ma il suo coinvolgimento nella contaminazione dei pazienti è discusso, poiché il significato della contaminazione dei rubinetti non è sempre chiaro [51]. Mentre l’importanza quantitativa della trasmissione di P. aeruginosa dall’acqua della camera o dell’unità è, a volte, controversa [52], la sua esistenza sembra, viceversa, acquisita e deve, quindi, essere prevenuta. Altri agenti quali Legionella pneumophila possono essere responsabili di un’infezione dei pazienti a partire da una colonizzazione delle canalizzazioni.

L’aria del servizio può svolgere un ruolo nella colonizzazione del paziente. Questa nozione è ben conosciuta dagli ematologi, per i quali Aspergillus è un patogeno la cui estrema gravità ha portato a provvedimenti drastici di prevenzione. Aspergillus è responsabile anche di infezioni nei pazienti di rianimazione [53]. Al di fuori di Aspergillus, anche altri agenti patogeni possono essere responsabili di una trasmissione interumana nei servizi di rianimazione, come i micobatteri o, ancora, i virus respiratori (Influenza, Coronavirus).

Caso particolare delle infezioni nosocomiali da germi con sensibilità diminuita agli antibiotici

Fra questi batteri, si riscontrano prima di tutto il MRSA, gli enterobatteri produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (BLSE) o gli ERV. La densità di incidenza varia in funzione dei luoghi e dei periodi. La colonizzazione da MRSA sembra variare dal 5% al 20% in funzione degli studi [30], quella da enterobatteri produttori di BLSE (E-BLSE) è del 3,9% per E. coli e del 14,3% per Klebsiella e la presenza di P. aeruginosa resistente ai carbapenemi è del 22,5% [54]. L’incidenza dell’acquisizione di un MRSA in rianimazione varia dal 2% al 12% nel corso del tempo [30]. In uno studio americano su sei unità di rianimazione, la densità di incidenza di acquisizione del MRSA è di 6 per 1 000 giornate di ospedalizzazione, e l’acquisizione dell’ERV è dello stesso ordine di grandezza [55]. La colonizzazione contemporanea da MRSA ed ERV negli Stati Uniti non è rara [50]. L’implicazione di questi agenti patogeni con sensibilità diminuita nelle infezioni propriamente dette varia dal 2% (E-BLSE) al 10% (MRSA) [31]. Il rapporto tra lo stato di portatore asintomatico e l’implicazione in un’infezione è dell’ordine di 10/1 per l’ERV [30].

Tra i fattori che favoriscono la colonizzazione, si ritrovano l’origine ospedaliera del paziente, la durata del ricovero, il nuovo ricovero in rianimazione, il terreno del paziente, la presenza di una lesione cutanea o mucosa, la presenza di un catetere urinario, la necessità di una ventilazione meccanica o di una depurazione extrarenale e, più generalmente, la gravità del paziente e la necessità di utilizzare un dispositivo invasivo per la rianimazione o, ancora, l’utilizzo di antibiotici, allo stesso tempo in quantità e in durata [5], [30], [47], [56]. La presenza precedente di un paziente contaminato nella stessa stanza potrebbe svolgere un ruolo per MRSA ed EVR [47]. La pressione di colonizzazione è fondamentale anche nel rischio di trasmissione di un agente patogeno con sensibilità diminuita agli antibiotici nel corso del tempo [30] e il personale sanitario svolge un ruolo importante nella vettorizzazione di questi agenti [30].

L’assenza di individuazione sistematica degli agenti con sensibilità diminuita [30] potrebbe costituire un fattore di rischio supplementare, per l’assenza di misure specifiche necessarie per la prevenzione della trasmissione.

Situazioni particolari

Polmoniti acquisite sotto ventilazione meccanica (PAVM)

Le infezioni della sfera otorinolaringoiatrica (ORL) e, particolarmente, le sinusiti sono associate a un aumento del rischio di insorgenza di un’infezione respiratoria bassa [57]. La colonizzazione ORL da parte della flora gastrica è nota da tempo, così come il suo coinvolgimento nella comparsa di infezioni respiratorie basse [58].

La profilassi dell’ulcera da stress è un fattore indipendente di comparsa di PAVM [11], [32]. Oltre alla profilassi dell’acidità gastrica, anche l’utilizzo di una sonda gastrica e, perfino, di una nutrizione enterale è stato incriminato nella comparsa delle PAVM [11].

Nello stesso ordine di idee, anche l’inclinazione del paziente e, in particolare, il mantenimento del livello dell’incrocio orofaringeo e delle vie aeree a livello della cavità gastrica favorirebbero le PAVM [32]. Se la colonizzazione gastrica e l’inalazione sono chiaramente coinvolte nella comparsa di una PAVM, la posizione del paziente non sembra, tuttavia, svolgere un ruolo fondamentale [59].

La colonizzazione tracheale è secondaria alla presenza di agenti microbici al di sopra del palloncino della sonda di intubazione. Questa colonizzazione proviene dalla flora ORL da una parte e dalla flora gastrica dall’altra [60]. La cinetica di colonizzazione di questi diversi ambienti può variare in funzione dei pazienti [60], ma il passaggio dei batteri dall’uno all’altro sembra poco discutibile [60].

La stasi al di sopra del palloncino della sonda di intubazione così come la necessità di reintubazione sono anch’esse associate al rischio di insorgenza di una PAVM [32], [61].

I trasporti all’esterno della rianimazione favoriscono la comparsa di una PAVM [61].

Infezioni urinarie

I fattori associati al rischio di insorgenza di una colonizzazione urinaria sono prima di tutto il terreno (età, diabete, denutrizione, insufficienza renale, in particolare con una creatinina sierica superiore a 177 μmol/l, gravità della patologia sottostante), il sesso femminile, la durata del ricovero e del cateterismo urinario, la gravità del paziente e la nozione di una terapia antibiotica precedente recente [13]. Anche il posizionamento della sacca di raccolta al di sopra del livello vescicale o il cateterismo realizzato al di fuori del blocco operatorio svolgono un ruolo notevole [13], [62]. Infine, la realizzazione di gesti invasivi sulle vie urinarie è, ovviamente, un fattore favorente.

D’altra parte, i fattori associati al rischio di insorgenza di una candiduria sono la durata prolungata di un catetere urinario, il sesso femminile, il diabete, l’utilizzo di antibiotici o, ancora, la nozione di una chirurgia precedente [13].

Infezioni su cateteri vascolari

Il sito di introduzione del catetere sembra svolgere un ruolo importante, con le posizioni giugulare e femorale associate a un aumento del rischio di colonizzazione e di infezione del catetere venoso centrale [33]. Delle osservazioni simili sono state fatte con i cateteri arteriosi, in cui la posizione femorale è più propizia alle complicanze infettive rispetto alla posizione radiale [33].

Anche la sostituzione del catetere su guida potrebbe favorire la comparsa di una batteriemia, il cui punto di partenza sarebbe il catetere [19].

La durata di esposizione al catetere è allo stesso tempo un fattore di rischio di insorgenza di un’infezione [9], [19] e della sua evoluzione infausta [9]. Mentre il rischio di infezione su catetere venoso è lineare in funzione del tempo, il rischio quotidiano di infezione del catetere arterioso aumenta in funzione del tempo [33]. La presenza di una terapia antibiotica sistemica al momento del posizionamento del catetere venoso centrale potrebbe, invece, essere un fattore protettivo rispetto al rischio di colonizzazione e di infezione.

Mezzi di prevenzione delle infezioni nosocomiali

Circa un terzo delle infezioni acquisite in rianimazione potrebbe essere evitato applicando i mezzi di prevenzione la cui efficacia è dimostrata [3]. Gli altri due terzi non sono (attualmente) evitabili, principalmente perché queste infezioni sono dovute all’alterazione delle difese immunitarie dei pazienti o alle modificazioni della loro flora microbica.

Mezzi generali

Le cure quotidiane possono favorire la comparsa di un’infezione nosocomiale o per un’azione diretta che favorisce l’infezione (alterazione delle barriere meccaniche, della flora o della risposta immunologica fisiologica) o favorendo l’acquisizione di un agente microbico potenzialmente patogeno in questo contesto. Se la prevenzione dell’intervento terapeutico è difficile, a causa anche della sua necessità, quella della trasmissione crociata è molto spesso possibile.

Screening degli agenti patogeni con sensibilità diminuita agli antibiotici

Il primo dei provvedimenti che permettono di evitare la disseminazione di agenti patogeni potenzialmente pericolosi a causa della loro virulenza (Clostridium difficile) o del loro profilo di resistenza (MRSA, E-BLSE) consiste nell’individuare questi agenti al momento dell’ingresso del paziente (importazione) e durante il ricovero, per determinare la selezione di questi microrganismi o la loro eventuale trasmissione nel corso del ricovero [30]. Queste misure di screening permetterebbero di prevenire la trasmissione a un altro paziente [63] nonché di adattare una terapia antibiotica probabilista al momento di episodi infettivi nosocomiali nei pazienti portatori di questi batteri.

Misure barriera

La prevenzione della trasmissione degli agenti con sensibilità diminuita passa, prima di tutto, attraverso misure barriera che sono l’isolamento del paziente e l’uso di indumenti protettivi, di guanti o, anche, di maschere da parte dei curanti [26], [63]. L’utilizzo dei guanti è responsabile di una riduzione del rischio di contaminazione del personale sanitario da ERV [5]. L’insieme degli studi recenti conferma il beneficio dell’associazione delle misure barriera nella prevenzione della trasmissione del MRSA e dell’ERV [5].

Raggruppamento (cohorting)

Anche il raggruppamento di pazienti colonizzati da questi agenti, in cui l’equipe curante responsabile è dedicata a questo gruppo di pazienti (cohorting), permette di limitare la trasmissione. Questo metodo ha dimostrato la sua efficacia nelle epidemie da ERV.

Decontaminazione dei pazienti

La decontaminazione specifica dei pazienti portatori di agenti patogeni con sensibilità diminuita agli antibiotici è stata molto ampiamente studiata nei servizi di rianimazione, o mediante l’utilizzo di topici o con terapia antibiotica digestiva «locoregionale», eventualmente associata a una terapia antibiotica sistemica.

La decontaminazione digestiva selettiva (DDS) è utilizzata in alcuni servizi di rianimazione. Gli antibiotici più utilizzati nella decontaminazione digestiva sono la mupirocina, la polimixina, la colistina, la neomicina, la tobramicina, la netilmicina, la gentamicina e/o la vancomicina, generalmente associate a un antifungino, abitualmente l’amfotericina B, ma, talvolta, anche alla nistatina [64], [65], [66]. Un antibiotico sistemico è, a volte, aggiunto alla terapia locoregionale, il più delle volte una cefalosporina di terza generazione, il ceftriaxone [66] oppure il cefotaxime [64], [65]. L’utilizzo di una decontaminazione digestiva selettiva (locoregionale e, a volte, sistemica) ha permesso di evidenziare una certa efficacia nell’eradicazione dell’ERV [67] o del MRSA [68].

La decontaminazione digestiva selettiva e l’utilizzo di antisettici cutanei come la clorexidina al 2% sono associati a una riduzione dello stato di portatore dell’ERV o del MRSA [68], nei pazienti colonizzati; i benefici collaterali sono una riduzione della colonizzazione delle mani dei curanti così come una riduzione del rischio di contaminazione dell’ambiente [69]. L’utilizzo di clorexidina al 2% è associato anche a una riduzione dell’incidenza delle batteriemie, in particolare primitive. La somministrazione di mupirocina locale a livello nasale aumenta la probabilità di decontaminazione del MRSA. Il fallimento della decontaminazione è riferito a una resistenza dello Staphylococcus aureus alla mupirocina (68), a un numero elevato di siti colonizzati (superiore o uguale a due siti) e alla nozione di un trattamento recente con fluorochinolonici [70].

In uno studio prospettico multicentrico, in cross-over, che interessa 13 unità di rianimazione, la realizzazione di una decolonizzazione digestiva associata a un trattamento sistemico di 4 giorni con ceftriaxone era responsabile di una riduzione della mortalità al 28o giorno e del rischio di batteriemia e/o di candidemia [64]. La riduzione della mortalità associata alla somministrazione di una decontaminazione orale e sistemica è oggettivata anche nella metanalisi del Cochrane database realizzata da Liberati et al. [65], nonché in altre più antiche [66]. Al contrario, non è riscontrato alcun beneficio in termini di mortalità globale in caso di utilizzo di una decolonizzazione loco-regionale da sola [65], [66]. Analogamente, il beneficio in materia di rischio di batteriemia è riscontrato solo in caso di associazione di una terapia antibiotica parenterale [66].

Malgrado questi risultati, la DDS resta assai poco utilizzata in pratica, in gran parte a causa del rischio di selezionare delle agenti patogeni resistenti agli antibiotici, a livello della flora digestiva e respiratoria [64]. Lo stesso vale per l’utilizzo di antibiotici per via topica, anche se non è stata evidenziata alcuna diminuzione di sensibilità alla vancomicina per S. aureus o per gli enterococchi [70]. La DDS potrebbe anche associarsi a un aumento del rischio di infezione in seguito al ricovero in terapia intensiva [64]. Queste nozioni restano, tuttavia, incerte, poiché il profilo di resistenza dei batteri nei pazienti trattati negli studi recenti non sembra alterato [64], [65].

Infine, i benefici e gli effetti collaterali dello screening sistematico del MRSA o della decontaminazione dei soggetti portatori sono attualmente in corso di studio in un vasto studio multicentrico che coinvolge 46 ospedali [71].

È stata studiata anche la decontaminazione della sfera ORL. In questo modello, la vancomicina in applicazione locale, faringea, è aggiunta al trattamento abituale dei pazienti, che comprende una decontaminazione digestiva selettiva (che include l’utilizzo di un antibiotico sistemico). La somministrazione di vancomicina in questo lavoro è associata a una riduzione della colonizzazione, del rischio di infezioni respiratorie basse da MRSA nei pazienti portatori e a una riduzione del rischio di trasmissione del MRSA [70]. L’applicazione locale di clorexidina permetterebbe anche una riduzione della colonizzazione orofaringea e del numero di episodi infettivi [72]. L’utilizzo di una cura dentaria specifica, in associazione alla decontaminazione della cavità orale, non sembra, invece, portare alcun beneficio rispetto alla sola disinfezione con clorexidina [73].

Probiotici

Al di fuori della DDS, l’utilizzo di probiotici (agenti microbiologici di origine umana persistenti nel bolo alimentare distale e in grado di fornire un beneficio all’ospite) o di simbiotici che hanno l’effetto di modificare la flora digestiva è stato studiato con successi variabili. Una metanalisi indica una riduzione dell’incidenza delle PAVM [74], riduzione che non era osservata in studi con popolazioni più modeste [75]. Questo studio mostra una riduzione dell’incidenza e della densità di incidenza delle batteriemie nosocomiali legate ai cateteri, così come un aumento della sopravvivenza dei pazienti [75]. È anche evidenziata una riduzione della colonizzazione orofaringea gastrica o bronchiale da P. aeruginosa e della durata del ricovero in rianimazione [74]. La durata della ventilazione meccanica non sembra, invece, influenzata dal beneficio ottenuto in termini di infezioni respiratorie basse e la mortalità è simile nei due gruppi [74].

Prevenzione della contaminazione dei sanitari

La prevenzione della trasmissione crociata passa attraverso l’associazione delle misure volte a isolare i serbatoi e, nello stesso tempo, a prevenire la trasmissione di agenti che sarebbero stati acquisiti dal sanitario. Due tipi di misure permettono di ridurre il rischio in questo contesto: un fattore individuale (il lavaggio delle mani) e un fattore organizzativo (il mantenimento di un personale sufficiente).

La disinfezione delle mani è un elemento chiave della prevenzione della trasmissione di agenti patogeni. L’implementazione di strategie di prevenzione delle infezioni nosocomiali con programmi di educazione all’igiene ha permesso una riduzione del rischio infettivo, illustrato da una riduzione delle infezioni nosocomiali in rianimazione [16].

L’utilizzo delle soluzioni idroalcoliche (SHA), migliorando la tolleranza [76], l’efficacia e la rapidità [77] dell’igiene delle mani, ha permesso un notevole aumento della compliance del personale [76], [78] e una riduzione significativa della trasmissione, in particolare del MRSA [63]. Se le SHA hanno dimostrato la loro superiorità con la maggior parte degli agenti batterici, il lavaggio delle mani con sapone resta superiore in alcuni casi, come lo stato di portatore o l’infezione da C. difficile [79] e da virus Influenza [80].

Infine, la cura delle mani svolge un ruolo anche nello stato di portatore e, quindi, nella potenziale trasmissione degli agenti patogeni. La lunghezza delle unghie e l’uso di anelli sono due fattori associati al rischio di stato di portatore più importante di bacilli Gram negativi [81].

Mantenimento della densità del personale

In uno studio osservazionale monocentrico svizzero, Hugonnet et al. evidenziano una riduzione del rischio di insorgenza di un’infezione nosocomiale in occasione dell’aumento del rapporto infermieri/pazienti [7]. In maniera sensibilmente identica, anche la disponibilità degli infermieri, misurata con il numero di ore per paziente per un infermiere, è associata a una riduzione del rischio di insorgenza di un’infezione nosocomiale su catetere, di PAVM e della mortalità [49].

La densità del personale sanitario svolge un ruolo nell’incidenza della trasmissione e del rischio di insorgenza di un’infezione nosocomiale [82].

Controllo dell’ambiente

Il coinvolgimento dell’acqua o dell’aria nella comparsa delle infezioni nosocomiali nei pazienti di rianimazione sottolinea l’importanza della gestione di questi fluidi per evitare la trasmissione degli agenti patogeni, sia verso il paziente che dal paziente verso le strutture inerti [83]. Sono allo studio nuove tecniche per migliorare la prevenzione della diffusione e della trasmissione di agenti patogeni aerotrasportati.

D’altra parte, la contaminazione dell’ambiente da parte degli agenti microbici del paziente è nota da lungo tempo. La qualità della pulizia è, tuttavia, variabile. La realizzazione di una campagna di informazione, di una modificazione dei protocolli e di un feedback che permetta la valutazione della qualità dei cambiamenti apportati e della loro applicazione permette di ottenere un miglioramento significativo della qualità della disinfezione [16].

Ruolo delle formazioni e programmi di istruzione

L’insieme dei metodi di prevenzione può partecipare a limitare l’incidenza delle infezioni nosocomiali. Per accrescerne il beneficio, è opportuno diffonderne l’utilizzazione formalizzando delle procedure locali e appropriate per le equipe curanti [15], [16].

Nonostante i notevoli progressi realizzati nella prevenzione delle infezioni nosocomiali, i fattori associati a una causa evitabile sono ancora implicati spesso. Così, l’adesione a situazioni associate a una possibilità di igiene delle mani è dell’ordine del 60-70% [30], [76]. Una dinamica proattiva di prevenzione delle infezioni nosocomiali nei servizi di rianimazione partecipa al miglioramento della qualità delle procedure delle cure e alla riduzione dell’incidenza di queste infezioni nosocomiali [20], [26]. Una riduzione delle infezioni nosocomiali è osservata anche nello studio di Pittet et al., dove il miglioramento dell’igiene delle mani, in virtù di un aumento del consumo di SHA, era associato anche a una riduzione del rischio di trasmissione del MRSA.

Oltre all’educazione, la realizzazione di informazione sui risultati, in particolare sul miglioramento delle prestazioni in seguito all’applicazione delle raccomandazioni implementate nel servizio (positive feedback), è associata a una migliore osservanza di queste regole.

Uso «ragionato» degli antibiotici

L’utilizzo prudente della terapia antibiotica è un fattore che limita il rischio di comparsa di una selezione di germi con sensibilità diminuita alla terapia antibiotica [67].

Il tipo di antibiotici svolge un ruolo nella selezione di alcuni agenti patogeni o di alcune forme di resistenza. Così, la riduzione per dieci della quantità di fluorochinolone somministrata ha permesso una riduzione significativa del numero di MRSA isolati [84]. Analogamente, l’utilizzo dell’associazione ticarcillina/acido clavulanico o dei carbapenemi e, più generalmente, degli antibiotici con un’azione antianaerobi [67] è associato a un aumento del rischio di acquisizione di un enterococco resistente alla vancomicina.

Inibizione della virulenza batterica

Benché i batteri detti ospedalieri siano considerati meno virulenti dei batteri responsabili di infezioni comunitarie, diversi sistemi di virulenza specifici svolgono un ruolo importante nello scatenamento di alcune infezioni nosocomiali. I tentativi di inibizione dei lipopolisaccaridi sono stati un insuccesso [85].

Un altro sistema di virulenza, il quorum sensing, particolarmente ben studiato in P. aeruginosa, può essere inibito dall’azitromicina, antibiotico della famiglia dei macrolidi, a concentrazioni deboli. Uno studio randomizzato recente non ha rilevato alcun effetto preventivo nel corso delle PAVM, ma questa via di ricerca resta promettente.

Il sistema di secrezione traslocazione di tipo 3 è responsabile della virulenza di Yersinia pestis e di Vibrio cholerae, esiste anche in P. aeruginosa e sarebbe attivato in circa un terzo delle PAVM. Uno studio pilota destinato a documentare la buona tolleranza e la farmacocinetica di un anticorpo diretto contro l’ago del sistema di tipo 3 ha rilevato dei risultati interessanti in termini di efficacia, che restano da confermare in uno studio prospettico di ampiezza sufficiente.

Mezzi in rapporto con le infezioni particolari

Polmoniti acquisite sotto ventilazione meccanica (PAVM)

La prevenzione delle infezioni nosocomiali legate alla presenza di una sonda di intubazione si declinano in quattro tipi di misure distinte: la prevenzione della colonizzazione della sfera orofaringea, la prevenzione dell’accumulo di secrezioni contaminate al di sopra del palloncino della sonda di intubazione, la prevenzione della perdita di questi liquidi contaminati al di sotto del palloncino della sonda di intubazione e la prevenzione della colonizzazione della sonda stessa all’interno del biofilm [86].

Misure generali

È stata studiata la modificazione dell’inclinazione del paziente. I risultati dei cambiamenti di inclinazione del paziente nella prevenzione delle PAVM sono stati piuttosto deludenti [59]. Mentre la prevenzione del reflusso sembra incerta, lo studio dell’incidenza delle PAVM nei pazienti ventilati è, invece, molto più chiaro [87]. Una metanalisi recente mostra, tuttavia, un beneficio significativo della posizione semiseduta a 45 gradi rispetto alla posizione supina a dorso piatto [88].

Misure locoregionali extrarespiratorie

Nella prevenzione delle PAVM è stata discussa anche la dimensione della sonda gastrica. La riduzione del diametro della sonda gastrica sembra essere un parametro interessante, ma gli studi clinici tendono a contraddire questa ipotesi [89]. Viceversa, se il residuo gastrico è, a volte, chiamato in causa come favorente la comparsa di una PAVM, uno studio spagnolo recente che confronta due limiti superiori di residuo gastrico (200 e 500 ml) non riscontra differenze in termini di incidenza di PAVM (27,3% contro 28% dei pazienti) né, d’altra parte, in termini di rigurgito o di polmonite da inalazione [90].

Misure loco-regionali respiratorie

La qualità dell’aspirazione tracheale dei pazienti ventilati, riducendo la quantità di secrezioni presenti nell’albero tracheobronchiale, potrebbe anche ridurre il rischio di insorgenza di un’infezione respiratoria bassa nei pazienti ventilati. L’instillazione di 8 ml di cloruro di sodio (NaCl) allo 0,9% prima delle aspirazioni dimezza l’incidenza delle PAVM [91]. Questo miglioramento del rischio infettivo è associato a una riduzione della durata della ventilazione meccanica così come della durata del ricovero in rianimazione [91].

L’utilizzo dei filtri scambiatori di umidità e di calore non si associa a una variazione del rischio di PAVM [92] né dei disturbi della ventilazione [92]. L’incidenza delle PAVM tardive potrebbe essere ridotta dall’utilizzo di filtri scambiatori di calore e di umidità [93].

L’aumento della frequenza di cambiamento dell’insieme del circuito di ventilazione tende ad aumentare il rischio di PAVM [94].

In diversi studi, i sistemi chiusi non apportano benefici nella prevenzione della PAVM [95], [96], [97] e il loro utilizzo è, a volte, addirittura associato a un aumento dell’incidenza della colonizzazione della sonda di intubazione tracheale [95] o, anche, delle vie aeree inferiori (in particolare da P. aeruginosa e Acinetobacter spp.) [97], probabilmente a causa di una colonizzazione progressiva del sistema di aspirazione stesso [98]. Al contrario, tuttavia, l’utilizzo di tali sistemi è associato a una riduzione del rischio di PAVM nei pazienti di neurochirurgia [58]. Infine, due metanalisi confermano l’assenza di benefici dei sistemi chiusi in termini di durata del ricovero o di mortalità [97] e l’utilizzo di tali sistemi è associato anche a una tendenza all’aumento della durata della ventilazione meccanica [97]. Un lavoro più recente, tuttavia, rileva una riduzione della colonizzazione del personale con l’utilizzo di questo tipo di sistema, permettendo di ipotizzare una riduzione del rischio di trasmissione crociata degli agenti con sensibilità diminuita.

L’aspirazione al di sopra del palloncino permette una riduzione dell’insorgenza delle PAVM [99], [100], un aumento del tempo di ventilazione prima della comparsa della PAVM [99], [101], [102] e una riduzione della colonizzazione tracheo-bronchiale [103]. Essa può essere continua [101] o intermittente [103]. La recente pubblicazione di numerosi lavori conferma queste osservazioni [104]. Tuttavia, non è evidenziato alcun beneficio in termini di sopravvivenza dei pazienti ventilati [99], [101], di durata della ventilazione [101] e di durata del ricovero [99], [101].

Anche la pressione del palloncino della sonda di intubazione è un parametro da prendere in considerazione, per ridurre il passaggio del liquido di stasi verso lo spazio tracheale. Il controllo automatizzato e continuo della pressione del palloncino non sembra apportare un beneficio in termini di incidenza delle PAVM in confronto con il monitoraggio intermittente, ogni 4-8 ore [105]. Questa nozione è importante, poiché uno studio osservazionale sottolineava l’assenza di un controllo almeno quotidiano della pressione del palloncino in circa la metà delle unità di rianimazione studiate [106].

Analogamente, l’applicazione di una pressione positiva di fine espirazione (PEP) permette di ridurre l’incidenza di insorgenza di una PAVM nei pazienti la cui ventilazione iniziale non è dovuta a un’insufficienza respiratoria [107]. Questa alterazione è dovuta a una riduzione delle PAVM precoci (che compaiono prima del 5o giorno) [107].

L’utilizzo di palloncini in poliuretano sarebbe associato a una riduzione dell’incidenza delle PAVM [108].

L’associazione di un’aspirazione continua a un palloncino in poliuretano permette una riduzione delle PAVM tanto precoci che tardive [8].

La colonizzazione tracheale è associata a una colonizzazione della sonda di intubazione [95], [109]. L’utilizzo di sonde di intubazione impregnate con argento sulla faccia interna ed esterna permette una riduzione della colonizzazione della sonda di intubazione e della colonizzazione tracheale al 7o giorno, così come una riduzione di incidenza delle PAVM, in particolare precoci [110].

La tracheotomia precoce dei pazienti di rianimazione, la cui durata di ventilazione prevista è prolungata, potrebbe partecipare alla prevenzione della comparsa di una PAVM. Questo metodo non è, tuttavia, mai riuscito a dimostrare la sua efficacia [111], [112]. Una metanalisi non riscontra alcun beneficio della tracheotomia in termini di sopravvivenza o di incidenza delle infezioni respiratorie basse [113].

Altre misure

Evitare l’intubazione tracheale resta un elemento centrale della prevenzione delle polmoniti nosocomiali in rianimazione [114] e le interfacce utilizzate in caso di necessità dell’utilizzazione di una ventilazione meccanica sono una maschera facciale o un casco. Nell’impossibilità di evitare l’intubazione tracheale, una variazione della durata della ventilazione potrebbe ridurre l’incidenza delle infezioni respiratorie basse nei pazienti ventilati. In effetti, un lavoro recente mostra che l’utilizzo da parte degli infermieri di un protocollo formalizzato di modulazione della sedazione è associato a una riduzione del consumo di sedativi e della durata della ventilazione e del ricovero e a una riduzione dell’incidenza delle PAVM [115]. Infine, l’educazione, anche in questo caso, permette, attraverso un miglioramento dell’informazione a proposito dei fattori di rischio e dei mezzi per prevenirli, di ridurre in maniera significativa il rischio di comparsa delle PAVM, limitando la parte «evitabile» dei fattori di rischio [116].

Infezioni urinarie

Il primo elemento di prevenzione della comparsa delle infezioni urinarie nosocomiali è la valutazione precisa delle indicazioni del posizionamento e del mantenimento del catetere urinario [117]. Le indicazioni di solito prese in considerazione di cateterismo urinario nel contesto della rianimazione sono la necessità di monitoraggio della diuresi, la presenza di un’ostruzione urinaria, il contesto chirurgico (la durata del cateterismo è, allora, in funzione del tipo di chirurgia), le anomalie della continenza, associate, in particolare, al rischio di contaminazione urinaria di ferite cutanee o, ancora, il benessere del paziente nel quadro della gestione del termine della vita [13].

L’elemento centrale nella prevenzione delle infezioni urinarie secondarie in presenza di un catetere urinario è l’applicazione di un’asepsi rigorosa al momento del posizionamento del catetere [13], [117]. Il secondo elemento è l’utilizzo di un sistema chiuso di raccolta delle urine, anche se questa nozione è attualmente ridiscussa [117], [118]. Anche la persistenza della posizione declive del sacco di raccolta delle urine sembra essere un elemento fondamentale nella prevenzione della comparsa di batteriurie e infezioni urinarie nosocomiali su catetere urinario [13]. In seguito al posizionamento, è opportuno mantenere la sacca di raccolta più bassa del livello vescicale [62].

L’utilizzo di un catetere urinario impregnato d’argento non sembra apportare benefici in termini di insorgenza di una batteriuria [119], eccetto in alcuni gruppi, come i traumatizzati [119]. L’impregnazione è associata anche, in alcuni casi, a un aumento del rischio di comparsa di un’infezione urinaria negli uomini in assenza di antibioticoterapia. Le recenti sintesi ritrovano, nonostante tutto, una riduzione delle batteriurie sintomatiche [120]. L’aggiunta di antisettico nel sistema di raccolta non sembra apportare benefici nella pratica quotidiana nella prevenzione della contaminazione delle urine [117].

D’altra parte, il «clampaggio» del sistema di raccolta, per la raccolta delle urine in vista di un ECBU, è un atteggiamento da sconsigliare, a causa dell’aumento del rischio di comparsa di un’infezione urinaria [117].

Infine, la durata del cateterismo svolge un ruolo significativo, in quanto la brevità dell’intervento è associata a un rischio minore di comparsa di un’infezione urinaria. La prima azione che permette di ridurre l’incidenza delle infezioni urinarie consiste, quindi, nel rivalutare regolarmente, idealmente ogni giorno, l’indicazione al cateterismo [117].

Anche la prevenzione del fattore di rischio, il cateterismo urinario, mediante l’utilizzo di metodi alternativi di raccolta delle urine, in particolare i condom, potrebbe essere interessante. Altre metodiche potrebbero permettere la prevenzione della comparsa delle infezioni urinarie nosocomiali, ma non sono state ancora oggetto di studi prospettici randomizzati. È il caso del catetere sovrapubico, la cui efficacia è probabile, benché esso sia più invasivo. Così, in uno studio nel periodo postoperatorio, il rischio di comparsa di un’infezione urinaria era notevolmente ridotto dall’utilizzo di un catetere sovrapubico, mentre non vi erano differenze significative in termini di complicanze legate al gesto rispetto a quanto osservato con il cateterismo urinario classico [121].

Infezioni su cateteri vascolari

La prevenzione delle infezioni dei cateteri passa prima di tutto per la capacità di prevenire la loro colonizzazione al momento del posizionamento, così come durante l’utilizzo. Per questo, numerose misure legate all’asepsi dei gesti [122] o all’utilizzo di antisettici sul punto di puntura, sul catetere stesso, o di antibiotici per via sistemica potrebbero partecipare al mantenimento della sterilità del catetere.

Disinfezione della cute

Se l’importanza del lavaggio delle mani e della sterilità del gesto sono innegabili [122], il metodo di disinfezione della cute è soggetto a discussioni. Sembra che la clorexidina sia più efficace del polividone iodato [123], tanto in termini di insorgenza di una colonizzazione che di insorgenza di una batteriemia il cui punto di partenza sarebbe il catetere [123], almeno per quanto riguarda i cateteri venosi centrali [123], [124], in particolare a causa di una maggiore attività sui batteri Gram positivi [124]. Tuttavia, l’aggiunta di alcol al polividone aumenta significativamente la sua efficacia, in particolare sui cocci Gram positivi, particolarmente S. epidermidis, rispetto a quanto è osservato con il polividone acquoso [18] mentre, al contrario, non è ottenuto alcun beneficio con l’aggiunta di alcol a una soluzione di clorexidina [123]. Questo beneficio è osservato anche per i batteri Gram negativi, come E. coli [18]. Nonostante questo miglioramento di efficacia, un lavoro recente rileva un rischio di colonizzazione dei cateteri significativamente inferiore in caso di utilizzo della clorexidina (associata al cloruro di benzalconio e all’alcol benzilico) [125]. In questo studio, il rischio di comparsa di una batteriemia secondaria a un’infezione del catetere non è significativamente differente tra il gruppo clorexidina e quello polividone iodato alcolico [125].

Sito di introduzione del catetere

Il sito di introduzione del catetere svolge un ruolo importante nel rischio di comparsa di un’infezione. Uno studio multicentrico francese che si interessa alle complicanze legate alla presenza di un catetere femorale o succlavio oggettiva un aumento del rischio di infezione del catetere in posizione femorale [126]. Oltre alla riduzione del rischio di contaminazione da germi perineali, in particolare enterobatteri, questo studio illustra la migliore asepsi generale del territorio succlavio, come illustra anche la riduzione dell’incidenza delle infezioni da batteri Gram positivi, in particolare gli stafilococchi coagulasi negativi [126]. Lucet et al. hanno osservato un’associazione tra il rischio di comparsa di una batteriemia legata al catetere venoso e la posizione di questo catetere, con la localizzazione succlavia associata a un’incidenza minore rispetto alle altre due sedi, femore e giugulare [33]. Si riscontra anche la mancanza di differenza tra i siti giugulare e femorale, allo stesso tempo per i cateteri venosi centrali e i cateteri di dialisi, in un altro studio francese [22]. Un altro lavoro recente dedicato all’utilizzo degli antisettici evidenzia, in un’analisi multivariata, il rischio di comparsa di una colonizzazione dei cateteri nella posizione giugulare rispetto alla posizione succlavia [125].

In uno studio randomizzato su cateteri di dialisi, anche Parienti et al. riscontrano un rischio simile di colonizzazione o di batteriemia legate al catetere in funzione della posizione giugulare o femorale [21]. In un altro studio, non si evidenzia alcuna differenza in termini di rischio di colonizzazione del catetere di dialisi, quando sono confrontati i siti giugulare e femorale [22].

La colonizzazione del catetere in posizione giugulare e femorale è ridotta anche dalla tunnellizzazione del catetere [127].

Ruolo della medicazione

Al di fuori della presenza di antibiotici o di antisettici sul catetere stesso, è stato studiato anche l’utilizzo di un antisettico sulla medicazione del catetere. In uno studio multicentrico randomizzato recente, Timsit et al. osservano una riduzione dell’incidenza delle infezioni gravi il cui punto di partenza è il catetere, così come una riduzione delle infezioni batteriemiche legate al catetere con l’utilizzo di spugne impregnate di gluconato di clorexidina [128]. La sterilità della cute o la bassa densità batterica in corrispondenza del punto di puntura al momento della rimozione del catetere sono più frequenti nel gruppo che ha beneficiato della medicazione associata alla clorexidina [122]. Infine, non sembra esservi una modificazione significativa del rischio di selezione di agenti con sensibilità alterata agli antibiotici nel periodo immediatamente seguente alla rimozione del catetere mediante l’utilizzo di questo antisettico [122].

Anche la qualità della medicazione è un elemento importante nella prevenzione della comparsa di infezioni su catetere [122], ma la frequenza di queste medicazioni non è un fattore chiaramente stabilito. Così, la realizzazione di medicazioni ogni 7 giorni piuttosto che ogni 3 giorni non sembra modificare il rischio di comparsa di un’infezione o di una batteriemia su catetere [128].

Impregnazione dei cateteri con antisettici/antibiotici

L’utilizzo di cateteri impregnati di antisettici o di antibiotici offre dei risultati che sono meno incoraggianti di quanto inizialmente supposto. Così, l’uso di cateteri impregnati di clorexidina e di sulfadiazina d’argento non sembra permettere una riduzione significativa dell’incidenza della colonizzazione dei cateteri [91]. Questa assenza di modificazione del rischio di colonizzazione è riscontrata anche con i cateteri impregnati d’argento [129]. Nel lavoro più recente, tuttavia, sono osservati un prolungamento del tempo prima della comparsa della colonizzazione e una riduzione del rischio di colonizzazione o di infezione nel gruppo trattato con i cateteri impregnati [129], mentre queste osservazioni non sono confermate in un altro studio dedicato a cateteri simili. Infine, un altro lavoro che ha studiato l’interesse dei cateteri impregnati di clorexidina e di sulfadiazina d’argento evidenzia, al contrario, una riduzione significativa del rischio di colonizzazione e del rischio di batteriemia a partenza dal catetere, tanto in densità di incidenza che in incidenza [130], confermando, così, la riduzione della colonizzazione e delle batteriemie evidenziata in precedenza. Una sintesi dei lavori originali disponibili, che include 25 studi in rianimazione e 23 studi fuori rianimazione, ha evidenziato un beneficio dei cateteri impregnati d’argento solo o in associazione con la clorexidina e della rifampicina in associazione con della minociclina o del miconazolo, in termini di comparsa di una colonizzazione [131]. Questa metanalisi comporta numerosi limiti, quali l’eterogeneità dei pazienti (pazienti adulti e pediatrici, di rianimazione o di sala, medici o chirurgici), l’indicazione al posizionamento del catetere, la variabilità del numero dei cateteri studiato per paziente, il numero di lumi dei cateteri (da uno a quattro), la durata media di permanenza del catetere (da 3 a 125 giorni) o l’incidenza locale degli eventi di interesse (batteriemia e colonizzazione) [131]. Malgrado questi limiti, essa conferma una precedente osservazione che evidenziava una prevenzione delle infezioni batteriemiche il cui punto di partenza è il catetere.

Tanto nella prevenzione della colonizzazione che in quella delle infezioni legate ai cateteri, le associazioni che comprendono della rifampicina sembrano essere le più efficaci [131]. Questa riduzione del rischio di colonizzazione è la conseguenza di una riduzione della colonizzazione allo stesso tempo da microrganismi Gram positivi, in particolare S. epidermidis, e da bacilli Gram negativi, anche se l’utilizzo dei due antibiotici potrebbe essere associato a un aumento del rischio di emergenza di Candida spp.

Regole generali di igiene ed educazione

La prevenzione delle infezioni nocosomiali su catetere passa, quindi, soprattutto dall’applicazione delle regole di igiene al momento del posizionamento e della manutenzione del catetere. L’utilizzo di un insieme di misure che comprende il lavaggio delle mani, l’utilizzo di misure barriera, la scelta del sito di introduzione e la disinfezione di questo sito prima della realizzazione del gesto partecipa innegabilmente a una riduzione del rischio infettivo [122]. Queste misure non sono sempre percepite in tutta la loro importanza. Per questa ragione, l’implementazione di un programma di sensibilizzazione, in particolare per la realizzazione del gesto in condizioni di igiene molto stretta, può permettere una riduzione notevole del rischio [132].

In uno studio monocentrico, l’implementazione di una formazione per la prevenzione delle infezioni dei cateteri che implica autoinformazione, valutazioni e la presenza nel servizio di numerosi richiami delle informazioni sotto forma di schede e di poster ha permesso una notevole riduzione della densità di incidenza delle batteriemie secondarie alle infezioni dei cateteri (da 9,4 a 5,5 per 1 000 giorni/catetere) [50]. Risultati simili sono stati osservati anche in altri studi [16].

Oltre all’apprendimento delle regole di igiene, l’incidenza delle infezioni su catetere può anche essere ridotta mediante un’educazione al posizionamento dei cateteri. È opportuno proseguire l’educazione dopo la fase iniziale, nella misura in cui la compliance alle raccomandazioni resta inferiore al 50% [16].

In un lavoro multicentrico, l’implementazione delle raccomandazioni concernenti il territorio di posizionamento del catetere, le regole di igiene da applicare al momento del posizionamento del catetere e la rivalutazione dell’interesse del catetere ha permesso una riduzione dell’incidenza delle infezioni su catetere da 2,7 per 1 000 giorni/catetere (0,6-4,8) a 0 per 1 000 giorni/catetere (0-1,6) tra 13 e 15 mesi dopo l’implementazione [20]. Questa evoluzione tende a mantenersi nel corso del tempo [133]. Tuttavia, sembra che il solo insegnamento teorico sia di poco interesse nel miglioramento dei comportamenti al letto del paziente e l’esercitazione pratica potrebbe partecipare a un miglioramento del rischio relativo riguardante le infezioni su catetere [122].

Nel corso della realizzazione dell’atto, anche la sorveglianza del catetere e la discussione della pertinenza della prosecuzione del suo utilizzo svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione di una perdita della sterilità di questo dispositivo [122].

L’attuazione a lungo termine di una politica della sicurezza nei servizi potrebbe partecipare a un mantenimento dei benefici ottenuti con un’informazione dei sanitari. Così, l’implementazione di cinque raccomandazioni (indossare i guanti, utilizzare dei teli sterili, disinfettare la cute ed evitare la via femorale in occasione del posizionamento di un catetere e, poi, rivalutare regolarmente la sua indicazione) permette di ridurre notevolmente le infezioni su catetere e la ripetizione di un’informazione a proposito di queste raccomandazioni e di indicazioni a proposito di eventi infettivi che si verificano nei servizi potrebbe permettere di mantenere il beneficio inizialmente ottenuto [133]. L’importanza del mantenimento della politica qualitativa di prevenzione delle infezioni (in questo lavoro dei cateteri venosi centrali) è sottolineata anche da un’equipe brasiliana che riscontra la riduzione della densità di incidenza delle infezioni in seguito a una procedura di istruzione e la regressione del beneficio in assenza di un proseguimento dell’informazione dei sanitari [134].

Oltre all’educazione stessa, la disponibilità di kit contenenti il materiale necessario (teli sterili di dimensioni adatte, disinfettante [clorexidina] e catetere), evitando gli errori legati all’utilizzo di apparecchi inadeguati, ridurrebbe il rischio di infezione su catetere [135].

Carta di qualità per la prevenzione delle infezioni nosocomiali

La prevenzione delle infezioni nosocomiali nei servizi di rianimazione passa attraverso l’implementazione di procedure che tendono a protocolizzare le cure e l’utilizzo della terapia antibiotica. È necessaria anche una politica proattiva di prevenzione della trasmissione mediante l’utilizzo e l’applicazione delle misure barriera e dell’igiene delle mani, compreso un audit regolare delle pratiche. Infine, lo studio dei casi di infezione nosocomiale, così come dei casi di trasmissione di agenti patogeni particolari, permetterebbe un miglioramento continuo dell’incidenza delle infezioni nosocomiali.

Conclusioni

Le infezioni nosocomiali in rianimazione sono frequenti e possono essere gravi e la loro gravità dipende allo stesso tempo dall’infezione stessa e dall’alterazione dei meccanismi di difesa immunitaria del paziente, riflesso del suo terreno. Se i fattori che favoriscono la comparsa di una tale infezione sono numerosi, deve essere ottenuta una profilassi, anche se parziale, mediante l’utilizzo di misure semplici, fondate sul rigore dell’asepsi, sulla valutazione regolare della pertinenza dei dispositivi medici e sull’insegnamento, sulla valutazione e sull’informazione a proposito di questi elementi. Lo sviluppo di dispositivi associati a degli antisettici e/o a degli antibiotici potrebbe contribuire a una riduzione del rischio infettivo, in un certo numero di situazioni, in particolare nei pazienti più gravi.

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