Abstract
«Reconstruction of the asbestos exposure in a textile company producing sewing threads through the use of an unusual information source».
Background:
The Tuscan Regional Operating Center (ROC) of Malignant Mesotheliomas has identified a cluster of 11 cases of malignant mesothelioma occurred in a textile plant manufacturing sewing thread. Using the common research method, the ROC had not previously been able to identify the specific sources of asbestos exposure causing such a large cluster.
Objectives:
The ROC’s objective was to review all cases of the cluster and to better identify their occupational asbestos exposures.
Methods:
The cases’ occupational histories of asbestos exposure have been reviewed, using information deriving from the annual reports sent to the Tuscany Region since 1988 by all the asbestos removal companies according to the Law no. 257/1992, article 9, and from interviews to former employees of the plant.
Results:
The work cycle has been reconstructed and enriched with the new information about the asbestos presence and its uses in the plant. The eleven cases were all reclassified as “certainly occupational exposed” given that the new collected information depicted a widespread asbestos pollution of the workplace during the period of employment of all cases.
Conclusions:
Using different sources of information, in addition to those traditionally collected through questionnaires, to reconstruct past asbestos exposuresallowed us to clarify the existence of the cluster of mesothelioma cases and the highest level of occupational asbestos exposure was attributed to all cases with consequent activation of the medico-legal procedure.
Key words: Asbestos, malignant mesothelioma, occupational exposure, textile, sewing threads
Abstract
Introduzione:
Il Centro Operativo Regionale (COR) toscano dei Mesoteliomi Maligni ha registrato un cluster di 11 casi in un’azienda appartenente al settore tessile, comparto produzione di filati cucirini. Attraverso le consuete fonti informative il COR non era mai riuscito ad identificare la fonte espositiva ad amianto in grado di causare una così elevata numerosità di patologie asbesto correlate.
Obiettivi:
L’obbiettivo del COR è stato quello di riesaminare tutti i casi del cluster e identificare meglio le loro occasioni di esposizione professionale.
Metodi:
Le storie espositive sono state rivalutate utilizzando ulteriori informazioni derivanti sia dalle relazioni che annualmente arrivano alla Regione Toscana dal 1988 da parte di tutte le ditte di bonifica, nel rispetto dell’art. 9 della Legge 27 marzo 1992 n. 257, sia da interviste effettuate a lavoratori dell’azienda in esame.
Risultati:
E’ stato ricostruito il ciclo lavorativo dell’azienda e ulteriormente dettagliato con le nuove informazioni acquisite sulla presenza e l’uso di amianto. Gli undici casi sono stati tutti riclassificati con livello di esposizione professionale certo dato che dalle ulteriori informazioni raccolte è emersa una condizione ambientale che nel passato causava un inquinamento diffuso degli ambienti di lavoro negli anni in cui i casi avevano prestato la propria opera.
Conclusioni:
Attraverso l’utilizzo di informazioni raccolte con modalità e finalità diverse da quelle abitualmente utilizzate dal COR, e sinora mai prese in considerazione per la definizione dell’esposizione ad amianto dei casi, è stato definito il motivo del cluster ed è stato assegnato a tutti i casi il livello più elevato di certezza espositiva ad amianto con conseguente attivazione dell’iter medico legale.
Introduzione
Il Centro Operativo Regionale (COR) toscano dei Mesoteliomi Maligni (MM) ha registrato un cluster di 11 casi, 4 uomini e 7 donne, il primo caso registrato nel 1997 e l’ultimo nel 2016, in un’azienda appartenente al settore tessile, comparto produzione di filati cucirini, attiva dal 1890 al 2006, dieci casi in sede pleurica ed uno in sede peritoneale.
Degli 11 casi registrati, soltanto ai due casi insorti in manutentori che si occupavano anche dei locali caldaia e generatori di vapore, in cui risulta documentata la presenza di materiale contenente amianto (MCA), era stata assegnata una esposizione certa ad amianto.
Non avendo nel tempo identificato una condizione certa di esposizione all’amianto che potesse giustificare un rapporto causale per tutte le patologie asbesto correlate osservate, il COR si è posto l’obiettivo di approfondire le conoscenze sulla possibile presenza di amianto in questo comparto produttivo ed in particolare effettuando un approfondimento sulle occasioni di esposizione ad amianto in questa azienda, al fine di riclassificare l’esposizione con maggior accuratezza per tutti i casi osservati, seguendo le indicazioni delle Linee Guida ReNaM del 2003 (10) anche per coloro, in particolare donne, che avevano svolto mansioni che non comprendevano lavori di manutenzione in azienda, come peraltro osservato anche in altri comparti e settori produttivi (13). Questa operazione è stata resa possibile esplorando altre fonti informative, diverse da quelle tradizionalmente utilizzate dal COR costituite essenzialmente dalle notizie contenute nel questionario semi strutturato che viene compilato durante l’intervista ai pazienti (10, 18).
È stata esaminata la letteratura scientifica e grigia riportante informazioni sull’utilizzo, diretto e indiretto, di amianto nel settore tessile (2, 5, 8, 10, 14-17, 19) con particolare riferimento al comparto della produzione di filati.
Nel settore tessile considerato nel suo complesso l’amianto fu utilizzato ed inserito nel ciclo produttivo per diverse ragioni e necessità. Oltre ad un utilizzo diretto di amianto come materia prima, impiegato in percentuali diverse per la realizzazione di tessuti, tra i quali in particolare quelli per indumenti militari e per la produzione di misto lana, l’amianto fu utilizzato in varie parti degli impianti come ausiliario del processo produttivo (5, 8, 9), cioè come parte integrante necessaria al funzionamento di impianti e macchinari utili alla realizzazione del prodotto finito.
Anche ad usi indiretti di amianto nel settore tessile è stata attribuita una importante casistica di mesoteliomi (3, 8, 9, 12), ma spesso per le difficoltà incontrate nella definizione dell’esposizione, i casi sono stati classificati con livelli espositivi di certezza qualitativamente inferiori (probabile e possibile).
Tra gli usi indiretti di amianto nel complesso settore del tessile vanno annoverati:
nel comparto dei filati di lana e cotone, setifici, tintorie, rifinizioni, per la presenza di coibentazioni delle caldaie, dei generatori di vapore e delle condotte del vapore e dell’acqua calda (2, 5, 14);
nelle tintorie è stato impiegato amianto spruzzato come materiale anticondensa sulle pareti e sui tiranti di rinforzo delle coperture a volta (5);
nella produzione di calze da donna è stato riscontrato che la protezione delle resistenze elettriche inserite nelle forme in metallo per la stiratura delle calze era in MCA (10);
nei feltrifici è documentato l’uso, per un periodo limitato di tempo intorno agli anni ’70, di filato di amianto aggiunto a filato di lana per la produzione, con telai a navetta, di feltri utilizzati nelle cartiere (10);
nei sistemi frenanti di diverse macchine tra cui quelle per la filatura e la tessitura (6);
le coperture dei capannoni in cui avvenivano le lavorazioni, talvolta erano realizzati in “cemento amianto”, come per molti altri capannoni industriali.
Nello specifico comparto produttivo “filati e cucirini” oggetto di questo lavoro l’amianto era presente nei sistemi frenanti di diversi macchinari tra i quali i ritorcitori, filatoi, roccatrici e aspatrici, che presentano la necessità di essere arrestati totalmente o rallentati in alcune parti rotanti a comando dell’operatore. Tale operazione oggi è possibile grazie a sistemi frenanti elettromagnetici, ma precedentemente tali funzioni erano demandate a sistemi meccanici a sfregamento dotati di pattini frenanti inizialmente in legno o cuoio e successivamente con materiali da attrito contenenti amianto (ferodi). Nei filatoi ad esempio le frizioni erano costituite da ferodi in ghisa accoppiate a piastre di amianto. Il normale funzionamento di queste macchine faceva sprigionare della polvere dovuta all’attrito delle frizioni in amianto, che si depositava in prossimità dei ferodi medesimi. La polvere se non veniva rimossa in poco tempo determinava uno slittamento della frizione con il rallentamento del carro portafusi. Inoltre molte delle guarnizioni facenti parte dei sopracitati sistemi frenanti erano realizzate in MCA (6, 10, 19) e la loro usura generava nell’ambiente di lavoro una polvere fine che spesso restava in sospensione grazie anche agli impianti di pulizia, soffioni viaggianti, che lavoravano con dispositivi a getto d’aria, utilizzati anche a mantenere il filo pulito.
Metodi
Sono state esaminate inizialmente le storie anamnestiche professionali dei casi in esame, ricostruite mediante intervista diretta ai casi o a proxy (intervista fatta ai parenti prossimi o ai conviventi o a ex colleghi di lavoro), utilizzando il questionario ReNaM (10) che consente di recuperare informazioni su tutta la vita professionale ed extra professionale con l’intento di andare a ricostruire l’eventuale esposizione ad amianto. Sono stati esaminati i documenti presenti nell’archivio del servizio territoriale di Medicina del Lavoro dell’Azienda USL dove aveva sede la ditta di filati cucirini oggetto di indagine, in cui sono state reperite informazioni concernenti il ciclo lavorativo dell’azienda e l’attività di vigilanza ed ispezione svolta in anni passati presso la stessa. Essendo il principale scopo di questa ricerca quello di andare a ricercare una fonte espositiva ad amianto non precedentemente considerata e probabilmente di una certa consistenza, considerata la numerosità dei casi, si è pensato di andare a reperire ulteriori dati sulle relazioni relative alle bonifiche effettuate negli stabilimenti dell’azienda, utilizzando le informazioni registrate nel sistema informatizzato della Regione Toscana dal 1988 ad oggi, nel rispetto dell’art. 9 della Legge 257/1992, (legge che mise al bando l’amianto sul territorio nazionale italiano) e che al primo comma dell’art. 9 obbliga le aziende che svolgono attività di bonifica, a compilare ed inviare annualmente, alle Regioni competenti per territorio, una relazione contenente varie informazioni sulle bonifiche effettuate, tra cui gli indirizzi dei cantieri in cui vengono rimossi MCA e una serie di dati che dettagliano le quantità e la tipologia del rifiuto rimosso.
Attraverso la ricerca nel sistema informatizzato della Regione Toscana dell’indirizzo dell’azienda di filati oggetto della nostra indagine, si è risaliti alla ditta che in passato aveva effettuato due interventi di rimozione proprio in quegli stabilimenti, incluso il dettaglio sui due interventi. Inoltre, sono stati contattati e intervistati alcuni dipendenti ed ex dipendenti che eseguirono alcune di queste bonifiche, che hanno descritto con precisione i locali all’interno dell’azienda in cui era presente l’amianto e il suo utilizzo. Alla luce di tali informazioni è stata rivalutata l’esposizione ad amianto nell’azienda e sono state riclassificate le storie espositive dei casi.
Titolare dei due registri, che archiviano separatamente tutti i casi di MM e le relazioni art 9, da cui sono state estratte tutte le informazioni per la ricostruzione dell’esposizione dei lavoratori dell’azienda di filati-cucirini è la Regione Toscana; ma è ISPRO (Istituto per lo Studio la Prevenzione e la Rete Oncologica) che si occupa della loro gestione.
Risultati
Il cluster di MM osservato nell’azienda di filati-cucirini oggetto di indagine, risultava di una certa importanza, pur essendo una ditta che in alcuni periodi aveva avuto alle proprie dipendenze anche circa 4000 addetti. I periodi lavorativi dei casi di MM registrati vanno dal 1943 al 1993.
Ad eccezione dei 2 manutentori, le mansioni degli altri casi non risultavano appartenere ad una particolare categoria, né inserite in specifici reparti né dedicati a peculiari lavorazioni, ma risultavano essere varie, tipiche del processo produttivo dell’azienda, (addetti alla filatura, ritorcitura, roccatura, confezionamento dei filati prodotti dall’azienda). Si supponeva, pertanto, che il rischio da inalazione di fibre di amianto fosse distribuito in modo uniforme in tutti i locali aziendali, ma una fonte precisa che avesse potuto contaminare equamente tutti gli ambienti di lavoro non era mai stata individuata. Nella figura 1 viene riportato l’intero ciclo produttivo dell’azienda in questione.
Nel 2001 e nel 2009, furono prelevati ed analizzati dall’Azienda USL campioni di frammenti di materiale di rivestimento di due tubazioni presenti nello stabilimento, nella cui documentazione attestante le analisi fatte si rilevava la presenza di amianto crisotilo e amosite, ma non se ne precisava la localizzazione e l’uso specifico. I campioni furono classificati in matrice friabile alcuni dei quali con una percentuale di amianto superiore al 90%, ma le informazioni ricavate da queste analisi non riuscirono comunque a chiarire l’entità del problema amianto presso questa ditta, in quanto le informazioni sulla quantità e i luoghi in cui questo materiale si trovava non erano sufficienti a chiarire le cause della dispersione di fibre e la conseguente esposizione dei dipendenti.
È stato proprio a partire da queste informazioni documentali, reperite negli archivi dell’Azienda USL competente nell’area di ubicazione dell’azienda, che si è avuta l’intuizione di andare a ricercare l’indirizzo dell’azienda tra i cantieri di bonifica amianto registrati nel sistema informatizzato della Regione Toscana. Le informazioni ricavate da questa fonte hanno evidenziato che presso l’azienda erano state rimosse negli anni ingenti quantità di amianto, soprattutto in matrice friabile. Trattandosi di bonifiche effettuate più di 15 anni prima (2001 e 2003) il sistema informatizzato non permetteva, come oggi, di archiviare anche i relativi Piani di Lavoro, redatti dalle aziende di bonifica, in cui sono dettagliate le rimozioni. Pertanto si aveva solo un’indicazione quantitativa dell’amianto rimosso, e non quei dettagli ritenuti importanti per identificare la sua locazione e l’utilizzo all’interno dell’azienda. Potendo risalire alle ditte che bonificarono gli stabilimenti sono stati contattati alcuni loro dipendenti ed ex dipendenti che eseguirono proprio alcune di queste bonifiche, i quali hanno fornito precise descrizioni del lavoro di bonifica svolto. L’amianto, oltre ad essere presente nel grande locale che ospita il generatore di vapore sotto forma di guarnizioni e coibentazioni, incluso amianto spruzzato sulle pareti dell’intero locale, era stato utilizzato come coibente delle tubazioni che, dal suddetto locale, si diramavano in tutto lo stabilimento percorrendo i sotterranei.
Le tubazioni avevano una triplice funzione: trasportare vapore per il funzionamento di alcuni macchinari, riscaldare per convezione gli ambienti di lavoro che si trovavano al piano superiore in un solo piano fuori terra collegati con i sotterranei da scale, ed infine quello di mantenere i locali sotterranei a temperatura più elevata, perché qui sostava in stoccaggio la materia prima, ovvero il cotone, che era peraltro contenuto anche in sacchi di juta e come noto dalla letteratura, tali sacchi potevano avere precedentemente contenuto amianto (1, 4, 7). Questi locali erano luoghi di lavoro in cui transitavano comunemente i lavoratori. La materia prima immagazzinata in questi locali, anche per diverso tempo a una temperatura piuttosto elevata, si liberava dell’eventuale umidità assorbita durante il trasporto e si manteneva asciutta per tutto il tempo che vi permaneva, evitando così la formazione di muffe e il possibile degrado.
Le tubazioni, del diametro di circa 200 mm, erano coibentate con coppelle spesse 3-4 cm realizzate con fibra di amianto in prevalenza della varietà mineralogica amosite. Le coppelle si presentavano molto friabili e tenute aderenti alle tubazioni da una garza in fibre naturali. Le tubazioni che percorrevano i sotterranei a coppie (tubo di mandata fluido caldo e ritorno), avevano una lunghezza stimata in circa 4 km per ogni capannone. L’esame della documentazione ottenuta ha portato alla luce ingenti quantità di amianto in matrice friabile bonificate nel tempo tra cui:
• 1130 kg di amianto friabile spruzzato utilizzato come coibente di soffitti e pareti;
• 64 kg di tessuti in amianto;
• 1760 kg di amianto in matrice friabile che costituiva il rivestimento coibentante di tubazioni.
Uno dei lavoratori intervistati, oltre che presso la ditta di bonifica, aveva lavorato in precedenza per un breve periodo anche presso l’azienda di filati-cucirini in esame ed ha riferito che questi sotterranei erano molto polverosi. La polvere proveniva sicuramente dalla materia prima proprio per la sua caratteristica intrinseca di essere facilmente “sfilacciabile”, ma un contributo alla polverosità verosimilmente era dato anche dalle coibentazioni delle tubazioni presenti lungo i soffitti dei sotterranei, data la grande friabilità di questo materiale. Le condotte erano state spesso sottoposte a manutenzione durante gli anni di attività dell’azienda ed il lavoro veniva effettuato generalmente senza prestare la minima attenzione alla dispersione di polveri, sia in fase di rimozione della coibentazione, sia in fase di rimessa in opera. Le polveri disperse dalle coibentazioni si depositavano in parte anche sulla materia prima contaminandola; era questo, verosimilmente, il veicolo, con il quale tutti gli altri reparti venivano contaminati, causando una esposizione di tipo indiretto dei dipendenti che la manipolavano. In altre parole, in questa azienda l’esposizione diffusa ad amianto (e con certezza ad anfiboli, in particolare amosite) di tutti i dipendenti inseriti nel ciclo produttivo è stata di tipo indiretto. Sulla base di queste informazioni i casi di MM registrati negli addetti dell’azienda in esame sono stati tutti riclassificati con il livello massimo di certezza di esposizione occupazionale ad amianto.
Discussione e conclusioni
L’amianto è stato utilizzato e inserito nel ciclo produttivo del comparto tessile per diverse necessità tecniche, sia come uso diretto che indiretto. Ciò rende ragione della elevata numerosità di casi di MM registrati in Italia sino ad oggi e la cui esposizione professionale è stata attribuita proprio a mansioni svolte in tale settore: nel VI Rapporto ReNaM si contano ben 1.243 casi in Italia dal 1993 al 2015 (9).
L’utilizzo indiretto di amianto è stato particolarmente rilevante dopo la seconda guerra mondiale. Nel settore del tessile i MCA erano presenti soprattutto nei dischi di frizione dei motori elettrici dei macchinari, nelle coibentazioni di varie superfici, quali caldaie, generatori di vapore, condotte di vapore e fluidi caldi, e come guarnizioni. In particolare l’utilizzo di sistemi frenanti era necessario per permettere di rallentare o arrestare i macchinari da parte dei lavoratori che li stavano utilizzando (11). La commercializzazione dei materiali da attrito contenenti amianto è cessata due anni dopo il bando del 1992, ma è verosimile che l’uso sia continuato per diversi anni ancora fino ad esaurimento scorte. Le guarnizioni venivano generalmente prodotte dagli stessi stabilimenti che fornivano il settore ferroviario ed automobilistico, mentre per le applicazioni più semplici, come nei grandi freni a nastro dei telai, era abbastanza frequente la sostituzione artigianale delle parti usurate con materiali reperibili sul mercato e presumibilmente di qualità più scadente in termini di compattezza e quindi più facilmente disperdenti fibre.
Una particolarità è da segnalare per le guarnizioni e componenti frenanti delle macchine da filatura del settore tessile pratese, in cui nei “filatoi intermittenti”, denominati anche filandre, il sistema frenante era contenuto all’interno dell’albero motore che ospitava una “campana a forma di cono” con il ferodo, costituito da piastre rettangolari di MCA fissato con bulloni. A differenza dei sistemi frenanti del settore automobilistico presenti in matrice compatta, le piastre o strisce di amianto erano di qualità scadenti in termini di compattezza e pertanto facilmente friabili.
L’accertata presenza di MCA nel settore tessile non era comunque sufficiente a giustificare il cluster nell’azienda Toscana di filati cucirini. Pertanto è stato fondamentale per la ricostruzione dell’esposizione professionale ad amianto l’esame delle informazioni che annualmente pervengono su supporto informatizzato alla Regione Toscana, nel rispetto dell’art. 9 della L. 257/1992, da parte di tutte le ditte che eseguono le bonifiche. La ricerca dell’indirizzo dell’azienda e anche della sua Ragione Sociale, che figura come committente dei lavori di rimozione amianto, ha immediatamente riportato alla luce una situazione di esposizione che non era stata fino ad oggi messa in relazione con la casistica del COR mesoteliomi. In assenza di informazioni più dettagliate fornite dai casi sull’eventuale impiego di macchinari contenenti materiali da attrito in amianto, si era potuto classificare come certa soltanto l’esposizione dei manutentori. L’individuazione della contaminazione della materia prima ha consentito la riclassificazione di tutti i casi di MM registrati negli addetti dell’azienda con il livello più elevato di certezza di esposizione occupazionale ad amianto.
Attraverso le relazioni art.9 L. 257/92 siamo venuti a conoscenza dei quantitativi di MCA rimossi in matrice friabile che erano presenti presso lo stabilimento dell’azienda e si è potuto risalire all’entità e alla tipologia di amianto utilizzato. I quantitativi di amianto rinvenuti a seguito di questa ricerca si reputa comunque che siano sottostimati poiché si riferiscono solo ad una parte delle scoibentazioni (bonifica per rimozione di MCA in matrice friabile) eseguite negli ultimi 10 anni, ovvero da quando è stata perfezionata l’informatizzazione delle relazioni redatte dalle ditte di bonifica secondo l’art. 9 L. 257/92.
In conclusione, l’approfondimento effettuato in questo lavoro, per la ricostruzione dell’esposizione dei casi osservati, sta ad indicare l’importanza, anche ai fini di giustizia sociale, di utilizzare e mettere a confronto informazioni raccolte con modalità e finalità diverse e sinora mai esaminate congiuntamente, in questo caso specifico i dati della sorveglianza epidemiologica del MM attiva in Toscana sin dal 1988 e quelli derivanti dalle attività di bonifica dell’amianto. Lo sviluppo e la diffusione a livello nazionale della informatizzazione delle relazioni art.9 L.257/92 consentirebbe, non solo di monitorare il processo sull’andamento delle bonifiche dei MCA, ma avrebbe anche lo scopo di contribuire a fornire un valido supporto per la ricostruzione delle pregresse esposizioni ad amianto, possibile se questa banca dati fosse accessibile a tutti i COR.
No potential conflict of interest relevant to this article was reported by the authors
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