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. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. doi: 10.15167/2421-4248/jpmh2021.62.1s2

2° EDIZIONE “GIORNATEDELLA RICERCA SCIENTIFICAE DELLE ESPERIENZEPROFESSIONALI DEI GIOVANI”

17-18 Dicembre 2020

PMCID: PMC8452281

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

ALIMENTAZIONE, AMBIENTE E SALUTE

L’anagrafe degli operatori del settore alimentare presso il SIAN dell’ASP di Catanzaro: distribuzione delle categorie di attività produttive e dei controlli ispettivi nel biennio 2018-2019

IRENE ALOE 1, FRANCESCA LICATA 1, DANIELA MAMONE 2, FRANCESCO FARAGÒ 2, CARMELO GA NOBILE 3

Abstract

INTRODUZIONE

La sicurezza alimentare rappresenta un punto focale della salute della popolazione e viene garantita dal Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) che ha inoltre il compito di assicurare la conformità alla normativa vigente [1-5]. Uno strumento fondamentale del SIAN è l’anagrafe degli operatori del settore alimentare (OSA) che consiste in un elenco degli operatori e degli stabilimenti presenti sul territorio di competenza registrati o riconosciuti dall’Autorità Competente [6-8]. Essa viene utilizzata per organizzare in modo efficace la programmazione annuale dei controlli ufficiali delle attività con una frequenza appropriata determinata anche dalla valutazione del rischio effettuata in fase di monitoraggio [9].

L’obiettivo del presente lavoro è di descrivere i risultati ottenuti nel biennio 2018-2019 presso il SIAN di Catanzaro, rendendo fruibile una descrizione dell’anagrafe degli operatori e delle attività di controllo in accordo con l’attuale distribuzione delle imprese alimentari sul territorio provinciale e consentendo una programmazione più efficace per gli anni successivi.

MATERIALI E METODI

La revisione sistematica dei dati dell’anagrafe degli OSA ha previsto l’integrazione dei dati già inseriti nell’archivio informatico con quelli ancora in formato cartaceo per garantire il quadro completo dell’attività del SIAN.

Il software è stato progettato per garantire le attività degli operatori dei SIAN prevedendo la gestione dei diversi processi, quali il controllo delle attività svolte sul territorio; la gestione anagrafica completa degli OSA; la rendicontazione e la storicizzazione dei controlli ufficiali; la generazione di reportistica strutturata in linea con le richieste provenienti dalle Regioni e dal Ministero della Salute; la formulazione ed esportazione in formati docx e pdf di eventuali verbali legati allo stato della pratica.

Nell’attività di revisione per tutti gli operatori inseriti in anagrafe è stata aggiornata la nuova categorizzazione delle imprese in base alla tipologia prevista dalla nuova codifica come richiesto dalla reportistica prevista per la raccolta e la rendicontazione di fine anno da inviare al Ministero della Salute [9].

La struttura del foglio ha previsto l’inserimento delle seguenti informazioni: dati anagrafici dell’OSA, sede dello stabilimento, data e tipologia del controllo (ispezione, verifica o audit), indicazione di primo o successivo controllo nell’anno, presenza di eventuale non conformità, singolo requisito controllato e numero di non conformità per requisito, provvedimenti intrapresi.

Gli strumenti hanno consentito di eseguire una rendicontazione complessa.

RISULTATI

Per l’anno 2018 dei 6.036 stabilimenti riportati nel Registro annuale dei controlli ispettivi, ne erano stati ispezionati 864, di cui 259 presentavano non conformità. Le categorie di attività produttive a maggiore prevalenza nell’anagrafe per l’anno 2018 erano così distribuite: 2.519 esercizi di ristorazione pubblica, 864 esercizi di commercio al dettaglio di alimenti e bevande, 1.184 coltivazioni permanenti a uso alimentare umano, 252 coltivazioni non permanenti a uso alimentare umano, 212 trasporti di alimenti e bevande conto terzi, 159 produzione di prodotti di gelateria, 126 produzione di pane, pizza, prodotti da forno. I controlli sono stati effettuati in 399 esercizi di ristorazione pubblica in cui sono stati valutati 3.259 requisiti e i non conformi sono risultati 270, 152 locali di commercio al dettaglio di alimenti e bevande con 809 requisiti di cui 101 non conformi, 95 esercizi di ristorazione collettiva con 755 requisiti di cui 129 non conformi, 41 commerci ambulanti con 95 requisiti ispezionati di cui 11 non conformi, 37 produzioni di cibi pronti con ispezionati 248 requisiti di cui 7 non conformi.

Per l’anno 2019 dei 7.923 stabilimenti riportati nel Registro annuale dei controlli ispettivi, ne erano stati ispezionati 870, di cui 216 presentavano non conformità. Le categorie di attività produttive a maggiore prevalenza nell’anagrafe per l’anno 2019 sono: 2.959 esercizi di ristorazione pubblica, 1.444 commerci al dettaglio di alimenti e bevande, 1.701 coltivazioni permanenti a uso alimentare umano, 560 coltivazioni non permanenti a uso alimentare umano, 264 esercizi di ristorazione collettiva.

I controlli sono stati effettuati in 374 esercizi di ristorazione pubblica con 3289 requisiti di cui non conformi 213, in 70 esercizi di ristorazione collettiva con 530 requisiti di cui non conformi 89, 212 esercizi di commercio al dettaglio di alimenti e bevande con 942 requisiti di cui 86 non conformi, 64 esercizi di produzione pane e pizza, prodotti da forno, pasticceria con ispezionati 532 requisiti di cui non conformi 68, 29 coltivazioni permanenti a uso alimentare umano con 140 requisiti di cui non conformi 24.

CONCLUSIONI

I risultati della nostra esperienza sono un’ulteriore dimostrazione dell’importanza dell’anagrafe degli OSA, quale strumento fondamentale di pianificazione delle ispezioni che possono essere stratificate in base al rischio, classificando gli OSA, gli stabilimenti e le attività produttive.

L’utilizzo di questo strumento, inoltre, consente di attribuire al controllo ufficiale degli alimenti una connotazione dinamica, con il continuo aggiornamento del numero e della tipologia di stabilimenti e attività produttive e conseguente modifica del numero di ispezioni da eseguire per attività.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Studio in vitro dell’efficacia virucida di un sistema a vapore su diverse superfici contaminate con un coronavirus umano, un virus influenzale e un enterovirus

FRANCESCA ANNAMARIA PERRONE 1, ISABELLA MARCHESI 1, ARIANNA SALA 1, STEFANIA PADUANO 1, GIUSEPPINA FREZZA 1, SARA TURCHI 1, ANNALISA BARGELLINI 1, PAOLA BORELLA 1, CLAUDIO CERMELLI 2

Abstract

INTRODUZIONE

La sopravvivenza dei virus nell’ambiente è molto variabile, i virus più fragili resistono da poche ore a 1-2 gg, mentre i virus gastroenterici persistono anche per 6-8 mesi [1,2].

Il virus SARS-CoV-2 umano può resistere sulle superfici da poche ore a diversi giorni [3].

I comuni agenti chimici domestici hanno dimostrato di essere efficaci nell’uccidere il SARS-CoV-2 [4], ma il loro uso eccessivo può essere associato a effetti negativi sulla salute e sull’ambiente [5]. Una possibile alternativa è il vapore secco, che in vitro ha mostrato attività battericida e virucida [6,7].

Lo scopo di questa ricerca è verificare l’efficacia di un sistema a vapore nell’inattivare virus patogeni nell’uomo su diversi materiali largamente diffusi in ambito comunitario.

MATERIALI E METODI

In questo studio è stato utilizzato un’aspirapolvere professionale con filtro ad acqua dotato di generatore di vapore (GIOEL G400). Il serbatoio viene riempito con acqua fredda che viene pompata all’interno della caldaia dove raggiunge la pressione di 7 bar e la temperatura di 170°C.

I test sono stati eseguiti in triplicato su tre superfici che differiscono per il tipo di materiale: cotone, polipropilene e acciaio.

L’azione virucida del vapore è stata testata su tre virus: il coronavirus umano (HCoV) OC43, un surrogato del virus SARS-CoV-2, il virus influenzale A/H1N1/WSN/33, derivato dal virus responsabile della pandemia Spagnola del 1918, e un enterovirus (Echovirus 7), scelto per la sua resistenza ai trattamenti chimici e fisici e la persistenza nell’ambiente.

Per ogni tipologia di superfice, precedentemente sterilizzata, due aree (una da trattare e una di controllo) sono state contaminate con 100 mL di sospensione virale. Dopo essiccamento, è stato eseguito il trattamento a vapore che prevedeva 3 step di vaporizzazione, seguiti da uno di aspirazione della condensa, per un tempo complessivo di circa 5 secondi, corrispondenti al tempo normale di applicazione del sistema su un’area di uguali dimensioni (circa 2,5 cm per lato) durante le normali procedure di pulizia.

Al fine di recuperare la carica virale presente nelle aree trattate e di controllo, sono stati effettuati prelievi mediante l’utilizzo di tampone sterile. Il tampone veniva poi immerso in una soluzione salina, sottoposto ad agitazione mediante vortex, e si procedeva poi alla quantificazione del virus. I campioni così ottenuti sono stati diluiti e ciascuna diluizione seminata in doppio in piastre da 96 pozzetti contenenti le colture cellulari bersaglio. Dopo incubazione, le piastre sono state osservate al microscopio ottico a luce invertita.

Per stabilire il titolo virale di HCoV-OC43 e Echovirus 7, è stata valutata l’ultima diluizione in cui comparivano i segni tipici di crescita virale (arrotondamento e distacco delle cellule) e il titolo virale era espresso come dose infettante il 50% delle cellule (TCID50). Per il virus A/H1N1, il titolo era espresso in Unità Formanti Placca per ml (UFP/ml) contate nell’ultima diluizione con comparsa di placche di citolisi evidenti. Limitatamente ai test eseguiti con Echovirus 7, campioni dell’acqua di scarico del cestello dell’aspirapolvere sono stati raccolti e concentrati per ultrafiltrazione per evidenziare l’eventuale presenza del virus.

RISULTATI

I campioni di controllo presentavano un titolo virale medio dell’ordine di 104 TCID50 per il coronavirus HCoV-OC43 e dell’ordine di 104 UFP/ml per il virus A/H1N1 su tutti i materiali, mentre il titolo di Echovirus 7 era dell’ordine di 104 TCID50 sul polipropilene e di 105 TCID50 su cotone e acciaio.

Il trattamento con vapore ha portato a una completa inattivazione del HCoV-OC43 e del virus influenzale A/H1N1 su tutte le matrici e di Echovirus 7 solo sul polipropilene. Su cotone e acciaio i titoli virali post-trattamento di Echovirus 7 erano rispettivamente di 1.5 e 10 TCID50.

Il trattamento con vapore ha prodotto una riduzione del titolo virale uguale o superiore a 4 log (99.99%) per ogni virus testato e su ogni materiale. L’acqua di scarico del cestello si è dimostrata priva di Echovirus 7, suggerendo che il virus non è stato semplicemente aspirato e poi trattenuto nell’acqua, ma inattivato dal calore.

CONCLUSIONI

La disinfezione con vapore si è dimostrata efficace nell’inattivare i tre virus testati. È importante sottolineare che l’inattivazione è avvenuta nei confronti di cariche virali più elevate rispetto a quelle che si possono trovare abitualmente sulle superfici ambientali e si è realizzata in tempi estremamente brevi rispetto ai trattamenti chimici. La possibilità di pulire e igienizzare tramite vapore rappresenta una pratica efficace e a basso impatto ambientale e può essere proposta come una valida alternativa alla disinfezione chimica in ambienti comunitari con particolare riferimento a scuole, uffici, ristoranti, palestre, strutture socio-assistenziali e mezzi di trasporto.

BIBLIOGRAFIA

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Conoscenza dei campi elettromagnetici

FRANCESCO MAZZITELLI 1, RAFFAELE SQUERI 1, CRISTINA GENOVESE 1, SMERALDA D’AMATO 1, VALERIA ALESSI 1, VINCENZA LA FAUCI 1

Abstract

INTRODUZIONE

I campi elettromagnetici sono ubiquitari nell’ambiente e possono essere generati sia da sorgenti naturali (elettricità nell’atmosfera e campo magnetico terrestre), che da sorgenti artificiali (elettrodomestici, radio, televisioni, smartphone). Il progresso tecnologico ha portato a un aumento esponenziale dei campi elettromagnetici e la poca conoscenza dell’argomento genera degli interrogativi molto importanti, primo fra tutti gli effetti dell’esposizione sulla salute umana.

MATERIALI E METODI

L’indagine è stata condotta da marzo a ottobre 2020 con la somministrazione di un questionario anonimo, diffuso online attraverso i social network e basato su domande a scelta multipla. Il questionario ha permesso di raccogliere informazioni anagrafiche e socio-economiche nonché informazioni sull’interesse verso il fenomeno dell’esposizione umana ai campi elettromagnetici (spesso noto come “elettrosmog” o “inquinamento elettromagnetico”), le reali conoscenze e i comportamenti nei confronti delle sorgenti elettromagnetiche, in particolare verso quelle di uso quotidiano.

RISULTATI

Hanno risposto al questionario 316 soggetti, di cui il 70.9% femmine e i 29.1% maschi con una età media di 23.6. Dall’analisi dei risultati emerge che l’85.1% è a conoscenza che i campi elettromagnetici sono sia naturali che artificiali, il 55.7% del campione pensa che i campi elettromagnetici siano dannosi per la salute e il 13% non si è mai posto il problema. La maggior parte del campione conosce i principali oggetti di uso quotidiano che possono emettere onde elettromagnetiche (computer 85.8%, televisore 76.5%, dispositivi wifi 84.2%). Il 77.8% utilizza incostantemente sistemi vivavoce o auricolari per il proprio smartphone. Il 59.8% utilizza lo smartphone per telefonate di pochi minuti. Dall’analisi del campione emerge, inoltre, che durante le ore notturne il 70.5% non spegne lo smartphone, il 48.1% non spegne il televisore, il 27.2% non spegne il computer e l’82% non spegne il router wi-fi.

CONCLUSIONI

Da una prima analisi dei dati si individua una buona conoscenza delle definizioni di campo elettromagnetico e di elettrosmog e delle principali fonti di uso quotidiano di campi elettromagnetici. Poco più della metà crede che questi possono essere dannosi per la salute umana. Per quanto riguarda i comportamenti intrapresi si evidenzia come una percentuale elevata del campione utilizzi il proprio smartphone saltuariamente con sistema vivavoce o auricolari, una percentuale elevata non applica delle semplici misure di prevenzione come spegnere i dispositivi che emettono onde elettromagnetiche durante le ore notturne. La nostra ricerca evidenzia a differenza di studi precedenti condotti a livello europeo una maggiore consapevolezza del significato di elettromagnetismo, e dei dispositivi artificiali che possono emettere campi elettromagnetici, inoltre rileva un livello di preoccupazione maggiore sugli effetti che questi dispositivi possono avere sulla salute infatti solo il 9.2% del campione non manifesta preoccupazione [1].

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Airborne microorganisms inactivation with a UV-C led and ionizer-based Continuous Sanitation Air (CSA) system in trains environment

GIULIA BALDELLI 1, MATTIA PAOLO ALIANO 1, GIULIA AMAGLIANI 1, GIUSEPPE TORRESAN 2, MAURO MAGNANI 1, GIORGIO BRANDI 1, GIUDITTA FIORELLA SCHIAVANO 3

Abstract

INTRODUCTION

Air quality monitoring and maintenance are important aspects to be considered in working environments, hospitals, indoor spaces, and public transportation. The indoor environments air can affect the health conditions of people living and working in, being a dynamic phenomenon influenced by the presence of different microorganisms, physical and chemical factors, pollutants, and particulate matter [1].

Several methods have been tested to sanitize the indoor air, with particular attention for those environments in which a lot of people can be in contact with airborne pathogens, at the same time [2-5]. UV-C has been recognized as a powerful, safe and chemical-free disinfection method. It has been shown that UV-C based systems are effective in indoor air purification devices [6,7].

However, no scientific data about sanitizing systems in trains have been reported, yet.

Since that in some trains a great percentage of the air is recycled [8] and that they can be overcrowded environments, the presence of sanitation air systems able to maintain low levels of microorganisms and air pollutants is essential. The aim of this study was to evaluate the air sanitation efficacy of a UV-C led-based CSA system to be installed in train heating, ventilation, and air conditioning (HVAC) settings.

MATERIALS AND METHODS

The CSA system was projected by AF Frigo Clima Impianti S.r.l. (Bomporto, Italy) and its detailed characteristics are covered by an international patent application (PCT/IB2020/057850). The CSA system, which operates in continuous, is composed of an electrostatic space charge system (ESCS), an ISO Coarse > 90% filter [9], and UV-C led. Moreover, it is equipped with an artificial intelligence able to monitor air pollutant levels through an innovative control unit and to increase UV-C led and ionizer potency in case of a high amount of perceived air pollutants.

In accordance with the ISO 15714:2019 Method of evaluating the UV dose to airborne microorganisms transiting in-duct ultraviolet germicidal irradiation devices [10], the CSA system efficacy was tested in a test rig simulating working conditions of an in-duct UV-C device. Three microorganisms with different UV-C susceptibility were considered: Escherichia coli (ATCC 25922), Bacillus subtilis (ATCC 6633) and Cladosporium spp. A Collison nebulizer (PALAS GmbH) was used to nebulize into the test rig suspensions of test microorganisms with starting microbial concentrations from 106 to 108 CFU/ml.

Moreover, the sanitation efficacy was investigated at three different airflow rates: 1,000, 2,000 and 3,000 m3/h.

The air samples were collected with an aerosol sampler (Surface Air System, SAS, PBI International), for viable microbial analysis. In the test rig, three samplings were taken in every test: one upstream the CSA system, and two downstream, before and after CSA system activation. For each test, the air was sampled twice, with independent aerosolization.

The CSA system efficacy was expressed as inactivation rate (IR%) against the tested microorganisms, calculating the difference between the colonies counted in the plates with and without the CSA system action. Furthermore, the contribution of each component of the CSA system (ESCS and UV-C led) in air sanitation was separately assessed, evaluating the IR% determined by each component, at an airflow rate of 3,000 m3/h.

RESULTS

Results showed that the microbial concentrations achieved by nebulization of the different bacterial suspensions into the test rig were in compliance with those recommended by the above-mentioned standard (103-104 CFU/ml) [10]. The CSA system IR% proved to be higher with B. subtilis and E. coli, which are the bacterial species with the highest UV-C susceptibility among those tested [10].

For all the microbial species, the CSA system sanitation efficacy was inversely related to the applied airflow rate. At an airflow rate of 1,000, 2,000, 3,000 m3/h, the CSA system determined a 99.19, 99.14, 98.92 IR% with E. coli, 100, 100, 99.5 IR% with B. subtilis, and 69.45, 67.94, 67.88 IR% with Cladosporium spp., respectively.

Furthermore, when the contribution of each CSA system component in inducing air sanitation was separately considered, results showed that the UV-C led gave the greatest contribution to the final efficacy, resulting in a 96.88 IR%. Filter and ESCS alone led to 88.69% IR% and 89.48 IR%, respectively.

CONCLUSIONS

The CSA system showed an optimal efficacy in E. coli and B. subtilis inactivation, while reduced the viability of Cladosporium spp. to a less extent.

It can be excluded that either the filter or the ESCS alone may have sufficient efficacy to achieve high levels of retention or inactivation, highlighting the importance of this integrated approach in projecting a novel CSA system for HVAC train settings.

Further experiments will be performed installing the CSA system in the HVAC setting of a Vivalto train, in collaboration with Hitachi Rail S.p.a. and Trenitalia S.p.a.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Influenza dei professionisti sanitari sulle abitudini alimentari: un’indagine preliminare a Parma

GIUSEPPE STIRPARO 1, LORENZO BELLINI 1, ROBERTO CROCI 1, PIETRO PIAZZA 1, ANNA ODONE 1, CESIRA PASQUARELLA 2, CARLO SIGNORELLI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Le patologie cronico-degenerative rappresentano la prima causa di morte [1]. Abitudini alimentari scorrette favoriscono l’insorgenza di numerose di queste patologie, tra cui le malattie cardiocircolatorie, l’obesità, il diabete mellito tipo 2. Secondo le evidenze raccolte in numerosi studi, una completa aderenza alla dieta mediterranea rappresenta invece un fattore protettivo [2-4]. Nonostante le numerose campagne di prevenzione [5,6], ancora oggi la popolazione generale mostra abitudini nutrizionali non corrette [7-9]. Le scelte alimentari individuali sono influenzate principalmente da fattori socioculturali, quali il luogo di residenza, l’età, il livello di istruzione e i livelli di stress percepito [10]. L’industria alimentare si avvale di una serie di campagne pubblicitarie mirate alla promozione dei propri prodotti. Queste possono portare a una modifica delle abitudini alimentari da parte della popolazione [11-14]. I social media hanno ulteriormente modificato questo complesso scenario, aggiungendo ulteriori fattori di rischio e persino modificando la nosografia dei disturbi della condotta alimentare (DCA) [15]. Scopo di questa indagine sul campo è stato di ottenere alcuni dati preliminari riguardo l’azione esercitata da differenti fonti di informazione sulla modifica delle abitudini e degli stili alimentari nella popolazione di Parma.

MATERIALI E METODI

In occasione della giornata contro l’obesità istituita il 10 ottobre, durante una campagna promossa dal gruppo di lavoro SIMED, è stato distribuito un questionario compilato dai passanti su base volontaria. Tale questionario era composto da 7 domande a risposta chiusa. Su un totale di 220 soggetti raggiunti, sono state intervistate 162 persone (72%).

RISULTATI

La popolazione intervistata presentava le seguenti caratteristiche demografiche: età media 38 anni (range 21-76 anni), rapporto F/M 1,2 (femmine = 89, 54.9%). Per ogni domanda analizzata, l’intero campione è stato suddiviso in tre fasce d’età (0-29 anni, 30-49 anni, 50-80 anni). La maggior parte dei soggetti intervistati (51%) è risultata sensibile a campagne informative che accentuassero gli aspetti nutrizionali di alcuni alimenti frequentemente pubblicizzati come “salutari” (cibi senza glutine, acque oligominerali con basso residuo fisso); una cospicua minoranza (39%) definisce il proprio regime alimentare come “dieta mediterranea” e poco più di un terzo (36%) dichiara di avere modificato la propria dieta con l’ausilio di un professionista sanitario. Alla domanda numero 7, il 60% del campione ha risposto “sì” (n = 96), in maniera uniformemente distribuita tra le 3 fasce d’età individuata (X2 = 1,82, p > 0,05, test Chi-quadro con 2 gradi di libertà). Stratificando invece le risposte ottenute per sesso, si evince una maggiore propensione dei soggetti di sesso maschile a rispondere affermativamente (X2 = 6,58, p < 0,05, test Chi-quadro con 1 grado di libertà).

CONCLUSIONI

La maggior parte degli intervistati crede che la figura del medico pesi più dei media nella scelta alimentare. Tale risposta non è influenzata dalla età del soggetto, ma solo dal sesso. In merito ai cambiamenti delle abitudini alimentari, risulta un passaggio fondamentale il raggiungimento dell’indipendenza economica dal nucleo familiare. Il bias più importante nel quale incorrono tutti i questionari legati alle abitudini alimentari è la ben documentata tendenza dei soggetti a fornire risposte socialmente desiderabili, anche se non veritiere. Un altro possibile bias, specifico della presente indagine e che può avere influenzato l’elevata proporzione di soggetti che hanno dichiarato di attenersi alla dieta mediterranea è che la raccolta dei dati è avvenuta in maniera cross-sectional e in una occasione specifica. Internet risulta essere il canale di informazione che maggiormente influenza le scelte alimentari sembra essere internet.

In un ristretto campione di intervistati raccolto durante una giornata dedicata alla prevenzione dell’obesità, si è riscontrato che il consiglio del medico risulta influenzare le scelte alimentari in misura maggiore rispetto ad altre fonti di informazione.

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Valutazione quali-quantitativa degli spot alimentari televisivi rivolti ai bambini italiani

DANIELE NUCCI 1, FILIPPO RABICA 2, CRISTINA FATIGONI 2, VINCENZA GIANFREDI 3

Abstract

INTRODUZIONE

Abitudini alimentari non corrette sono uno dei principali fattori di rischio per il sovrappeso/obesità sia negli adulti, che nei bambini. L’obesità è definita come “un eccesso di tessuto adiposo in grado di indurre un aumento significativo di rischi per la salute” [1]. Secondo crescenti evidenze, il marketing alimentare può giocare un ruolo importante nell’aumentare il rischio di sviluppare sia il sovrappeso che l’obesità [2]. Lo scopo di questo studio è stato quello di monitorare la quantità e le caratteristiche del marketing alimentare televisivo rivolto ai bambini italiani.

MATERIALI E METODI

I 5 canali televisivi più frequentemente guardati dai bambini sono stati identificati mediante questionario somministrato a un campione di 33 genitori arruolati su base volontaria. Il questionario è stato sviluppato ad hoc e autosomministrato on-line. Per valutare il marketing televisivo di alimenti e bevande pubblicizzate ai bambini, è stato utilizzato lo strumento Monitoring Food and Beverage Marketing to Children via Television dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [3]. Le variabili di esposizione prese in considerazione per l’analisi sono state: il tipo di prodotto reclamizzato, l’orario di messa in onda, il tipo di canale televisivo, la popolazione target del canale. I prodotti alimentari sono stati considerati core se avevano un profilo nutrizionale in grado di fornire adeguatamente all’organismo tutti i nutrienti essenziali richiesti, mentre sono stati definiti come non core gli alimenti che fornivano un surplus, in termini di nutrienti o di energia, rispetto alle esigenze nutrizionali. L’orario di punta è stato definito come il periodo di tempo durante il quale la percentuale di bambini che guarda la televisione è superiore al 25%. È stato inoltre valutato il potere delle tecniche persuasive. I prodotti alimentari sono stati classificati come prodotti core o non core sulla base del loro profilo nutrizionale.

RISULTATI

Sono state analizzate 320 ore di trasmissioni televisive, durante le quali si sono identificate 51,7 ore di pubblicità. Gli alimenti e le bevande sono stati i secondi prodotti più frequentemente pubblicizzati (dopo i giocattoli), con una media di 6 spot di cibo e bevande all’ora durante l’orario di punta. Un totale del 23.8% degli annunci di cibo è stato registrato durante la fascia oraria delle 15:00. Considerando gli spot di cibo e bevande, “l’umorismo” è stata la tecnica persuasiva primaria più utilizzata, mentre “l’immagine del prodotto/confezione” era la tecnica persuasiva secondaria più comunemente utilizzata. Il 94.3% dei prodotti specificamente destinati ai bambini sono stati classificati come non-core.

CONCLUSIONI

I nostri risultati indicano che gli alimenti core sono altamente sottorappresentati negli spot televisivi, specialmente durante i programmi televisivi rivolti ai bambini, e in particolare durante le ore di punta. I nostri dati confermano il ruolo chiave del marketing alimentare televisivo nell’influenzare le scelte alimentari dei bambini. Questo potrebbe ulteriormente contribuire alla diffusione dell’obesità infantile, andando a incrementare i già alti tassi di prevalenza. I risultati della presente indagine possono essere estremamente utili per i decisori politici [4], poiché tali dati dovrebbero richiamare l’attenzione sull’importanza di sostenere un marketing alimentare sano, cercando di ridurre sia l’esposizione dei bambini a un elevato numero di spot alimentari, per altro di prodotti considerati non-core, ma anche limitare l’utilizzo di tecniche persuasive che incentivino l’acquistare di tali prodotti.

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Application of the PCR-based replicon typing (PBRT) method to trace antimicrobial resistance plasmids in the food chain

ILARIA RUSSO 1, DANIELA BENCARDINO 1, FRANCESCA ANDREONI 1, GIUDITTA FIORELLA SCHIAVANO 2, MAIRA NAPOLEONI 3, GIORGIO BRANDI 1, GIULIA AMAGLIANI 1

Abstract

INTRODUCTION

Antimicrobial resistance (AMR) is the capacity of microorganisms to resist medicines used to treat infections and represents a major global threat of increasing concern. Antimicrobial use in agriculture and farming contributes to the emergence of AMR, and food systems play an important role in its development and spread. Food can become contaminated with AMR bacteria carrying antimicrobial resistance genes (ARGs) at every stages of the food chain, serving as a vehicle of foodborne exposure to resistant bacteria.

They may also serve as a source of ARGs that can be acquired by other microorganisms in the gastrointestinal tract, including human pathogens, mainly through mobile genetic elements (i.e. plasmids) by horizontal gene transfer (HGT). Plasmids are the main vectors of ARGs in Enterobacteriaceae and plasmid typing is essential for the analysis of evolution and spread of AMR in the food chain. This can be accomplished through the application of the PCR-based replicon typing (PBRT) method, that allows fast and easy identification of resistance plasmids through replicons detection [1].

In 2018, salmonellosis was the second bacterial foodborne zoonosis in the EU [2]; the isolation from food of Salmonella strains resistant to tetracycline, ampicillin, nalidixic acid and trimethoprim/sulfamethoxazole has been recently reported, at the European level [3] and in Italy [4].

The aims of the study were: the epidemiological investigation about the circulation of AMR Salmonella strains in Marche region; the molecular characterization of the main resistance plasmids carried by Salmonella strains isolated at different levels in the food chain and of human origin, in order to trace their potential spread.

MATERIALS AND METHODS

Epidemiological data about Salmonella prevalence in food, animals, food-related environments and humans were retrieved from official reports [2,5-8], and scientific literature [4]. Information about AMR in Salmonella was also obtained [3,6-8].

AMR and multidrugresistant (MDR) Salmonella strains were provided by the Regional Reference Center for Pathogenic Enterobacteria (CRREP) of IZSUM. Total bacterial DNA was amplified with the PBRT 2.0 Kit (Diatheva, Fano, Italy), able to identify, through 8 multiplex PCRs targeting 30 replicons, the presence of the main Enterobacteriaceae resistance plasmids. The amplicons recognized by the PBRT kit were analyzed by capillary electrophoresis with an AATI Fragment Analyzer (Agilent, Santa Clara, CA, USA).

RESULTS

Epidemiological data highlight that Salmonella spp. showed an increasing trend in the last three years in human and veterinary samples in Italy. S. Infantis, the Monophasic Variant of Salmonella Typhimurium (MVST), S. Bredeney, S. Derby and S. Typhimurium are the most prevalent serovars in food and veterinary samples, and data of Marche Region are in accordance with national information. Poultry is the animal species most often contaminated with Salmonella. At the EU level, S. Bredeney is replaced by S. Enteritidis among the “top five serovars”. The same serovars are also the most diffused in human infections.

Salmonella strains of Marche Region showed resistance mainly to tetracycline and ampicillin followed by nalidixic acid, trimethoprim/sulfamethoxazole and cefotaxime. Intermediate resistance to ciprofloxacin was found in veterinary and human strains.

Concerning resistance plasmid distribution, 26/52 strains tested positive for at least one replicon (69% 1 replicon, 23% 2, and 8% 3 replicons). In our study, and in accordance with previous data about Salmonella, FIIS and FII (IncF incompatibility group) are the most frequently detected replicons. IncF plasmids confer resistance to all major classes of antimicrobials, including β-lactams, aminoglycosides, tetracyclines, chloramphenicol, and quinolones [9].

However, replicon distribution was different among serovars. Strains of the serovar S. Typhimurium were those in which replicons were detected most frequently, while the most heterogeneity was detected in S. Derby (4 different replicons distributed in distinct strains).

Replicons of different types were found mainly in food and human strains. FIB, FII, X1 were found in animal, food and human strains. FIIS, I1α and FII were found in food and human strains. X4 was found in all sample sources.

CONCLUSIONS

Surveillance of AMR and antimicrobial use in primary food production environments is crucial to obtain data necessary for risk assessment and risk management.

The PBRT method is a useful tool to trace the spread of the main resistance plasmids along the food chain. However, a larger number of strains from different sources, including humans, will be needed to provide reliable data and statistical association between AMR phenotype and replicon typing profile, especially in case of MDR.

Results of this study highlight the epidemiological importance of tracing AMR plasmids along the food chain.

Spread of resistance plasmids in the food chain through HGT is highly probable.

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EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE CRONICHE

Associazione tra fitness cardio-respiratoria e sintomi depressivi: the Maastricht Study

VINCENZA GIANFREDI 1, ANNEMARIE KOSTER 2, SIMONE EUSSEN 2, ANNA ODONE 3, ANDREA AMERIO 4, CARLO SIGNORELLI 1, COEN STEHOUWER 2, HANS SAVELBERG 2, ANKE WESSELIUS 2, SEBASTIAN KÖHLER 2, MIRANDA SCHRAM 2, NICOLAAS SCHAPER 2

Abstract

INTRODUZIONE

La depressione rappresenta un contributo significativo al carico globale di malattie e colpisce più di 300 milioni di persone in tutto il mondo. Una persona su sei (16.6%) soffre di depressione almeno una volta nella propria vita, con una probabilità maggiore tra le donne rispetto agli uomini [1]. Generalmente, la depressione compare per la prima volta tra la fine dell’adolescenza e la metà dei 20 anni come risultato di una complessa interazione di fattori sociali, psicologici e biologici [2]. L’esercizio fisico può aiutare a prevenire la depressione [3], tuttavia non è ancora chiaro quali patway psico-biologici siano coinvolti. Il miglioramento della fitness cardio-respiratoria (CRF) secondaria all’esercizio fisico può variare notevolmente da persona a persona. Pertanto, si è voluto esaminare l’associazione tra CRF e incidenza di sintomi depressivi clinicamente rilevanti.

MATERIALI E METODI

The Maastricht study è un ampio studio prospettico di coorte osservazionale basato sulla popolazione. Maggiori dettagli metodologici sono stati precedentemente pubblicati [4]. In breve, lo studio si concentra sull’eziologia, fisiopatologia, complicanze e comorbidità del diabete mellito tipo 2 (T2DM) ed è caratterizzato da un ampio approccio di fenotipico. I soggetti eleggibili erano tutte i soggetti di età compresa tra i 40 e 75 anni e che vivevano nella parte meridionale dei Paesi Bassi. Le persone sono state reclutate tramite campagne di mass media, dai registri municipali e dal registro regionale dei pazienti con diabete tramite posta. La CRF è stata stimata al basale mediante un protocollo di esercizio sottomassimale, l’attività fisica moderata-vigorosa (MVPA) è stata misurata con l’accelerometro per 8 giorni consecutivi. I sintomi depressivi sono stati misurati, al basale e durante i 5 anni di follow-up, usando la versione olandese validata del 9-items Patient Health Questionnaire (PHQ-9) [5]. Per esaminare l’associazione tra CRF e sintomi depressivi, sono stati usati modelli di Cox proportional hazards, e i dati espressi in Hazard Ratio (HR) e Intervallo di Confidenza al 95% (IC 95%).

RISULTATI

Nell’analisi sono stati inclusi 1.730 soggetti senza sintomi depressivi al basale. Durante il follow-up a 5 anni, n = 166 (9.6%) individui hanno sviluppato sintomi depressivi clinicamente rilevanti (PHQ-9 ≥ 10). Rispetto agli individui con un CRF basso, quelli con un CRF moderato-alto avevano un rischio significativamente più basso di sviluppare sintomi depressivi clinicamente rilevanti, indipendentemente dalla MVPA (CRF medio: HR = 0,50 (IC 95% = 0,34-0,74); alto CRF: HR = 0,51 (IC 95% = 0,33-0,79). Queste associazioni sono state aggiustate per età, sesso, livello di istruzione, diabete, fumo, consumo di alcol, intake energetico, circonferenze vita e uso di farmaci antidepressivi.

CONCLUSIONI

Una CRF più elevata è fortemente associata a un minor rischio di insorgenza di sintomi depressivi clinicamente rilevanti nel follow-up a 5 anni, indipendentemente dal livello di MVPA al basale. Ciò suggerisce che gli interventi volti a migliorare la CRF potrebbero ridurre il rischio di depressione.

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Sixfold increase in CPR abilities after a post-degree BLS-D course in young physicians

GIUSEPPE STIRPARO 1, LORENZO BELLINI 1, ROBERTO CROCI 1, VINCENZA GIANFREDI 1, CARLO SIGNORELLI 1

Abstract

INTRODUCTION

Cardiovascular diseases (CVD) represent the first cause of death worldwide [1]. Out-of-Hospital Cardiac Arrest (OHCA) is a common complication of chronic cardiac diseases and, unfortunately, not all patients receive timely treatment [2]. Recent surveys report poor Cardio-Pulmonary-Resuscitation (CPR) performance in the general population [3,4]. Training courses have been shown to improve the proportion of OHCAs receiving CPR by laypeople [5,6]. CPR training is of pivotal importance for medical personnel too [7,8]. Nonetheless, suboptimal performances were reported both in physicians and in medical students [9-11]. To improve CPR skills, practice sessions with manikins and case-based clinical scenarios might be as important as theoretical lectures – if not more so [12-15]. CPR education methods are frequently debated. Previous studies established links between monothematic courses and practical skills attainment [16] which requires physicians to perform quarterly CPR. Many different factors might influence students’ performance [15,17-19]. Clinical protocols in OHCA management are continually evolving. Therefore, medical education must follow through [20]. Aim of the current study is to assess the impact of a single Basic Life Support - Defibrillation (BLS-D) course, taught as per the American Heart Association (AHA) guidelines, on recently-graduate physicians’ (RGP) CPR performance.

MATERIALS AND METHODS

From January to December 2018, a monocentric study was conducted during a SIMED’s training campaign, based on a Northern Italy medical school. A total of 120 RGPs – defined as all medical doctors within 12 months of graduation – was recruited. The cohort was divided into 20 groups composed of 6 RGPs each. Individual performances were evaluated by three baseline tests (before-course), and one final test (after-course). McNemar’s Chi-squared test with continuity correction was used to assess differences in CPR performances (before vs after the course).

RESULTS

Sample sociodemographic features

Among the 120 RGPs, mean age was 26 years old (range: 22-30). Male-to-female ratio was 0.79 (53 male, 67 female).

Baseline tests characteristics

Test 1 assessed knowledge levels about out-of-hospital chain of survival as per the BLS guidelines by AHA [21]. Test 2 involved carrying out all CPR maneuvers on adult manikins for 2 minutes total, while receiving feedback by an instructor. In test 1 we classified the test result as fail with one error in the explanation and test 2 with one error in the execution. In Test 3, participants were asked to perform CPR on manikins with digital feedback through/via QCPR Training App (Trademark?). Evaluation for all baseline tests was dichotomous (pass/fail), with passing grades set at 60%.

Baseline tests results

Slighlty less than half the sample passed Test 1 (pass: 59 RGPs, 49.17%), while less than a third (n = 37, 30.83%) were capable of perfoming CPR correctly. In test 3, only 19 RGPs (15.83%) managed to carry out effective feedback-assisted CPR maneuvers.

Course

A “classic” BLS-D course was then administered as per the AHA guidelines [21]. Additionally, participants were instructed to perform both P-BLS-D (pediatric BLS-D) and neonatal BLS on neonates using manikins.

Final (post-course) test

Students were asked to repeat test 3. The final performance was assessed 60% Following the course, a striking majority of the sample (n = 111) showed proficiency in delivering quality CPR. Compared to pre-test performances, the proportion of RGPs rised from 15.83 to 92.5%, with substantial statistical significance (McNemar’s chi-squared = 90.011, df = 1, p-value < 2.2e-16).

CONCLUSIONS

Ragazzoni et al. pointed out an overall lack of practical training in medical emergencies in Italian medical schools’ curricula [8]. Quality CPR can be guaranteed only through specific courses attendance by both laypeople, as observed by Tay et al. [5], and medical personnel, as Binkhorst et al. argue [11]. We report an almost sixfold increase (+76.67%) in CPR performance in a monocentric sample of young physicians following a specific course. Lee et al. [17] emphasize that courses must be taught following clear and specific guidelines, as even minor inconsistencies may jeopardize students’ final performance. We posit that the high increase in our sample’s tecnhnical abilities might be partially justified by the courses’ strict adherence to AHA guidelines. The current study has several limitations. The main weakness is the short time span from learning to testing, which may have considerably biased final scoring. The monocentric nature of the study is both a weakness, as it constitutes an important limit to its external validity, and a strenght. Having selected the sample from a single university reduced a source of variability due to differences in academic curricula. Strenghts of the study included the objective nature of the final test, since the feedback upon which final grading was calculated was provided by an in-built digital system (smartphone application).

In our sample, a practical BLS-D course, delivered as per the latest AHA guidelines, has shown a statistically significant improvement in CPR performance. Devising strategies to spread and incentivize such courses for medical personnel might contribute to curbing intra-hospital mortality for cardiac arrest.

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Impatto del lockdown su salute mentale e stili di vita: revisione delle principali evidenze

GIANSANTO MOSCONI 1, PETRA GIULIA DELLA VALLE 1

Abstract

INTRODUZIONE

La malattia da coronavirus 2019 (COVID-19), indotta da SARS-CoV-2 e segnalata per la prima volta alla fine del mese di dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, ha determinato rapidamente una situazione epidemica emergente, diffondendosi in breve tempo al di fuori del Paese e, successivamente, del continente asiatico, fino a essere dichiarata pandemica l’11 marzo 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [1-4].

In queste circostanze, diversi dei Paesi coinvolti hanno iniziato ad applicare restrizioni e severe misure di allontanamento sociale per limitare la diffusione del contagio e le schiaccianti richieste di cure mediche [5,6].

In Italia, la pandemia ha avuto un impatto gravoso sul Servizio Sanitario Nazionale e un alto costo in termini di vite umane [6-8].

La necessità di contenere la diffusione del contagio ha spinto il governo italiano a disporre un lock-down nazionale il 9 marzo 2020: per 69 giorni, tutti i cittadini non impiegati in attività considerate indispensabili sono stati costretti al confinamento entro le mura domestiche, con possibilità di spostamento riservate a poche eccezioni [5].

Sebbene la quarantena di massa possa essere ritenuta una misura efficace ai fini del contenimento delle malattie contagios [9,10], i suoi potenziali benefici andrebbero attentamente valutati rispetto ai loro effetti sui determinanti della salute e in particolare sul benessere psichico.

Le raccomandazioni volte alla tutela della salute pubblica e le misure preventive adottate hanno avuto un risvolto significativo sugli stili di vita e sulle dinamiche intra-familiari. Le implicazioni dirette hanno incluso l’interruzione dell’attività lavorativa e il confinamento all’interno della propria abitazione, mentre, indirettamente, le restrizioni hanno impattato sulla disponibilità di cibo, sulla qualità della dieta, sulla routine quotidiana, sull’accesso a contesti pubblici ricreativi, sulle attività sociali e sulla sicurezza finanziaria [11-15].

Come appreso dalle esperienze di precedenti emergenze sanitarie, come le epidemie di SARS e di MERS, la disposizione di periodi di quarantena si associa a un’elevata prevalenza di forme di disagio psicologico, in particolare: umore depresso, irritabilità, disturbi emotivi, rabbia, insonnia, disturbo da stress post-traumatico e sintomi depressivi [16-21].

L’isolamento sociale e l’insicurezza economica sembrerebbero favorire l’ideazione e il comportamento suicidario tra i soggetti a rischio [19].

Sono stati segnalati anche effetti a lungo termine, quali: disturbi depressivi, abuso di alcol, ricorso all’automedicazione e comportamento evitante [22].

Diversi disturbi psicologici possono costituire un fattore predisponente al gioco d’azzardo patologico [23] e, in passato è stato osservato che crisi finanziarie nazionali o internazionali hanno influenzato e/o esacerbato questo tipo di comportamenti [24]; è possibile che la pandemia abbia avuto risvolti anche sulle caratteristiche e sull’entità di tale fenomeno.

Obiettivo del presente lavoro è quello di condurre una serie di revisioni sistematiche di letteratura al fine di quantificare e descrivere l’impatto che diverse dimensioni dell’emergenza da COVID-19 e delle misure di contenimento adottate hanno avuto su salute mentale e stili di vita.

MATERIALI E METODI

La ricerca è ricompresa nel lavoro condotto nel contesto di tre progetti di ricerca finanziati finalizzati a stimare l’impatto del lockdown nazionale su salute mentale, accesso alle cure e stili di vita nella popolazione italiana e nella popolazione anziana e fragile residente nel territorio lombardo. Sono stati sviluppati protocolli ad hoc per la conduzione di revisioni sistematiche su selezionati quesiti di ricerca, secondo le linee guida PRISMA. Nello specifico, le revisioni condotte a supporto degli studi trasversali hanno riguardato i seguenti argomenti:

Impatto dell’emergenza COVID-19 su: 1) abitudini alimentari e pattern nutrizionali; 2) consumo di alcol; 3) abitudini tabagiche e fumo; 4) gioco d’azzardo, gambling e gaming; 5) aspetti sociali, comportamentali ed economici; 6) offerta/accesso alle cure non-COVID; 7) salute mentale (ansia, depressione, sonno, impulsività). La presentazione verterà sulla presentazione delle metodologie e risultati preliminari dei progetti di ricerca e sulla sintesi critica delle principali evidenze raccolte dalle revisioni sistematiche di letteratura.

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Associazione tra health literacy adeguata e adesione allo screening oncologico: una revisione sistematica e meta-analisi

CLAUDIA ISONNE 1, VALENTINA BACCOLINI 1, CARLA SALERNO 1, MONICA GIFFI 1, GIUSEPPE MIGLIARA 1, ELENA MAZZALAI 1, FEDERICA TURATTO 1, CAROLINA MARZUILLO 1, CORRADO DE VITO 1, PAOLO VILLARI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Gli screening oncologici rappresentano al giorno d’oggi un metodo costo-efficace per una diagnosi precoce di alcuni tipi di tumore, con una conseguente riduzione della mortalità a essi associata [1]. Tra i fattori che influiscono sulla adesione a tali procedure, l’health literacy (HL) assume un ruolo fondamentale; livelli bassi di HL sono infatti stati associati a minore utilizzo di servizi di medicina preventiva [2,3]. Per questo motivo, un numero crescente di studi ha indagato l’influenza dell’HL sulla adesione allo screening oncologico e dai risultati ottenuti è emersa una possibile associazione tra i livelli di HL e la decisione di sottoporsi agli screening disponibili [4]. Ciononostante, i dati ottenuti non sono sempre consistenti con risultati spesso non generalizzabili [5,6]. Lo scopo di questo revisione sistematica e meta-analisi è stato quindi quello di riassumere le evidenze sulla associazione tra l’HL adeguata (AHL) e l’adesione della popolazione ai programmi di screening oncologico, fornendo una sintesi quantitativa dei risultati.

MATERIALI E METODI

La ricerca sistematica delle evidenze disponibili è stata effettuata a marzo 2020 e aggiornata a luglio 2020 utilizzando PubMed, Web of Science e Scopus. Sono stati inclusi gli studi trasversali, condotti in qualunque paese del mondo e senza limitazione di lingua che analizzavano la popolazione maggiorenne e che fornivano dati sulla associazione tra AHL e aderenza a qualsiasi tipo di screening oncologico. Come outcome è stato considerato l’aver aderito a un programma di screening una volta nella vita o nell’ultimo periodo (3-5 anni). Per la valutazione della qualità degli studi è stata utilizzata la Newcastle-Ottawa Scale adattata per studi trasversali. Il modello a effetti random con i pesi basati sull’inverso della varianza è stato utilizzato per condurre le meta-analisi e quindi produrre odds ratio (OR) combinati con il loro relativo intervallo di confidenza al 95% (IC 95%) per ogni tipo di tumore, considerando separatamente le stima aggiustate e quelle non aggiustate.

RISULTATI

Da un totale di 3.971 articoli ne sono stati inclusi 19 nella revisione sistematica, i quali sono stati giudicati di qualità eterogenea e hanno fornito dati per un totale di 27 stime di associazione (12 stime non aggiustate e 15 aggiustate). Dalle analisi condotte, è emerso che la AHL è associata all’adesione allo screening per il tumore della mammella sia all’analisi univariata (n = 5, OR = 1.74; IC 95%: 1.08-2.80) che all’analisi multivariata (n = 7, aOR = 1.73; IC 95%: 1.27-2.36). Per il tumore della cervice uterina e per il tumore colorettale i risultati mostrano un’associazione tra AHL e l’adesione allo screening non significativa all’analisi univariata (n = 2, OR = 4.51; IC 95%: 0.33-62.26 e n = 5, OR = 1.19; IC 95%: 0.89-1.58), che in entrambi i casi è diventata significativa all’analisi multivariata (cervice uterina: n = 3, aOR = 1.64; IC 95%: 1.30-2.09; e colon-retto: n = 5, aOR = 1.25, IC 95%: 1.12-1.40).

CONCLUSIONI

In questo studio l’associazione statisticamente significativa all’analisi multivariata tra AHL e aderenza allo screening per tutti i tipi di tumore analizzati potrebbe indicare che, correggendo per altri fattori come ad esempio il livello di istruzione, il livello socioeconomico, e l’etnia, il livello di HL rimane un predittore indipendente dell’adesione. Questi risultati sono concordi con la letteratura scientifica, confermando il ruolo dell’HL come determinante sociale di salute [7]. Molti studi suggeriscono infatti che l’accesso degli individui ai servizi sanitari è fortemente dipendente dai livelli di alfabetizzazione sanitaria [8,9]. Sono pertanto necessari ulteriori sforzi per implementare programmi che valutino l’HL nella popolazione al fine di mettere in atto strategie per aumentare le conoscenze e le competenze in termini di salute tra la popolazione.

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Associazione tra contraccettivi orali e melanoma maligno cutaneo: revisione sistematica della letteratura e meta-analisi

IRENE GIACCHETTA 1, MANUELA CHIAVARINI 2, GIULIA NALDINI 1, ROBERTO FABIANI 3

Abstract

INTRODUZIONE

Il melanoma cutaneo mostra un’incidenza in aumento in tutto il mondo, ma colpisce differentemente il sesso maschile e quello femminile [1, 2]. La probabilità di sviluppare un melanoma maligno cutaneo invasivo è più alta nel sesso femminile rispetto al sesso maschile fino all’età di 49 anni [3]. Molti studi hanno indagato l’associazione tra ormoni sessuali esogeni e melanoma cutaneo [4]. Lo scopo di questa revisione sistematica e meta-analisi è riassumere le evidenze sulla possibile associazione tra uso di contraccettivi orali e il rischio di melanoma cutaneo.

MATERIALI E METODI

È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura fino a dicembre 2019, esaminando i database Medline, Scopus e Web of Science. Due autori hanno selezionato in maniera indipendente gli articoli in base a titolo, abstract e testo completo ed è stata effettuata una revisione manuale delle voci bibliografiche di quelli selezionati. Sono stati inclusi nella revisione gli articoli che riportavano una stima del rischio di melanoma cutaneo nelle donne che assumono contraccettivi orali, evidenziando primo autore e anno di pubblicazione, disegno di studio e principali risultati. La meta-analisi è stata condotta secondo la metodologia PRISMA [5]. I test di eterogeneità sono stati eseguiti utilizzando le statistiche Q e I2 di Cochran. Il bias di pubblicazione è stato valutato con il test di Egger e il test di Begg.

RISULTATI

La revisione sistematica comprende 38 studi selezionati (25 studi caso controllo e 13 studi di coorte). La meta-analisi condotta sui 25 studi inclusi non ha mostrato alcuna associazione significativa tra uso di contraccettivi orali e il rischio di melanoma cutaneo (OR = 1,03; IC 95%: 0,95-1,12; I2 = 33.57%, p = 0,05). L’analisi stratificata per disegno di studio non ha evidenziato alcuna associazione significativa tra uso di contraccettivi orali e il rischio di melanoma cutaneo negli studi caso-controllo (OR = 1,00; IC 95%: 0,87-1,16; I2 = 44.57%, p = 0,022) né negli studi di coorte (OR = 1,07; IC 95%: 1,00-1,15; I2 = 0.00%, p = 0,502). Non sono stati rilevati bias di pubblicazione statisticamente significativi.

CONCLUSIONI

I nostri risultati suggeriscono che il rischio di melanoma cutaneo non sia significativamente influenzato dall’uso dei contraccettivi orali. Il ruolo degli ormoni sessuali esogeni nel rischio di melanoma cutaneo rimane controverso e ulteriori studi sono necessari per definire il potenziale ruolo di altri fattori ormonali nella probabilità di sviluppare melanoma cutaneo nelle donne in età riproduttiva

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Associazione tra terapia ormonale sostitutiva in menopausa e melanoma: revisione sistematica della letteratura e meta-analisi

GIULIA NALDINI 1, MANUELA CHIAVARINI 2, IRENE GIACCHETTA 1, ROBERTO FABIANI 3

Abstract

INTRODUZIONE

L’incidenza di melanoma cutaneo è in aumento nel mondo [1, 2]. Mentre l’incidenza di melanoma cutaneo è maggiore nel sesso femminile durante l’età riproduttiva, dopo la menopausa diminuisce, raggiungendo valori inferiori a quelli osservati nel sesso maschile [3]. Le evidenze su ormoni sessuali esogeni in menopausa e rischio di melanoma cutaneo sono contrastanti e il ruolo della terapia ormonale sostitutiva rimane tuttora controverso [4]. Lo scopo della nostra revisione sistematica e meta-analisi è riassumere le prove sull’associazione tra la terapia ormonale sostitutiva e il rischio di melanoma cutaneo.

MATERIALI E METODI

Lo studio è stato condotto in accordo con il PRISMA Statement [5]. La ricerca delle evidenze (fino a dicembre 2019) è stata condotta su tre database: Medline, Web of Science e Scopus. Il processo di selezione degli articoli è stato condotto in maniera indipendente da due autori, che hanno eseguito anche una revisione manuale delle voci bibliografiche di quelli selezionati al fine di indentificare eventuali ulteriori studi rispondenti ai criteri di inclusione. Sono stati inclusi gli studi che riportavano una valutazione dell’influenza della terapia ormonale sostitutiva sul rischio di melanoma cutaneo. I test di eterogeneità sono stati eseguiti utilizzando le statistiche Q e I2 di Cochran. Il bias di pubblicazione è stato valutato con il test di Egger e il test di Begg.

RISULTATI

La revisione sistematica comprende 20 studi selezionati (9 studi di coorte e 11 studi caso-controllo). La metanalisi ha mostrato un’associazione positiva statisticamente significativa tra terapia ormonale sostitutiva e rischio di melanoma cutaneo (OR = 1,17; IC 95%: 1,09-1,26; I2 = 27.75%, p = 0.158). Non sono stati rilevati bias di pubblicazione statisticamente significativi. L’analisi stratificata per disegno di studio ha mostrato un aumento significativo del rischio di melanoma cutaneo nelle donne che assumono terapia ormonale sostitutiva negli studi di coorte (OR = 1,14; IC 95%: 1,05-1,23; I2 = 9.19%, p = 0.359), ma non negli studi caso-controllo.

CONCLUSIONI

La revisione della letteratura evidenzia una significativa associazione positiva tra rischio di melanoma cutaneo e terapia ormonale sostitutiva, meritevole di ulteriori approfondimenti al fine di escludere eventuali fattori confondenti, aumentare l’affidabilità dei risultati e indagare la rilevanza del ruolo di caratteristiche della terapia quali tipo di ormone assunto e la via di somministrazione nell’associazione.

BIBLIOGRAFIA

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Mode of delivery and offspring obesity and overweight in adult life: a systematic review and meta-analysis

BENEDETTA DE SOCIO 1, ROBERTO FABIANI 2, MIRELLA GIONTELLA 3, MANUELA CHIAVARINI 4

Abstract

INTRODUCTION

Obesity and overweight are one of the most important health problems worldwide. The prevalence of obesity has increased dramatically in the last decades and is now recognized as a global epidemic [1]. Birth by cesarean section (CS) has been shown to influence long-term health outcome. The aim of this systematic review and meta-analysis is to summarize the evidence on the association between mode of birth and offspring BMI in adult life to examine whether cesarean section increases the risk of later overweight and obesity.

MATERIALS AND METHODS

This review and meta-analysis follow the PRISMA and MOOSE guidelines [2]. A systematic literature search was conducted on PubMed, Google Scholar and Web of Science until August 2020. For inclusion, a study must have reported either (I) both mode of delivery and adult (≥ 18 years) offspring BMI; (II) cohort or case-control study design and (III) a risk estimate for the association between mode of birth and BMI. Heterogeneity testing was performed using Cochran’s Q and I2 statistics. Publication bias was assessed by Egger’s test and Begg’s test. Meta-analysis was performed through a random effect model.

RESULTS

Eleven studies with a combined population of 180.408 were included in the meta-analysis. The results showed a significant positive association between CS and the risk of offspring obesity (OR = 1.22; 95% CI: 1.08-1.38); there was no significant association between CS and the risk of offspring overweight in adult life (OR = 1.09; 95% CI: 0.94-1.27). No significant heterogeneity across studies and no publication bias could be detected.

CONCLUSIONS

Results from our meta-analysis indicate that children born by cesarean section have a 22% higher risk of developing obesity in adulthood. Further investigations are needed to evaluate a subgroup analysis by type of CS and age class.

REFERENCES

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Conoscenze, attitudini e comportamenti in tema di prevenzione del tumore del colon-retto in un campione di donne

CONCETTA PAOLA PELULLO 1, GIORGIA DELLA POLLA 1, RAFFAELE LANZANO 1, ANDREA PAOLANTONIO 1, FRANCESCO NAPOLITANO 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

Come è noto, i tumori rappresentano un grave problema di Sanità Pubblica in quanto hanno un impatto rilevante sul sistema sanitario [1]. L’incidenza dei tumori è in aumento, ma per molti pazienti la speranza di vita si sta allungando grazie alla disponibilità di trattamenti sempre più specifici ed efficaci. In particolare, il cancro del colon-retto è il tumore più diffuso in Italia, nel totale tra uomini e donne e, considerando separatamente i due sessi, il secondo più frequente nelle donne [2]. Pertanto, la partecipazione a programmi di screening oltre a consentire di identificare precocemente il tumore, consentirebbe di attuare tempestivamente dei trattamenti più efficaci e meno invasivi e ottenere una riduzione della prevalenza e della mortalità [3,4]. Lo screening del tumore del colon retto prevede che le persone appartenenti alla fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni, sia uomini che donne, siano invitate ogni due anni a eseguire gratuitamente il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci [5]. Secondo le più recenti stime, in Italia nel periodo compreso tra il 2016 e il 2018 nella fascia d’età 50-69 anni, il 47% delle persone si era sottoposto al test di screening per la diagnosi precoce del tumore al colon retto, con diversa distribuzione geografica in tutto il Paese [6]. Pertanto, l’obiettivo della presente indagine è la valutazione di conoscenze, attitudini e comportamenti delle donne in tema di prevenzione del tumore del colon-retto e delle eventuali barriere nell’effettuazione dello screening.

MATERIALI E METODI

L’indagine trasversale è stata condotta, da ottobre a novembre 2019, in un campione di donne nel territorio della Provincia di Napoli. Il questionario, auto-somministrato e anonimo, è stato somministrato alle madri di studenti iscritti presso Scuole Secondarie di II grado e Corsi di Laurea. Il questionario era suddiviso in 3 sezioni: 1) informazioni socio-demografiche e anamnestiche; 2) conoscenze, attitudini e comportamenti in tema di prevenzione dei tumori; 3) fonti di informazioni e bisogno informativo in tema di prevenzione dei tumori.

RISULTATI

L’analisi preliminare dei dati, relativa a 194 donne, ha evidenziato che l’età media è di 53,1 anni (range 50-67 anni), la maggior parte (81.7%) è coniugata, il 44.3% ha conseguito una laurea e il 67.5% lavora. Relativamente alle informazioni anamnestiche, il 49.5% delle donne ha dichiarato di essere affetta da una patologia cronica e il 68% delle donne afferma di aver avuto almeno un caso in famiglia di tumore.

Relativamente alle conoscenze, il 92.3% delle donne sa che ci sono tumori che possono essere identificati in modo precoce. Come evidenziato dall’analisi multivariata, tale conoscenza è più frequente nelle donne che ricevono informazioni in tema di prevenzione dei tumori da medici (p = 0.001) e in coloro che non hanno bisogno di ulteriori informazioni in tema di prevenzione dei tumori (p = 0.035). La percezione media della preoccupazione di sviluppare un tumore è 7,2 in un range compreso tra 1 e 10. Il modello di regressione logistica ha messo in evidenza che la preoccupazione era più alta in coloro che non lavoravano (p = 0,026). Inoltre, il 55.5% delle donne ritiene molto utili i test di screening per l’identificazione precoce dei tumori. Solo il 25.5% delle donne intervistate ha effettuato lo screening per il tumore del colon retto, e tra queste il 55,3% lo ha effettuato negli ultimi e nell’ambito di un programma di screening organizzato. Tra coloro che non hanno effettuato il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci, le motivazioni più frequentemente riportate sono il non aver ricevuto alcun consiglio a effettuarla (25.8%), il non aver ricevuto l’invito allo screening da parte delle ASL (25.5%), la mancanza di tempo (13.7%), e il non avere problemi di salute (6.5%).

CONCLUSIONI

Dai dati preliminari risulta che, nonostante la comprovata importanza dei programmi di screening, solo una bassa percentuale di donne effettua controlli di routine nell’ambito di programmi organizzati. Risulta pertanto necessario implementare specifici programmi educativi per le donne ultracinquantenni, per aumentare l’adesione allo screening oncologico per il tumore del colon retto e sensibilizzarle verso l’adozione di stili di vita più salutari.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Studio delle microparticelle piastriniche e Galectina-3 come possibili biomarcatori per la prevenzione del tromboembolismo venoso

ANTONIO CRISTALDI 1, SALVATORE SANTO SIGNORELLI 2, GEA OLIVERI CONTI 1, MARIA FIORE 1, MARIA GRAZIA ELFIO 3, ILENIA NICOLOSI 1, PIETRO ZUCCARELLO 1, LUCA ZANOLI 2, AGOSTINO GAUDIO 2, DOMENICO DI RAIMONDO 4, MARGHERITA FERRANTE 1

Abstract

INTRODUZIONE

Il tromboembolismo venoso (TEV), che comprende la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP), è la terza patologia più frequente tra le malattie cardiovascolari dopo cardiopatia ischemica e ictus, e gli odierni dati di incidenza mostrano una sua rapida ascesa [1]. La fisiopatologia del TEV è riconducibile alla presenza dei componenti della cosiddetta triade di Virchow: stasi venosa, ipercoagulabilità, danno endoteliale. In particolare, le condizioni ipercoagulative giocano un ruolo fondamentale nell’insorgenza del TEV, caratterizzato da un’elevata aggregazione piastrinica [2-4]. I fattori predisponenti il TEV comprendono sia fattori genetici che ambientali, mediati dallo stress ossidativo (OxS) e dall’infiammazione [5,6]. Sebbene il processo infiammatorio sia già collegato agli eventi di TEV, abbiamo approfondito il potenziale ruolo delle microparticelle (MPs) da degranulazione piastrinica. È fondamentale verificare la correlazione delle MPs con lo OxS nella promozione del TEV e dimostrare la validità di alcuni biomarkers, tra i quali la Galectina-3 (Gal-3), da poter utilizzare per lo screening di individui a rischio di TEV, applicando così un nuovo e alternativo percorso preventivo [7-9]. L’obiettivo del nostro studio, quindi, è stato quello di valutare le MPs piastriniche insieme a un pool di biomarcatori dello OxS e dell’infiammazione in pazienti con TEV attraverso un primo studio pilota di tipo caso-controllo.

MATERIALI E METODI

Sono stati arruolati 36 pazienti ricoverati per TEV (casi) nella divisione di Medicina Generale (Ospedale Universitario G. Rodolico, Catania, Italia) e 36 soggetti sani (controlli). Tutti i soggetti hanno dato il consenso informato a partecipare allo studio e al prelievo di un campione di sangue venoso al mattino, che poi è stato frazionato in provette da siero e da plasma (Na-citrato, EDTA). Sia nei casi che nei controlli è stata eseguita la determinazione analitica di malondialdeide (MDA, μM/L), 4-idrossinonenale (4-HNE, μM/L) e somma delle due, come sostanze reattive all’acido tiobarbiturico (TABRs, μM/L) per valutare lo OxS e la sua gravità. La superossido dismutasi (SOD, U/mL) è stata misurata come marker della capacità antiossidante. La Gal-3 (ng/mL) è stata misurata come potenziale marker di disfunzione delle cellule endoteliali. Infine, è stata effettuata la determinazione delle MPs piastriniche in nM equivalenti di fosfatidilserina (nM PS) e dei fosfolipidi (PLPs, μg/mL), ed è stato eseguito il test del tempo di coagulazione indotto dalla pro-trombinasi (PiCT, secondi) per determinare se esiste una relazione tra numero di MPs e induzione delle trombosi.

RISULTATI

Le MPs non differivano in modo significativo (p = 0,54) tra i casi e i controlli. I valori di PLPs erano più elevati nei casi rispetto ai controlli, mentre il PiCT era ridotto. Nel complesso, i valori dei biomarkers dello OxS (MDA, 4-HNE, TBARs) erano più elevati nei casi rispetto ai controlli, così come i valori di Gal-3, mentre i valori della SOD si presentavano ridotti nei casi rispetto ai controlli. Non sono state riscontrate differenze significative nei biomarkers tra i pazienti in base al tipo di malattia trombotica, a eccezione della SOD (p = 0,00), che era significativamente più alta nei pazienti con TVP rispetto a quelli con EP.

CONCLUSIONI

I risultati ottenuti mostrano come il processo dello OxS è attivato nel TEV, ed è stato riscontrato in pazienti con diagnosi sia di TVP che di EP. Come riportato in altri studi [10,11], sembra esservi una relazione diretta tra i valori aumentati di Gal-3 e l’incidenza del TEV. Di conseguenza, Gal-3 potrebbe essere un interessante nuovo biomarker dell’interazione cellula-cellula e dell’infiammazione nel TEV. Anche i valori più elevati di MDA, 4-HNE e TBARS, nei casi rispetto ai controlli, confermano lo squilibrio redox a favore del percorso pro-ossidativo. La SOD gioca un ruolo importante nella normale funzione piastrinica e nella prevenzione della trombosi, e i livelli più bassi di SOD riscontrati nei casi rispetto ai controlli confermano la ridotta capacità del sistema redox. I valori rilevati di MPs, PiCT e PLPs evidenziano due meccanismi fisiopatologici nel TEV, cioè, una differenza nell’attivazione delle piastrine e una generazione accelerata di trombina, il che favorisce l’attivazione della cascata coagulativa, incrementando il rischio trombotico. Questi meccanismi e la presenza di OxS in pazienti con TEV favoriscono la formazione di coaguli, per cui è possibile ipotizzare una loro compartecipazione nella fisiopatologia del TEV. Tali risultati, pertanto, suggeriscono la possibilità di utilizzare i suddetti biomarkers quali utili strumenti per l’identificazione e la caratterizzazione della popolazione a rischio trombotico.

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Is artificial light-at-night associated with increased breast cancer risk? A systematic review and dose-response meta-analysis

TERESA URBANO 1, MARCO VINCETI 1, TOMMASO FILIPPINI 1

Abstract

INTRODUCTION

Breast cancer, the most common malignancy in women and the second leading cause of cancer death overall, is the most commonly diagnosed cancer in Italy, with over 55.000 newly diagnosis in 2020 based on the Italian Association of Cancer Registries (AIRTUM) estimation. The most convincing evidence indicates that several factors are involved in both etiology and prognosis of this malignancy, including genetic factors, ageing, family history of breast and other cancers, reproductive factors and estrogen receptor status, and lifestyle [1,2]. Beside these, an increasing number of research groups have focused their attention on environmental exposure, and the role of several factors has been investigated over the past years, including high exposure to chemical contaminants, air pollution, and dietary factors [3-7]. In particular, recent studies have investigated the role of lightning exposure during the night. In 2007 the IARC Working Group included night-shift work in the ‘probable human carcinogen [8], and specifically due to possible development of breast cancer [9]. A possible risk factor, also linked to graveyard shift work, has been identified in the higher exposure to light-at-night (LAN). The repeated exposure to artificial light during night hours may disrupt the circadian rhythm and lead breast cancer through different mechanistic pathways including DNA damage and oxidative stress, impairment of excretion of melatonin and estrogen, inflammation and immune function, metabolic function [10]. In this study, we aimed at assessing the epidemiological evidence about the association between LAN exposure and breast cancer risk. Despite some previous reviews already investigated such association [11,12], they did not assess both outdoor and indoor exposure, or could not include some recent studies [13,14]. Finally, none of them assessed the shape of the relation using a dose-response approach.

MATERIALS AND METHODS

We carried out a literature search on online bibliographic databases up to November 30, 2020. We used search terms linked to “breast cancer” and “lighting” in online databases and we also scanned the reference list of included studies to identify further relevant papers. Data extracted included study design, population size and characteristics, risk estimates along with their 95% confidence intervals (CI), type of exposure assessment and dose. We performed a meta-analysis comparing the highest versus the lowest level of LAN exposure of risk breast cancer using a random effect model. Additionally, we carried out a dose-response meta-analysis according to increasing outdoor LAN exposure using the methodology we previously implemented in other fields based on a restricted natural cubic spline model [15].

RESULTS

A total of 15 studies have been included in the meta-analysis, including eight cohort/case-cohort, and seven case-control studies. In the analysis comparing highest versus lowest exposure, we found a positive association between LAN and disease risk (RR = 1.11, 95% CI: 1.07-1.15), slightly stronger in case-controls (RR = 1.14, 95% CI: 0.99-1.32) than in cohort studies (RR = 1.10, 95% CI: 1.06-1.15). In stratified analyses, we found similar risk for outdoor and indoor LAN exposure, but higher risk for premenopausal women, normal weighted and with positive estrogen receptor status. The dose-response meta-analysis, which could be performed only in studies investigating outdoor LAN exposure, showed a linear relation up to 40 nW/cm2/sr after which a plateau seemed to be reached, especially in premenopausal women.

CONCLUSIONS

Overall, in this first dose-response meta-analysis of the relation between LAN exposure and breast cancer risk, we found a positive association, particularly in selected subgroups.

REFERENCES

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Atrial fibrillation and other risk factors for early-onset dementia: an Italian case-control study

TOMMASO FILIPPINI 1, GIORGIA ADANI 1, CATERINA GARUTI 1, MARCELLA MALAVOLTI 1, GIULIA VINCETI 2, GIOVANNA ZAMBONI 2, MANUELA TONDELLI 3, CHIARA GALLI 3, MANUELA COSTA 3, ANNALISA CHIARI 3, MARCO VINCETI 1

Abstract

INTRODUCTION

Early-onset dementia (EOD) is defined by onset of dementia symptoms before the age of 65, regardless of the underlying dementia syndrome. EOD has a significant impact on patients and their families, particularly when including young children [1], as well as on patient employment and income [2]. The most frequent EOD diagnosis is Alzheimer’s dementia, followed by frontotemporal dementia and vascular dementia [3]. Despite genetic susceptibility may play an etiologic role for EOD, known gene mutations may explain only less than 10%. of EOD cases. Therefore, other factors as environmental and occupational exposures, as well as lifestyle and dietary habits might be involved [4-7]. In the present study, we aimed at investigating the role of cardiovascular risk factors in EOD etiology in an Italian population.

MATERIALS AND METHODS

We carried out a case-control study in Modena, Northern Italy. We recruited EOD cases referred to the Cognitive Neurology Centers at the Modena Policlinico-University Hospital and Carpi Hospital, providing specialized EOD care for the whole territory of the province, in the period October 2016-October 2019. Inclusion criteria were: dementia diagnosis with symptom onset before the age of 65, dementia as the principal cause of disability, and residence in the province of Modena. Subjects with coexisting diagnoses of pervasive developmental disorders or major psychiatric disorders, or cognitive impairment in the context of another neurological disorders (e.g., multiple sclerosis or cerebrovascular disease with severe motor disability) were excluded. As a referent population, we recruited the caregivers of dementia patients irrespective of age at onset. Each subject received a questionnaire tailored to record anamnestic and lifestyle factors potentially related to dementia onset [8,9]. In particular, we assessed medical history related to other clinical conditions in order to investigate their association with EOD. We used crude and adjusted multivariate unconditional logistic regression models to estimate odds ratio (OR) and 95% confidence intervals (CI) of EOD associated with the investigated factors. We included sex, age (years) and educational attainment (years of education) in the multivariable model as potential confounders and effect modifiers.

RESULTS

The final study sample encompassed 112 participants, including 58 (male/female: 25/33) EOD patients and 54 (male/female: 23/31) controls. Mean age at EOD diagnosis was 59 (standard deviation: 5) years with clinical diagnosis of Alzheimer’s dementia (55%), frontotemporal dementia spectrum (33%), and vascular dementia (8%), and Levy body dementia (2%), and cerebral amyloid angiopathy (2%). Cases and controls achieved a high school level in 32.8 and 38.9%, respectively, while they reached college or more in 5.2 and 24.4%, respectively. Dementia risk according to medical history of common cardiovascular risk factors showed a decreased risk for diagnosis of hypertension (OR = 0.6, 95% CI: 0.3-1.4), but an increased risk for dyslipidemia (OR = 1.4, 95% CI: 0.6-3.3) and diabetes (OR = 2.8, 95% CI: 0.7-11.2). Conversely, substantial null association was found with history of carotid artery plaques and cardiac valvular disorders. When assessing history of previous major cardiovascular diseases, we found no association with myocardial infarction (no cases reported a positive history), but a positive one with cerebrovascular disease (OR 4.0, 95% CI: 0.4-39.1) and with atrial fibrillation (OR = 2.1, 95% CI: 0.4-12.1).

CONCLUSIONS

In this study, we investigated the relation between known cardiovascular risk factors medical history of cardiovascular disease and EOD risk. We found some evidence of a possible relation between dyslipidemia and diabetes, while among major cardiovascular diseases, only cerebrovascular diseases and atrial fibrillation suggested a positive association.

Footnotes

Funding

This study was supported by the grant “Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022, MIUR, Italy” awarded to the Department of Biomedical, Metabolic and Neural Sciences and by a grant from the Airalzh ONLUS & Coop Italia.

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EPIDEMIOLOGIA E PROFILASSI DELLE MALATTIE INFETTIVE

Azioni di prevenzione e contrasto alla diffusione di SARS-CoV-2: l’esperienza territoriale interservizi dell’Azienda Sanitaria Locale BT

VINCENZO MARCOTRIGIANO 1, GIOVANNI TRIFONE SORRENTI 1, DOMENICO PIO SORRENTI 2, MICHELE LAMPEDECCHIA 3, RICCARDO MATERA 4, GIACOMO DOMENICO STINGI 1, PANTALEO MAGARELLI 1

Abstract

INTRODUZIONE

L’attuale emergenza sanitaria da COVID-19 ha contribuito ad apportare sostanziali mutazioni nel modus operandi dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione, in particolare nel complesso delle linee operative territoriali deputate al controllo in materia di Igiene e Sanità Pubblica e di Sicurezza Alimentare.

MATERIALI E METODI

Nel periodo ricompreso tra il mese di giugno e il mese di agosto 2020, personale afferente ai Servizi SISP e SIAN dell’Azienda Sanitaria Locale BT, su specifico incarico conferito dalla Direzione del Dipartimento di Prevenzione, ha effettuato controlli territoriali congiunti presso 36 stabilimenti balneari che insistono nel territorio di competenza, volti alla verifica di sussistenza dei requisiti previsti da D.P.C.M. specificamente vigenti nel periodo di esecuzione delle attività, nonché previsti e richiamati da ordinanze regionali di settore [1,2]. Successivamente, nel mese di settembre 2020 sono state condotte attività ispettive congiunte in orario serale e notturno da parte del personale dei servizi SISP, SIAN, SPESAL – suddiviso in 4 squadre – unitamente a personale militare della Polizia Municipale, Polizia di Stato e Carabinieri, al fine di promuovere le azioni di contrasto agli assembramenti, verificare la corretta tenuta delle mascherine facciali e constatare la presenza di adeguati dispositivi e presidi per la prevenzione e diffusione di SARS-CoV-2 nei pubblici esercizi di preparazione e somministrazione di alimenti e bevande. Tutte le attività ispettive territoriali sono state condotte con l’ausilio di check-list specificamente strutturate e verbalizzando le evidenze riscontrate su apposite schede di controllo ufficiale [3].

RISULTATI

Nel corso di 36 controlli interservizi effettuati presso gli stabilimenti balneari nei mesi di giugno-agosto 2020 sono state verificate le misure adottate per la prevenzione della diffusione di SARS-CoV-2, tenuto conto di quanto previsto dal D.P.C.M. 17.05.2020, dall’Ordinanza Regionale del 18.06.2020, n. 237 emanata dalla Regione Puglia e dalla regolamentazione comunitaria cogente in materia di sicurezza alimentare. In tutti gli accessi sono state fornite indicazioni e informazioni di dettaglio volte a garantire il completo rispetto delle misure previste dalle normative, in particolar modo riguardo a: controllo degli accessi, rilevazione della temperatura corporea di dipendenti e clienti, utilizzo di mascherine facciali a protezione delle vie aeree, tenuta del registro degli accessi comprensivo di dati anagrafici e telefonici dell’utenza, distanziamento di ombrelloni e lettini, indicazione dei percorsi distinti di entrata e uscita da seguire, dimensionamento delle passerelle anche al fine di consentire un corretto distanziamento in caso di maggior afflusso di persone, distanziamento di postazioni e sedie in caso di somministrazione di alimenti e bevande ai tavoli, segnaletica a pavimento indicante il posizionamento o stazionamento nelle fasi di consumazione di alimenti e bevande al bancone [4,5]. Nel 47% dei casi (17 sopralluoghi su 36) sono state impartite prescrizioni SISP e/o SIAN volte a garantire la conformità alla normativa di settore.

Dai 48 controlli interforze condotti nel mese di settembre 2020 sono emerse sostanziali conformità nell’88% dei casi, mentre in 4 casi (8%) è stato necessario impartire prescrizioni o disporre azioni impositive volte alla risoluzione di non conformità rilevanti, infine in 2 casi (4%) è stato altresì necessario procedere a contestare violazioni amministrative.

CONCLUSIONI

L’attuale scenario pandemico ha contribuito ad apportare profonde mutazioni nelle modalità operative territoriali per garantire l’efficacia dei controlli ufficiali anche a livello locale. Stante il perdurare della situazione emergenziale sanitaria, è essenziale continuare a promuovere le attività territoriali di contrasto alla diffusione di agenti virali trasmissibili per via aerea, favorendo le attività di controllo multidisciplinare che contrastano i comportamenti a rischio, che promuovono l’adozione di azioni a tutela della Salute Pubblica e che consentono altresì un’azione deterrente nei luoghi di aggregazioni e nei contesti in cui sono presenti potenziali assembramenti.

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Studio di fattori di rischio/protettivi associati alla risposta anticorpale anti-SARS-CoV-2 in un campione di lavoratori della provincia di Modena e province limitrofe

STEFANIA PADUANO 1, ALBERTO MODENESE 1, TOMMASO FILIPPINI 1, NAUSICAA BERSELLI 1, ROBERTO VIVOLI 2, SIMONA MARCHETTI 2, ISABELLA MARCHESI 1, MARCO VINCETI 1,3, PAOLA BORELLA 1, FABRIZIOMARIA GOBBA 1, ANNALISA BARGELLINI 1

Abstract

INTRODUZIONE

La pandemia da SARS-CoV-2 ha registrato nel mondo a oggi quasi 64 milioni di casi e più di 1.480.000 morti, di cui rispettivamente più di 1.600.000 e oltre 55.000 in Italia [1,2]. Patologie preesistenti, quali diabete, malattie cardiovascolari, dislipidemia, obesità e ipertensione comportano un rischio aumentato di avere forme severe di COVID19 [3,4]. In aggiunta alcuni fattori quali stili di vita, condizioni lavorative ed esposizione a inquinanti potrebbero influenzare la risposta anticorpale al virus e quindi potenzialmente anche il quadro clinico [5-8]. I luoghi di lavoro possono rappresentare un rischio per la diffusione del contagio e alcuni lavoratori presentano, sulla base delle caratteristiche peculiari delle attività svolte, tassi di infezione superiori rispetto alla popolazione generale di pari età [2,9-11]. Inoltre, al fine di monitorare dal punto di vista epidemiologico l’andamento dell’infezione da SARS-CoV-2 e identificare precocemente eventuali casi asintomatici, in Italia diversi laboratori sono stati autorizzati a eseguire test sierologici su campioni ematici per la ricerca di anticorpi anti-SARS-CoV-2 [12]. Numerose aziende e, su base volontaria, i loro dipendenti hanno aderito in questi mesi allo screening sierologico. In tale contesto, in un campione di lavoratori della provincia di Modena e aree limitrofe è attualmente in corso uno studio caso-controllo per analizzare la possibile relazione tra fattori sociodemografici, occupazionali, clinico-anamnestici e biochimici e l’infezione da SARS-CoV-2, valutata attraverso la risposta anticorpale al virus.

MATERIALI E METODI

L’arruolamento è eseguito tra lavoratori di vari settori che si sottopongono a test sierologici per la ricerca di anticorpi anti-SARS-CoV-2 presso un laboratorio privato autorizzato della provincia di Modena. Sono selezionati tutti i lavoratori con positività anticorpale per IgA e/o IgM e/o IgG in un periodo di 12 mesi (casi) e ugual numero di soggetti negativi agli stessi test (controlli) mediante appaiamento per sesso e fascia d’età. È previsto quindi il dosaggio di vari parametri ematici, quali vitamina del gruppo D e B, ACE-2, trigliceridi, colesterolo LDL/HDL/totale, zinco, ferro, selenio e altri metalli su campioni ematici. Ai lavoratori sarà somministrato per via telefonica un questionario creato ad hoc ai fini dello studio per la raccolta di dati sociodemografici, clinico-anamnestici e occupazionali. Nella fase successiva sarà quindi investigata l’associazione dei diversi pattern di risposta anticorpale anti-SARS-CoV-2 con i fattori in studio, quali aspetti clinico-anamnestici (patologie croniche, assetto lipidico), abitudini e stili di vita, parametri biochimici coinvolti nella risposta immunitaria, nella replicazione virale e nel processo infiammatorio (vitamina D, ACE-2, IL-6, Zn e altri elementi in traccia essenziali), condizioni lavorative del soggetto nei mesi precedenti il prelievo, esposizione a contaminanti ambientali (Cd e altri metalli), uso di farmaci, vaccinazioni, mobilità individuale e viaggi.

RISULTATI

I risultati di questo studio potranno fornire una maggior conoscenza sui fattori associati a una pregressa infezione da SARS-CoV-2, valutata tramite risposta anticorpale anti-SARS-CoV-2, in lavoratori di diverse realtà produttive della provincia di Modena e aree limitrofe, consentendo di identificare i settori e le attività a maggior rischio per la contrazione e la trasmissione dell’infezione e fornendo indicazioni pratiche applicabili all’interno delle misure preventive da attuarsi. Inoltre, il questionario creato ad hoc ai fini dello studio potrà essere messo a disposizione delle aziende e utilizzato dai Medici Competenti aziendali per individuare fattori potenzialmente rilevanti e/o condizioni di fragilità utili per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori nel contesto della pandemia da SARS-CoV-2. Verranno anche forniti i dati salienti ricavati dalle analisi dei parametri biochimici potenzialmente associati a un aumento o riduzione del rischio di infezione, anch’essi con possibili ripercussioni ai fini della sorveglianza sanitaria dei lavoratori maggiormente esposti. Ad oggi sono stati selezionati 110 soggetti con positività anticorpale per IgA e/o IgM e/o IgG e ugual numero di controlli. Le fasi di arruolamento e raccolta dati sono tuttora in corso.

CONCLUSIONI

Lo studio può fornire indicazioni su possibili fattori da considerare per la valutazione del rischio dei lavoratori e su quali siano i settori lavorativi a maggior rischio di infezione che potrebbero essere oggetto di specifici interventi per la prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 (ad es. favorendo l’adozione di modalità di telelavoro ove possibile), garantendo quindi una maggior sicurezza sociale alle comunità locali. I risultati dello studio saranno utili al mondo del lavoro nel contesto locale ma estensibili a livello nazionale.

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Pandemia da SARS-CoV-2 e giovani adulti: risultati preliminari su conoscenze, percezione del rischio e comportamenti

FRANCESCA LICATA 1, ALESSANDRA OLIVERIO 1, CATERINA DE SARRO 1, AIDA BIANCO 1

Abstract

INTRODUZIONE

L’Italia è stata il primo paese europeo a essere colpito dall’infezione da SARS-CoV-2, dichiarando lo Stato di Emergenza il 31 gennaio 2020 [1]. Al fine di contenere i contagi, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato un decreto, in data 9 marzo 2020, per estendere le misure restrittive all’intero territorio nazionale [2]. Il DPCM vietava ogni forma di assembramento di persone in pubblici o aperti al pubblico. I luoghi di aggregazione per i giovani divengono meno o per nulla accessibili con riduzione delle occasioni di contagio. In assenza di efficaci interventi farmacologici e di vaccini, le misure di distanziamento sociale svolgono un ruolo di primo piano, in particolare nella fascia di popolazione più giovani [3]. Si è ritenuto, pertanto, di valutare le conoscenze, le attitudini e i comportamenti relativi all’infezione da SARS-CoV-2 in un campione di giovani adulti.

MATERIALI E METODI

Lo studio trasversale ha previsto l’utilizzo di un questionario anonimo autosomministrato, inviato tramite posta elettronica a un campione di studenti universitari iscritti a tutti i corsi di laurea dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro. Sono stati inclusi nello studio gli studenti che hanno manifestato il loro consenso a partecipare. Il questionario era orientato alla raccolta di dati socio-anagrafici e relativi al corso di laurea frequentato, informazioni su conoscenze relative alle modalità di trasmissione di SARS-CoV-2 e alle misure preventive, sulla percezione del rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e della sua gravità e sui comportamenti attuati per prevenire il contagio.

RISULTATI

Sono stati raccolti 500 questionari. L’età media degli intervistati è di 23,6 anni (± 4,6) con un rapporto M:F = 1:2,5 e poco più della metà (52%) frequenta un corso di laurea di area medica. Il 96.2% e il 92.8% degli intervistati, rispettivamente, è a conoscenza che SARS-CoV-2 si trasmette principalmente tramite tosse e/o starnuti e che la trasmissione può avvenire attraverso il contatto diretto con un caso di COVID-19. Il 94.8% e il 93.6%, rispettivamente, ha riportato che il distanziamento sociale riduce il rischio di essere raggiunti da goccioline di saliva e che il distanziamento va mantenuto anche negli spazi aperti. L’89% è a conoscenza del ruolo che il corretto uso della mascherina chirurgica può avere nel prevenire la diffusione di goccioline di saliva dell’ambiente circostante e l’86.2% sa che garantire un buon ricambio dell’aria negli ambienti dove si soggiorna riduce il rischio di COVID-19. Relativamente alle percezioni del rischio, un quarto del campione ritiene di avere un alto rischio di contrarre il COVID-19 prima della fine della pandemia e il 40.8% è molto preoccupato a causa di questa possibilità. Riguardo ai comportamenti l’80.4% dei rispondenti pratica l’igiene respiratoria (starnutisce/tossisce nella piega del gomito se non dispone di un fazzoletto). L’83% degli intervistati rimuove la mascherina slegando i lacci o togliendo le fasce senza toccare la parte anteriore, ma solo il 31.6% ha dichiarato di non toccare la mascherina durante l’utilizzo; nel complesso entrambi i comportamenti sono praticati solo dal 29.6% del campione. Il 76% del campione mantiene la distanza sociale anche quando indossa la mascherina e la quasi totalità (95.8%) lava le mani con soluzioni a base alcolica o con acqua e sapone per prevenire l’infezione.

CONCLUSIONI

I risultati preliminari dello studio evidenziano che più della metà del campione intervistato ha conoscenze complessivamente soddisfacenti in tema di infezione da SARS-CoV-2 che, tuttavia, sembrano non essere sufficienti per generare comportamenti corretti. Il corretto uso della mascherina, come noto una delle misure di prevenzione più efficace, ha rappresentato la principale criticità nel campione di giovani adulti, in linea con anche con studi precedenti [4]. È noto che l’infezione tra i più giovani spesso decorre in modo asintomatico [5,6], e questo fa si che i soggetti in questa fascia di età rappresentino un anello importante nella catena contagionistica della malattia, in particolare nelle fasce d’età più avanzate [6].

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La ricerca scientifica sull’epidemia da COVID-19 in Italia: risultati di una revisione sistematica e analisi bibliometrica della letteratura

FEDERICA TURATTO 1, ELENA MAZZALAI 1, FEDERICA PAGANO 1, GIUSEPPE MIGLIARA 1, PAOLO VILLARI 1, CORRADO DE VITO 1

Abstract

INTRODUZIONE

Con oltre 66 milioni di casi e più di un milione e mezzo di morti a livello globale [1], la pandemia da COVID-19 rappresenta un’enorme sfida per gli stati e i sistemi sanitari di tutto il mondo. In questo contesto, la diffusione dei progressi scientifici è fondamentale per comprendere l’andamento dell’epidemia, progettare strategie di contenimento e per lo sviluppo di trattamenti efficaci [2]. La produzione scientifica è aumentata esponenzialmente nel corso dei mesi, anche perché molte riviste scientifiche hanno accelerato i processi di peer-review per permettere una più rapida diffusione delle conoscenze [3]. Dal momento che l’Italia è stato il primo paese europeo ad affrontare la pandemia, studiare la letteratura riguardante COVID-19 e Italia consente di indagare come si sviluppa l’evidenza scientifica di fronte un emergente problema di sanità pubblica. L’obiettivo dello studio è di quantificare e caratterizzare la produzione scientifica riguardante la pandemia di COVID-19 in Italia.

MATERIALI E METODI

Una revisione sistematica della letteratura è stata condotta utilizzando come chiavi di ricerca parole attinenti agli ambiti “COVID” e “Italia”. La ricerca bibliografica è stata effettuata il 24 aprile 2020 su Pubmed e Scopus. Per ogni articolo incluso sono stati estratti la data di pubblicazione, il titolo, la rivista di pubblicazione e il genere e l’affiliazione (suddivisa in italiana e non italiana) del primo autore. L’impact factor di ogni rivista è stato ottenuto tramite il Journal of Citations Report 2019. Gli articoli raccolti sono stati classificati sulla base della classificazione degli sudi per la ricerca medica proposta da Röhrig e colleghi [4], che sono stati adattati alla tipologia di studi incontrati. Sono state poi svolte analisi di co-occorrenza di termini in titoli e abstract tramite il programma VOSviewer, e sono state eseguite analisi geografiche e temporali su Microsoft Excel.

RISULTATI

Dei 321 articoli risultati dalla ricerca su PubMed e Scopus, 238 sono stati inclusi nello studio, di cui 205 italiani e 33 non italiani. Tra gli studi italiani, la categoria maggiormente rappresentata è stata quella degli studi di management (42.4%), mentre gli studi epidemiologici hanno rappresentato la maggior componente degli studi non italiani (45.5%). Ad essere ampiamente rappresentata sia tra studi italiani che non italiani è stata la categoria dei commenti (23.4% tra gli italiani e 27.3% tra i non italiani). L’analisi di co-occorrenza dei termini condotta con VOSviewer ha raggruppato i termini più ricorrenti in quattro cluster tematici: management ospedaliero e clinico; epidemiologia descrittiva; politiche di salute pubblica; termini di ambito generico. Si è registrato un importante aumento del numero degli articoli pubblicati nel corso dei mesi (da un articolo a gennaio a 144 articoli ad aprile). Ad aumentare maggiormente è stato il contributo principalmente della componente di studi manageriali e di commenti che hanno costituito complessivamente il 42.9% degli articoli pubblicati a febbraio, il 66% a marzo e il 67.4% ad aprile. Gli studi non italiani sono stati generalmente pubblicati su riviste a maggior impact factor rispetto agli studi con affiliazione italiana (IF mediano 5,45 vs 3,73).

CONCLUSIONI

Questo studio è stato il primo ad analizzare specificamente la letteratura su COVID-19 e Italia indagandone caratteristiche e contenuti. Le pubblicazioni sul tema evidenziano una produzione scientifica eterogenea ma a impatto internazionale limitato. L’esperienza drammatica del lockdown e la pressione a cui sono stati sottoposti i reparti ospedalieri italiani nel corso del mese di marzo hanno fornito materiale per la pubblicazione di articoli di tipo prevalentemente manageriale e di commento. Tali produzioni, di interesse soprattutto nazionale, costituiscono la maggior parte delle pubblicazioni italiane incluse nello studio. Per i criteri di selezione degli articoli, invece, la trattazione della situazione COVID-19 in Italia da parte di articoli non italiani era generalmente riportata all’interno di un quadro epidemiologico più ampio, destinato quindi a un pubblico internazionale. Tra i limiti principali dello studio rientrano il ristretto arco temporale considerato e l’assenza di un meccanismo di valutazione della qualità degli articoli analizzati. Reputiamo che possa essere interessante aggiornare lo studio analizzando le pubblicazioni apparse da maggio in poi, osservando come è evoluta la produzione scientifica con le diverse fasi della pandemia. L’evidenza prodotta da questo tipo di studi può aiutare a comprendere i meccanismi di creazione e condivisione della conoscenza nell’ambito della sanità pubblica.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Accettabilità della vaccinazione anti-COVID-19 in un campione di operatori sanitari

GIORGIA DELLA POLLA 1, CONCETTA PAOLA PELULLO 1, FRANCESCO NAPOLITANO 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

L’infezione causata dal virus SARS-CoV-2, è stata identificata per la prima volta a Wuhan nel dicembre 2019 e l’11 febbraio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha denominato la malattia COVID-19 (CoronaVirus Disease-19). Le manifestazioni cliniche dell’infezione sono varie e vanno da uno stato di malattia con sintomi lievi alla sindrome da distress respiratorio acuto e disfunzione multi-organo [1-6]. I dispositivi di protezione individuale hanno rappresentato un valido presidio preventivo [7-11], tuttavia l’imminente prevista immissione in commercio del nuovo vaccino SARS-CoV-2 ha rappresentato un punto di svolta per la prevenzione del fenomeno [12-14]. Pertanto, dal momento che la popolazione più esposta al rischio di contagio è rappresentata dagli operatori sanitari, è sembrato interessante indagare le loro attitudini nei confronti di questa nuova vaccinazione.

MATERIALI E METODI

È stato condotto uno studio epidemiologico trasversale da settembre a dicembre 2020. L’indagine è stata condotta su un campione selezionato casualmente di operatori sanitari dell’Azienda Ospedaliera Universitaria - Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. La raccolta delle informazioni è stata effettuata attraverso la compilazione di un questionario anonimo somministrato mediante intervista computer-assistita. L’analisi statistica dei dati è stata eseguita utilizzando la regressione logistica multipla.

RISULTATI

L’analisi dei risultati preliminari relativi a un campione di 200 operatori sanitari ha permesso di evidenziare che l’età media era 41,5 anni e più della metà degli operatori erano di sesso femminile (51.5%), i due terzi (67.5%) dei partecipanti erano medici, il 14.5% infermieri, e il 18% appartenevano ad altre categorie professionali (biologi, operatori socio-sanitari, tecnici di laboratorio, farmacisti). Il 17% del campione soffriva di una patologia cronica e il 10% di più di una. Solo 4 operatori sanitari avevano contratto la malattia COVID-19. Il 22.5% degli operatori sanitari ha dichiarato di aver avuto sintomi negli ultimi otto mesi e quelli più frequentemente riportati erano tosse (31.1%), febbre (24.4%) e mal di gola (26.7%). Il 93% dei rispondenti aveva effettuato uno o più tamponi nasofaringei per la ricerca di SARS-CoV-2. Un’ampia maggioranza di operatori sanitari (83%) presentava un’attitudine positiva a vaccinarsi contro il COVID-19. I risultati del modello di regressione logistica multipla hanno permesso di evidenziare che coloro che lavoravano in un reparto di medicina specialistica (OR = 9,07; 95% IC: 1,11-74,08), coloro che avevano avuto contatti con un paziente o un collega positivo al COVID-19 (OR = 9,1; 95% IC: 1,81-45,7), coloro che avevano dichiarato di essere per nulla o non troppo preoccupati che il vaccino potesse essere pericoloso (OR = 0,1; 95% IC: 0,1-0,4) e coloro che avevano dichiarato di avere fiducia nelle informazioni ricevute in tema di COVID-19 (OR = 4,4; 95% IC: 1,3-14,8) presentavano più frequentemente un’attitudine positiva a vaccinarsi contro il COVID-19. La quasi totalità degli operatori sanitari intervistati (98%) acquisiva informazioni in tema di vaccinazione anti COVID-19 e di questi nel 62.2% dei casi, le riviste scientifiche rappresentavano la principale fonte di informazioni. Più dei due terzi dei partecipanti (79.5%), infine, aveva dichiarato di aver bisogno di ricevere ulteriori informazioni in tema di vaccinazione anti COVID-19.

CONCLUSIONI

I risultati di questa indagine forniscono importanti informazioni utili per la programmazione di interventi per incrementare i tassi di copertura vaccinale tra gli operatori sanitari. In particolare, dovrebbero essere implementate campagne educative e informative relative alla sicurezza e all’efficacia di una futura vaccinazione anti COVID-19 atteso che una parte considerevole del nostro campione aveva espresso preoccupazioni circa l’efficacia e la sicurezza del vaccino.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Attitudini della popolazione generale in tema di COVID-19 e relativa vaccinazione

CONCETTA PAOLA PELULLO 1, GIORGIA DELLA POLLA 1, FRANCESCO NAPOLITANO 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

La diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 in Europa ha avuto inizio nella seconda metà del mese di gennaio con la notifica dei primi 7 casi confermati. Da quella data si è assistito a un incremento costante dei nuovi casi che al 30 giugno 2020 hanno raggiunto 2.683.040 casi confermati con 194.204 decessi; al 7 dicembre 2020 il numero totale di nuovi casi è più che quintuplicato (14.080.951 casi confermati) mentre il numero dei decessi ha raggiunto quota 1.536.855 [1-3].

Il primo caso italiano di infezione da SARS-CoV-2 è stato segnalato in Lombardia il 20 febbraio 2020. Nei mesi successivi c’è stata una repentina diffusione dell’infezione con un considerevole incremento dei nuovi casi in Lombardia e in tutta Italia, raggiungendo 101.739 casi confermati e 11.591 decessi il 31 marzo 2020. Il 6 dicembre 2020 sono stati confermati 1.692.631 nuovi casi e 57.869 decessi [4].

È noto che la vaccinazione rappresenti lo strumento più efficace per la profilassi delle infezioni, pertanto, tenendo conto del fenomeno dell’esitazione vaccinale, è sembrato, interessante condurre un’indagine per valutare l’attitudine della popolazione generale nei confronti della nuova vaccinazione anti-COVID-19 [5-15].

MATERIALI E METODI

Un campione selezionato casualmente della popolazione afferente all’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” è stato valutato per questa indagine epidemiologica di tipo trasversale. La rilevazione dei dati è avvenuta da ottobre a dicembre 2020 mediante l’utilizzo di un questionario anonimo. L’analisi statistica dei dati è stata eseguita con il pacchetto statistico Stata 15 [16].

RISULTATI

I risultati parziali dello studio sono relativi a un campione di 1.112 soggetti afferenti all’Ateneo. Le principali caratteristiche socio-anagrafiche, professionali e anamnestiche permettono di evidenziare che l’età media della popolazione era di 38,1 anni e il 61.6% della popolazione era di sesso femminile e il 39.5% dei partecipanti era sposato o convivente. Il 16.5% dei partecipanti era costituito da personale docente, il 43.9% da studenti, circa un terzo (33.3%) da personale amministrativo, e il 6.3% da altre categorie professionali impiegate in Ateneo. Circa un quarto del campione (20.9%) soffriva di patologie croniche, tra cui le più frequenti erano le patologie cardiovascolari (21.9%) le allergie (20,7%) e le malattie della tiroide (18.9%). Il 22.1% era rappresentato da fumatori e il 22.3% da ex-fumatori. Solo un quarto dei partecipanti (25.9%) ha dichiarato di conoscere o avere avuto contatti con soggetti che avevano contratto il COVID-19. i contatti più frequenti erano rappresentati da conoscenti (29.9%), colleghi (27.4%) e amici (22.9%). L’8.1% dei partecipanti aveva viaggiato in un paese estero negli ultimi otto mesi. I risultati del modello di regressione lineare multipla hanno consentito di evidenziare che la preoccupazione di contrarre il COVID-19 era significativamente maggiore tra i più giovani (p < 0,001), tra i partecipanti di genere femminile (p < 0,001) e tra gli studenti (p = 0,025). L’82.3% della popolazione mostrava un’accettabilità a vaccinarsi contro il COVID-19 e il modello di regressione logistica multipla da evidenziato che i maschi (OR = 0,64; 95% IC = 0,43-0,94), coloro che non erano sposati o conviventi (OR = 0,58; 95% IC = 0,37-0,92) e i docenti (OR = 0,54; 95% IC = 0,31-0,95) presentavano un’attitudine positiva nei confronti della vaccinazione anti COVID-19. L’attitudine a vaccinarsi contro il COVID-19, infine, era significativamente più frequente tra coloro dichiaravano di essere per nulla o non troppo preoccupati che la vaccinazione potesse essere pericolosa (OR = 0,15; 95% IC = 0,09-0,24) e tra coloro che dichiaravano di essere per nulla o non troppo preoccupati che la vaccinazione potesse essere non efficace (OR = 0,5; 95% IC = 0,3-0,84). Quasi tutti i partecipanti intervistati (99.5%) acquisivano informazioni in tema di vaccinazione anti COVID-19 e le due fonti di informazioni più frequentemente riportate erano i mass-media (61.1%) e internet (54.4%). Più dei due terzi dei partecipanti (71.8%), inoltre, necessitava di ricevere ulteriori informazioni in tema di vaccinazione anti COVID-19.

CONCLUSIONI

L’indagine fornisce risultati importanti ai fini di poter ridurre le barriere percepite come tali dalla popolazione generale nei confronti della nuova vaccinazione anti COVID-19. L’attitudine positiva a vaccinarsi potrebbe, pertanto, essere utile nella futura effettuazione di campagne vaccinali contro il COVID-19 nella popolazione generale.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Epidemiology of SARS-CoV-2 pandemic outbreak during the first 18 days: description of 38 countries via Standardized Prevalence Ratios

FABIO INGRAVALLE 1, GIULIA AGOSTI 1, GIORGIA BIONDI 1, ANTONIO VINCI 1, FABIANA AMADORI 1, LEONARDO PALOMBI 2

Abstract

INTRODUCTION

To analyze whether differences in population age and gender composition play a major role in explaining the differences among countries during the first weeks of the SARS-CoV-2 epidemic outbreak.

MATERIALS AND METHODS

Ecological retrospective population study with data retrieved from publicly available repositories.

Every country that reached 100 cases of disease since 20/01/2020 was included since threshold was reached (T0), with an observation period of 18 days (T1).

Prevalence, Daily Incidence and Standardized Ratios were calculated; standardization was performed using Italian population as reference, since it was the country with the highest number of Covid-19 related deceased at the time of analysis.

RESULTS

38 countries were eligible for data analysis, with a total population of 3,373,722,000. Reported cases were 4,106 (≈ 1.217 per million) at T0 and 431,909 (≈128.021 per million) at T1. Reported deaths were 70 (≈ 0.021 per million) at T0 and 17,220 (≈ 5.104 per million) at T1.

This data represents Covid-19 disease prevalence and mortality, if the disease had reached 100 infected cases in every included country on the same day, matching the real timeline progression.

Countries with the highest absolute case number after 24 days are not necessarily the ones with the highest case ratio; Linear Regression Model analysis between Standardized Ratios (SR) and Slopes of Descriptive Curve show that there is widely different association between the increasing slope of SR curves and the increasing rapidity of the respective prevalence and incidence values studied by the Descriptive Curves.

CONCLUSIONS

Differences in age and gender composition do not fully explain different outbreak evolution in the first weeks among countries. Standardized (or even Crude) Mortality Ratio should be used instead of incidence or deceased number for comparison and decision-making during outbreak onset. Decision-makers can use such information for evaluation of potential containment measures.

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Ricoveri di soggetti positivi al SARS-CoV-2 presso P.O. S. Jacopo di Pistoia (AUSL Toscana Centro): un parziale confronto tra prima e seconda ondata

ELEONORA GORI 1, LUCILLA DI RENZO 2, GIUDITTA NICCOLAI 2, GUGLIELMO BONACCORSI 3

Abstract

INTRODUZIONE

I soggetti totali risultati positivi al SARS-CoV-2 dall’inizio della pandemia al 18 novembre 2020 sono 1.238.072 in Italia. La Toscana ha accumulato più di 88.500 casi a metà novembre 2020. Il numero di soggetti positivi al SARS-CoV-2 ricoverati negli ospedali della Toscana ha superato i 2.100 dopo il 15 novembre [1]. La provincia di Pistoia (293.059 abitanti) [2] durante la pandemia ha rappresentato una delle aree regionali più colpite, la prevalenza ha superato i 2.570/100.000 abitanti nella 2° metà di novembre (4° Provincia in Toscana) [3]. Il Presidio Ospedaliero (P.O.) S. Jacopo è la nuova struttura di riferimento della Provincia di Pistoia (AUSL Toscana Centro), consta di 386 posti letto ed è stato uno dei primi ospedali toscani ad essere rimodulato per i pazienti CoViD (CoronaVirus Disease).

MATERIALI E METODI

Attraverso l’analisi statistica descrittiva è stato elaborato un database (Excel Microsoft) alimentato dai medici della Struttura Organizzativa Semplice (S.O.S.) Direzione Sanitaria del P.O. S. Jacopo di Pistoia, relativo ai ricoveri di soggetti con diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 presente durante la degenza. Le informazioni sono state raccolte attraverso la consultazione dei gestionali in uso nel P.O.. La positività è stata definita attraverso la rilevazione di RNA virale in campione di tampone naso-oro-faringeo analizzato in laboratori accreditati. I dati relativi al numero di residenti per Comune si riferiscono al 1° gennaio 2020 [2]. Il periodo pandemico è stato suddiviso in due ondate: 24 febbraio 2020-31 agosto 2020 e 1 settembre 2020-16 novembre 2020 (data analisi dati).

RISULTATI

Dal 24 febbraio al 16 novembre 2020 sono stati ricoverati al P.O. 782 soggetti positivi al SARS-CoV-2 (352 nella 1° ondata e 430 dal 01/09) con età media di 68,7 anni (70,6 nella 1° ondata e 67,1 nella 2°). Sul totale dei ricoveri il 58.3% (456) erano uomini (1° ondata: 189, 2° ondata: 267) e il 41.7% (326) donne (1° ondata: 163, 2° ondata: 163). Come si evince nella 2° ondata i maschi, rispetto alle femmine, hanno rappresentato il 62% (vs 53.7% della 1°). I più interessanti tassi di ospedalizzazione specifici per CoViD, calcolati relativamente ai ricoverati nel P.O., sono risultati: Abetone Cutigliano 0 nella 1° ondata e 34,4 nella 2°, Montale 12 e 26,9, Lamporecchio 4 e 22,8, Pistoia 17,7 e 11,6 e Pescia 16,8 e 10,7 rispettivamente. Il numero medio di giorni di degenza è stato di 10 (0-70), 12 nel periodo marzo-agosto e 7 nel successivo. Il numero medio giornaliero di soggetti positivi in ingresso al P.O. è stato 4,4 (0-22) tra il 24 febbraio e il 15 maggio e 5,6 (0-20) tra l’1 settembre e il 16 novembre. Relativamente all’esito dei pazienti ricoverati, in proporzione al totale dei dimessi nella 1° e 2° ondata rispettivamente: 37 e 31% domicilio, 18 e 12% deceduto, 10 e 8% cure intermedie, 5 e 5% alberghi sanitari, 3 e 1% RSA, 10 e 6% Presidio San Marcello. Il totale dei deceduti al P.O. S. Jacopo tra i positivi al SARS-CoV-2 da febbraio è 117 (15%) dei quali il 67.5% maschi. Nella 1° ondata la letalità tra i ricoverati è stata del 18.5%, nella 2° del 12.1%. L’età media dei deceduti è stata 82,1 anni (1° ondata: 81,6; 2° ondata: 82,6). La mortalità specifica CoViD, limitata ai ricoverati del P.O. della Provincia di Pistoia, ha raggiunto 4/100.000 abitanti ed è scesa a 1,8/100.000 dopo agosto.

CONCLUSIONI

Durante la 2° ondata di contagi da SARS-CoV-2 sono stati ricoverati presso il P.O. pistoiese più uomini e in età meno avanzata rispetto alla 1°. Relativamente alle aree di provenienza dei pazienti vi è stato un maggior contributo della Valdinievole tra marzo e agosto rispetto all’autunno. I maggiori tassi di ospedalizzazione presso il P.O. S. Jacopo dopo agosto li hanno mostrati i Comuni di Abetone Cutigliano (attività turistica estiva) e di Montale (vicinanza con la Provincia di Prato che ha mostrato le incidenze regionali maggiori). Il numero medio di ricoveri giornalieri è stato più elevato dopo Agosto ma il picco si è mantenuto inferiore, mostrando un andamento più distribuito, dato confermato anche dal minor fabbisogno autunnale di letti dedicati (100 vs 120). La maggior parte delle curve e delle caratteristiche dei ricoverati al P.O. sono in linea con quelle regionali. La mortalità specifica tra i ricoverati, pur essendo diminuita nella 2° ondata, mostra valori maggiori rispetto alla Regione, la quale tiene di conto anche dei decessi avvenuti sul territorio. Dalla metà di novembre 2020 le curve epidemiche nazionali relative ai contagi hanno iniziato ad appiattirsi, portando all’auspicato picco [4], nello stesso modo si sono comportati i grafici relativi ai ricoveri di soggetti positivi al SARS-CoV-2. Il P.O. pistoiese si è mostrato all’altezza delle necessità del bacino di utenza relativamente all’emergenza CoViD, in particolare, la nuova struttura, ha risposto agilmente alle esigenze di gestione dei particolari flussi.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

COVID-19: opinioni e comportamento della popolazione generale italiana durante la prima fase epidemica

CRISTINA GENOVESE 1, ANGELA DI PIETRO 1, GIUSEPPE TRIMARCHI 2, VINCENZA LA FAUCI 1, ANNA ODONE 3, ALESSANDRA CASUCCIO 4, MARIA PIA FANTINI 5, ANTONIO AZARA 6, SILVANA CASTALDI 7, ELENA RIGHI 8, AIDA BIANCO 9, SOFIA COSENTINO 10, ANTONIO MISTRETTA 11, GIOVANNI GABUTTI 12, ROSA PRATO 13, GIANCARLO ICARDI 14, LEILA FABIANI 15, ROBERTA SILIQUINI 16, CHIARA LORINI 17, IDA TORRE 18, MARIA PAVIA 19, PAOLO VILLARI 20, GABRIELE MESSINA 21, SILVIA MAJORI 22, CARLO SIGNORELLI 23, RAFFAELE SQUERI 1; * THE COVID-19 RISK PERCEPTION COLLABORATION GROUP

Abstract

INTRODUZIONE

La percezione del rischio è definita come “un processo cognitivo coinvolto in varie attività quotidiane che guidano il comportamento delle persone di fronte a decisioni che comportano rischi potenziali”, con diversi fattori attenuanti e aggravanti che la influenzano [1-4]. Il 9 gennaio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi hanno identificato un nuovo ceppo di coronavirus, denominato SARS-CoV-2, agente responsabile della malattia nota come CoViD-19 (CoronaVirus Disease) che si è poi diffuso rapidamente portando in pochi mesi allo sviluppo una pandemia e a elevata mortalità [5]. Sebbene i primi casi segnalati al di fuori della Cina fossero ascrivibili a casi importati [6], la trasmissione successiva è stata determinata da contagi autoctoni [7], così come accaduto anche in Italia [8,9].

Sulla base di queste premesse e alla situazione pandemica contingente, lo scopo di questo studio era: a) valutare i livelli di conoscenza, le attitudini, la percezione del rischio e l’autoefficacia percepita; b) confrontare la percezione del rischio con altre malattie trasmissibili e no; c) fornire informazioni per incrementare la conoscenza della malattia.

MATERIALI E METODI

Si è condotto uno studio multicentrico in 24 università italiane, arruolando i soggetti mediante somministrazione di un questionario standardizzato sul modello dell’ECOM (Efficacy Comunication Outbreak Management) [10] attraverso le seguenti tecniche: 1. CAPI (Computer Assisted Personal Interview), ossia in modalità face to face in fase pre-epidemica; 2. CAWI (Computer Assisted Web Interviewing), tramite posta elettronica. Il questionario era rappresentato da 7 sezioni che investigavano: 1) le informazioni socio-personali dell’individuo; 2 le percezioni del rischio degli intervistati nei confronti delle malattie trasmissibili e non; 3) la conoscenza della CoViD-19 con la creazione di uno score apposito; 4) l’autoefficacia, le azioni eventualmente intraprese per evitare la malattia e la futura compliance vaccinale (insieme alle ragioni di rifiuto); 5) le principali fonti di informazione utilizzate e la fiducia in esse riposta; 6) la percezione del proprio stato psicofisico e la precedente immunizzazione per l’influenza; 7) la disponibilità a ricevere ulteriori informazioni e a partecipare a un evento formativo sulle malattie infettive e sulla loro prevenzione (fornendo i numeri di telefono di due membri del centro coordinatore).Venivano fornite, infine, le raccomandazioni preventive dell’OMS. Le analisi statistiche sintetiche e inferenziali sono state eseguite utilizzando il software R [11].

RISULTATI

È stato studiato un campione di 4.116 individui con età media 32,96 ± 12,96 SD (35.9% maschi e 64.1% donne; 41.5% studenti, 26% operatori sanitari e 32.5% popolazione generale).

Lo studio ha rilevato alti livelli di percezione del rischio, bassa percezione di autoefficacia e bassi score di conoscenza (24,55 ± 5,76 SD) con punteggi maggiori negli studenti (bassa percezione del rischio) e nelle donne (alti livelli di percezione del rischio).

Alla base dei programmi di comunicazione del rischio si ha su una solida comprensione dei fattori determinanti la percezione, delle attitudini e della fiducia nelle autorità e nelle principali fonti comunicative. Secondo l’ECOM in presenza di un basso score di conoscenza è richiesta urgentemente una comunicazione del rischio focalizzata sulle lacune riscontrate: nel nostro campione una parte di popolazione aveva poca conoscenza delle modalità di trasmissione, del carico di mortalità e delle misure preventive, indicando la necessità di interventi istituzionali volti a migliorarla.

L’altro punto su cui ECOM pone l’accento è il rischio percepito: la nostra analisi mostra una media dello score di 7 (medie crescenti con l’aumentare dell’età), ascrivibile in parte allo stato di infodemia e alla pressione sociale della seconda fase dello studio, indicando la presenza di ansia e angoscia e imponendo con urgenza una comunicazione efficace.

Ulteriore obiettivo dell’ECOM è la valutazione delle notizie richieste sulla malattia dalla popolazione; nel nostro studio la gran parte del campione necessitava ulteriori informazioni sulle modalità di trasmissione e prevenzione, sui sintomi e sulla terapia.

Ultimo punto stabilito dall’ECOM è la fiducia riposta nelle autorità come fonte informativa, che è risultata elevata nel 50% del campione, sebbene la quantità di informazioni ricevute sia risultata inferiore a quelle fornite da altre fonti. Infine, il 76% dei soggetti ha dichiarato che si vaccinerebbe per CoViD-19.

CONCLUSIONI

Questo studio è il primo a riportare la percezione del rischio in Italia all’inizio della pandemia, valutando la conoscenza pubblica e le percezioni errate e ricavando informazioni necessarie per la comunicazione dei rischi. Inoltre, ha dato supporto alle istituzioni nel fornire informazioni corrette per la prevenzione nella prima fase pandemica, ancor prima dell’identificazione dei primi casi in Italia.

Contributor Information

* THE COVID-19 RISK PERCEPTION COLLABORATION GROUP:

Claudio Costantino, Vincenzo Restivo, Davide Gori, Giovanna Deiana, Lucia Palandri, Giovanni Panciroli, Francesca Licata, Marina Marranzano, Rosalia Ragusa, Stefanati Armando, Francesca Fortunato, Domenico Martinelli, Donatella Panatto, Daniela Amicizia, Annalucia Moretti, Damiana Di Risio, Gianluca Voglino, Fabrizio Bert, Guglielmo Bonaccorsi, Francesca Pennino, Gabriella Di Giuseppe, Andrea Paolantonio, Carolina Marzuillo, Cesare Rivieri, Nicola Nante, Stefano Tardivo, Francesca Moretti, Smeralda D’Amato, and Francesco Mazzitelli

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The impact of COVID-19 pandemic on healthcare-associated infections in intensive care unit patients: a retrospective cohort study

VALENTINA BACCOLINI 1, GIUSEPPE MIGLIARA 1, CLAUDIA ISONNE 1, BARBARA DORELLI 1, DARA GIANNINI 1, DANIELA MAROTTA 1, MATTIA MARTE 1, ELENA MAZZALAI 1, FRANCESCO ALESSANDRI 2, FRANCESCO PUGLIESE 3, GIANCARLO CECCARELLI 1, CAROLINA MARZUILLO 1, CORRADO DE VITO 1, MARIA DE GIUSTI 1, PAOLO VILLARI 1

Abstract

INTRODUCTION

The coronavirus disease 2019 (COVID-19) pandemic has enormously impacted the healthcare systems globally. Sustained widespread SARS-CoV-2 transmission has challenged hospital capacities and Intensive Care Units (ICUs) have adapted to deal with the pandemic [1]. Within this emergency context, the attention to healthcare-associated infection (HAI) prevention programs may have inadvertently been reduced [2]. Also, the COVID-19 response itself may have led to significant supply shortages of personal protective equipment, crucial for a successful HAI control [3]. These factors, coupled with the rapid upscaling of ICU capacity, reduced staff to patient ratios, greater length of stay, and complexity of patients, may have contributed to an increased risk of infection from cross-contamination of microorganisms between patients or within an individual patient [2]. Not to mention the high selective antibiotic pressure that during the pandemic may have facilitated the insurgence of bacterial resistance [4,5]. The aim of this study was to estimate the impact of the COVID-19 pandemic on the incidence of HAIs in the main ICU of Umberto I teaching hospital of Rome.

MATERIALS AND METHODS

Data on ICU patients were retrieved from the active HAI surveillance system that has been conducted in the ICU since April 2016 [6]. For this study, patients admitted to the ICU from 1st March 2020 to 4th April 2020 were compared to patients admitted to the ICU between the same dates one year before (1st March 2019-4th April 2019). For both cohorts, the follow-up was extended up to the 15th June 2019 and 2020, respectively. Time-to-first HAI was estimated through survival analysis. To take into account the competitive risk of death on the development of HAI (Model 1) or device related-HAI (dr-HAI, Model 2), the association of risk factors and time-to-event was assessed through multivariable Fine and Grey’s regression models for proportional hazard, that provided estimates of sub-distribution hazard ratio (SHR) and their 95% confidence interval (CI). Also, a subgroup analysis was performed on the 2020 cohort: analogously to the main analyses, two multivariable Fine and Grey’s regression models were built to assess the association between risk factors and time-to-event for the development of HAI (Model 3) and dr-HAI (Model 4), respectively.

RESULTS

Data from 104 patients were analyzed: 42 hospitalized in 2019 and 62 hospitalized in 2020. After adjusting for other variables, patients admitted to the ICU in 2020 were found to be positively associated with both HAI and dr-HAI development (SHR: 2.71, 95% CI: 1.36-5.42, and SHR: 7.47, 95% CI: 1.63-31.15, respectively). While being female and exposed to mechanical ventilation did not seem to influence any outcome, being older was associated with a reduction in the sub-distribution hazards in both models. As for the comorbidities, hypertension was associated with development of HAI only, while diabetes mellitus was associated with neither HAI nor dr-HAI.

In the subgroup analyses, out of the 62 patients hospitalized in 2020, 41 were positive to Sars-CoV-2 in which occurred 32 infections (71.1%). However, at multivariable analyses, after adjusting for other factors, there was no difference in the sub-distribution hazards between patients with and without COVID-19 for neither development of HAI or dr-HAI, (SHR: 1.23, 95% CI: 0.54-2.81 and SHR: 2.35, 95% CI: 0.85-6.45). Also, older age was associated with a reduction in the hazards of the outcome in both models, whereas sex, hypertension, diabetes mellitus and exposure to mechanical ventilation did not seem to influence any outcome.

CONCLUSIONS

Our study shows an increase in HAI and dr-HAI rates among ICU patients admitted in 2020 in comparison to whose admitted in 2019. Probably due to the small sample size, we did not find any difference between patients with and without COVID-19. However, these results suggest that the mitigation strategies adopted to face the emergency might have led to a lack in targeted interventions for HAI prevention and control, in line with the current literature on the possible role of the pandemic as a contributing factor on HAI onset [2,7,8].

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Analisi del primo approccio a un focolaio epidemico da SARS-CoV-2 di un Sistema Sanitario Nazionale regionalizzato e criticità del presente modello

LORENZO BLANDI 1, CARLO PAPPONE 2, MASSIMO CARRATURO 3, LORENZO MENICANTI 4

Abstract

INTRODUZIONE

L’analisi dei diversi modelli di sistemi sanitari che affrontano una pandemia è fondamentale per indirizzare efficacemente i futuri sforzi della Sanità Pubblica. L’obiettivo di questo studio è analizzare l’approccio di un modello sanitario regionalizzato, valutando indicatori rappresentativi del carico di lavoro dei primi sistemi sanitari regionali colpiti dalla pandemia (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) che siano potenzialmente predittivi per i tassi di mortalità, prendendo in considerazione la distribuzione del COVID-19 nelle aree in prossimità del primo focolaio italiano, le risorse sanitarie regionali a disposizione e le caratteristiche delle differenti popolazioni. [1-10]

MATERIALI E METODI

Al fine di individuare indicatori che siano rappresentativi dell’eccessivo carico di lavoro sui sistemi sanitari, stati selezionati tre elementi come possibili fattori predittivi di un aumento esponenziale della mortalità: 1) tasso di pazienti ospedalizzati; 2) saturazione dei letti di terapia intensiva; e 3) rapporto tra numeri di pazienti in terapia intensiva e numero di anestesisti nella regione di riferimento. Ogni indicatore è stato comparato con un modello di regressione potenza (f(x) = c*xp) e sono stati calcolati i coefficienti di determinazione (R2) e le distribuzioni delle linee di tendenza delle rispettive funzioni potenza.

RISULTATI

Il primo (1) indicatore segue una linea di tendenza lineare (p = 0,97-1,18; R2 = 0,95-0,98) in relazione all’aumento del tasso di mortalità; il secondo indicatore (2) (p = 1,02-1,45; R2 = 0,93-0,97) e il terzo indicatore (3) (p = 1,03-1,45; R2 = 0,93-0,97) seguono delle linee di tendenza non lineari all’aumento dei valori dei tassi di mortalità.

CONCLUSIONI

Due dei tre indicatori ricercati relativi all’eccessivo carico di lavoro del sistema sanitario di riferimento sono predittivi per un incremento esponenziale al crescere dei valori dei tassi di mortalità [11-17]. Conseguentemente, il coordinamento e la collaborazione più integrata tra differenti sistemi sanitari sono essenziali per affrontare una pandemia. Insieme agli indicatori epidemiologici, il tasso di mortalità deve essere monitorato, ma non è sinonimo di qualità di un sistema sanitario. [18]

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“L’esperienza di assistenza domiciliare COVID a Napoli, e uso di ossigenoterapia ad alti flussi”. Rete Hub Spoke tra le Cure Palliative Domiciliari e la USCA con sistemi di assistenza sub-intensivi

RICCARDO ROSSIELLO 1, ANTONIO MADDALENA 1, NUNZIA MESSINA 1, ANDREA POMICINO 1, PASQUALE GALLO 1, ROSSANA ARLOMEDE 1, ROBERTO IOSSA 1, SALVATORE ANATRELLA 1, AMEDEO CEFALIELLO 2, PIETRO COTRUFO 2, FRANCESCO DE DONATO 2, ANDREA DI GIOVANNI 2, CECILIA IERVOLINO 2, ANNA CHIARA MARATEA 2, AURORA MEROLLA 2, EMILIANO PARENTE 2, MARIA ROSARIA PIROLO 2, ANTONIO SCALVENZI 2, BENEDETTA TARTAGLIA 2, CLARA VILLANACCI 2, YLENIA VAIA 2, VALERIA CAFASSO 2, GABRIELE CAIAZZO 2, CHIARA ESPOSITO 2, CORINNA GARAFFA 2, EMANUELE PONTECORVI 2, MICHELE RIZZUTI 2, CANDIDA SILVESTRI 2, ANGELO VAIA 2, CHIARA VITIELLO 2, PAVLO YAVORSKIY 2, VALERIO LUONGO 2, SAVERIO MARTINO 2, D ALESSANDRO OLIVIERO 2, MARIA ANTONIA GISMUNDO 2

Abstract

INTRODUZIONE

L’emergenza Covid è legata non solo alla gravità della patologia ma all’elevata contagiosità della stessa e quindi alla congestione degli ospedali [1], in Campania si è deciso pertanto di affidare la funzione di coordinamento della USCA [2], secondo le recenti direttive di ottobre 2020, alle Cure Domiciliari a elevata intensità assistenziale che trovano la loro Centrale Operativa in una Presidio Ospedaliero con caratteristiche peculiari. Si tratta della Struttura Polifunzionale per la Salute (S.P.S.) San Gennaro che si è attrezzata per fungere da filtro tra gli Ospedali e il Territorio [3]. L’obiettivo generale e gestire l’emergenza territoriale. L’obiettivo specifico è dotare l’Azienda Sanitaria di un’area di cure intermedia [4] che funga da cabina di regia per l’assistenza domiciliare dei pazienti COVID-19, per rispondere alla domanda di Cure prontamente.

MATERIALI E METODI

Il sistema è organizzato secondo il modello Hub Spoke. Le Cure Palliative Domiciliari coinvolte con 10 unità di specialisti e infermieri, sono HUB, mentre la USCA dotata di 20 medici si configura come SPOKE periferico.

I mezzi a disposizione sono i seguenti:

  • kit per ossigenoterapia ad alti flussi e maschere venturi;

  • kit per il monitoraggio da remoto dei parametri vitali;

  • strumenti per diagnostica a casa: ECG, EGA, ECO torace.

Fase di arruolamento:

  • e-mail da parte del MMG (coordinatore AFT) per richiesta attivazione e risposta per arruolamento;

  • chiamata a MMG e paziente, da Hub, con prima registrazione di cartella su rete condivisa;

  • briefing per l’impostazione di intervento da attuare con assegnazione di priorità;

  • elaborazione planning (2 o 3 giornalieri).

Fase operativa:

  • telefonata e/o visita in base a priorità e per monitoraggio delle condizioni del paziente;

  • installazione dei KIT di monitoraggio in pazienti che desaturano, SpO2 < 95% in condizioni normali o, SpO2 < 92% in BPCO, dopo test del cammino che rileva una riduzione di SpO2 ≥ 2% e supporto ventilatorio non invasivo per O2 ad alti flussi con sistema AIRVO (HAFNO con ARF) considerando il marker prognostico/infiammatorio dell’IL-6.

Fase di verifica [5] e formazione:

  • elaborazione di report e analisi dei dati;

  • briefing dopo fase operativa per attuare eventuali correttivi;

  • formazione di tutti i coordinatori AFT dell’ASL Na1 Centro;

  • formazione del personale della rete Spoke USCA.

Punti critici o di forza se ben strutturati:

  • la collaborazione dei MMG come gatekeeper [6] del paziente e coordinamento nella rete AFT;

  • dialogo con Dipartimento di Prevenzione [7] per accertamento di tamponi diagnostici, compresi i privati convenzionati e contact tracing in modo da poter intervenire in modo congiunto [8];

  • tempi di sanificazione dei presidi riutilizzati (kit monitoraggio ad esempio).

RISULTATI

Benefici dall’utilizzo di HFNO CON ARF [9] si traduce ovviamente nell’obiettivo generale del ridotto ricorso al ricovero e intubazione invasiva che rappresenta, già da sola, una causa di mortalità in 1/3 dei casi, ammettendo che il paziente riesca in periodo emergenziale a essere accolto prontamente dalla struttura ospedaliera. Da una prima analisi riguardanti 24 pazienti covid con ipossiemia che, dopo la valutazione dell’équipe, ha necessitato dell’installazione di kit per alti flussi, abbiamo osservato che:

  • come comorbilità nei pazienti arruolati:

    • 8 pazienti hanno 3 o più comorbilità,

    • 12 pazienti hanno 1 o 2 comorbilità,

    • 4 pazienti non hanno comorbilità;

I pazienti che ricavano un beneficio, già valutabile, nei primi 5 giorni sono coloro che presentano maggiori comorbilità e che evidentemente si avvantaggiano prontamente da tale terapia di supporto, l’età più avanzata, invece, determina una evoluzione più lenta verso la guarigione.

  • i valori di ipossiemia [10], riscontrati, per intervenire con il kit Alti Flussi, sono stati:

    • 4 pazienti, SpO2 < 80% in AA (Aria Ambiente), < 90% in O2 gassoso standard,

    • 11 pazienti, 80% < SpO2 > 90% in AA, circa 90% in O2 gassoso standard

    • 9 pazienti 91%< SpO2 < 95% in AA che scendeva in modo significativo dopo test del cammino

L’applicazione di l’HFNO con ARF normalizza sempre i valori di ipossiemia e in media ciò si verificava dopo 15 giorni (con una media di 3 impostazioni di regolazione differente ogni 5 giorni che seguivano l’evoluzione della patologia.) Seppure tale metodica di ventilazione NIV sia talvolta praticata, in pazienti con sintomatologia e segni gravi che rifiutano il ricovero nessun paziente a cui è stata praticata tale trattamento di tipo sub-intensivo [11], esita nel ricovero e aggravamento delle condizioni.

CONCLUSIONI

Il ridotto ricorso alle cure ospedaliere per Covid grazie a una rete territoriale e intermedia, adeguata, consentirebbe l’accesso e/o comunque una maggiore fiducia nella fruibilità e sostenibilità delle strutture sanitarie per attività di diagnostica e cura ordinarie [12]. Tale sistema organizzativo assicura benefici anche in tema di umanizzazione delle Cure [13], dato che il paziente non si trova isolato al di fuori del suo contesto.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Copertura vaccinale antinfluenzale tra gli operatori sanitari: l’esempio delle giovani generazioni

MARCELLO DI PUMPO 1, TERESA ELEONORA LANZA 1, LEONARDO VILLANI 1, GIOVANNI AULINO 1, ANDREA BARBARA 1, DANIELE IGNAZIO LA MILIA 2, UMBERTO MOSCATO 1,2, GIANFRANCO DAMIANI 1,2, WALTER RICCIARDI 1,2, PATRIZIA LAURENTI 1,2

Abstract

INTRODUZIONE

La vaccinazione antinfluenzale è altamente raccomandata tra gli operatori sanitari. La bassa copertura in Italia in questa categoria (media 15.6% per la stagione influenzale 2016/17, ECDC) richiede nuovi approcci. Lo scopo di questo studio consiste nel valutare in quale misura la copertura vaccinale tra gli operatori sanitari registrati durante la campagna di vaccinazione antinfluenzale 2019-2020 in un grande Ospedale Universitario di Roma sia stata influenzata dall’età e dal livello di formazione accademica.

È stato condotto uno studio retrospettivo osservazionale. Sono state eseguite analisi statistiche descrittive e inferenziali (test chi-quadrato, livello di significatività posto a 0,05).

MATERIALI E METODI

La campagna di vaccinazione oggetto di studio è stata rivolta a più di 4.000 operatori sanitari dipendenti della Struttura (copertura totale raggiunta: 24.2%). L’offerta vaccinale è stata estesa anche agli operatori sanitari “giovani” ossia i medici in formazione specialistica e gli studenti di medicina nel triennio clinico.

RISULTATI

La copertura in questi gruppi (rispettivamente 46% e 63.2%) è risultata più elevata della copertura totale (p < 0,05). È stata poi eseguita un’ulteriore analisi che ha mostrato come la copertura tra gli operatori “giovani” si sia dimostrata maggiore (p < 0,05) anche di quella raggiunta nel corrispettivo gruppo professionale, ossia i Medici dipendenti della Struttura (copertura in questo gruppo: 36.6%).

CONCLUSIONI

La maggiore copertura tra gli operatori sanitari “giovani” potrebbe essere spiegata alla luce della maggiore apertura alla prevenzione e a un corretto stile di vita che caratterizza le nuove generazioni. Tale risultato potrebbe anche essere giustificato considerando il senso di responsabilità tale gruppo nei confronti del proprio percorso educativo come incentivo a non perdere ore di studio/lavoro causa influenza.

In conclusione, la vaccinazione antinfluenzale è altamente raccomandata tra gli operatori sanitari. Le generazioni più giovani, che rappresentano il futuro della sanità, dimostrano di essere più aperte e responsabili verso buone pratiche di prevenzione come questa.

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

The PrEPventHIV gap: a systematic scoping review on HIV pre-exposure prophylaxis implementation in Italy

PIETRO FERRARA 1, IPPAZIO ANTONAZO 1, LORENZO MANTOVANI 1

Abstract

INTRODUCTION

Pre-exposure prophylaxis (PrEP) – the use of antiretrovirals by people who are uninfected – has proved effective at reducing the risk of human immunodeficiency virus (HIV) infection, with a significant decreasing of incidence [1]. In Italy, with approximately 5 new infections per 100,000 inhabitants registered yearly [2], the use of tenofovir/emtricitabine combination (TDF/FTC) was authorized for non-reimbursed PrEP in 2017 [3]. This scoping review investigated whether the available literature provides evidence on the current level of implementation of PrEP in the country.

MATERIALS AND METHODS

A systematic search was conducted across relevant databases, using search strategies developed with controlled vocabulary. Cross-referencing of the citation lists from included articles and hand-searching of surveillance reports were also carried out to incorporate all potentially relevant studies and grey literature. Inclusion criteria were articles: 1) accessible in full-text; 2) including data/information on PrEP implementation and utilization in Italy. No restriction on date or publication status was applied. Research findings were extracted and summarized narratively according to key issues and themes.

RESULTS

The search yielded a total of 56 reports and seven met criteria for inclusion in this qualitative synthesis. All researches were published between 2013 and 2020, and included six journal articles and one surveillance report by ECDC. According to this report, in Italy provision of PrEP occurs in research settings, private providers, and the internet [1]. The only available indicator of PrEP uptake is the numbers of people receiving PrEP for the first time in the previous 12 months (532 per 100,000 inhabitants) and the vast majority of users were men who have sex with men (MSM) [1]. 29% users had online/informal access to PrEP [1]. Another survey conducted among gay couples in Europe (without stratification by country data) found that less than a quarter of serodiscordant couples used PrEP (or PEP) [4]. Three studies investigated HIV specialists’ attitudes toward PrEP, before it was made available in Italy. Overall, many interviewed physicians raised concerns about the risk of acquiring other sexual transmitted diseases (STD), potential harmful of PrEP administration (e.g., side effects), and reimbursement strategy [5-7]. A limited number of physicians declared to have had previously suggested PrEP to their patients [5]. A more positive attitude was seen in those who attended HIV educational courses [7]. A relevant level of PrEP knowledge was also found in persons living with HIV, mostly those who were members of HIV associations [5]. A recently published multi-dimensional health technology assessment (HTA) of PrEP adoption in Italy concluded that most cost-containing strategy would be the use of PrEP as an “add-on” measure, with improvement in patients’ quality of life and safety. However, authors advised that PrEP would favor other STDs in case of its use as a “substitute” prevention strategy [8]. The study also warranted increased economic investments due to PrEP implementation for both the National Health Service and citizens, softened with the introduction of the off-patent FTC/TDF [8]. Lastly, in order to theoretically predict PrEP efficacy, a modeling approach advised regarding a 14.3% prevalence of resistance to TDF among young MSM in Milan as of 2016 [9].

CONCLUSIONS

This scoping review identified a relevant evidence gap on PrEP implementation in Italy. There is a need for more PrEP programming, monitoring and epidemiological surveillance, as well as for actions to improve its correct use. This requires the involvement of stakeholders – including HIV associations in a community-based approach – and the assessment of possible local barriers to implementation of PrEP. Further HTA and cost-effectiveness evaluations based on updated programs, and coverage and surveillance data may also help policy makers to assess PrEP feasibility.

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La vaccinazione del soggetto HIV+: l’esperienza di una Azienda Ospedaliera Universitaria del Sud Italia

SMERALDA D’AMATO 1, GIOVANNI FRANCESCO PELLICANÒ 2, CRISTINA GENOVESE 3, FRANCESCO MAZZITELLI 1, FLAVIA D’ANDREA 2, GAETANO BRUNO COSTA 1, FRANCESCO FEDELE 1, RAFFAELE SQUERI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Nel mondo circa 38 milioni di persone vivono con l’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Il numero dei decessi per anno continua a diminuire grazie all’uso della HAART che ha portato a un aumento dell’aspettativa di vita, ridotto l’incidenza degli eventi AIDS correlati e migliorato lo stato immunitario [1].

Tuttavia tali soggetti, in virtù del loro stato di immunocompromissione, si trovano in una condizione di svantaggio nei confronti delle malattie infettive più diffuse.

Nonostante le chiare raccomandazioni del PNPV 2017-2019 riguardo le vaccinazioni nei gruppi a rischio, e quindi anche nei soggetti HIV+ [2,3] non esiste a oggi un protocollo vaccinale dedicato specificamente a questi soggetti.

Numerosi sono gli sforzi per aumentare la copertura vaccinale in tutto il mondo e perché questi sforzi abbiano successo, la sicurezza dei vaccini è fondamentale [4].

Per quanto si disponga di preparati sicuri ed efficaci, la letteratura nazionale e internazionale indica, però, coperture vaccinali non soddisfacenti [5] e questo per vari motivi, tra cui la difficoltà a dichiarare il proprio stato e il timore di effetti collaterali.

Scopo del nostro studio è stato avviare un percorso clinico condiviso tra il Centro Vaccinale dell’Igiene Ospedaliera e il Centro di prevenzione, diagnosi e cura dell’HIV/AIDS al fine di incrementare la copertura vaccinale, valutando gli eventuali effetti collaterali.

MATERIALI E METODI

È stato condotto uno studio prospettico da ottobre 2019 a febbraio 2020 presso l’ospedale universitario G. Martino di Messina. In particolare, 138 pazienti afferenti al Centro di prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie da HIV/AIDS possedevano i criteri d’inclusione per la proposta vaccinale (età >18 anni, CD4+ > 200 cellule/μL; CD4+ > 350 cellule/μL per anti-HPV).

Previa descrizione della proposta vaccinale, il 62% ha aderito al programma, è stato arruolato e inviato al Centro Vaccinale dell’Igiene Ospedaliera. Dopo l’acquisizione di specifico consenso informato e reso edotto delle possibili reazioni locali/sistemiche, ogni paziente ha ricevuto un calendario vaccinale ad hoc.

Il calendario vaccinale proposto, da adattare a ogni profilo immunologico, prevede la somministrazione di vaccini antinfluenzali, Haemophilus Influenzae di tipo B, PCV 13-valente coniugato e PPV 23-valente polisaccaridico, anti HAV e HBV, anti meningococco ACW135Y e B e HPV 9-valente.

L’analisi statistica è stata eseguita con il software R.

RISULTATI

Il campione è rappresentato da 86 pazienti (74% maschi e 26% femmine, 21% stranieri e 79% italiani, età media = 40 ± 13,6 DS). Non si è osservato nessun drop out e non sono state segnalate reazioni locali/sistemiche diverse da quelle dei soggetti immunocompetenti.

Abbiamo ottenuto un aumento significativo (P < 0,0001) della copertura vaccinale con un totale di 74 dosi somministrate per l’influenza (+164% rispetto al 2018) e 240 per altri vaccini (+172% che nel 2018). In particolare, abbiamo immunizzato il 74% dei pazienti per HPV-9 valente (2% nel 2018), 42% per HAV(28% nel 2018), 37% per HBV(28% nel 2018), 58% per pneumococco (21% nel 2018), 54% per ACWY meningococcica e B(0% nel 2018). Tutti i soggetti si sono ripresentati nella stagione 2020/21 per la vaccinazione antinfluenzale.

Nei mesi successivi l’avvio dello studio, l’emergenza sanitaria COVID-19 ha ridotto l’accesso al Centro Vaccinale. I calendari sono stati rimodulati per il recupero delle dosi e il completamento delle schedule vaccinali.

CONCLUSIONI

La condizione di immunocompromissione viene, spesso, erroneamente percepita come controindicazione alla vaccinazione.

La mancanza di un programma nazionale condiviso specifico sposta in secondo piano l’immunizzazione di una popolazione target fragile e spesso difficile da raggiungere. Ma, in questi soggetti, ridurre il rischio di contrarre malattie infettive prevenibili mediante vaccinazione è fondamentale.

L’avvio di un percorso clinico condiviso tra figure specialistiche che conoscono la necessità/benefici delle vaccinazioni per il paziente HIV+ è risultato importante per aumentare la compliance di questi soggetti.

La tutela della privacy di soggetti spesso riluttanti nel dichiarare la loro condizione, l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, in ambiente protetto e all’interno della stessa struttura ospedaliera, ha favorito l’adesione al programma, potendo, inoltre, organizzare le sedute vaccinali in corrispondenza delle prime visite/follow-up infettivologici.

Il percorso intrapreso rappresenta l’ inizio di strategie per implementare e promuovere le vaccinazioni nei soggetti HIV+ e per superare l’ esitazione vaccinale, ancora attuale, lavorando sull’ importanza di avere percorsi definiti e condivisi dedicati a questi pazienti.

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Impatto della pandemia di COVID-19 sulle intenzioni vaccinali degli studenti dell’Università Cattolica e sulla loro salute mentale: risultati di un’indagine multicentrica

LEONARDO VILLANI 1, ROBERTA PASTORINO 1, ENRICO MOLINARI 2, FRANCO ANELLI 3, WALTER RICCIARDI 1, GRAFFIGNA GRAFFIGNA 2, STEFANIA BOCCIA 1

Abstract

INTRODUZIONE

L’Italia è stato il primo Paese europeo ad attuare un blocco nazionale a seguito dell’epidemia COVID-19. Molti studi hanno riportato che la pandemia ha avuto un impatto enorme sulla salute mentale delle persone [1-3]. In particolare, in Italia, durante la prima ondata di COVID-19, 71 giorni di blocco totale potrebbero aver facilitato lo sviluppo di disturbi mentali, soprattutto ansia e depressione, specialmente nella popolazione studentesca.

La vaccinazione rappresenta attualmente l’unica arma in grado di contrastare il diffondersi dell’infezione. Tuttavia, molti individui attualmente risultano non disposti a vaccinarsi [4-6]. Allo stesso modo, la vaccinazione antinfluenzale rappresenta un’arma importante per ridurre la morbilità, la mortalità e le ospedalizzazioni da influenza che potrebbero portare in sofferenza il Sistema Sanitario Nazionale.

L’obiettivo dello studio dunque è: 1) valutare l’impatto della pandemia sullo stato di salute mentale di un campione di nostri studenti universitari; e 2) valutare le loro intenzioni rispetto alla vaccinazione per COVID-19 e antinfluenzale.

MATERIALI E METODI

Nel periodo successivo alla fine del blocco è stato condotto un questionario sulla pagina intranet degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Sono dunque stati inclusi gli studenti appartenenti a 4 campus localizzati a Roma, Milano, Brescia, e Piacenza-Cremona, appartenenti a 8 facoltà differenti.

RISULTATI

Le scale validate Patient-Health-Engagement-Scale, Self-Rating-Anxiety-Scale (SAS), e Self-Rating-Depression-Scale (SDS) sono state utilizzate per valutare i sintomi dei ansia e depressione. Le scale SAS e SDS hanno mostrato alti tassi di riproducibilità, con un coefficiente alfa di Cronbach di 0,90 (0,88-0,91) e 0,89 [CI 95% (0,87-0,90)].

La dimensione del campione è pari a 501. Il 35.3% è stato classificato come ansioso e il 72.9% come depresso. Oltre il 90% degli intervistati ha riferito di aver compreso le misure preventive e oltre 70% soffre dell’impossibilità di vedere amici e partner. Il 55% degli studenti sarebbe disposto a contribuire di più ad affrontare la pandemia. Circa la condizione di ansia, l’essere donna è un fattore di rischio, mentre l’attività fisica è un fattore protettivo [OR = 2,44, CI 95% (1,769-3,861)]; [OR = 0,58, CI 95% (0,383-0,901)]. Gli studenti del campus di Roma hanno più probabilità di soffrire d’ansia rispetto a quelli di altri campus [OR = 1,55, CI 95% (1,032-2,340)]. La preoccupazione per il COVID-19, la paura per il contenimento della pandemia e la paura per l’aumento dei casi positivi e dei decessi sono fattori di rischio per l’insorgenza dell’ansia [OR = 1,27, CI 95% (1,03-1,56)]; [OR = 1,41, CI 95% (1,155-1,737)]; [OR = 1.60, CI 95% (1,28-2,00)].

L’impossibilità di frequentare l’università, la distanza dai propri compagni di studio e l’impossibilità di vedere il proprio partner è associata a un aumento dell’ansia [OR = 1,37, CI 95% (1,167-1,616)]; [OR = 1,35, CI 95% (1,156-1,590)]; [OR = 1,34, CI 95% (1,07-1,67)].

Per quanto riguarda la depressione, gli studenti del Campus di Roma erano più propensi a manifestare sintomi depressivi [OR = 1,49, CI 95% (0,970-2,297)], così come la distanza dai compagni [OR = 1,15, CI 95% (0,993-1,369)].

Considerando le vaccinazioni, il 18.6% degli studenti teme possibili reazioni avverse al vaccino COVID-19. La maggioranza (94.7%) è disposta a farsi vaccinare contro il COVID-19. Il 92.9% ha dichiarato di sentirsi più sicuro quando il vaccino sarà disponibile e il 91.5% ritiene che il vaccino COVID-19 risolverà l’emergenza.

Il 77.5% degli studenti è disposto a farsi vaccinare contro l’influenza. Per quanto riguarda una precedente vaccinazione antinfluenzale, il 52.3%, di cui il 75.8% frequenta la Facoltà di Medicina e Chirurgia, l’ha ricevuta almeno una volta nella vita.

CONCLUSIONI

L’evoluzione della pandemia è incerta e i suoi effetti sulla salute mentale possono rivelarsi a lungo termine: è fondamentale studiare gli interventi più efficaci per identificare i sottogruppi vulnerabili e pianificare servizi psicologici per ridurre il peso dei problemi psicologici. In tal senso, a seguito di questo studio è stato attivato uno sportello presso la nostra Università per supportare gli studenti più bisognosi e in difficoltà a seguito della pandemia. Considerando l’ambito vaccinale, la popolazione studentesca sembra essere intenzionata a vaccinarsi per il COVID-19, spinta dalla preoccupazione per la situazione globale e per il crescente numero di casi e decessi. Anche l’assimilazione della vaccinazione al «ritorno alla normalità» rappresenta un fattore predittivo alla vaccinazione. Lo studio mostra come il livello di impegno psicofisico degli individui nella gestione della propria salute sia un fattore predittivo dell’intenzione di intraprendere la vaccinazione antinfluenzale e la maggior parte degli studenti sono disposti a farsi vaccinare contro l’influenza e il COVID-19.

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Valutazione della preparedness e della percezione del rischio negli operatori sanitari nel contesto dell’epidemia da COVID-19

CATERINA VISCOMI 1, FRANCESCA LICATA 1, CARMELO GA NOBILE 2, AIDA BIANCO 1

Abstract

INTRODUZIONE

Nell’ambito della pandemia COVID-19, gli operatori sanitari rappresentano una categoria ad alto rischio di infezione [1]. Un’adeguata preparedness in tema di gestione, prevenzione e controllo delle infezioni rappresenta una risorsa necessaria per gli operatori sanitari, ancor di più nell’attuale contesto di emergenza sanitaria.

Lo studio, pertanto, si è proposto di valutare il grado di preparedness degli operatori sanitari in ambito ospedaliero e la percezione del rischio di trasmettere e di acquisire l’infezione.

MATERIALI E METODI

L’indagine ha previsto la somministrazione di un questionario, distribuito a un campione di 400 operatori sanitari (medici, infermieri, OSS/OSA) selezionati casualmente tra coloro che prestano servizio in 5 presidi e Aziende Ospedaliere della Regione Calabria. Previa acquisizione di consenso informato, sono stati raccolti dati socio-demografici e professionali, informazioni relative alle conoscenze sulla trasmissione e prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, alla percezione del rischio, ai comportamenti messi in atto per controllare la trasmissione dell’infezione.

RISULTATI

I risultati preliminari si riferiscono a 343 questionari raccolti nel periodo tra il 1° giugno e 31 luglio 2020 (tasso di risposta pari al 97.3%). La maggior parte del campione era costituito da donne (62.8%) e infermieri (51.8%), con un’età media di 43,7 anni (DS ± 9,9).

Tra i partecipanti la maggior parte ha indicato correttamente che la trasmissione di SARS-CoV-2 può avvenire per contatto diretto o indiretto con soggetti positivi (83.5%) e tramite droplets (96%). La quasi totalità del campione (98.4%) ha indicato correttamente i dispositivi efficaci per la riduzione della trasmissione della COVID-19, ma nessuno fra gli intervistati conosce la corretta sequenza delle procedure di vestizione e solo lo 0.3% conosce la corretta sequenza delle procedure di svestizione così come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [3] e dell’European Centre for Disease Prevention and Control [4]. Meno della metà (44.5%) degli intervistati si ritiene abbastanza/molto soddisfatto dei programmi di prevenzione e controllo dell’infezione COVID-19 messi in atto dalla struttura in cui presta servizio; il 44.5% dichiara di essere poco/per niente preoccupato della possibilità di trasmettere l’infezione a pazienti negativi, mentre il 63.3% è abbastanza/molto preoccupato di trasmettere l’infezione ai propri familiari.

Per quanto riguarda il corretto utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), solo il 20.7% ha mostrato di utilizzare correttamente la mascherina durante il proprio turno di lavoro (evitando di toccarla, rimuovendola correttamente e cambiandola quando sia sporca). Relativamente ai singoli DPI, il 76.1% dei partecipanti utilizza correttamente i guanti e l’89.8% pratica una corretta igiene delle mani con acqua e sapone o utilizzando soluzioni idroalcoliche sia prima che dopo aver indossato i guanti.

Il 60.1% del campione afferma che nella propria struttura esiste un protocollo scritto per la gestione dell’emergenza COVID-19 consultabile da tutti gli operatori sanitari. Buona parte del campione (81.3%) riporta di essere a conoscenza della persona da contattare in caso di contatto stretto con un caso confermato o sospetto di COVID-19 e il 69.8% dichiara di aver ricevuto indicazioni dalla struttura in cui lavora su come identificare e assistere i casi di COVID-19. L’86.3% degli operatori sanitari inclusi nello studio ritiene di aver bisogno di ulteriori informazioni in tema di prevenzione e controllo della COVID-19.

CONCLUSIONI

Gli operatori sanitari che hanno partecipato allo studio hanno mostrato complessivamente un buon livello di preparedness nella gestione dell’attuale situazione pandemica così come lo hanno mostrato le strutture ospedaliere in cui è stata condotta l’indagine. Tuttavia sono emerse alcune criticità nelle conoscenze della maggior parte del personale sanitario, con particolare riferimento al corretto utilizzo delle mascherine e alla corretta sequenza delle procedure di vestizione e svestizione. Questi risultati suggeriscono la necessità di rinforzare i programmi di controllo e prevenzione delle infezioni in generale e delle infezioni respiratorie in particolare, attraverso corsi di formazione mirati a potenziare la preparedness del personale sanitario così da poter fronteggiare tutti i possibili scenari epidemici che dovessero delinearsi.

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Revisione sistematica di studi clinici sul ruolo della lattoferrina nelle infezioni virali: una possibile terapia di supporto contro COVID-19?

ALESSANDRA SINOPOLI 1,2, CLAUDIA ISONNE 3, VALENTINA BACCOLINI 3, MARIA MERCEDES SANTORO 2

Abstract

INTRODUZIONE

Il virus SARS-CoV-2 sta impegnando l’intera la comunità scientifica in una corsa contro il tempo per ottenere trattamenti farmacologici efficaci e, poiché non esiste ancora un vaccino o una terapia antivirale specifica, si stanno valutando anche integratori alimentari [1,2]. L’insufficienza alimentare di vitamine e minerali è stata infatti osservata in gruppi di pazienti ad alto rischio che hanno contratto l’infezione da COVID-19, come gli anziani [3]. Alcuni autori hanno proposto la lattoferrina come trattamento efficace e di prevenzione del COVID-19 [4,5]. La lattoferrina bovina (bLf) è una glicoproteina multifunzionale che svolge un ruolo nella difesa dell’ospite [6]. È ampiamente dimostrata la sua attività antiossidante e antibatterica. Bezault et al. [7] ha presentato dati convincenti anche sulla sua attività antitumorale. Per quanto riguarda la sua attività antivirale, è stata confermata da numerosi studi in vitro ma pochi sono gli studi clinici effettuati [8]. Lo scopo di questa revisione sistematica è di studiare gli effetti della lattoferrina somministrata per via orale contro le infezioni virali negli esseri umani, al fine di fornire supporto ai medici per valutare alcuni trattamenti empirici per COVID-19 proposti su base razionale come l’integrazione con LF.

MATERIALI E METODI

Lo studio è stato condotto secondo il Manuale Cochrane per le revisioni sistematiche e il Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses. Due revisori hanno cercato su PubMed, Scopus e Web of Science fino a ottobre 2020 utilizzando i seguenti termini: lattoferrina AND covid OR mers OR sars OR coronavirus OR virus OR hcov OR hku1. Sono stati considerati eleggibili gli articoli con un disegno di studio primario (osservazionale o sperimentale), condotti in qualsiasi paese e che hanno studiato qualsiasi famiglia di virus e fornito dati relativi all’interazione tra lattoferrina e infezioni da virus nella specie umana. In particolare, sono stati inclusi studi che hanno valutato l’integrazione orale di lattoferrina in soggetti sani o malati di tutte le età. Sono stati esclusi articoli che hanno utilizzano tecniche in vitro, che hanno esplorato la relazione tra lattoferrina e batteri, funghi o parassiti. Per ogni studio considerato eleggibile, due revisori hanno estratto in modo indipendente le seguenti informazioni: primo autore, anno di pubblicazione, paese, famiglia di virus, scopo dello studio, caratteristiche della popolazione target, disegno dello studio, tipo e durata dell’intervento, risultati principali.

RISULTATI

Dopo la rimozione dei duplicati, 1.130 records sono stati screenati per titolo e abstract. Di questi, 166 full text sono stati valutati e 14 articoli (12 trial clinici e 2 studi di coorte) sono stati infine inclusi nella revisione sistematica. Le evidenze disponibili sono state raggruppate sulla base della famiglia virale in Flaviviridae, Retroviridae, Reoviridae, Caliciviridae, Coronaviridae. Si è evidenziata una considerevole eterogeneità nei metodi di reclutamento dei partecipanti e di conduzione degli studi; per quanto riguarda i Flavivirus, si trattava sempre di pazienti adulti con infezione da HCV nei quali la carica virale è significativamente diminuita dopo la somministrazione di lattoferrina. Due studi sui retrovirus riguardavano la popolazione pediatrica, rivelando rispettivamente una diminuzione della carica virale, un aumento dei CD4, un incremento di linfociti T e della interluchina 12. Lo studio sulla popolazione adulta con infezione da HIV ha valutato la risposta immunologica, ma senza dare risultati significativi. Dei due studi condotti sui Reovirus, entrambi considerando bambini sani, solo uno ha evidenziato l’influenza positiva della lattoferrina sulla severità della sintomatologia clinica, senza tuttavia migliorare significativamente l’incidenza di queste infezioni virali, così come hanno riportato nello studio condotto sui Calicivirus. Infine, lo studio sui Coronavirus ha riportato esiti positivi per quanto riguarda il miglioramento della sintomatologia clinica in seguito a somministrazione di lattoferrina.

CONCLUSIONI

I risultati preliminari di questa revisione sistematica hanno evidenziato la necessità di approfondire il ruolo della lattoferrina sulle infezioni sostenute da virus, sia sotto l’aspetto preventivo che nelle infezioni in fase attiva. In particolare, ci sono prove convincenti sulla diminuzione della carica virale nei pazienti con infezione da HCV e HIV, ma bisogna indagare meglio l’efficacia preventiva della lattoferrina sia sui bambini che sugli adulti.

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Seroprevalence of anti-SARS-CoV-2 antibodies after the first COVID-19 wave: a cross-sectional study in the province of Modena, city of a Northern Italy region

NAUSICAA BERSELLI 1, TOMMASO FILIPPINI 1, STEFANIA PADUANO 1, MARCELLA MALAVOLTI 1, ALBERTO MODENESE 1, FABRIZIOMARIA GOBBA 1, PAOLA BORELLA 1, ISABELLA MARCHESI 1, ROBERTO VIVOLI 2, PAOLA PERLINI 2, ROSSANA BELLUCCI 2, ANNALISA BARGELLINI 1, MARCO VINCETI 1

Abstract

INTRODUCTION

The spread of the COVID-19 outbreak, due to infection with the coronavirus SARS-CoV-2, occurred all around the world in the spring of 2020, with extremely severe consequences in terms of hospitalizations and deaths [1]. In Italy the epidemic was first recognized on 21 February 2020 [2]. There was a first wave that mainly affected Northern Italy [3], with a rapid rise in the number of cases and a peak on 21 March, followed by a decline and stabilization of cases in June and July. Italy is currently witnessing a second wave of the outbreak throughout its entire territory [4]. In the present study, we investigated serum anti-SARS-CoV-2 antibody prevalence between 1 June and 25 September 2020 in 7,561 subjects in Modena, Northern Italy.

MATERIALS AND METHODS

We investigated 5,454 workers, who participated to testing campaign offered by their companies, and 2,107 residents who independently decided to undergo the examination at the Test Laboratory in Modena. Upon approval by the local Ethics Committee, we analyzed the results of this analytical campaign, and specifically of serological tests to detect serum anti-SARS-CoV-2 antibody in the subjects tested from 1 June to 25 September 2020. We considered both quantitative and qualitative tests carried out on these samples. We computed absolute and relative prevalence of serum antibodies against SARS-CoV-2 in the whole study population and in selected subgroups. To consider the subjects based on the professional activity to which they belong, we used the categories in the 2007 ATECO classification of economic activity [5].

RESULTS

The overall seroprevalence was 4.7%, higher in females (5.4%) than in males (4.3%), and in the oldest age groups (7.3% between 60 and 69 years, and 11.8% ≥ 70 years). Furthermore, seroprevalence proved higher in subjects tested with the quantitative test (5.8%) compared to the rapid qualitative one (2%). Among the occupational categories, we found the highest seroprevalence in healthcare workers (8.8%), dealers and vehicle repairers (5.2%) and workers in the sports sector (4.0%). Seroprevalence was lower for office workers (3.3%), people working in water supply and waste management sector (2.4%) and manifacturers (2.0%), and even lower or null for those employed in sectors such as transport and storage, accommodation and restaurant services, and the school system.

CONCLUSIONS

The higher seroprevalence in females may indicate a greater susceptibility to infection, a lower COVID-19 lethality compared to males, or an effect of the familial, social and occupational roles of women, leading to an increased risk of contracting the virus. The steep increase in seroprevalence in the older age groups, together with the higher mortality affecting them, is of paramount relevance for the evaluation of specific protection policies for these subjects at high risk. Considering occupational risk factors, and not unexpectedly, seroprevalence was higher in healthcare workers, most exposed to SARS-CoV-2 infection, followed by dealers, vehicle repairers and sportsmen. The results in healthcare operators are in agreement with data previously observed in other studies [8-10] and may underline the high risk of infection experienced by this crucial sector and the need to increase their protective measures for these workers. We found that workers heavily involved in routine contacts with different people (clients, patients, sports opponents) had a higher seroprevalence of anti-SARS-CoV-2 antibodies. On the other hand, no excess seropositivity emerged for office workers having no contact with the public as expected, for manufacturing and construction workers, and for employees in transportation and storage. This indicates that, so far, these sectors have enforced adequate physical distancing and use of personal protective equipment to mitigate the risk of SARS-CoV-2 infection. The absence of increased risk for workers in the education sector was probably strongly favored by the limited mobility and smart working of employees during the national lockdown [11]. Interestingly, the subgroup “production of meat products” did not show any positivity to the serological test, contrary to what expected given the occurrence of small outbreaks in slaughterhouses in other regions [12,13]. In conclusion, we have assessed in detail the seroprevalence of anti-SARS-CoV-2 antibodies in an Italian area severely hit by the first wave of Covid-19, the Emilia-Romagna region. This will also allow to estimate Covid-19 infection fatality ratio, since so far the only estimate available in this area has been case-fatality ratio [14].

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Infezione da HIV e prevenzione secondaria: risultati preliminari di un’indagine condotta negli studenti universitari

ANTONELLA OLIVERIO 1, FRANCESCA LICATA 1, CARMELO GA NOBILE 2, AIDA BIANCO 1

Abstract

INTRODUZIONE

In Europa e nel mondo, sono stati messi a punto programmi per aumentare l’adesione ai test di diagnosi precoce dell’infezione sostenuta dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), così da ridurre il numero di infezioni non diagnosticate o diagnosticate tardivamente [1]. La diagnosi precoce dell’infezione da HIV porterebbe, infatti, a sostanziali benefici individuali e di sanità pubblica [2,3], rendendo più efficace la terapia antiretrovirale e offrendo un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. L’incidenza più alta di nuove diagnosi di HIV in Italia si riscontra nella fascia di età 25-29 anni (10,4/100.000) [4]. Obiettivo primario del presente studio è stato, pertanto, valutare le conoscenze degli studenti universitari.

MATERIALI E METODI

La popolazione è stata reclutata tra gli studenti iscritti all’Università “Magna Græcia” di Catanzaro. Dopo l’acquisizione del consenso informato per la partecipazione allo studio, è stato chiesto loro di compilare un questionario online orientato alla raccolta di informazioni socio-demografiche (genere, età, corso di laurea frequentato, età del debutto sessuale), relative a conoscenze (riguardo le modalità di trasmissione e prevenzione dell’infezione), attitudini e comportamenti (es. utilizzo del condom e consumo di bevande alcoliche prima dei rapporti sessuali).

RISULTATI

I risultati preliminari si riferiscono a 500 studenti, dei quali il 52% iscritto a un corso di studi di area sanitaria, il 31.6% di genere maschile, con età media pari a 23,9 anni (± 4,9). I soggetti che hanno dichiarato di aver avuto rapporti sessuali sono l’83.8% del campione e di questi l’età media di debutto sessuale pari a 17,6 anni (± 2,2), il 33,2% ha avuto più di 3 partners. Il 40,2% degli intervistati conosce i fluidi biologici che possono trasmettere l’infezione da HIV, mentre il 50.2% del campione non sa riconoscere le situazioni a rischio di contagio e il 57% non ha mai sentito parlare di femidom. Il test per la diagnosi precoce di HIV può essere effettuato senza prescrizione medica solo per il 39.6% del campione e il 51% sa che è gratuito. Solo il 25,8% è consapevole delle corrette tempistiche per l’effettuazione del test dopo una situazione a rischio di contagio. Un soggetto HIV positivo subisce discriminazioni all’interno della società per il 15.8% degli studenti intervistati. Il 50% dei nuovi casi di diagnosi di HIV, sono stati attribuiti allo scambio di siringhe. Tra coloro che hanno dichiarato di avere rapporti sessuali (419), il 63% ha riportato di utilizzare spesso/sempre il condom e il 62.7% riferisce di non assumere alcolici prima dei rapporti sessuali. Il 71.6% degli studenti intervistati ritiene di aver bisogno di ulteriori informazioni sull’argomento.

CONCLUSIONI

I primi risultati dello studio hanno evidenziato che un livello insoddisfacente di conoscenze in tema di infezione da HIV associate a un elevato bisogno percepito di ricevere ulteriori informazioni sull’argomento. Le conoscenze lacunose sulle possibilità di prevenzione secondaria dell’infezione da HIV rappresentano un potenziale ostacolo all’accesso ai servizi sanitari e, in ultima analisi, a un ritardo nell’inizio della terapia antiretrovirale che si è dimostrata efficace nel ridurre, fino ad azzerare il rischio di trasmissione dell’infezione coi rapporti sessuali [5]. Un risultato particolarmente interessante è che la metà degli intervistati ritiene che le nuove diagnosi di infezione da HIV riguardino i soggetti che fanno uso di droghe per via endovenosa e, in qualche modo, potrebbe portare a sottovalutare il rischio associato ai rapporti sessuali. I dati epidemiologici evidenziano, invece, un cambiamento delle modalità di trasmissione: diminuisce la proporzione di consumatori di sostanze per via iniettiva e aumentano i casi attribuibili alla trasmissione per via sessuale, correlabile alla sottovalutazione del rischio nei giovani, soprattutto in quei soggetti che hanno frequenti rapporti occasionali non protetti.

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Quasi-experimental field trial per la valutazione dei tassi di adesione alle vaccinazioni in gravidanza prima e dopo l’intervento formativo svolto durante i corsi pre-parto nella Provincia di Palermo

LIVIA CIMINO 1, ARIANNA CONFORTO 1, GABRIELE CATALANO 1, MARIA ROSA D’ANNA 2, ANTONIO MAIORANA 2, FRANCESCO VITALE 1, CLAUDIO COSTANTINO 1

Abstract

INTRODUZIONE

In Italia il counselling vaccinale in gravidanza è una pratica piuttosto recente che vede il suo razionale nella raccomandazione delle vaccinazioni in gravidanza da parte del Ministero della Salute [1]. In particolare, esso è incentrato sulla “maternal immunization”, pratica vaccinale che consente alla donna in gravidanza di proteggere sé stessa, il feto e il neonato prevalentemente contro l’influenza e la pertosse [2,3]. Dovrebbe tuttavia anche riguardare la trattazione della “cocoon strategy”, ovvero della vaccinazione anti-influenzale e anti-dTpa anche ai familiari stretti che verranno in contatto con il bambino nei primi mesi di vita e alle vaccinazioni che farà il bambino nei primi 18 mesi di vita (esavalente, anti-pneumococco 13 valente, anti-rotavirus, anti-meningococco B, anti-meningococco ACW135Y, anti-morbillo, parotite, rosolia, varicella). Il presente studio si pone l’obiettivo di descrivere un modello di intervento di counselling vaccinale dedicati alle donne in gravidanza durante i corsi preparto svolti in tre delle principali Aziende Ospedaliere della Provincia di Palermo.

MATERIALI E METODI

È stato condotto un quasi-experimental field trial, il quale ha previsto la somministrazione di un questionario auto-compilato con lo scopo di indagare le conoscenze, le attitudini e le pratiche di immunizzazione durante la gravidanza in una popolazione di gestanti. In seguito alla compilazione del questionario, sono stati praticati degli interventi di formativi e informativi sul tema dell’immunizzazione materna e nel primo anno di vita, tenuti da uno staff di medici specialisti e medici in formazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Palermo. Dopo trenta giorni dall’intervento, le donne intervistate sono state nuovamente contattate, tramite numero telefonico/indirizzo email fornito prima dello studio, per valutare l’eventuale adesione alle vaccinazioni raccomandate.

RISULTATI

Al termine dello studio sono state arruolate 255 donne in gravidanza, che hanno compilato il questionario proposto. Tra le gravide che, dopo essere state ricontattate a distanza di un mese, hanno fornito un feedback, il 48% aveva effettuato il vaccino antinfluenzale, il 60% il vaccino anti-dTpa e il 41% entrambi i due vaccini proposti. Dall’analisi univariata è emerso che le donne con età < 34 anni si comportano in maniera quasi sovrapponibile rispetto alle donne con età ≥ 35 anni (rispettivamente il 68,5% e 66,7% hanno aderito ad almeno una delle vaccinazioni consigliate), le donne con un titolo di studio pari o superiore alla laurea mostrano una maggiore tendenza alla vaccinazione (73,5%) rispetto alle donne con un titolo di studio pari o inferiore al diploma (58,5%) e che le donne che negli ultimi cinque anni hanno effettuato almeno una volta la vaccinazione anti-influenzale hanno avuto una propensione maggiore (83,3%) a effettuare almeno una delle due vaccinazioni fortemente raccomandate in gravidanza rispetto alle donne che hanno affermato di non aver mai effettuato la vaccinazione anti-influenzale negli ultimi cinque anni (66%).

CONCLUSIONI

La vaccinazione materna anti-dTpa, al pari della vaccinazione anti-influenzale, rappresenta un intervento di prevenzione efficace sulla salute della donna in gravidanza e del neonato. I dati ottenuti hanno evidenziato come una buona parte delle intervistate non sia a conoscenza di quelle che possono essere le complicanze derivanti dal contrarre l’influenza o la pertosse durante la gravidanza, così come non conoscono le tempistiche riguardanti la somministrazione di questi due vaccini. Inoltre, è emerso che gli operatori sanitari rappresentino la fonte di informazione sui vaccini più autorevole e ricercata dalle donne in gravidanza, e hanno di conseguenza un importante impatto sull’adesione alla vaccinazione [4]. L’inserimento in pianta stabile di interventi di counselling vaccinale sul tema della “maternal immunization”, della “cocoon strategy” e della immunizazione neonatale, da parte di un team di operatori sanitari, dovrebbe essere standardizzato nell’ambito dei corsi preparto su scala Regionale, al fine di aumentare le conoscenze, le attitudini e l’adesione alla vaccinazione tra le donne in gravidanza.

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Sicurezza della vaccinazione anti-rotavirus nei nati pretermine all’interno dell’unità di terapia intensiva neonatale della Regione Sicilia

ARIANNA CONFORTO 1, LIVIA CIMINO 1, ALESSANDRA CASUCCIO 1, VINCENZO RESTIVO 1, FABIO TRAMUTO 1, MARIO PALERMO 2, FRANCESCO VITALE 1, CLAUDIO COSTANTINO 1, ALESSANDRO ARCO 3, PASQUA BETTA 3, MARIA CARMELA CARACCIOLO 3, AMALIA CIOFALO 3, GIOVANNI CORSELLO 3, GABRIELLA D’ANGELO 3, DOMINIQUE DE VIVO 3, ELOISA GITTO 3, MARIO GIUFFRÈ 3, KIM MAIOLO 3, DOMENICA MANCUSO 3, LUCIA MARSEGLIA 3, ANGELA MOTTA 3, GIAMPIERO PINNA 3, VINCENZO ROSELLA 3, GABRIELLA TINA 3, SALVINO MARCELLO VITALITI 3

Abstract

INTRODUZIONE

Il rotavirus (RV) è tra le più comuni patologie prevenibili da vaccini nei bambini al di sotto dei cinque anni [1,2]. Nonostante la notevole severità della patologia da rotavirus nella prima infanzia, la vaccinazione antirotavirus per i bambini ricoverati in terapia intensiva neonatale (NICUS), spesso nati pretermine e con diverse patologie pregresse non viene effettuata [3]. Il presente progetto multicentrico e di durata triennale si propone di valutare la sicurezza della somministrazione del vaccino anti-RV all’interno delle 6 principali terapie intensive neonatali della Regione Siciliana ai neonati pretermine [4].

MATERIALI E METODI

A partire dal mese di giugno 2018, all’interno delle sei più importanti unità di terapia intensiva neonatali delle Aziende Ospedaliere della Regione siciliana (tre localizzate a Palermo, due a Catania e una a Messina), e sotto il coordinamento scientifico dell’Università di Palermo e del Assessorato Regionale alla Salute, è stato somministrato ai neonati pretermine con età gestazionale ≥ 28 settimane la vaccinazione monovalente vivo-attenuata anti-RV. La somministrazione dei vaccini è stata effettuata sia in regime ospedaliero che in regime ambulatoriale a partire dalle 6 settimane di età in accordo alla scheda tecnica del vaccino e al Calendario Vaccinale per la Vita della Regione Sicilia. Gli eventuali eventi avversi (expected, unecxpected, serious) sono stati monitorati a distanza di 14 e 30 giorni da ciascuna delle due dosi di vaccino previste.

RISULTATI

Alla fine di Dicembre 2019, dopo i primi 18 mesi di attività del progetto, 449 neonati pretermine sono stati vaccinati con entrambe le dosi di vaccino contro il rotavirus all’interno delle sei UTIN siciliane che hanno aderito. La media dell’età gestazionale dei bambini vaccinati era di 31,4 (DS ± 2,7) settimane. La prima dose di vaccinazione contro il rotavirus è stata somministrata a 6,3 (DS ± 0,6) settimane. Il peso medio alla prima dose era di 2.890 (DS ± 456) grammi. Soltanto l’8 e il 2% dei neonati hanno riportato rispettivamente coliche addominali e febbre sopra i 38,5°C nei 15 giorni dopo la prima dose. Nessun expected effetto avverso è stato osservato nei 30 giorni successivi a entrambe le dosi del vaccino.

CONCLUSIONI

I dati “ad interim” ottenuti da questo studio confermano la straordinaria sicurezza del vaccino monovalente anti-RV anche nei neonati pretermine con età gestazionale ≥ 28 settimane. I risultati possono rappresentare per i medici di sanità pubblica e per i neonatologi lo strumento chiave per standardizzare la vaccinazione per il rotavirus in tutte le terapie intensive neonatali italiane.

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La vaccinazione anti MPR-V nell’immediato post-partum: conoscenze, attitudini e comportamenti in un campione di puerpere

RAFFAELE LANZANO 1, GIORGIA DELLA POLLA 1, ANDREA PAOLANTONIO 1, FRANCESCO NAPOLITANO 1, CONCETTA PAOLA PELULLO 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

Com’è noto, la vaccinazione rappresenta uno degli interventi di prevenzione primaria più efficaci e sicuri in Sanità Pubblica [1,2]. L’obiettivo dei programmi di prevenzione vaccinale è quello di conferire uno stato di protezione a quei soggetti sani che, per alcune condizioni di salute, occupazionali o comportamentali, sono esposti al rischio di contrarre determinate infezioni. In particolare, morbillo (M), parotite (P), rosolia (R) e varicella (V) sono malattie prevenibili con vaccino che possono causare gravi complicanze in particolari fasce d’età e in soggetti a rischio e possono, inoltre, avere gravi conseguenze sull’esito di una gravidanza [3]. Oggi, nonostante la disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci, queste malattie sono ancora associate a elevata morbosità e mortalità. Tale andamento è attribuibile alla riduzione delle coperture vaccinali nella popolazione generale che, nonostante l’approvazione del Piano nazionale di eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita e le raccomandazioni del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019, le coperture risultano ancora inferiori al 95% [1,4]. Pertanto, in particolare per le donne in età fertile, o in previsione di una gravidanza, sono raccomandate le vaccinazioni MPR-V, dato l’elevato rischio per il nascituro derivante dall’infezione materna durante la gravidanza [5-7]. Risulta quindi fondamentale offrire la vaccinazione MPR-V alle madri suscettibili e il periodo di ricovero nel primo puerperio potrebbe rappresentare un’occasione ideale per l’implementazione di tale strategia vaccinale. Pertanto, la presente indagine mira a valutare nel primo puerperio, nelle madri suscettibili, i seguenti obiettivi: 1) accettabilità della vaccinazione MPR-V; 2) variabili eventualmente associate all’accettabilità della vaccinazione MPR-V.

MATERIALI E METODI

L’indagine trasversale è stata condotta, da luglio a ottobre 2020, in un campione di puerpere, suscettibili a rosolia o parotite o morbillo o varicella, ricoverate nei Reparti di Ostetricia e Ginecologia di Presidi Ospedalieri/Aziende Ospedaliere/Ospedali accreditati della Città di Napoli e Provincia. La raccolta delle informazioni è stata effettuata mediante intervista con raccolta delle seguenti informazioni: a) caratteristiche socio-anagrafiche e anamnestiche della puerpera; b) caratteristiche del neonato; c) conoscenze in tema di vaccinazione MPR-V; d) atteggiamenti in tema di vaccinazione MPR-V nel primo puerperio; e) comportamenti in tema di vaccinazioni raccomandate in gravidanza; f) fonti di informazioni e bisogno informativo.

RISULTATI

I risultati preliminari si riferiscono a un campione di 150 puerpere. Tra le donne suscettibili il 59.3% dichiara di non aver contratto il morbillo, il 15.3% la rosolia, il 71.3% la parotite e il 50% la varicella. In particolare, quasi la totalità del campione (98,7%) è sposata o convivente, il 62.7% ha un solo figlio, l’età media è di 33 anni (range 21-50), il 46.7% è laureata, e il 72% lavora. Per quanto riguarda l’anamnesi gestazionale, il 69.3% del campione ha avuto un parto vaginale, il 28% ha una storia di precedenti aborti spontanei o terapeutici, il 18% è affetta da malattie croniche e solo il 26% del campione ha ricevuto una diagnosi di gravidanza a rischio. Relativamente alle conoscenze delle malattie infettive dannose per lo sviluppo fetale e per il bambino nei suoi primi mesi di vita, si evidenzia che quasi la totalità del campione sa che la rosolia (90%) è dannosa per lo sviluppo fetale mentre soltanto il 58% conosce gli effetti dannosi della varicella sul feto. Poco più della metà del campione sa che morbillo (62%) e varicella (59.3%) sono malattie dannose per il bambino nei suoi primi mesi di vita. Il 74.7% sa che la pertosse è pericolosa se contratta ne primi mesi di vita. Inoltre, il 44% accetterebbe di vaccinarsi contro MPR-V in reparto nell’immediato postpartum. Il modello di regressione logistica evidenzia che coloro che hanno avuto meno visite dal ginecologo (p = 0,02), che hanno ricevuto una diagnosi di gravidanza a rischio (p = 0,047), che hanno partorito prematuramente (p = 0,004), che hanno avuto neonati a cui sono state praticate terapie (p = 0,006) e che hanno dichiarato di voler vaccinare il proprio figlio per le vaccinazioni raccomandate (p < 0,001) hanno una propensione maggiore a volersi sottoporre alla vaccinazione MPR-V nell’immediato post-partum. Relativamente ai comportamenti delle puerpere in tema di misure di prevenzione per la salute materno-infantile, in gravidanza il 23.3% ha effettuato la vaccinazione anti difterite-tetano-pertosse e solo il 4.7% l’antinfluenzale.

CONCLUSIONI

Dai dati preliminari risulta che le donne hanno una bassa attitudine a vaccinarsi contro MPR-V nell’immediato post-partum. Risulta pertanto fondamentale attivare strategie vaccinali per tutte le donne nell’immediato post-partum e informarle correttamente sui vantaggi della vaccinazione MPR-V, che permetta loro di effettuare una scelta consapevole.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Beliefs towards vaccination and trust in the scientific community in Italy

CHIARA CADEDDU 1, SIGNE DAUGBJERG 2, WALTER RICCIARDI 1, ALDO ROSANO 3

Abstract

INTRODUCTION

National vaccination programs have been widely successful over time in achieving high population levels of immunization coverage in developed countries, saving millions of lives each year at a relatively low cost [1]. However, public resistance towards vaccination has led to failing vaccination coverage rates and several consequent outbreaks of diseases, such as measles and diphtheria, during the last decades [2]. In 2017 the Italian government introduced compulsory vaccination for Italian school children for ten diseases, in response to an alarmingly decrease in coverage and measles outbreak [3]. In this panorama, the voice of the ‘‘no-vax” and of the ‘‘free-vax” has been echoing loudly in the media as well as in the social and political scene, but what is the real sentiment of the Italian general population on vaccination and what characterizes the group of people opposing mandatory vaccinations compared to those who support mandatory vaccinations? Taken this complex scenery into account and the lack of data regarding the view of the general Italian population on the subject, we decided to investigate the profile of Italians according to their belief towards vaccination.

MATERIALS AND METHODS

For the purpose of our study, data were extracted from the Italian section of the European Social Survey (ESS) [4], conducted by the Italian National Institute for Public Policies Analysis during 2017 between September and November 2017 by performing face to face interviews in private households with persons aged 15 years and above, using a random probability sampling. The ESS measures attitude, belief and behavior patterns, including questions on political preferences, religious practice, opinions on hot social topics (e.g. poverty, immigration, unemployment) and socio-economic characteristics of respondents in 20 European countries. This survey is unique compared to other European surveys, as it investigates belief and sentiments of European citizens. The main outcome assessed in our analysis was the opinion about the supposed harmfulness of vaccines. We investigated the association between the outcome and a selected group of socio-cultural characteristics, with a specific interest in examining the interaction between our main outcome and the perceived trust in the scientific community in regards to vaccines. A principal component analysis and a latent class analysis were then performed for determining the socio-cultural profile of respondents.

RESULTS

The ESS response rate in Italy was 49.8% and a total of 2,626 interviews were performed [5]. Genders of respondents were equally distributed (51% were female); 13% of the people interviewed were aged 18-24 years, 63% were between 25 and 64 years and 24% were 65 years or older. Seventy-four percent of the respondents had 8 or less years of education, 74% stated that they did not believe in a particular religion or denomination and 27% answered that they were quite or very interested in politics. Most respondents placed themselves in the centre (46%) of a political scale, 29% on the right wing and 25% on the left wing. The largest proportion of participants (49%) had residency in the north of Italy, 10% in the Centre and 41% in the South and the Islands. Around 59% of the respondents thought that recommendations from the scientific community could be trusted with regard to vaccines, 10% that they could not be trusted and 31% did not know or did not answer the question. In regards to the harmfulness of vaccines, half of the respondents did not find vaccines harmful, whereas 19% thought that vaccines were harmful and 31% were either undecided or did not answer. Out of the respondents who believed in the harmfulness of vaccines, 29% neither had trust in the scientific community. Principal Component Analysis suggested that this group, defined as “Anti-vax/science sceptic”, was characterized by low participation in political and cultural life, being male, older of age and politically oriented towards the right. People agreeing about harmfulness of vaccines are mostly males, have a lower education level, poor attendance in political and cultural life and are politically oriented to the right.

CONCLUSIONS

The ESS survey is unique in its capacity to deal with emerging themes of the social debates. The results of this study paint an interesting picture of the opinions of Italians on vaccines and need a particular attention in relation to hesitancy for future vaccinations, firstly the anti-SARS-CoV-2 that should be ready soon. The profiles resulted in our study may be useful for policymakers to design targeted vaccination campaigns and to intervene more efficaciously in the public debate. Finally, in order to perform tailored interventions towards people with anti-vaccine or vaccine hesitant beliefs, it is essential to conduct future research with the specific objective of profiling characteristics of the groups described.

REFERENCES

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

IGIENE, ORGANIZZAZIONE E GESTIONE TERRITORIALE E OSPEDALIERA

Impatto delle Non Technical Skills sulla Job Performance infermieristica: nuove prospettive per orientare la leadership e il change management dei servizi sanitari. Una revisione sistematica mixed-methods

ERIKA RENZI 1, GIULIA GASPERINI 1, VALENTINA BACCOLINI 1, PAOLO VILLARI 1, CORRADO DE VITO 1, CAROLINA MARZUILLO 1, AZZURRA MASSIMI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Una delle sfide del prossimo futuro è quella di garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari, come risposta all’aumento della spesa che deriva dalla domanda di salute per il long-term care [1]. La Sanità Pubblica ha bisogno di nuove strategie per facilitare il change management che orientino i leader nella riconversione del sistema sanitario [2]. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le azioni utili per l’implementazione della sostenibilità dei sistemi sanitari e change management, tra questi citiamo l’aumento della Job Performance degli operatori della salute, al fine di raggiungere gli outcome di performance indicati come disponibilità al lavoro e al cambiamento [3]. Tra le azioni consigliate per l’aumento della Job Performance [4] troviamo la formazione del personale sulle Non Technical Skills (NTS), ovvero quelle abilità relazionali e gestionali, quali team-working, comunicazione, leadership, situation awareness, decision-making, stress e fatigue management [5,6]. Attualmente in letteratura non sono presenti evidenze relative l’impatto delle NTS sulla Job Performance e il cambiamento organizzativo, soprattutto relativamente agli infermieri, responsabili della maggior parte dell’assistenza sanitaria erogata. Pertanto, al fine di orientare nuove strategie di change management, è stata condotta una revisione sistematica mixed-methods con il fine di sintetizzare le evidenze riguardo l’impatto che la formazione delle NTS ha sulla Job Performance infermieristica in riferimento al cambiamento organizzativo.

MATERIALI E METODI

È stata condotta una revisione sistematica mixed-methods secondo le linee guida del Joanna Briggs Institute [7]. La revisione è stata condotta attraverso le banche dati di PubMed, CINAHL, Web of Science e PsycINFO. Sono stati inclusi gli articoli pubblicati entro aprile 2020. In accordo con l’outcome primario sono stati inclusi articoli che trattavano la formazione delle NTS in associazione agli outcomes della Job Performance secondo il framework dell’OMS. Il reporting è stato condotto secondo le linee guida Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses (PRISMA) [8]. La valutazione della qualità metodologica degli studi è stata condotta attraverso il Mixed Methods Appraisal Tool (MMAT) [9]. Inoltre, attraverso il software VOSviewer è stata realizzata un’analisi bibliometrica del contenuto testuale e delle keywords degli articoli inclusi [10].

RISULTATI

Sono stati individuati 10.797 articoli, dei quali 39 sono stati inclusi nella sintesi qualitativa.15 erano studi quasi-sperimentali, 12 RCT, dieci erano multi-metodo e due studi di coorte. La sintesi delle evidenze ha incluso interventi promossi dalle organizzazioni sulle NTS di 2.456 infermieri e 357 studenti. Gli studi sono stati classificati in base agli esiti delle NTS sugli outcome della Job Performance del framework OMS ovvero la disponibilità al lavoro (Availability), la capacità di svolgere una task definita (Competence) e la capacità di rispondere positivamente ai cambiamenti dell’organizzazione (Responsiveness). Gli interventi promossi dall’organizzazione per l’aumento delle NTS influenzano positivamente tutte le aree della Job Performance, definendo un aumento della qualità delle cure e il cambiamento organizzativo. È stato registrato l’aumento nel post-intervento della media degli score infermieristici di valutazione della Job Performance con un range di variazioni del 21-34%. Nello specifico, l’outcome Responsiveness, è associato significativamente alla formazione del personale per team-working, leadership, comunicazione e stress management mostrando effetti sulla multiprofessionalità, multidisciplinarietà, promozione del change management e clima e cultura organizzativa (17/39 studi). L’outcome Availability è invece fortemente associato alla formazione delle figure manageriali sulla leadership e decision-making, con risultati a favore della disponibilità dei professionisti, attaccamento all’organizzazione, valorizzazione delle risorse umane e materiali (11/39 studi). L’outcome Competence è associato e tutte le NTS, con maggiore risonanza per situation awareness e team-working, con aumento della qualità delle prestazioni tecniche infermieristiche e adattamento alle nuove tecnologie (28/39 studi).

CONCLUSIONI

La formazione e potenziamento delle NTS produce un cambiamento nella Job Performance infermieristica, facilitando il cambiamento organizzativo. Per contribuire alla trasformazione di sistemi sanitari sostenibili e favorire il change management sembrerebbe opportuno che i leader in sanità operino per un cambio di paradigma formativo, che valorizzi la formazione delle NTS di tipo relazionale e gestionale, con l’obiettivo di garantire una policy orientata all’impiego di infermieri che non siano più esecutori, ma agente di cambiamento, pronti a contribuire attivamente all’innovazione, la tecnologia e la sostenibilità del servizio sanitario moderno.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Riorganizzare gli ospedali in tempo di COVID-19: l’esperienza di un COVID hospital romano

GABRIELE GIUBBINI 1, ELETTRA CARINI 1, GIANPAOLO D’ANDREA 1, WALTER RICCIARDI 2, ANDREA CAMBIERI 1, GENNARO CAPALBO 1

Abstract

INTRODUZIONE

Nel presente lavoro si fa riferimento al processo di riorganizzazione di un Policlinico Universitario in relazione all’emergenza COVID-19, il quale ha destinato un intero presidio ospedaliero “satellite” al trattamento di pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Tale presidio è struttura collegata al Policlinico Universitario dal punto di vista funzionale, ma indipendente dal punto di vista strutturale, benché posta a qualche centinaio di metri di distanza. Ciò consente una separazione dei degenti con infezione da SARS-CoV-2 rispetto agli altri pazienti ricoverati presso il presidio principale, con intuibili vantaggi dal punto di vista igienico-organizzativo.

MATERIALI E METODI

Il presidio destinato a COVID Hospital sino al momento della riconversione fa era una struttura con diverse specialità (reparti di medicina, chirurgia, ortopedia, ecc.) e circa 250 posti letto. Ciò ha comportato la necessità di interventi di ridefinizione e rimodulazione di strutture, layout e capacità operativa dell’ospedale. I due piani posti più in alto (quarto e terzo piano) sono stati attrezzati ad area di Terapia Intensiva per pazienti COVID, sfruttando gli spazi offerti da 2 blocchi operatori e da alcuni reparti di degenza. Nell’ex blocco operatorio del terzo piano è stata inoltre posizionato un macchinario TC, al fine di poter effettuare tale tipologia di esame su pazienti COVID in area agli stessi dedicata. Il secondo e il primo piano del Presidio sono stati destinati ad area di degenza ordinaria. Parziale eccezione è costituita da un’ala del secondo piano, la quale ospita posti letto di terapia semi-intensiva. L’accesso alla struttura dei pazienti COVID avviene in corrispondenza di un’area precedentemente dedicata all’accesso all’attività ambulatoriale. Nella zona esterna antistante è stato predisposto un punto di accesso per le ambulanze, mentre al trasporto verticale dei pazienti COVID è stato riservato uno specifico montalettighe.

RISULTATI

Nel COVID Hospital dal 16 marzo al 3 dicembre 2020 sono stati trattati 1434 pazienti, di cui 865 maschi (60,3%) e 569 femmine (39,7%), con un’età media di 68 anni.

CONCLUSIONI

Nelle strutture ospedaliere, nel corso dell’emergenza COVID è fondamentale mantenere un assetto flessibile che consenta di far fronte, con azioni rapide e al tempo stesso appropriate, ai mutamenti dell’andamento epidemico, che possono essere anche assai repentini. Ciò non esime dall’attraversamento di fasi contraddistinte da intensità e grande impegno organizzativo, a tutti i livelli.

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Risultati di un’indagine sui percorsi formativi dei Direttori Sanitari nei 200 ospedali di Regione Lombardia

GIUSEPPE STIRPARO 1, FEDERICA CHIAPPA 1, DANIELE SOLLA 1, CARLO SIGNORELLI 1

Abstract

INTRODUZIONE

La figura del Direttore Sanitario (DS) veniva introdotta in Italia nel 1938 attraverso la Legge Petragnani [1], che prevedeva l’identificazione di un direttore sanitario in ogni ospedale; negli anni ’60 venivano definito il ruolo e le competenze [2,3].Un approfondimento del ruolo del Direttore Sanitario giungeva negli anni ’90, con alcune integrazioni rispetto alle responsabilità di questo professionista sanitario e rispetto ai requisiti essenziali per ricoprire tale carica [4,5]. In particolare, nel 1997 venivano individuati il Direttore Medico di Presidio ospedaliero (DMP) e il Direttore Sanitario Aziendale (DSA), ognuno con specifici requisiti minimi [6]. Questa figura strategica occupa una posizione complessa, per la quale è fondamentale possedere specifiche competenze scientifiche, organizzative, gestionali, conservando una visione d’insieme, fondamentale per prevedere i bisogni assistenziali e implementare soluzioni organizzative innovative e ad alto contenuto tecnologico. Per il DS la specializzazione più pertinente è quella in Igiene e Medicina Preventiva, ma attualmente non è stato definito un percorso univoco. Le competenze richieste per gestire un ospedale sono complesse da definire [7], ma dobbiamo riuscire a comprendere le caratteristiche essenziali per poter garantire in tutti gli ospedali DS con egual competenza e formazione. L’analisi mira a descrivere il profilo a oggi più diffuso nelle strutture ospedaliere in Lombardia.

MATERIALI E METODI

Per ogni ospedale lombardo, sono stati analizzati i curricula dei Direttori del presidio. Per gli ospedali a gestione pubblica sono stati raccolti i curricula dei DMP, per gli ospedali privati accreditati e per gli ospedali classificati, i curricula dei DS dei singoli presidi. L’analisi ha escluso i curricula dei DSA e dei Direttori Generali. Per ogni DS/DMP sono stati raccolti dati anagrafici (età, sesso), titoli universitari (laurea, specializzazione), corsi di formazione. La fonte principale è stata il sito internet istituzionale dell’azienda, in particolare le sezioni organigramma, direzione strategica o amministrazione trasparente. Quando il curriculum non era disponibile, è stata effettuata una ricerca generica su altri siti non istituzionali. L’analisi è stata condotta dal 5 gennaio al 20 gennaio 2020.

RISULTATI

L’analisi ha incluso 200 strutture ospedaliere lombarde, di cui 103 ospedali e IRCCS di diritto pubblico e 97 di diritto privato. Sono stati individuati i nominativi di 136 Direttori, 128 curricula, di cui 54 di DMP e 74 di DS. Alcuni Direttori svolgono la propria funzione in più di un presidio, per questo il numero dei Direttori risulta minore del totale degli ospedali. In generale, sia nelle strutture pubbliche sia nelle private, il 68% dei Direttori è rappresentato da uomini e il 32% da donne. L’età media è 59, negli uomini 61, nelle donne 55. Nel pubblico, circa l’88% dei Direttori ha la specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, versus il 45% nel privato. In merito alla formazione post specializzazione, il 15% dei direttori ha un master in management sanitario, nel privato il 7%.

CONCLUSIONI

La valutazione dei percorsi formativi dei direttori sanitari potrebbe essere importante per comprendere come si struttura il profilo di questi professionisti nel tempo. L’analisi è partita dalla ricerca dei curricula e dalla raccolta delle informazioni contenute. Perlopiù a questo livello gerarchico giungono, soprattutto nel settore pubblico, Medici con Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva; la Direzione Sanitaria è un importante sbocco lavorativo per questi Specialisti, come riportato da altri Autori [8]. Il numero di donne che occupano questa posizione strategica è ancora limitato, sia nel pubblico sia nel privato. Nel privato, i Direttori Igienisti sono meno rappresentati, soprattutto nei piccoli ospedali mono-specialistici, dove il Direttore può avere una specializzazione omogenea rispetto alle attività clinico-assistenziali offerte. Un limite dell’analisi, l’accessibilità ai curricula dei professionisti e il grado di completezza e di aggiornamento, in particolare in relazione a corsi e master di II livello. Dall’analisi preliminare, sembra ragionevole ipotizzare che il profilo professionale dei Medici Igienisti che occupano questa posizione strategica sia più articolato rispetto a quanto emerso dalle loro hard skills, competenze tecniche e oggettive. Prossimo obiettivo sarà l’analisi qualitativa dei curricula per individuare un’altra importante tipologia di competenze, le soft skills, connesse allo sviluppo di una buona leadership, fondamentale per attuare la progressione di carriera necessaria per giungere a questa posizione apicale. La definizione di hard e soft skills potrebbe supportare l’identificazione di un profilo specifico, per un professionista che sia in grado, non solo di rispondere, ma di anticipare i bisogni assistenziali e le future sfide della sanità pubblica.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Le Cure Domiciliari al servizio della Rete Oncologica Campana negli anni 2018-2019. Razionale del supporto domiciliare precoce e simultaneo per dare dignità al paziente

RICCARDO ROSSIELLO 1, ANTONIO MADDALENA 1, CARLO DE SANGRO 1, MARIA VITTORIA TRAISCI 1, FEDERICA DEL GENIO 1, ILEANA PARASCANDOLO 1, IMMACOLATA DANIELA MARESCA 1, PASQUALE GALLO 1, IVANA SORRENTINO 1, SALVATORE SAVINO 1, ROSINA FORESTA 1, RITA FIORETTI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Gli organi costitutivi della Rete Oncologica ASL Napoli 1 comprendono:

  • Centri Oncologici: centri di riferimento polispecialistici senza o con attività specifica in campo oncologico universitario e di ricerca (CORP/CORPUS), guidati da un GOM (gruppo oncologico multidisciplinare) [1];

  • Centri di Cure Palliative/Domiciliari/Residenziali: unità di Terapia del Dolore oncologico e Terapia domiciliare di 3° livello rappresentati dall’UOSD Cure Palliative Domiciliari [2].

L’assistenza domiciliare non è solo un prolungamento della Cura Oncologica ma reca molti più vantaggi se si configura come vero e proprio affiancamento alla Cura stessa. Si avvale infatti di terapie del dolore, di specialisti in oncologia, ma anche nutrizionisti e psicologi in grado di comprendere la cura prescritta dal centro con le sue controindicazioni e le esigenze del paziente che si trova a volte a doverla affrontare senza essere adeguatamente supportato. La “giusta integrazione” tra Centri Oncologici e Cure Palliative Oncologiche (domiciliari-residenziali) [3,4] è sicuramente l’elemento chiave per ottimizzare tale RETE, che deve tenere in considerazione la precoce e simultanea presa in carico [5,6].

L’integrazione Ospedale Territorio precoce si pone questi scopi:

  • la possibilità di seguire e conoscere il paziente durante la terapia;

  • evitare un peggioramento incontrollabile della qualità di vita;

  • favorire la compliance alle terapie riducendo il livello di dolore;

  • organizzare dapprima le migliori cure “simultanee” per i molteplici problemi sanitari, e non solo, che coinvolgono il paziente oncologico.

MATERIALI E METODI

Sono state esaminate le prime 174 visite domiciliari dall’attivazione della ROC “Rete Oncologica Campana” da ottobre 2018 a ottobre 2019. Da un’analisi che considera la durata dell’arruolamento in cure domiciliari della ROC emerge questo dato: la media di sopravvivenza è di 66 giorni e in molti casi inferiore a 1-2 settimane. Si affida il paziente alle Cure Domiciliari Palliative in modo tardivo.

Abbiamo notato che il dolore non controllato si accentua negli ultimi 30 giorni di vita del paziente, nel 50% circa dei pazienti con tumori si hanno picchi DEI (dolore episodico intenso), e l’inappetenza si riscontra da almeno 1 mese nel 70% dei pazienti che rifiuta la consulenza della NAD, con inevitabili conseguenze negative sul suo stato di salute [7] e ciò accade perché probabilmente non c’è il tempo per instaurare un rapporto di fiducia con l’equipe domiciliare (l’affidamento alle cure domiciliari è tardivo)

RISULTATI

Dal nostro studio emerge che se l’assistenza domiciliare palliativa, prende il paziente in carico precocemente e in modo simultaneo con il GOM, può far conoscere e comprendere i servizi di cura offerti, instaurare un legame di fiducia con il paziente e con la famiglia, intervenire anche durante la terapia oncologica per rendere compliante la terapia e supportare il paziente nelle sue complicanze. Non abbiamo purtroppo esempi di presa in carico particolarmente precoce però possiamo affermare che pazienti in cura domiciliare che hanno esiti terminali più distanti di 3 mesi, riescono a raggiungere il controllo del dolore oncologico in 2/3 dei casi grazie alla consulenza del palliativista [8], tale risultato si mantiene anche nelle ultime settimane di vita. Inoltre, a questo risultato spesso si aggiunge anche il fatto che riescono ad accettare la consulenza nutrizionale in 2/3 dei casi, in cui è proposta, con i benefici del supporto nutrizionale in pazienti oncologici dimostrato dalla letteratura scientifica [9,10]. Tutto ciò si traduce in una migliore qualità di vita per il paziente e per la famiglia e anche nei giorni / settimane che precedono la morte con un fine vita più dignitoso (in termini di controllo del dolore e controllo della cachessia).

CONCLUSIONI

Occorre un percorso della Rete Oncologica che punti a coinvolgere sin da subito l’equipe delle Cure Palliative Domiciliari. Infatti l’Oncologo delle Cure Palliative Domiciliari ben conosce le controindicazioni della terapia che sta seguendo il paziente, si può avvalere di un Medico Palliativista per impostare una terapia del dolore che aiuti il paziente e la famiglia, affiancare la NAD per supportare il paziente a livello nutrizionale, usare mezzi di sostegno al caregiver familiare con la medicina narrativa e un intervento psicologico che restituisca al malato e chi “si prende cura di lui” una qualità di vita migliore.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Dati di mortalità delle Cure Palliative, 2018 e 2020 a confronto, per ampliare la conoscenza del territorio. Le Cure Palliative Domiciliari Oncologiche per creare mappe di rischio del territorio ed elaborare piani di prevenzione

RICCARDO ROSSIELLO 1, ANTONIO MADDALENA 1, RAFFAELE GARGIULO 1, PASQUALE GALLO 1, ATTILIO CALVANESE 1, ANNA MUROLO 1, ERASMO PAGANO 1, IVANA SORRENTINO 1, ANNA MARIA FIORANI 1, BRUNO OLIVIERO 1, PIETRO CATALDO 1, MAURIZIO CARANNANTE 1, GIANLUCA ETTARI 1, NATASCIA VARGAS 1, ANDREA POMICINO 1, CARLO DE SANGRO 1

Abstract

INTRODUZIONE

Nel corso dell’ultimo decennio si è assistito a un profondo cambiamento epidemiologico e clinico dei pazienti specie in aree considerate “inquinate”; la comparsa di tumori, aggressivi e in età più precoce e l’aumento delle possibilità di cura delle patologie oncologiche ha portato con sé la crescita di pazienti in “remissione parziale” che spesso si complicano, nel tempo, portando casi di “inguaribilità” che aprono spazio alle tematiche tipiche della medicina palliativa. [1,2]

Lo scopo principale del lavoro è descrivere l’impatto delle principali malattie tumorali nei diversi distretti sanitari sulla durata e qualità della vita in base a dati demografici e ambientali. [3,4]

L’analisi dei dati di mortalità per pazienti oncologici, registrati nel 2018 e poi nel 2020, dall’ UOSD Cure Palliative Domiciliari Asl Napoli 1 Centro serve a contestualizzare i casi di malattia nella loro precisa area geografica, sviscerando da essa i possibili o accertati fattori di rischio ambientale, per l’attivazione di piani di prevenzione primaria e secondaria.

Inoltre il confronto con i dati di mortalità registrati nei primi 10 mesi del 2020, in epoca COVID, può essere un sistema di verifica dell’efficienza e sostenibilità del Sistema Sanitario durante un’emergenza e ci permette di osservare l’evoluzione o involuzione dei bisogni di Cura.

MATERIALI E METODI

È stato analizzato il database dell’UOSD Cure Palliative Domiciliari: nel 2018 ci sono stati 485 pazienti oncologici deceduti, nel 2020 (primi 10 mesi) si contano 524 pazienti deceduti. Le variabili usate sono le seguenti:

  • dati generali riguardanti i pazienti (distretto, sesso, età distribuita per classi, diagnosi);

  • dati generali riguardanti il carico di lavoro e la sua distribuzione (giorni intercorsi tra arruolamento e prima visita, durata presa in carico, giorno di decesso per valutare il weekend effect [5]);

  • dati specifici riguardanti l’impostazione della terapia palliativa (farmaci per la terapia cronica o acuta del dolore, uso di oppioidi forti, di soli oppioidi deboli o non oppioidi per il dolore oncologico, uso di farmaci per il dolore neuropatico);

  • dolore e sua valutazione (dolore valutato secondo scala NRS e giudizio sul controllo del dolore che varia dal dolore perfettamente controllato dalla terapia al dolore non controllabile [6]);

  • “Aree a Rischio” (aree geografiche circoscritte a strade o quartieri per la mappatura dei tumori).

RISULTATI

Dall’analisi dei dati di mortalità è emerso:

  • nel 2018 nel distretto 26 di Pianura/Soccavo è maggiormente rilevante la prevalenza del tumore del polmone e del colon, specie, nelle aree limitrofe alla discarica di Pianura [7], ad esempio abbiamo riscontrato casi di tumore in diversi pazienti provenienti dalle stesse vie di residenza. Data la più alta prevalenza di tumori avanzati nel distretto 26 ci saremmo aspettati che la popolazione di tale distretto accedesse alle Cure Palliative Oncologiche in età più anziana e invece risulta il distretto con la più alta prevalenza di tumori avanzati in età non anziana ≤ 64 anni;

  • nel 2018 abbiamo riscontrato inoltre un aumento di tumori cosiddetti “emergenti”, a maggiore prevalenza rispetto gli anni passati, e per questo abbiamo messo a confronto i casi di carcinoma epatico con il glioblastoma. Da un lato possiamo dire che la cura per l’epatite C ha sicuramente ridotto i numeri dei tumori epatici (almeno i tumori primitivi). dall’altro lato abbiamo riscontrato che i casi di glioblastoma, forse legati all’ inquinamento elettromagnetico [8], risultano più frequenti in aree caratterizzate da una ricca presenza di antenne e ripetitori vedi ad esempio il distretto 25 di Bagnoli/Fuorigrotta nell’area attorno lo Stadio San Paolo;

  • nel 2020 abbiamo rilevato una crescita di tumori in fase avanzata dell’area gastrointestinale; forse il più difficile accesso a consulenze specialistiche continue per tumori particolarmente aggressivi come tumore del pancreas e del fegato ha determinato un aumento della mortalità legata a questi. Nel futuro se l’emergenza non viene risolta ci può essere un ritardo sostanziale degli screening con un danno per la salute importante, mancando un mezzo fondamentale per la diagnosi precoce.

CONCLUSIONI

Dal confronto dei dati è possibile far emergere aspetti epidemiologici salienti da contrastare per la salute del cittadino. Con il coinvolgimento del territorio è possibile muoversi in tempo per i fattori di rischio eliminabili [9]. Creare mappe di prevenzione del rischio per il contrasto di fattori promuoventi i tumori attraverso un piano di prevenzione e promozione della salute.

Sapendo in quale area si concentra la maggiore prevalenza di un tumore si può agire in via preventiva sui fattori di rischio, monitorare l’andamento negli anni successivi per vedere se le azioni di prevenzioni sono state efficaci [10].

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Sistema di telemedicina per il miglioramento della salute materno-neonatale: uno studio caso-controllo in Tanzania

FEDERICA INCERTI 1, STEFANIA PADUANO 1, LUCIA BORSARI 2, FRANCESCA ANNAMARIA PERRONE 1, CAROLINE BENSKI 3, MARIA ANGELICA RWEYEMAMU 4, SHOTINA MADUMBWA 5, FEDERICA STORNELLI 6, GIOVANNA STANCANELLI 7, PAOLA BORELLA 1

Abstract

INTRODUZIONE

A livello globale, la mortalità materna e infantile risulta ancora elevata (295.000 morti materne con un tasso complessivo di 211 morti/100.000 nati vivi nel 2017) [1]. L’Africa sub-sahariana è tra le regioni più colpite [2].

In Tanzania la mortalità materna nel 2017 è di 524 morti/100.000 nati vivi; nel 2020 la mortalità neonatale ammonta a 2.000 morti/100.000 nati vivi. Secondo i dati nazionali 2010-2016, solo il 63.5% delle nascite è stato assistito da personale sanitario qualificato [1-3].

Tra le cause più importanti dell’eccesso di mortalità materna e neonatale si annovera la scarsa qualità dell’assistenza sanitaria prenatale (ANC) e postnatale (PNC) [1-3].

Al fine di garantire un’assistenza sanitaria adeguata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) raccomanda 8 visite di ANC e 4 di PNC [4,5]. Secondo il WHO, l’assistenza prenatale non solo deve garantire la disponibilità di test di screening e terapie, ma anche assicurare alla donna un’educazione sanitaria su aspetti cruciali della gravidanza e del puerperio. Tali condizioni sono difficili da raggiungere nei paesi a basso reddito per la limitata disponibilità di risorse e di personale sanitario qualificato.

Il sistema PANDA (Pregnancy And Newborn Diagnostic Assessment) sfrutta la tecnologia mobile per assicurare ANC/PNC di alta qualità in contesti con scarse risorse [4]. La sua efficienza è già stata testata in due studi pilota condotti in Madagascar e in Italia [6,7].

Lo scopo di questo studio è valutare come l’adozione del sistema PANDA può influire sulla qualità di ANC/PNC in Tanzania.

MATERIALI E METODI

Lo studio, condotto nel distretto rurale di Mufindi, è un trial non randomizzato in cui il sistema PANDA applicato nel sito di implementazione (Nyololo) viene confrontato con la ANC/PNC tradizionale condotta nel sito di controllo (Usokami).

Il sistema PANDA è costituito da:

  • uno zaino contenente strumenti per misurare peso, altezza, misura fondo-sinfisi pubica, alcuni parametri vitali (temperatura corporea, pressione arteriosa, ecc.) e anche test di screening rapido per alcune condizioni morbose che incidono sull’andamento della gravidanza (sifilide, HIV, malaria, anemia, diabete gestazionale ecc.);

  • uno smartphone con un’applicazione android che guida l’operatore sanitario nella visita, comprensiva di 4 moduli relativi a informazioni socio-demografiche, storia medica, screening clinici, educazione sanitaria;

  • un’unità medica ospedaliera che, sincronizzandosi con gli smartphone, riceve i dati registrati durante la visita, al fine di effettuare una supervisione da remoto dell’assistenza sanitaria. Il sistema permette di creare una cartella medica della donna e definire il profilo di rischio della gravidanza e la frequenza delle visite.

RISULTATI

Nella fase preliminare è stata condotta una baseline delle caratteristiche organizzative e cliniche della ANC/PNC locale; inoltre, sono stati formati gli operatori sanitari sulle raccomandazioni WHO e ministeriali in tema di ANC/PNC e nell’area di implementazione sull’uso del PANDA. Nella fase di arruolamento, 597 donne (1.539 visite ANC) sono state reclutate nel sito d’implementazione e 398 (928 visite ANC) nel sito di controllo. L’età media era di 26,7 anni (range 15-46) nel sito di implementazione e 26,8 (range 16-48) nel sito di controllo. Il 59% delle donne si è sottoposta a ≥ 2 visite ANC nel sito di implementazione e il 62% nell’area di controllo. Nel sito di implementazione il 91% delle pazienti era alfabetizzato e aveva frequentato almeno la scuola primaria. La maggior parte (84%) era lavoratrice agricola. Il 97% non riferiva consumo di alcol e il 96% non fumava. Sulla base delle caratteristiche cliniche e socio-demografiche, il sistema PANDA ha consentito di rilevare che il 17% delle gravidanze era a rischio alto e il 45% a rischio medio. Nel sito di controllo non sono state raccolte informazioni su alfabetizzazione, lavoro, consumo di alcol, fumo e condizioni di vita delle donne e gli operatori hanno inviato il 35% (138) delle pazienti a una struttura di secondo livello. La raccolta dei dati sulla soddisfazione di donne e operatori riguardo l’ANC/PNC è in via di conclusione.

CONCLUSIONI

Il sistema PANDA ha dimostrato buone potenzialità a livello di pratica clinica nell’identificazione delle gravidanze a rischio medio e alto che sono seguite da personale sanitario qualificato e in caso di necessità potrebbero beneficiare più rapidamente di un’assistenza sanitaria di secondo livello. Avere uno strumento portatile con il materiale necessario per la visita ostetrica permette una prestazione medica di alta qualità in contesti difficili da raggiungere. Inoltre, l’interfaccia grafica dell’applicazione migliora l’aspetto comunicativo della visita, oltrepassando le barriere culturali e linguistiche.

Infine, il sistema PANDA consente la raccolta di dati socio-demografici anamnestici e clinici precedentemente non disponibili, utili anche per le politiche nazionali di programmazione sanitaria.

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Riorganizzazione dell’attività lavorativa dell’operatore sanitario nel contesto emergenziale da SARS-CoV-2: analisi dei pericoli e prospettive future

MICHELE LAMPEDECCHIA 1, VINCENZO MARCOTRIGIANO 2, GIOVANNI TRIFONE SORRENTI 2, PANTALEO MAGARELLI 2, UGO STOPPATO 1, FRANCESCO ALBERGO 3

Abstract

INTRODUZIONE

L’attività lavorativa dell’operatore sanitario espone quotidianamente a pericoli di varia natura ed entità a seconda della tipologia di professione svolta all’interno del vasto contesto occupazionale quale quello sanitario. Inoltre, dalla disamina dell’attuale contesto sanitario emergenziale caratterizzato da Coronavirus, i rischi ai quali i lavoratori operanti in strutture sanitarie possono essere sottoposti sono incrementati, stante la loro duplice attività sia di contrasto alla diffusione di SARS-CoV-2 che di assistenza diretta all’utenza, anche affetta da COVID-19.

MATERIALI E METODI

Nell’eterogeneo contesto occupazionale sanitario, un’analisi di dettaglio deve considerare l’individuazione dei principali pericoli ai quali gli operatori sanitari potrebbero essere esposti nel corso dell’attività lavorativa quotidiana quali i pericoli biologici, chimici, da movimentazione di carichi e da stress lavoro-correlato, e delle relative misure preventive da attuare per evitare l’insorgenza di infortuni e tecnopatie. Ne consegue l’analisi dell’impatto che la situazione emergenziale dovuta a SARS-CoV-2 ha avuto sugli stessi operatori sanitari dal punto di vista lavorativo, sia in relazione ai rischi intrinseci correlati, che alla possibile evoluzione nel corso del tempo delle condizioni di lavoro generali, con l’obiettivo di plasmare e adattare quanto più possibile l’attività lavorativa al contenimento e alla riduzione al minimo della possibilità di contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro.

RISULTATI

La forma di malattia professionale più diffusa nel settore sanitario, secondo i più recenti dati di letteratura biomedica occupazionale presa in esame [1], è rappresentata dai disturbi muscoloscheletrici degli arti superiori e del collo, seguono ulteriori disturbi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico e osteoarticolare, dei quali circa il 60% riguarda le dorsopatie e circa il 30% i disturbi dei tessuti molli. A questi seguono i rischi connessi all’utilizzo di sostanze chimiche come disinfettanti e detergenti, oltre a farmaci e medicamenti, che in sede di preparazione o somministrazione potrebbero provocare reazioni locali o sistemiche ai danni dell’operatore sanitario, ma anche la trasmissione di agenti biologici conseguenti al possibile contatto con materiali biologici contaminati o l’impiego, da parte degli operatori stessi, di alcuni strumenti di lavoro taglienti o acuminati, quali aghi, siringhe, bisturi, con relativo rischio di puntura o taglio. In aggiunta a ciò, la situazione emergenziale, ha avuto particolari ricadute psicologiche sugli operatori sanitari [2] in quanto essi si sono trovati maggiormente esposti ai rischi biologici correlati alla presenza di SARS-CoV-2, oltre a situazioni di difficoltà sempre nuove e con limitate possibilità di risoluzione, dovute sia al nuovo contesto lavorativo in costante evoluzione che al distacco dai familiari, quindi con ridotte possibilità di recupero delle energie [3,4].

CONCLUSIONI

L’attività sanitaria, che già di per sé presenta rischi specifici di entità rilevante a seconda della tipologia di profilo professionale, è stata ulteriormente provata dalla situazione sanitaria emergenziale da COVID-19 in quanto gli operatori di area sanitaria e socio-sanitaria si sono trovati improvvisamente a sperimentare contesti di stress e disagio personale nuovi e inattesi. Le strategie individuate per il contrasto dell’insorgenza dei pericoli, sia quelli di natura occupazionale che quelli dovuti alla gestione del SARS-CoV-2, richiedono necessariamente l’adozione di procedure preventive atte a evitare lo sviluppo degli eventi avversi, in particolare attraverso la promozione della formazione degli operatori sulle corrette procedure lavorative, ma anche mediante l’istituzione di strutture organizzative efficienti e basate sulla comunicazione chiara e costante con i vertici e tra pari, finalizzate a garantire e rafforzare il coordinamento e l’integrazione tra le varie aree operative. A completamento, intervengono le misure di protezione finalizzate alla tutela del benessere fisico, rappresentate prevalentemente dall’utilizzo adeguato dei dispositivi di protezione individuale, ma anche dalla messa a disposizione di interventi proattivi per la gestione dello stress e per il supporto psicologico degli operatori [5], al fine di mantenere il benessere psichico, evitando che lo stress subito e accumulato possa sfociare in gravi conseguenze ai danni della salute degli operatori, in particolare, nel contesto assistenziale [6].

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

L’applicazione dell’Health Technology Assessment alle App sanitarie

IRENE GIACCHETTA 1, SARA VIOLI 1, CLAUDIA MARTINI 1, CARLO FAVARETTI 2, CHIARA DE WAURE 3

Abstract

INTRODUZIONE

Il recente sviluppo di app sanitarie ha permesso di supportare la gestione della salute dei cittadini e dei pazienti. Per valutare la loro integrazione come strumento offerto dal Servizio Sanitario Nazionale occorre una metodica qualitativa. L’Health technology assessment (HTA) può rappresentare un valido strumento di valutazione qualitativa delle app sanitarie, in grado di considerare i differenti stakeholder. L’obiettivo di questa revisione sistematica è ricercare gli studi che hanno applicato l’HTA alle app sanitarie e analizzare il possibile impiego e i limiti dell’HTA in questo campo.

MATERIALI E METODI

La ricercar bibliografica è stata effettuata su tre database, PubMed, Web of Science (WoS) e University of York-Centre for Reviews and Dissemination database (York). In considerazione del fatto che la valutazione delle app sanitarie rappresenta un aspetto innovativo e ancora poco esplorato, gli articoli sono stati inclusi se avevano indagato almeno due dei domini dell’HTA core model dello European network for Health Technology Assessment (EUnetHTA). La ricerca è stata ristretta agli ultimi 5 anni di pubblicazione e alla pubblicazione in lingua inglese.

RISULTATI

La ricerca ha identificato un totale di 850 articoli: 383 articoli da PubMed, 462 da WoS and 5 da York. Dopo aver rimosso i duplicati, 708 articoli sono stati sottoposti al processo di selezione e 42 studi sono stati inclusi nella revisione sistematica. Sette articoli si sono concentrati su app sanitarie utili agli operatori sanitari, mentre 35 studi su app sanitarie utili all’empowerment dei pazienti. Nessun articolo menzionava esplicitamente l’HTA come strumento di valutazione delle app sanitarie e nessun articolo valutava tutti i domini dell’HTA core model. La descrizione tecnica delle app, l’efficacia clinica e gli aspetti sociali sono stati i domini più frequentemente considerati. Un solo articolo riportava il costo e la valutazione economica.

CONCLUSIONI

Nonostante la corrente espansione della letteratura scientifica sulle app sanitarie, l’impiego di un metodo standardizzato per la loro valutazione, in particolare l’HTA, è ancora sottoutilizzato. Una possibile causa è rappresentata dalla varietà e dalla particolarità delle app sanitarie, che sottolineano ulteriormente l’importanza di adattare le metodiche esistenti al fine di ottenere uno strumento standardizzato di valutazione qualitativa.

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Antibiotic exposure and healthcare-associated infections sustained by multidrug-resistant Klebsiella pneumoniae in Intensive Care Unit patients: a nested case-control study

GIUSEPPE MIGLIARA 1, VALENTINA BACCOLINI 1, CLAUDIA ISONNE 1, SARA CIANFANELLI 1, CAROLINA DI PAOLO 1, ANNAMARIA MELE 1, LORENZA LIA 1, ANGELO NARDI 1, CARLA SALERNO 1, SUSANNA CAMINADA 1, VITTORIA CAMMALLERI 1, FRANCESCO ALESSANDRI 2, GUGLIELMO TELLAN 2, GIANCARLO CECCARELLI 1, MARIO VENDITTI 1, FRANCESCO PUGLIESE 2, CAROLINA MARZUILLO 1, CORRADO DE VITO 1, MARIA DE GIUSTI 1, PAOLO VILLARI 1

Abstract

INTRODUCTION

Healthcare-associated infections (HAIs) are a major patient safety issue in hospitals, especially in intensive care units (ICUs), leading to prolonged hospital stays, high morbidity and mortality rates, and adding economic burden on the healthcare systems [1,2]. The most frequently isolated microorganisms have been Gram-negatives, especially Klebsiella species, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, and Acinetobacter baumannii complex species [3], whereas among the gram-positives, the most commonly detected has been Staphylococcus aureus [3]. Epidemiological research has demonstrated direct relationships between antibiotic consumption and the emergence and dissemination of resistant strains, with a consequent spread of infections due to multidrug-resistant bacteria [4-6] and higher morbidity and mortality rates [4]. Optimal antibiotic use is crucial to reduce further emergence, selection, and spread of multidrug-resistant-strains and their consequences [7-9] and the efforts to assess the association between prior antibiotic exposure and the likelihood of antimicrobial resistance might be useful to guide healthcare professionals in the optimal choice of empiric antibiotic therapy [10]. In this nested case-control study, we assessed whether prior exposure to antibiotic therapy and its duration affected the onset of HAIs sustained by MDR Klebsiella pneumoniae (MDR-Kp) in intensive care unit patients.

MATERIALS AND METHODS

This is a nested case-control study that used data on ICU patients retrieved from the active HAI surveillance system conducted from 1st May 2016 to 30th September 2019 in the main ICU of the Umberto I teaching hospital of Rome. Cases were defined as patients who developed an MDR-Kp HAI. Each case was matched on sex to three controls randomly selected from the at-risk patients using incidence density sampling with replacement. Any antibiotic agent received in a systemic administration before the onset of the infection was considered as antibiotic exposure, analysed in two ways: 1) as dichotomous exposure (yes vs no), considering as a valid exposure at least two consecutive days of antibiotic administration; 2) as the cumulative duration of such exposures. Interaction terms were tested and were kept in the models using a significance level cut-off of 0.05, whereas collinearity was detected using a variance inflation factor cut-off > 2.5. The following variables were used to build the two models: prior exposure to aminoglycosides, carbapenems, extended-spectrum cephalosporines; glycopeptides, daptomycin, linezolid; colistin; penicillins with beta-lactamases inhibitors (herein referred as penicillins); age (< 40 years, 41-50 years, 51-60 years, 60-70 years, > 70 years); year of admission (continuous); pre-existing comorbidities (yes vs. no); days of mechanical ventilation (continuous); SAPS II score (continuous); type of admission to the ICU (medical, trauma, or post-surgery). The significance level was set to a P-value less than 0.05, and all tests were 2-sided.

RESULTS

A total of 948 patients were enrolled in the surveillance system from 1st May 2016 to 30th September 2019. During this period, 87 patients were diagnosed with an HAI sustained by MDR-Kp. and were therefore identified as cases. These patients were compared with 261 gender-matched patients without such HAIs (controls). Most patients were men (70.1%), with a mean age of 57.5 ± 17.3 years among the cases and 56.5 ± 18.4 years among the controls.

At the multivariable analysis, in model 1 patients exposed to aminoglycosides had an increased risk of developing an HAI sustained by MDR-Kp (OR = 2.27; 95% CI: 1.08-4.76). Similar findings were shown for prior exposure to linezolid (OR = 4.64, 95% CI: 1.32-16.27). However, prior exposure to both linezolid and penicillins decreased the risk of the outcome exerted by the linezolid alone (OR = 0.22, 95% CI: 0.05-0.88). Model 2 confirmed the previous model for the aminoglycosides, as for each 1-day increase in exposure there was a higher risk of HAI onset (OR = 1.15, 95% CI: 1.03-1.29). Moreover, also penicillins and colistin cumulative exposures were found to independently increase the risk of HAI (OR = 1.08, 95% CI: 1.01-1.16 and OR = 1.07, 95% CI: 1.02-1.14, respectively). However, double exposure to penicillins and colistin reduced the risk conferred by the two antibiotic classes alone (OR = 0.996, 95% CI: 0.993-0.999).

CONCLUSIONS

Given the association between infections sustained by MDR-Kp and the increase in morbidity and mortality rates [11], optimal antibiotic use is crucial to reduce the further selection of multidrug-resistant strains [10]. Our study shows that particular attention should be drawn to the use of a few antibiotic classes that may play a role in facilitating the emergence of multidrug-resistant infections caused by Klebsiella pneumoniae, even though several double exposures in the time window before the HAI onset seemed to hinder the selective pressure exerted by the individual agents.

REFERENCES

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61.

Emergency Department visits of immigrants for mental disorders in a large teaching hospital of Rome from 2007 to 2018

ANGELO NARDI 1, GIUSEPPE MIGLIARA 1, AURORA ANGELOZZI 1, SUSANNA CAMINADA 1, MONICA GIFFI 1, CLAUDIA ISONNE 1, LORENZO TARSITANI 2, MASSIMO PASQUINI 2, GIULIANO BERTAZZONI 3, PAOLO VILLARI 1, CORRADO DE VITO 1

Abstract

INTRODUCTION

Mental health in migrants is becoming an emerging public health issue due to the increase of migratory flows. It is well known that migration process involves several stressors, during pre-migration, migration and post migration phases, that may predispose individuals to develop mental disorders (MDs) [1]. On the other hand, migrants face a number of barriers to accessing health care in general, which are also likely to affect access and provision of mental health care [2,3]. The aim of this study was to analyze the emergency department (ED) visits to Umberto I, a large teaching hospital in Rome, for MDs from 2007 to 2018 and to highlight the differences between Italians and migrants.

MATERIALS AND METHODS

Subjects older than 18 that had ED contacts from 2007 to 2018 were enrolled. Subjects were classified as Lower Income Populations (LIPs) if their country of birth had lower GDP pro capita than Italy. Immigrant were also divided in eight Nationality Groups (NGs) by geographical macro-areas. Basing on ICD9 codes, MDs were classified in five categories: psychotic, mood, anxiety, personality and substance abuse disorders. Descriptive statistics were conducted for gender, age, educational level and triage. Poisson regression models, adjusted for sociodemographic variables, were used to estimate incidence rate ratios (IRRs) of LIPs as a whole and of different NGs, for the five psychiatric categories and for MDs overall.

RESULTS

In the period of interest there were 6,358 ED visits for MDs, of which 12.1% made by immigrants. Compared to Italians, LIPs showed lower risks of ED visits for both MDs overall (IRR = 0.79, IC 95%: 0.73-0.85) and for specific disorders (psychosis: IRR = 0.78, IC 95%: 0.67-0.91; mood disorders: IRR = 0.78, IC 95%: 0.65-0.94; anxiety: IRR = 0.62, IC 95%: 0.53-0.72; personality disorders: IRR = 0.54, IC 95%: 0.35-0.82), except for substance abuse disorders (IRR = 1.17, IC 95%: 1.01-1.36). Regarding specific NGs, Europeans had greater risk than Italians of ED visits for MDs (IRR = 1.24, IC 95%: 1.08-1.42), while Romanians, Southern Asians and Eastern/South-Eastern Asians had lower risks (IRR = 0.71, IC 95%: 0.62-0.82; IRR = 0.41, IC 95%: 0.32-0.54; IRR = 0.38, IC 95%: 0.26-0.56). Europeans showed also increased risk for substance abuse disorders (IRR = 2.19, IC 95%: 1.72-2.79; IRR = 3.50). Taken together, Asian populations showed lower risks for all the diagnostic categories: Southern Asians for psychosis (IRR = 0.52, IC 95%: 0.32-0.84), anxiety (IRR = 0.30, IC 95%: 0.18-0.52) and substance abuse disorders (IRR = 0.44, IC95%: 0.25–0.76), while Eastern/South-Eastern Asia for mood disorders (IRR = 0.32, IC 95% 0.12-0.86) and anxiety (IRR = 0.17, IC 95%: 0.06-0.46). Romanians were at decreased risks for psychosis (IRR = 0.45, IC 95%: 0.31-0.64) and anxiety (IRR = 0.57, IC 95%: 0.43-0.74), the latter with Sub-Saharan Africa group (IRR = 0.56, IC 95%: 0.35-0.91).

CONCLUSIONS

In our sample LIPs showed lower risks of ED visits for all MDs compared to Italians, except for substance abuse disorders. Similar results were found in another study conducted in Rome [4], where migrants from “strong migration pressure countries” showed lower crude ED utilization rate for MDs and lower percentage of MDs, except for substance abuse disorders. Higher percentage of ED visits for substance abuse were found also in another Italian study [5].

The analysis disaggregated by NGs showed that Romanian, Southern Asia and East/Southern-East Asia groups had statistically significant lower IRR for MDs. Lower risk in Asians was widely showed in literature and was explained by cultural factors, such as self-stigma, different perception of mental illness and the practice of seeking help in their community.

Regarding specific diagnostic categories, anxiety showed the lowest IRR. Furthermore, in disaggregate analysis more NGs reached statistical significance for anxiety than for mood disorders and psychosis. Thus, it could be hypothesized that risk for ED visits vary with the severity of the disorder, with more decreased risk for mild disorders, such as anxiety, and results closer to those of Italians for more severe disorders, such as psychosis and mood disorders. However, a limit of the study is the absence of information on the mode of arrival to the ED and on clinical presentation, thus this hypothesis must be considered with caution. Generally, other studies have shown higher percentage of migrants referred by ambulance or police [4] and, for some NGs, higher risk of psychomotor agitation. Possible explanations are barriers to community mental health services, lack of insight in psychiatric problems and, for irregular migrants, fear that their status could be communicated to immigrant authorities.

In conclusion, different risk in ED visits for MDs among migrants can be due to heterogeneity in psychopathology, cultural factors, barriers, and migrant status. More studies are necessary to better understand the needs of migrants and to enhance their mental health service use.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Valutazione della qualità dell’aria all’interno delle strutture ospedaliere: un caso di studio

DARIO DALENO 1, ALESSIA DI GILLO 2

Abstract

INTRODUZIONE

La comunità scientifica ritiene ormai da anni che l’inquinamento indoor rappresenti un pericolo per la salute della popolazione, poiché è proprio negli ambienti confinati che si trascorre la maggior parte del tempo [1,2]. Tra gli ambienti confinati sui quali focalizzare l’attenzione non ci sono solo abitazioni o uffici, ma anche le strutture ospedaliere che devono garantire degli standard di qualità promuovendo la salute e tutelando i propri pazienti.

Gli inquinanti indoor in queste strutture provengono da sorgenti sia esterne sia interne (materiali da costruzione, arredo) oppure da specifiche attività sanitarie e di disinfezione (uso di sostanze medicali, prodotti per la pulizia). Monitorare la qualità dell’aria nelle strutture ospedaliere, dunque, risulta fondamentale.

Lo studio valuta la presenza e la quantità di inquinanti indoor nell’I.R.C.S.S. “Giovanni Paolo II” di Bari tramite un sistema di monitoraggio della qualità dell’aria posizionato nel reparto, sito a piano terra, dedicato alle infusioni della chemioterapia con l’obiettivo di individuare le potenziali sorgenti impattanti sulla qualità dell’aria.

MATERIALI E METODI

Lo studio prevedeva una campagna di monitoraggio delle polveri ultrafini aerodisperse nel periodo compreso tra marzo 2018 e luglio 2019. Il rilevamento è avvenuto tramite l’installazione di una centralina di monitoraggio ad alta risoluzione temporale dei principali inquinanti gassosi e particellari. In un totem multifunzione sono stati integrati:

  • un sensore per il monitoraggio ad alta risoluzione temporale della concentrazione totale di Composti Organici Volatili e dei principali parametri microclimatici (temperatura e umidità relativa);

  • due infra-red LED particle/dust sensors per la determinazione della concentrazione di particelle fini e ultrafini nel range 0.5-3 μm. Un sensore (Speck 202) è stato posto sulla sommità del totem a un’altezza di circa 2,5 m rispetto al livello del suolo mentre il secondo (Speck 201) è stato collocato a circa 1 m;

  • un monitor per il monitoraggio della concentrazione di anidride carbonica.

Inoltre, al fine di valutare l’accuratezza delle misure di concentrazione delle particelle mediante l’uso di sensori low cost, è stata effettuata un’attività di confronto tra i due Speck e uno strumento di riferimento: un contaparticelle ottico multicanale collocato alla stessa altezza dello Speck 201.

RISULTATI

Lo studio ha raccolto ed elaborato oltre 4 milioni di dati relativi alle concentrazioni al minuto degli inquinanti: anidride carbonica, composti organici volatili totali e particelle ultrafini.

Le concentrazioni in numero e in aria delle particelle ultrafini campionate dal sensore posto a 1 m dal pavimento sono risultate più elevate rispetto al sensore posto a 2,5 m. Questo risultato accrediterebbe l’ipotesi per cui la maggior concentrazione di polveri aerodisperse nella struttura ospedaliera è legata alla risospensione dal pavimento generata dall’affluenza in reparto. Sebbene i valori raccolti siano orientativi e non possano essere utilizzati in alcun modo per la conformità ai limiti di legge, le concentrazioni medie misurate (3μg/m3) risultano inferiori rispetto al valore limite di legge definito nel D.Lgs. n. 155 del 2010, ovvero 25 μg/m3.

Le concentrazioni di CO2 invece risultano in linea con quelle rilevate in diversi ambienti indoor [3,4] e indicano una qualità dell’aria mediamente accettabile e una buona ventilazione, secondo quanto previsto dall’Indoor Air Quality Standard EN13779 [5] e dall’ASRHE 62-1989 standard [6].

In merito alle concentrazioni dei Composti Organici Volatili, esse risultano essere in linea con quelle misurate in altri luoghi di lavoro e durante specifiche attività come fotocopisterie, pulizia o saloni di bellezza [7-9].

Inoltre, ai fini di una precisa attività di prevenzione, i dati registrati sono stati suddivisi in base al momento di campionatura, definendo così due modelli differenti uno su base settimanale, distinguendo tra giorni infrasettimanali e weekend; l’altro su base giornaliera, differenziando giorno e notte.

Dai risultati dello studio emerge come le concentrazioni di inquinanti misurate nei giorni infrasettimanali risultino raddoppiate rispetto a quelle nei weekend; mentre nel modello giorno/notte si denota un andamento periodico delle concentrazioni con picchi nelle ore di maggior affluenza del reparto.

CONCLUSIONI

I risultati ottenuti nel presente studio dimostrano come l’implementazione di un sistema integrato, costituito da sensoristica per il monitoraggio ad alta risoluzione temporale degli inquinanti gassosi e particellari, possa rappresentare un approccio strategico e valido per valutare l’impatto delle potenziali sorgenti emissive indoor e dell’affollamento degli ambienti sulla qualità dell’aria. In questo modo si potranno definire metodiche di prevenzione precise e accurate.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Valutazione della dispersione di aerosol e droplets durante la ventilazione con pallone-maschera

FABIO PATTAVINA 1, ANDREA SCAPIGLIATI 2, GABRIELLA ARLOTTA 3, MALGORZATA WACHOCKA 3, PATRIZIA LAURENTI 2

Abstract

INTRODUZIONE

La SARS-CoV-2 ha provocato una crisi sanitaria internazionale. La sicurezza degli operatori sanitari (OS) è una priorità globale per prevenire il collasso dei sistemi sanitari e la trasmissione dall’ospedale alla società [1]. A luglio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha dichiarato che circa il 10% dei casi in tutto il mondo è tra gli OS [2,3].

Le linee guida per il controllo delle infezioni da Covid-19 della WHO si basano sul presupposto che la trasmissione del patogeno avviene attraverso l’inalazione di particelle respiratorie infette (PR) [4].

Le PR si distinguono per essere goccioline (droplets) o aerosol in base alle loro dimensioni ovvero diametro aerodinamico [5].

WHO e i Centers for Disease Control and Disease Prevention (CDC) postulano le particelle > 5 μm come droplets e < a 5 μm come aerosol [6-8].

Nonostante l’uso di precauzioni e di dispositivi di protezione individuale (DPI), in alcune casi si sono verificati episodi di trasmissione del virus agli OS.

Alcuni tipi di procedure assistenziali sui pazienti infetti hanno dimostrato la produzione di una maggiore generazione di goccioline [9], esempio la ventilazione non invasiva a pressione positiva-CPAP (con dispositivo pallone-maschera-PM). Questa procedura è considerata fondamentale per operatori sanitari per fornire l’assistenza ventilatoria necessaria durante rianimazione cardiopolmonare, situazione in cui la tempestività degli interventi anche in condizioni senza DPI e con competenze limitate nella gestione delle vie aeree è cruciale per la sopravvivenza della vittima [10-12].

Lo scopo del presente lavoro è valutare la generazione di particelle dalle vie respiratorie durante CPAP-PM protetta da un telo adesivo sterile per procedure chirurgiche (steridrape) attraverso un monitoraggio quantitativo di particelle di varie dimensioni in prossimità delle vie aeree esterne del paziente.

MATERIALI E METODI

I monitoraggi per la valutazione della dispersione di particelle sono stati effettuati tra aprile e ottobre 2020.

L’ambiente in cui sono stati effettuati i campionamenti era una sala operatoria di cardiochirurgia di un Ospedale Universitario.

Il campionamento delle particelle in prossimità delle vie aeree esterne del paziente è stato effettuato su due volontari sani, nello spazio gassoso racchiuso all’interno di un casco da CPAP opportunamente adattato allo scopo con la possibilità di eseguire ricambi di gas rapidi attraverso l’immissione di O2 ad alti flussi (20 l/min) e aspirazione a pressione negativa.

Il conteggio delle particelle aerodisperse (APC) nell’intervallo di 0,5-10 μm di diametro è stato misurato utilizzando un contatore portatile [13]. Esso è stato collegato con dei tubicini sterili in teflon posizionati all’interno di un casco per ventilazione non invasiva in prossimità della “zona dell’area respiratoria”

Le attività di monitoraggio sono state eseguite in diverse fasi:

  • respiro spontaneo con bocca chiusa (RBC);

  • respiro spontaneo con bocca aperta (RBA);

  • tosse (T);

  • ventilazione senza drape mask (VSD);

  • ventilazione con drape mask (VCD).

Le medie di ogni diametro particellare di ogni fase sono state analizzate attraverso il One way-Anova. Una probabilità di p < 0,05 è stata considerata statisticamente significativa. Tutti i test statistici erano bilaterali. L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando Stata IC 14 per Mac

RISULTATI

Il monitoraggio è stato eseguito su due soggetti sani.

I valori APC (μm) della fase “T” sono maggiori dei valori in tutte le altre fasi. I valori APC - RBC sono inferiori alla RBA.

In particolare, i valori APC delle particelle nella VSD delle dimensioni di 0,5, 1,0,2,5 μm sono superiori ai valori nella VCD.

La differenza tra RBC e RBA e VCD è statisticamente significativa solo per le APC di 0,3 e 1 μm p < 0,05.

La differenza tra RBA e VCD è statisticamente significativa per le APC dfinoa 2,5 con p < 0,01.

La differenza tra T e VCD è statisticamente significativa per tutte le particelle.

La differenza tra VSD e VCD è statisticamente significate per le particelle di 0,3 e 1 con p < 0,03

CONCLUSIONI

I nostri risultati hanno mostrato che si emettono un numero maggiore di particelle mentre si tossisce in quanto si liberano maggiormente aerosol e/o droplets di varie dimensioni che permangono maggiormente in sospensione in aria [14] e che l’utilizzo della protezione con steridrape su maschera durante l’attività di ventilazione con pallone è efficace nel ridurre l’emissione di particelle respiratorie; soprattutto è di facile utilizzo e permette una maggiore sicurezza per gli operatori sanitari deputati alla rianimazione di pazienti.

È interessante notare che non vi è nessuna differenza statisticamente significativa tra il RBC e il RBA

Questo studio suggerisce l’importanza di un approccio multiprofessionale, che coinvolga clinici, igienisti e tecnici della prevenzione, che si riuniscano regolarmente per condividere programmi per la sicurezza dei pazienti e degli operatori.

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Literacy dei cittadini nell’ambito delle scienze omiche: risultati di una survey con gli esperti della Rete Italiana di Genomica in Sanità Pubblica (GENISAP)

MICHELE SASSANO 1, GIOVANNA ELISA CALABRÒ 1, WALTER RICCIARDI 1,2, STEFANIA BOCCIA 1,2

Abstract

INTRODUZIONE

Sin dal termine del Progetto Genoma Umano [1] notevoli progressi sono stati compiuti nel settore della genetica, portando a un netto miglioramento delle conoscenze nel campo della genomica e delle scienze omiche. Tutto ciò, inoltre, ha portato a una sempre crescente disponibilità di nuove tecnologie omiche, talora accessibili da parte dei cittadini senza il consulto di un medico, come nel caso dei test genetici diretti al consumatore (DTC-GT) [2]. Risulta, quindi, evidente la necessità di aumentare la literacy della popolazione generale così come raccomandato anche dal Piano nazionale per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche. Infatti, solo con una base di conoscenze adeguate i cittadini/pazienti potranno essere in grado di effettuare scelte appropriate e consapevoli riguardo la propria salute e l’utilizzo delle nuove tecnologie omiche oggi disponibili.

Nell’ambito di un Progetto CCM, finanziato dal Ministero della Salute, dal titolo “Capacity building e cittadinomica: azioni innovative per la literacy di professionisti sanitari e cittadini nell’era delle scienze omiche”, è stata realizzata una survey diretta agli esperti della Rete Italiana di Genomica in Sanità Pubblica (GENISAP) al fine di identificare le principali tematiche per le quali implementare le azioni di formazione e informazione della popolazione nel settore delle scienze omiche.

MATERIALI E METODI

Sulla base dei risultati di una precedente revisione sistematica della letteratura [3], è stata elaborata una survey diretta a esperti in genomica afferenti al Network Italiano GENISAP. L’indagine conoscitiva è stata condotta, mediante metodologia Delphi, in due round. Il questionario si componeva di una parte introduttiva con domande su informazioni personali, seguita da una sezione incentrata sulle tematiche su cui formare la popolazione, una sui metodi di formazione più appropriati per la popolazione, un’altra sui setting più adeguati ed, infine, una sui professionisti sanitari da coinvolgere nella formazione dei cittadini. Ciascuna sezione era costituita da diversi item, a ciascuno dei quali è stato indicato dagli esperti coinvolti un punteggio, da 1 a 5, di importanza e/o appropriatezza. Dopo il I round, gli item con punteggio medio maggiore o uguale a 3 sono stati riproposti nel II round. Gli item con un punteggio medio maggiore o uguale a 3 nel II round sono stati inclusi negli item finali selezionati.

RISULTATI

I partecipanti alla survey sono stati il 71.11 e il 42.22% degli invitati (n = 45), rispettivamente al I e II round. Le principali tematiche su cui formare la popolazione sono risultate essere: concetti di base di genetica, prevenzione, ricerca scientifica, test genetici, applicazioni specifiche delle scienze omiche. Le metodiche di informazione più appropriate sono, invece, risultate essere: lezioni e corsi, focus group, video e film, libri e giornali. Tra i setting con punteggio più elevato sono stati inclusi: internet, setting assistenziali e scolastici. Infine, tra le figure professionali da coinvolgere nella formazione dei cittadini il punteggio più elevato è stato assegnato ai genetisti, seguiti da genetic counselor e professionisti di Sanità Pubblica.

CONCLUSIONI

I risultati della survey evidenziano le principali linee da seguire nella ideazione di future iniziative rivolte ai cittadini nel settore delle scienze omiche. La corretta implementazione della medicina personalizzata nella pratica clinica richiede, come prerequisito, un’adeguata literacy di cittadini e pazienti [4]. Pertanto, sarà necessario identificare e implementare le metodiche più adeguate per la formazione dei cittadini in questo ambito.

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Valutazione dell’appropriatezza dell’uso di antibiotici in ambito ospedaliero

FRANCESCO NAPOLITANO 1, CONCETTA PAOLA PELULLO 1, GIORGIA DELLA POLLA 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

Come è noto, il fenomeno dell’antibiotico-resistenza rappresenta un rilevante problema di Sanità Pubblica, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo ha definito come una delle maggiori minacce per la salute pubblica a causa del suo rilevante impatto epidemiologico ed economico [1,2]. L’utilizzo non appropriato di antibiotici ha generato una pressione selettiva, favorendo la selezione di microrganismi patogeni naturalmente resistenti e/o l’acquisizione, da parte di questi, di geni di resistenza [3-6]. Atteso che è rilevante l’impatto negativo dell’uso eccessivo di antibiotici nel determinismo dell’antibiotico-resistenza, è sembrato interessante condurre una indagine per valutare l’appropriatezza dell’uso di antibiotici in ambito ospedaliero.

MATERIALI E METODI

L’indagine è stata eseguita su un campione casualmente selezionato di pazienti con età ≥ 18 anni ricoverati in 4 ospedali pubblici della Regione Campania. La rilevazione dei dati è stata effettuata attraverso la consultazione delle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati mediante la compilazione di una scheda di rilevazione. L’appropriatezza della terapia antibiotica è stata valutata utilizzando le raccomandazioni previste dalle Linee di indirizzo per l’attuazione dei programmi di Antimicrobial Stewardship e per l’implementazione locale dei protocolli di terapia antibiotica prodotte nell’ambito delle attività svolte presso la Direzione Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del S.S.R. della Regione Campania e le linee guida nazionali e internazionali di riferimento sui trattamenti antibiotici [7-12]. L’analisi statistica inferenziale è stata effettuata utilizzando la regressione logistica multipla secondo il metodo dell’analisi discriminante stepwise.

RISULTATI

I primi risultati relativi a un campione di 500 pazienti hanno permesso di rilevare che più della metà di questi erano maschi (56.8%) e avevano un’età media di 63 anni, il 41.6% era stato ricoverato in un reparto di medicina generale, una ampia maggioranza aveva un indice di Charlson > 1 (84%) e un quarto del campione (25.6%) presentava un’infezione all’ammissione in ospedale. Due terzi dei pazienti avevano ricevuto un solo antibiotico e 34.6% avevano ricevuto più di un tipo di antibiotico. La valutazione dell’uso degli antibiotici prescritti in ospedale ha permesso di evidenziare che le classi di antibiotici più frequentemente utilizzati erano le cefalosporine (38.8%), gli antibiotici β-lattamici (28,7%), i fluorochinolonici (16%), i macrolidi (14.2%) e i carbapenemi (9,7%). Dall’analisi delle cartelle cliniche è emerso che il 29.5% dei pazienti aveva ricevuto la terapia antibiotica come profilassi medica e un terzo dei pazienti (34.8%) aveva ricevuto almeno un antibiotico non appropriato. Il modello di regressione logistica multipla ha evidenziato che l’utilizzo non appropriato di antibiotici era significativamente più frequente nei pazienti con età più elevata (OR = 1,05; IC 95%: 1,03-1,08; p < 0,001), tra coloro che avevano uno score dell’indice di Charlson più elevato (OR = 1,86; IC 95%: 1,52-2,28; p < 0,001), tra coloro che avevano una più lunga durata della degenza ospedaliera (OR = 1,16 IC 95%: 1,09-1,22; p < 0,001) e tra coloro che non presentavano una infezione all’ammissione in ospedale (OR = 0,1; IC 95%: 0,02-0,11; p < 0,001). Gli antibiotici utilizzati più frequentemente in modo non appropriato appartenevano alla classe delle cefalosporine di terza generazione (44.3%) e dei fluorochinolonici (23%). Solo il 5.4% dei pazienti ricoverati aveva ricevuto una conferma di infezione tramite un esame colturale microbiologico e i microrganismi più frequentemente isolati erano Escherichia Coli, Staphilococcus aureus e Candida Albicans.

CONCLUSIONI

I risultati preliminari di questo studio evidenziano un preoccupante utilizzo non appropriato di antibiotici in ospedale. È indispensabile, pertanto, atteso che i soggetti ospedalizzati sono frequentemente pazienti fragili e a più elevato rischio di complicanze, programmare interventi educativi e di formazione rivolti ai medici al fine di migliorare l’appropriatezza prescrittiva degli antibiotici.

BIBLIOGRAFIA

J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Utilizzo di antibiotici e antibiotico-resistenza: conoscenze, attitudini e comportamenti dei medici ospedalieri

FRANCESCO NAPOLITANO 1, CONCETTA PAOLA PELULLO 1, GIORGIA DELLA POLLA 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 1

Abstract

INTRODUZIONE

Il contenimento dell’antibiotico-resistenza è diventata una priorità di Sanità Pubblica a livello mondiale, non soltanto per le importanti complicanze cliniche per i pazienti come l’aumento della morbilità, della durata della malattia e della possibilità di epidemie, ma anche per le conseguenze economiche delle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, dovute al notevole impegno di risorse richiesto per farmaci e procedure più costose, per l’aumento della durata delle degenze in ospedale e per l’insorgenza di invalidità [1-3]. La prevenzione dello sviluppo e della diffusione dell’antibiotico-resistenza richiede un approccio complesso e multidisciplinare che comprenda la partecipazione attiva da parte dei medici prescrittori sia nell’ambito dell’assistenza primaria che in ambito ospedaliero [4-10]. La presente indagine, pertanto, ha l’obiettivo di valutare le conoscenze, le attitudini e i comportamenti dei medici ospedalieri in tema di uso di antibiotici e antibiotico-resistenza.

MATERIALI E METODI

L’indagine è stata condotta su un campione casualmente selezionato di medici che lavoravano nelle strutture ospedaliere della Regione Campania. I dati sono stati raccolti attraverso un questionario anonimo autosomministrato. L’analisi statistica inferenziale è stata effettuata utilizzando la regressione logistica multipla.

RISULTATI

I primi risultati relativi a un campione di 200 medici hanno permesso di rilevare che più della metà di questi erano maschi (53.2%) e avevano un’età media di 51 anni, il 59,3% lavorava in unità operative di medicina generale o specialistica e il 13.5% lavorava in unità operative di area critica. Un’ampia maggioranza (84.5%) era d’accordo rispetto all’affermazione che l’utilizzo eccessivo di terapie antibiotiche a largo spettro può causare antibiotico-resistenza, mentre il 18.5% era in disaccordo o non sicuro che il mancato rispetto delle dosi e della durata del trattamento antibiotico può causare antibiotico-resistenza. Il 10.5% dei partecipanti era d’accordo/ fortemente d’accordo rispetto al fatto che il fenomeno della resistenza agli antibiotici non è principalmente un problema in ambito ospedaliero e due terzi dei medici (63.5%) era d’accordo/fortemente d’accordo con l’affermazione che la prescrizione di antibiotici in ospedale dovrebbe essere sottoposta a controlli più rigorosi. Il 65.8% del campione prescriveva spesso/sempre antibiotici in assenza di test rapidi (tamponi faringei, nasali, urinari) o risultati microbiologici (colture, antibiogramma) per trattare una malattia infettiva, più della metà (57.5%) utilizzava linee guida e protocolli prima di prescrivere antibiotici, mentre il 56.7% non si accertava mai che la durata del trattamento con antibiotici fosse appropriata. Il modello di regressione logistica multipla ha permesso di evidenziare che i medici che spesso/sempre utilizzavano linee guida e protocolli prima di prescrivere antibiotici erano più frequentemente coloro che lavoravano in unità operative di area critica (OR = 2,56; IC 95% 1,97-4,25; p < 0,01) e coloro che erano d’accordo/fortemente d’accordo con l’affermazione che la prescrizione di antibiotici in ospedale dovrebbe essere controllata più rigorosamente (OR = 1,72; IC 95%: 1,34-2,11; p < 0,003). La quasi totalità del campione (93.5%) acquisiva informazioni in tema di utilizzo di antibiotici e antibiotico-resistenza e le fonti di informazione più frequentemente utilizzate erano le riviste scientifiche (59.5%), internet (43.9%) e i congressi (31.5%). I due terzi dei medici (66%) riteneva di aver bisogno di ulteriori informazioni in tema di utilizzo di antibiotici e antibiotico-resistenza.

CONCLUSIONI

I risultati preliminari di questo studio evidenziano la necessità di implementare, nell’ambito dei programmi di antimicrobial stewardship, interventi di formazione in tema di antibiotico-resistenza e appropriato utilizzo degli antibiotici rivolti ai medici per migliorare le loro conoscenze in tema di antibiotico-resistenza e aumentare l’appropriatezza prescrittiva degli antibiotici in ospedale.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

La percezione del rischio professionale in relazione allo stato di salute percepito in contesti occupazionali differenti: risultati preliminari di uno studio multicentrico

ROSA PAPADOPOLI 1, GABRIELLA DI GIUSEPPE 2, CATERINA DE SARRO 1, RAFFAELE LANZANO 2, CONCETTA PAOLA PELULLO 2, CLAUDIA PILEGGI 1

Abstract

INTRODUZIONE

Lo stato occupazionale e le condizioni di lavoro sono determinanti per la salute degli adulti [1-3]. Circa un terzo dei cittadini dell’UE riferisce che il lavoro influisca sulla propria salute [4] e, negli ultimi due decenni, le condizioni psicosociali del lavoro sono emerse come principali fattori che contribuiscono alle malattie lavoro-correlate [5-7]. Condizioni di lavoro inadeguate influiscono negativamente sulla salute, con conseguenze costose sia per gli individui che per la società in generale. Inoltre, i rischi per la salute derivanti dallo stress correlato al lavoro comprendono un “insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore [8]. Nella normativa italiana è stato introdotto, con il D.Lgs. 81/2008, l’esplicito obbligo, da parte del datore di lavoro, di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, tenendo in considerazione anche quelli inerenti lo stress lavoro-correlato. Alla luce di tali considerazioni, l’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare la percezione del rischio professionale in relazione a fattori oggettivi come il contesto professionale, e soggettivi come lo stato di salute percepito e, secondariamente, valutare il ruolo svolto da potenziali fattori correlati alla percezione dei lavoratori derivante dall’esposizione al rischio professionale.

MATERIALI E METODI

Lo studio, condotto nel periodo gennaio-febbraio 2020, mediante l’utilizzo di un questionario, ha coinvolto, previo consenso informato, i soggetti che lavorano con contratti a tempo determinato e indeterminato presso gli uffici amministrativi e le aree sanitarie delle Aziende Ospedaliere dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro e dell’Università Vanvitelli di Napoli. Per ciascun lavoratore sono state raccolte informazioni anagrafiche e socio-economiche (sesso, età, stato civile, titolo di studio, attività lavorativa, abitudine al fumo), informazioni relative allo stato di salute (presenza di patologie croniche ed eventuali terapie assunte dal lavoratore) e informazioni relative alla condizione lavorativa. Inoltre, al fine di valutare lo stato di salute percepito, abbiamo utilizzato lo Short-Form-12 Health Survey (SF-12) che ci ha permesso di calcolare, per ciascun soggetto, l’indice di salute fisica (PCS) e l’indice si salute mentale (MCS).

RISULTATI

Lo studio ha coinvolto 314 soggetti con un’età media di 36,2 anni di cui 52.9% uomini. Il 63% svolge la propria attività lavorativa nell’ambito dell’area giuridico-amministrativa, e tra questi circa il 50% è rappresentato da impiegati, mentre per quanto riguarda i soggetti che lavorano nell’area medica, quelli maggiormente rappresentati sono gli specializzandi (85.4%). Più di un terzo dei lavoratori (37.3%) ha riferito di considerare il proprio stato di salute generale molto buono e il 14.3% addirittura eccellente. Oltre il 70% ha dichiarato di non aver avuto limitazioni fisiche né durante le attività lavorative né durante le altre attività giornaliere. Relativamente all’ambiente lavorativo, il 65.7% degli intervistati ha riferito di essere soddisfatto della propria posizione e il 66.5% ha dichiarato di ricevere aiuto e supporto da parte dei collaboratori. Il valore di PCS medio ottenuto nel campione è stato pari a 51, mentre il valore di MCS medio di 44,9. Dall’analisi statistica abbiamo riscontrato che l’indice di stato fisico è correlato in modo statisticamente significativo con il livello di istruzione, peggiorando sensibilmente nelle persone con titolo di studio più elevato (F-test = 0,58, p = 0,001); analogamente, per quanto riguarda la mansione, abbiamo riscontrato un’associazione statisticamente significativa con la percezione dello stato fisico che peggiora tra i ricercatori (F-test = 0,61, p = 0,01).

CONCLUSIONI

I risultati fin qui ottenuti, sebbene preliminari, sono in grado di evidenziare come alcune variabili socio-demografiche possano influenzare l’associazione tra stress-lavoro correlato e PCS e MCS. Ciò potrebbe essere di grande interesse per la valutazione dello stato di salute del lavoratore al fine di prevenire e gestire lo stress-lavoro correlato tenendo in considerazione fattori socio-demografici nella sorveglianza sanitaria. Ulteriori approfondimenti sono necessari al fine di valutare in che misura le condizioni di incertezza lavorativa ed economica possano influenzare il benessere psichico della popolazione.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Valutazione Multidimensionale del dispositivo NobleStitch EL per la chiusura del Forame Ovale Pervio: un HTA full report

GIOVANNI GAETTI 1, FEDERICA CHIAPPA 1, LORENZO BELLINI 1, DARIO LA FAUCI 2, ANNA MARIA NATALE 2, PAOLO RANIERI 2, PAOLA MARRAS 2, ALESSANDRO BENEDUCE 2, MATTEO MONTORFANO 2, ANNA ODONE 3

Abstract

INTRODUZIONE

La Commissione HTA dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, su suggerimento del Reparto di Emodinamica dell’ospedale stesso, ha realizzato una valutazione multidimensionale di Health Technology Assessment (HTA) del device NobleStitch EL, applicando il framework proposto da Regione Lombardia che deriva da modelli internazionali, con il fine di portare solide evidenze e supportare la governance a livello aziendale e regionale. NobleStitch EL è un innovativo sistema di chiusura del Forame Ovale Pervio (PFO) che, tramite la realizzazione di un punto di sutura, si propone come alternativa al gold standard attualmente in uso Amplatzer PFO Occluder, principale device utilizzato in pazienti che necessitano di chiusura del PFO in seguito a sintomatologia.

L’HTA Full Report ha previsto l’analisi delle seguenti dimensioni: Problema di salute (D1), Descrizione, uso corrente e caratteristiche della tecnologia e del comparator (D2), Sicurezza (D3), Efficacia Clinica (D4), Impatto economico (D5), Impatto Organizzativo (D6), Impatto etico (D7), Impatto sociale e del paziente (D8), Impatto Legale (D9), Implicazioni strategiche (D10).

MATERIALI E METODI

Per un’analisi approfondita delle varie dimensioni sono stati utilizzati in primis i dati originali clinici e economici sull’utilizzo di NobleStitch EL all’IRCCS Ospedale San Raffaele (dopo approvazione del Comitato Etico Ospedaliero), in aggiunta ai quali è stata condotta una revisione sistematica per raccogliere tutte le evidenze disponibili riguardanti questa tecnologia applicando le linee guida del Prepared Items for Systematic Reviews and MetaAnalysis (PRISMA) [1]. Inoltre, sono anche stati consultati i database internazionali di reporting degli eventi avversi e infine sono state condotte delle interviste semi-strutturate a esperti clinici con competenze specifiche sul device NobleStitch EL e sul comparator, con il fine di valutare gli aspetti organizzativi, clinici, sociali e di impatto etico di queste tecnologie.

RISULTATI

Dopo aver riscontrato 53 risultati di letteratura, inclusi clinical trial registrati a livello internazionale, case reports, studi descrittivi originali e analitici e dopo avere estratto tutti i dati comparativi, si riporta una sicurezza complessiva simile a quella del comparator (complicanze correlate al device NobleStitch EL 0% e Amplatzer PFO Occluder 3%), e alti profili di efficacia per entrambe le tecnologie (Chiusura effettiva del PFO 94,6 vs 100%). I dati clinici originali del nostro ospedale, su 65 pazienti, confermano il profilo di sicurezza molto elevato di NobleStitch EL.

Da un punto di vista economico la nostra analisi di processo mette in evidenza che NobleStitch EL è più costoso del rimborso offerto a livello regionale (DRG e rimborso protesi) di 737 € e che l’unica differenza con il device Amplatzer PFO Occluder è legato al costo del device, in quanto l’intero processo sia pre- che post-intervento è costituito dagli stessi elementi.

L’intervista a 10 esperti del nostro istituto (cardiologi, intensivisti, emodinanisti, cardiologi ecografisti, caposala, direttori di reparti afferenti alla cardiologia) sottolinea come non ci siano rilevanti impatti organizzativi a breve e lungo termine, così come un rilevante impatto legale. NobleStitch EL ha un impatto migliore dal punto di vista sociale e etico, in particolare, viene percepito il fenomeno di migrazione sanitaria per il quale molti pazienti sono venuti al nostro Istituto proprio per l’intervento con questa tecnologia innovativa.

CONCLUSIONI

Sulla base dei dati clinici pubblicati, NobleStitch EL non è superiore in termini di efficacia ad Amplatzer PFO Occluder, per quanto i dati originali suggeriscano risultati incoraggianti con un lieve vantaggio di NobleStitch EL in termini di sicurezza. Gli esperti inoltre suggeriscono come una migliore selezione dei pazienti candidabili a NobleStitch EL possa migliorarne l’efficacia rendendolo comparabile ad Amplatzer PFO Occluder. Nonostante i maggiori costi del comparator, l’adozione di NobleStitch EL potrebbe portare veri benefit in termini sociali e aspetti etici, senza impattare dal punto di vista organizzativo e legale. Ulteriori ricerche si rendono necessarie con il fine di comparare direttamente le due tecnologie e altresì portare evidenze sull’efficacia e sulla sicurezza e altri outcome rilevanti di NobleStitch EL nel medio e lungo periodo.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

Capacity building dei professionisti sanitari sull’uso responsabile delle “tecnologie omiche”: due nuovi corsi di formazione a distanza sulla genomica

GIOVANNA ELISA CALABRÒ 1, ALFONSO MAZZACCARA 2, PIETRO CARBONE 2, DONATELLA BARBINA 2, DEBORA GUERRERA 2, ALESSANDRA DI PUCCHIO 2, MICHELE SASSANO 1, ANTONIO FEDERICI 3, WALTER RICCIARDI 1,4, STEFANIA BOCCIA 1,4

Abstract

INTRODUZIONE

Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati da una “rivoluzione genetica” che ha dato l’avvio alla cosiddetta “era delle scienze omiche” che si correla principalmente con lo sviluppo di tecniche di indagine high-throughput in grado di generare enormi quantitativi di dati relativi ai diversi livelli gerarchici di complessità biologica. Questo contesto, che ha determinato implicazioni evidenti e cruciali per la salute pubblica, ci impone lo sviluppo di una linea strategica che definisca la capacità di promuovere e di governare l’innovazione omics-related. Un’azione prioritaria per la corretta implementazione della medicina omica, come anche previsto nelle “Linee di indirizzo sulla genomica in sanità pubblica” del 2013 e nel nuovo “Piano nazionale per l’innovazione del sistema sanitario basata sulle scienze omiche” del 2017 [1], è l’educazione di professionisti sanitari, cittadini, decisori politici e altri portatori di interesse. Fra i prerequisiti necessari per un cambiamento radicale nelle cure, fondato sulla medicina personalizzata, sono e saranno necessarie azioni mirate al raggiungimento di una migliore “alfabetizzazione” in campo genetico/omico, sia tra i professionisti sanitari sia tra i cittadini e le loro famiglie.

MATERIALI E METODI

Nell’ambito del progetto CCM 2018 dal titolo “Capacity building e cittadinomica: azioni innovative per la literacy di professionisti sanitari e cittadini nell’era delle scienze omiche” sono stati realizzati due corsi di formazione a distanza dal titolo Genetica e genomica pratica, rivolti a medici e biologi (corso avanzato) e a tutti i professionisti sanitari non medici (corso di base), con l’obiettivo principale di formarli all’utilizzo responsabile delle tecnologie omiche. L’offerta formativa, che nasce da una precedente iniziativa condotta nell’ambito del progetto CCM 2015 [2], è stata strutturata in modo innovativo e dinamico, secondo i principali modelli della formazione andragogica (Problem-based-learning e case studies). I corsi saranno erogati per un anno (febbraio 2020 - febbraio 2021) su piattaforma istituzionale (ISS) e sono patrocinati dalle Società Scientifiche di Igiene e Genetica Umana (SITI, SIGU).

RISULTATI

In 10 mesi di erogazione sono stati registrati 14.994 iscritti: 4.998 per il corso avanzato e 9.996 per il corso di base. Di questi, a oggi, il 76.1% ha completato i corsi. Le classi di età dei partecipanti sono eterogenee per entrambi i corsi. La distribuzione geografica vede una maggiore adesione di Lazio e Sardegna per il corso avanzato e Lazio e Molise per quello di base. I partecipanti sono, a oggi, principalmente dipendenti del SSN con il 57% per il corso avanzato (soprattutto MMG, Chirurghi generali, Medici di Sanità Pubblica e Biologi) e il 75% per il corso di base (soprattutto infermieri, fisioterapisti, tecnici radiologi e tecnici di laboratorio). I risultati dei Customers Satisfaction Questionnaires, relativi a metodologia formativa adottata e contenuti scientifici proposti sono stati positivi.

CONCLUSIONI

In un momento come quello attuale caratterizzato da un progresso scientifico particolarmente stimolante come quello della “rivoluzione omica”, ciascun medico deve essere in grado di coglierne le potenziali ricadute su diagnosi, controllo e trattamento delle malattie. Risulta, pertanto, necessario lavorare sulla costruzione di capacità di tutti i professionisti sanitari a vario titolo coinvolti/coinvolgibili nell’uso delle scienze omiche. La formazione a distanza in genetica/genomica rappresenta, dunque, un metodo efficace per migliorare conoscenze e competenze di tutti gli operatori sanitari e gli effetti educativi e formativi raggiungibili con corsi come i nostri potrebbero essere rilevanti sia a livello nazionale che internazionale.

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J Prev Med Hyg. 2021 Jun 1;62(1 Suppl 2):E1–E61. [Article in Italian]

L’Infermieristica di Famiglia e Comunità e il potenziamento delle Cure Primarie durante la pandemia COVID-19: identificazione di un modello organizzativo

GIULIA GASPERINI 1, ERIKA RENZI 1, VALENTINA BACCOLINI 1, CAROLINA MARZUILLO 1, PAOLO VILLARI 1, CORRADO DE VITO 1, AZZURRA MASSIMI 1

Abstract

INTRODUZIONE

La pandemia COVID-19 ha segnato il termine ultimo dei plurimi rinvii al potenziamento delle Cure Primarie. La presenza di Cure Primarie robuste potrebbe assicurare una valida risposta allo stato di emergenza [1] garantendo la gestione dei casi di sospetta o confermata infezione da SARS-CoV-2, la continuità dei servizi sanitari primari [2] e l’assistenza agli affetti da COVID-19 in fase post-acuta [3]. Di nodale importanza in questo processo è il coinvolgimento di personale sanitario di comunità [4,5] in particolare degli Infermieri di Famiglia e di Sanità Pubblica [6,7]. Nuovi modelli assistenziali che prevedano il coinvolgimento di personale infermieristico con competenze e ruoli avanzati [8,9] e l’inclusione della tecnologia nell’assistenza sanitaria [9,10] potrebbero migliorare gli outcome di salute delle persone [9].

Se da un lato, tali modelli assistenziali avrebbero il potenziale di contrastare le difficoltà dettate dalla pandemia, dall’altro avrebbero anche la capacità di affrontare le moderne sfide di salute. Il potenziamento delle Cure Primarie e il coinvolgimento di Infermieri di Famiglia e Comunità sono già noti come elementi essenziali nella lotta alle cronicità e nel sostegno continuo, proattivo e di prossimità ai cittadini promuovendo e proteggendo la salute [11-15].

Per quanto ne sappiamo, in letteratura non sembrano esserci studi che sintetizzano i modelli organizzativo-assistenziali di Infermieristica di Famiglia e Comunità (IFeC). Pertanto, lo scopo del presente studio è indagare in letteratura tali modelli con l’obiettivo ultimo di costruire un framework di IFeC che si presti ad affrontare la suddetta duplice sfida di salute.

MATERIALI E METODI

Una scoping review [16-18] è stata condotta nel novembre 2020 per identificare tutti gli articoli pubblicati dal 2009, scritti in inglese o italiano, con una chiara descrizione di un modello assistenziale di IFeC o del ruolo e delle competenze di tali professionisti. La ricerca è stata condotta su PubMed, Scopus e Cumulative Index to Nursing and Allied Health Literature (CINAHL), e manualmente. La checklistPreferred Reporting Items for Systematic reviews and Meta-Analyses extension for Scoping Reviews (PRISMA-ScR)” [18] ha guidato la fase di reporting.

RISULTATI

Sono stati sottoposti allo screening 4.534 record, di cui al termine sono stati inclusi solo 19 articoli. I modelli rilevati sono stati sintetizzati evidenziando le caratteristiche organizzative e operative relative agli ambiti delle cure primarie ed emergenziali. L’analisi degli articoli ha evidenziato la presenza di due principali modelli organizzativo-assistenziali riconducibili all’area dell’Infermieristica di Sanità Pubblica e a quella dell’IFeC. La prima, evidenziata in tre articoli, delinea l’azione strategica degli Infermieri di Sanità Pubblica che studiano la popolazione e le comunità, focalizzando l’attenzione sui determinanti della salute, e agiscono con attività di programmazione e influenzando le policy. Le caratteristiche principali sono: centralità della popolazione, leadership, attenzione ai determinanti socioeconomici e all’ambiente. La seconda, l’IFeC, si evince dai restanti 16 articoli e si caratterizza per un’azione diretta degli Infermieri di Famiglia e Comunità che lavorano con persone sane o malate in contesti familiari o comunitari. Godono di ampia autonomia nell’ambito del loro specifico professionale e coltivano rapporti di stretta collaborazione con diversi professionisti della salute e non. Prendono in carico le famiglie e le comunità, e agiscono nell’ambito dell’assistenza primaria a livello di promozione della salute, prevenzione delle malattie, supporto al self-care e assistenza diretta proattiva avvalendosi del supporto della tecnologia. Inoltre, peculiarità delle più recenti espressioni di IFeC, questi professionisti sono in grado di rispondere a problemi di carattere acuto o emergenziale in sede domiciliare e comunitaria.

CONCLUSIONI

Questa revisione mirava alla costruzione di un framework di IFeC. È stato possibile identificare due framework uno per l’Infermieristica di Sanità Pubblica e uno per l’IFeC. La differenza principale tra i due risiede nei diversi orientamenti, uno strategico e uno diretto, che caratterizzano l’agire professionale.

In risposta all’obiettivo della presente revisione, il framework dell’IFeC risponde a pieno titolo alle necessità presentate dalla corrente duplice sfida di salute. Contestualmente, il framework dell’Infermieristica di Sanità Pubblica viene a sostegno nell’orientamento più ampio e nella pianificazione strategica rivolta al sostegno dell’intera popolazione.

Concludendo, i due framework sono ben diversificati tra loro nelle caratteristiche fondanti, ma del tutto complementari e ambedue fortemente necessari in questo periodo pandemico [6,7]. La loro compresenza potrebbe essere garanzia di un agevole potenziamento delle Cure Primarie lì dove esse rappresentano la principale risposta ai bisogni di salute correnti.

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